Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

lunedì 30 marzo 2015

COMMISSIONE PARLAMENTARE 2010 DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI

COMMISSIONE PARLAMENTARE 2010 DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI

CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 6 ottobre 2010
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
ALLEGATO
ALLEGATO
PROPOSTA DI RELAZIONE SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI NELLA REGIONE SICILIANA
(Relatori: sen. Gianpiero De Toni; on. Giovanni Fava)
I N D I C E
Introduzione
PARTE PRIMA
SICILIA OCCIDENTALE: PROVINCE DI PALERMO, TRAPANI, AGRIGENTO E CALTANISSETTA
I - Provincia di Palermo
1) Attività svolte dalla Commissione
2) Sistema di gestione dei rifiuti
3) Amia spa
4) L'Amia. L'indagine sul reato di false comunicazioni sociali e l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria
5) Dichiarazione dello stato di insolvenza di Amia spa e ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria
6) Le considerazioni dei commissari giudiziali in merito alla società Amia spa: le cause del dissesto finanziario
7) Le assunzioni all'interno della società Amia e delle società controllate
8) La discarica di Bellolampo e la gestione da parte dell'Amia spa
9) La discarica di Bellolampo e le problematiche ambientali
10) Lo smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo
11) La discarica di Partinico e la discarica di Bolognetta
12) COINRES. Deficit finanziario. Assunzioni
13) Indagini giudiziarie segnalate dalla magistratura
13.1) Indagini giudiziarie segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo
13.1.1) Indagini in materia di reati ambientali
13.2) Procura della Repubblica presso il tribunale di Termini Imerese
14) I controlli amministrativi in fase di prevenzione. Osservazioni del procuratore della Repubblica di Palermo
II - Provincia di Trapani
1) Attività della Commissione
2) Premessa
3) Gestione del ciclo dei rifiuti
4) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti
4.1) Indagini relative alla discarica borranea
4.2) Indagini relative ai rifiuti provenienti dal settore marmifero
5) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Marsala
6) Attività illecite riconducibili alla criminalità organizzata
III - Provincia di Agrigento
1) Attività della Commissione. Premessa
2) Gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Sciacca
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
4.1) La discarica di Campobello di Licata
IV - Provincia di Caltanissetta
1) Attività della Commissione. Premessa
2) Gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Gela
3.3) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Nicosia
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
PARTE SECONDA
SICILIA OCCIDENTALE. PROVINCE DI ENNA, MESSINA, CATANIA, SIRACUSA E RAGUSA
I - Provincia di Enna
1) Attività della Commissione. Premessa
2) La gestione del ciclo dei rifiuti
3) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
II - Provincia di Messina
1) Attività della Commissione. Premessa
2) La gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti e dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Mistretta
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti. Procedimenti trattati dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina
III - Provincia di Catania
1) Attività della Commissione. Premessa
2) La gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti e infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Caltagirone
IV - Provincia di Ragusa
1) Attività della Commissione. Premessa
2) La gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Modica
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
V - Provincia di Siracusa
1) Attività della Commissione. Premessa
2) Gestione del ciclo dei rifiuti
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
PARTE TERZA
1) Il fallimento del piano del ciclo dei rifiuti in Sicilia adottato nel 2002
2) Il dissesto finanziario degli ATO
3) Termovalorizzatori. Denuncia sporta dall'amministrazione regionale. Indagini dell'autorità giudiziaria
4) Anomalie nella procedura di gara e nella presentazione delle offerte. Le indagini dell'autorità giudiziaria
5) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti nella regione siciliana
6) I tre livelli di condizionamento mafioso nel settore dei rifiuti
7) I controlli amministrativi. Le indagini di polizia giudiziaria e della magistratura
8) Legge regionale n. 9/2009
CONCLUSIONI
INTRODUZIONE
La Commissione, attraverso l'acquisizione di documentazione e di informazioni assunte in sede di audizioni, effettuate anche nel corso delle tre missioni in Sicilia, ha approfondito la situazione attuale della regione siciliana con riferimento alle problematiche connesse al ciclo dei rifiuti e, in particolare:
le infiltrazioni della criminalità organizzata;
l'eventuale sussistenza di comportamenti illeciti da parte della pubblica amministrazione nella gestione del ciclo dei rifiuti;

la corretta attuazione della normativa vigente in materia di gestione dei rifiuti pericolosi, nonché eventuali attività illecite connesse a tale gestione.
Le tematiche della Sicilia sono state oggetto di specifiche missioni sul territorio. La Commissione si è infatti recata in questa regione dal 17 al 19 settembre 2009, per approfondire la situazione della Sicilia occidentale, e dal 28 al 30 settembre 2009, per approfondire la situazione della Sicilia orientale.
È stata inoltre effettuata un'ulteriore missione in Sicilia dall'otto al dieci giugno 2010, finalizzata essenzialmente ad approfondire le tematiche relative alla discarica di Bellolampo e alle indagini giudiziarie in merito alla gara per la realizzazione dei termovalorizzatori in Sicilia.
Nel corso delle missioni sono stati poi effettuati dei sopralluoghi presso alcune discariche che presentano indubbi elementi di criticità, e ciò evidentemente al fine di verificare in modo diretto lo stato reale delle discariche, acquisendo dati non mediati da altre fonti di conoscenza.
La relazione si articola in una prima parte, nella quale vengono esaminate singolarmente le singole province della Sicilia occidentale (Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta), una seconda parte, nella quale vengono esaminate le province della Sicilia orientale (Enna, Messina, Siracura, Ragusa e Catania), e una terza parte di sintesi, in cui sono approfonditi gli aspetti nevralgici del sistema rifiuti in Sicilia e le principali criticità della con riferimento ai seguenti aspetti fondamentali:
gli ambiti territoriali ottimali e le modifiche introdotte dalla legge regionale n. 9 del 2010;
l'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti;
la gara indetta per la realizzazione dei quattro termovalorizzatori previsti dall'originario piano regionale dei rifiuti, e le annesse indagini giudiziarie;
le indagini della magistratura in merito ai reati ambientali e le problematiche rilevate.
Sono poi riportate le conclusioni, che, va da subito evidenziato, la Commissione trae, allo stato degli atti, sulla base delle verifiche effettuate sino ad ora. Si è avuto modo di constatare che in Sicilia le indagini giudiziarie e la situazione complessiva, anche con riferimento alle scelte politiche, sono in continua evoluzione, così come sono in continua evoluzione le situazioni relative alla discarica di Bellolampo e alla emergenza connessa alla predetta discarica.
Un dato evidente è che, laddove vi siano carenze dal punto di vista amministrativo, gestionale, politico, laddove il sistema dei controlli non funzioni, evenienze tutte che caratterizzano la Sicilia, è certamente più agevole sia per la criminalità comune che per la criminalità organizzata insinuarsi nelle maglie lasciate aperte dalla pubblica amministrazione, con evidente aggravamento di una realtà, qual è quella siciliana in questo settore, già ampiamente compromessa.
PARTE PRIMA
SICILIA OCCIDENTALE: PROVINCE DI PALERMO, TRAPANI, AGRIGENTO E CALTANISSETTA
I - Provincia di Palermo.
1) Attività svolte dalla Commissione.
Nel corso della prima missione in Sicilia (dal 17 al 19 settembre 2009) sono stati auditi, con specifico riferimento alla situazione della provincia di Palermo:
il presidente della regione siciliana, Raffaele Lombardo;
l'assessore regionale dell'energia ed dei servizi di pubblica utilità, dottor Pietro Carmelo Russo;

il prefetto di Palermo, dottor Giancarlo Trevisone, e il prefetto vicario di Palermo, dottoressa Francesca Ferrandino;
il questore di Palermo, dottor Alessandro Marangoni;
il presidente della provincia di Palermo, dottor Giovanni Avanti;
il sindaco di Palermo, dottor Diego Cammarata;
l'ingegner Gaetano Lo Cicero, già presidente della società AMIA spa;
il dottor Luigi Croce, procuratore generale della Repubblica di Palermo;
il dottor Francesco Messineo, procuratore capo della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo;
il dottor Vittorio Teresi, procuratore aggiunto della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo;
la dottoressa Amelia Luise, la dottoressa Maria Teresa Maligno, il dottor Sergio De Montis, il dottor Carlo Marzella, sostituti procuratori della Repubblica di Palermo;
il dottor Alfredo Morbillo, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Termini Imerese;
la dottoressa Sara Micucci, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo.
Sono stati poi effettuati dalla Commissione due sopralluoghi presso la discarica di Bellolampo.
Va preliminarmente sottolineato come la provincia di Palermo sia una di quelle che presenta i maggiori elementi di criticità in merito alla gestione dei rifiuti, tanto che nell'anno in corso è stato nuovamente dichiarato lo stato di emergenza.
I maggiori fattori di criticità sono rappresentati dalla grave situazione di dissesto finanziario della società AMIA spa (di recente sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria) e dalla disastrosa situazione che riguarda la discarica di Bellolampo (gestita dalla predetta società).
Si tratta di problematiche di enorme portata, strettamente connesse fra di loro, che influiscono su tutto il sistema di gestione dei rifiuti nella regione, tenuto conto del fatto che la discarica di Bellolampo accoglie un terzo circa dei rifiuti prodotti dalla regione e che un'eventuale chiusura determinerebbe un effetto negativo a cascata su tutto il territorio siciliano.
La gestione commissariale non è stata in grado, allo stato, neppure di tamponare quelle che si sono palesate da subito come le principali emergenze della discarica, legate essenzialmente all'incontrollata produzione di percolato che potrebbe finanche avere inquinato le falde acquifere.
Nessuno dei soggetti auditi è stato in grado di riferire con certezza quanto percolato si sia accumulato e debba essere smaltito; certamente il quantitativo è superiore a 100.000 metri cubi, quantitativo indicato per difetto e non per eccesso.
Quello che risulta evidente è che sia le problematiche finanziarie dell'AMIA spa sia quelle, connesse, attinenti alla gestione della discarica di Bellolampo sono problematiche risalenti, rispetto alle quali però per molto tempo gli amministratori locali sono rimasti assolutamente inerti e la gestione commissariale si è rivelata, in sostanza, inadeguata.
È stato sottolineato da più parti come ormai ci si trovi in una situazione di disastro ambientale (sono in corso indagini da parte della magistratura), un disastro annunciato e tuttavia non impedito, né arginato.
Le ragioni sono molteplici e tutte riconducibili ad un insieme di incapacità politica, incapacità gestionale, deresponsabilizzazione generalizzata, infiltrazioni della criminalità, organizzata e non, nel settore dei rifiuti ed inadeguatezza della struttura commissariale.
2) Sistema di gestione dei rifiuti.
Il sistema di gestione dei rifiuti nella provincia di Palermo (salvo le modifiche introdotte dalla recentissima legge regionale n. 9 del 2010, della quale si tratterà nella terza parte della relazione) è imperniato operativamente su sei ATO (ambiti territoriali ottimali in cui è suddivisa la provincia).
Risulta generalizzata e molto grave la crisi economico finanziaria di tutti gli ATO rifiuti operanti nella provincia, e si tratta di una problematica che riguarda non solo la provincia di Palermo, ma più in generale l'intero territorio della regione siciliana.
In Sicilia uno dei principali fattori di criticità è rappresentato proprio dal dissesto finanziario delle società d'ambito territoriale della regione; si tratta delle autorità d'ambito che costituiscono le aggregazioni di comuni ai quali i comuni stessi hanno trasferito l'esercizio delle loro competenze in materia di rifiuti.
La costituzione degli ambiti territoriali ottimali (in misura di ventisette) in forma di società per azioni ha fondamentalmente comportato una deresponsabilizzazione dei comuni, che in molti casi non versano agli ATO gli introiti relativi alle tasse sui rifiuti, e che comunque non avviano le procedure di recupero coattivo nei confronti dei cittadini insolventi.
Gli ATO quindi non riescono a coprire le spese per i servizi resi, spesso tramite le imprese aggiudicatarie degli appalti per il trasporto, il conferimento in discarica dei rifiuti eccetera; le imprese a loro volta non riescono a pagare i dipendenti che in più occasioni hanno espresso la loro protesta con scioperi, con conseguenze molto gravi sulla salubrità dell'ambiente e sulla salute dei cittadini.
Da più parti è stato inoltre evidenziato come gli ATO siano spesso al centro di evidenti conflitti di interesse, conflitti che fanno capo all'ente pubblico che, da un lato, è titolare attraverso partecipazioni di maggioranza di società miste aggiudicatarie di appalti relativi ai rifiuti solidi urbani, dall'altro, in quanto componente dell'ATO, si trova in posizione concorrenziale verso le stesse società miste.
Altro elemento di distorsione nel funzionamento delle società d'ambito concerne la frequente e pressoché sistematica elusione delle regole di evidenza pubblica nella scelta delle imprese cui affidare i lavori, imprese spesso prive dei necessari requisiti di professionalità, caratterizzate da assunzioni clientelari, che in molti casi, come accertato dalla Commissione, hanno riguardato individui con pregiudizi penali, o legati da rapporti di parentela con soggetti pregiudicati.
Le criticità di ordine economico finanziario degli ATO hanno quindi avuto ricadute gravissime nella gestione del ciclo dei rifiuti nella regione siciliana, contribuendo a determinare situazioni di altrettanto grave pregiudizio per la salubrità dell'ambiente e, quindi, la salute dei cittadini.
Certamente la situazione più critica è però quella della provincia di Palermo per la quale periodicamente viene dichiarato lo stato di emergenza, determinata anche dallo stato di dissesto finanziario dell'AMIA spa (società affidataria del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti prodotti dal comune di Palermo, nonché soggetto gestore della discarica di Bellolampo) interamente partecipata dal comune di Palermo, e dalle connesse gravi problematiche relative alla gestione della discarica di Bellolampo.


Il 16 gennaio 2009 è stato dichiarato lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti urbani nella provincia di Palermo ed in data 5 febbraio 2009 il prefetto di Palermo è stato nominato commissario delegato per la gestione dell'emergenza stessa con particolare riferimento alla discarica di Bellolampo (nella quale vengono conferiti i rifiuti urbani ed assimilati del territorio di quattro ATO per un totale di cinquantatré comuni). In ragione della mancata definizione dell'istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale relativa alla discarica di Bellolampo, il presidente della Regione siciliana ha emesso ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'articolo 191 decreto legislativo n. 152 del 2006 per l'esercizio provvisorio della discarica.
Già nel corso della prima missione in Sicilia (nel mese di settembre 2009) il prefetto di Palermo, dottor Trevisone, ha rappresentato una situazione gravissima e difficilmente gestibile.
Le discariche di RSU presenti sul territorio (Bellolampo e Castellana Sicula) non dispongono di una capacità di abbancamento proporzionata alla popolazione, tenuto conto anche della bassissima percentuale di raccolta differenziata, e sono quindi destinate ad un rapido esaurimento. Peraltro si tratta di discariche che proseguono nell'attività senza che siano state messi in atto gli interventi di adeguamento previsti dalla legge, anche a causa delle rilevanti esposizioni debitorie dell'AMIA spa.
I punti critici nella gestione dei rifiuti evidenziati dal prefetto sono:
1) insufficienza degli impianti di smaltimento;
2) inadeguatezze gestionali nella raccolta degli RSU;

3) disavanzi finanziari degli ATO;
4) bassissima percentuale di raccolta differenziata;
5) le due discariche, in via di saturazione, operano senza che siano stati effettuati gli interventi di adeguamento prescritti dalla legge.
Appare però necessario focalizzare l'attenzione sulle vicende che hanno riguardato la società AMIA spa e che hanno indubbiamente contribuito in modo determinate a condizionare negativamente la gestione dei rifiuti nella provincia di Palermo.
3) AMIA Spa.
La società AMIA spa è la società affidataria del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dal comune di Palermo, nonché soggetto gestore della discarica di Bellolampo (nella quale vengono conferiti i rifiuti urbani e assimilati non pericolosi provenienti dal territorio di quattro società d'ambito, complessivamente composte da cinquantatré comuni, per un totale di circa 700.00 tonnellate annue).

Ciò in forza di un contratto di servizio stipulato con il comune di Palermo in data 30 novembre 2001, con durata stabilita in anni trenta dalla stipula.
L'AMIA spa è interamente partecipata dal comune di Palermo ed eroga i seguenti servizi:
raccolta dei rifiuti;
spazzamento e bonifica delle aree pubbliche;


smaltimento dei rifiuti;
manutenzione ordinaria delle strade;
monitoraggio ambientale;
servizi accessori.
Vengono inoltre svolte le attività di:
spazzamento;
diserbo;
svuotamento cestini gettacarte;
pulizia caditoie stradali attraverso la società AMIA ESSEMME il cui capitale è interamente posseduto dalla società AMIA spa.
La società è diventata proprietaria oltre che di tutti gli immobili (piattaforme ed aree impiantistiche) già di proprietà dello stesso comune, anche della discarica di Bellolampo, della quale è anche gestore.
La società AMIA - azienda municipalizzata igiene ed ambiente - è stata trasformata in società per azioni in data 27 settembre 2001 su iniziativa del comune di Palermo che, in qualità di socio unico, l'ha dotata di un capitale sociale iniziale pari ad euro 34.217.851.
Prima ancora l'AMIA operava sin dall'anno 1968 nella forma di AMNU, azienda municipalizzata di nettezza urbana.
La società AMIA risulta dotata di un organico di 1670 dipendenti (dato tratto dalla relazione predisposta dai commissari giudiziali e depositata al tribunale di Palermo il 23 marzo 2010).
È di tutta evidenza quindi il ruolo di primaria importanza della società per la gestione dei rifiuti non solo rispetto alla città di Palermo, ma anche rispetto a tutti quegli altri comuni (ben cinquantatré) che conferiscono i rifiuti solidi urbani e i rifiuti assimilati non pericolosi nella discarica di Bellolampo, che presenta, però, da un lato, gravissimi problemi di messa in sicurezza per la considerevole perdita di percolato, dall'altro, la necessità di ampliamento, attraverso la creazione di nuove vasche, essendo vicina alla saturazione.
Tutte attività che avrebbero dovuto essere effettuate con urgenza dall'AMIA spa e che non sono state effettuate a causa, per l'appunto, del gravissimo deficit finanziario in cui versa la società.
La situazione di insolvenza della società AMIA spa è stata accertata dalla procura della Repubblica di Palermo, che ha quindi depositato un ricorso presso la Sezione fallimentare del tribunale civile di Palermo per la dichiarazione dello stato di insolvenza della società ai sensi dell'articolo 3 decreto legislativo n. 270 del 1999 ovvero, in subordine, per la dichiarazione di fallimento ai sensi degli articoli 6 e 7 della legge fallimentare.
4) L'AMIA. L'indagine sul reato di false comunicazioni sociali e l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.
Nel corso della seconda missione in Sicilia sono stati sentiti in sede di audizione il procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Francesco Messineo, e il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, dottor Carlo Marzella, in merito, specificatamente, al procedimento per il reato di false comunicazioni sociali ex articoli 2621 e 2624 del codice civile nei confronti di tredici imputati, tutti già amministratori, revisori dei conti, sindaci e direttori generali dell'AMIA, procedimento in relazione al quale è stata esercitata l'azione penale ordinaria nei confronti degli imputati e contestato alla società l'illecito amministrativo ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001.
La procura della Repubblica di Palermo ha seguito attentamente le vicende relative all'AMIA spa sia dal punto di vista penalistico (con riferimento alla contestazione del reato di falso in bilancio) sia dal punto di vista civilistico (in relazione alla richiesta di declaratoria dello stato di insolvenza ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 270 del 1999, ovvero, in subordine, di declaratoria del fallimento della società).
Quanto ai reati societari, sono state contestate due condotte di false comunicazioni sociali, con riferimento ai bilanci chiusi, rispettivamente, al 31 dicembre 2005 ed al 31 dicembre 2006. Il processo è in via di celebrazione in dibattimento (solo alcuni imputati hanno optato per la scelta del rito abbreviato).
In particolare, il primo episodio contestato riguarderebbe (si usa il condizionale in quanto la vicenda è sub iudice) l'iscrizione «nel conto economico del bilancio al 31 dicembre 2005, alla voce proventi straordinari, plusvalenze da attività smobilizzate, della falsa plusvalenza dell'importo di euro 16.428.753,00, apparentemente derivante dalla cessione del parco automezzi e dalla cessione di sei unità immobiliari da AMIA spa ad AMIA SERVIZI srl, cessioni simulate, in quanto gli automezzi e gli immobili restavano di fatto nella disponibilità di AMIA spa, in forza di contestuali contratti di locazione stipulati il giorno stesso della cessione (31.12.2005) con cui AMIA Servizi cedeva in locazione tali beni alla società controllante AMIA spa, attraverso una compensazione tra il prezzo di vendita che AMIA SERVIZI srl avrebbe dovuto corrispondere e i canoni di locazione che AMIA spa avrebbe dovuto versare (...). Fatto che comportava una sensibile alterazione della rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria di AMIA spa, in quanto le false attestazioni in bilancio determinavano una chiusura del bilancio 2005 con un utile di euro 113.211,00, mentre la corretta redazione del bilancio avrebbe comportato la chiusura dell'esercizio con una perdita di euro 15.826.147,00».
La seconda contestazione del reato di falso in bilancio riguarderebbe l'iscrizione «nel conto economico del bilancio al 31.12.2006, tra i proventi straordinari, dell'importo di euro 44.391.971,30, apparentemente derivante dalla cessione dei contratti PEA e PLATANI, in particolare dalle seguenti cessioni:
1) cessione - in data 30.12.2006 - da Amia spa ad Amia Servizi srl del contratto stipulato il 21.12.2006 tra Amia spa e Palermo Energia Ambiente spa per la gestione e la manutenzione degli impianti di termovalorizzazione e smaltimento dei rifiuti nella provincia di Palermo;
2) cessione - in data 30.12.2006 - da Amia spa ed Amia Servizi srl del contratto stipulato tra Amia spa e Platani Energia Ambiente spa per la gestione e la manutenzione degli impianti di termovalorizzazione e smaltimento dei rifiuti nelle province di Agrigento, Caltanissetta e Trapani, sopravvenienze che venivano quantificate sulla base di due relazioni di stima del valore dei contratti oggetto di cessione che sopravvalutavano il valore dei contratti ceduti, in quanto nel determinare il valore dei flussi di reddito che sarebbero derivati da tali contratti, non tenevano conto dell'assoluta aleatorietà dell'esecuzione dei due contratti, entrambi sottoposti a una serie di condizioni risolutive espresse (quali il finanziamento degli istituti di credito e il rilascio di tutte le autorizzazioni amministrative per la realizzazione delle opere), né tenevano conto dell'assoluta incertezza circa la realizzazione degli impianti di termovalorizzazione, incertezza derivante dalla pendenza - innanzi alla Corte della giustizia europea - della causa n. C-382/05 tra la Commissione C.E. e la Repubblica Italiana, avente ad oggetto proprio la irregolarità delle convenzioni stipulate tra la regione siciliana e le due società Palermo Energia Ambiente e Platani Energia Ambiente (...). Fatto che comportava una sensibile alterazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria di AMIA spa, in quanto le false attestazioni in bilancio determinavano una chiusura del bilancio 2006 con un utile di euro 200.350,00, mentre la corretta redazione del bilancio avrebbe comportato al chiusura dell'esercizio con una perdita di euro 31.814.337,00».
Con riferimento ad entrambe le ipotesi di reato di falso in bilancio, è stato contestato poi al revisore dei conti il reato di cui all'articolo 2624 del codice civile in quanto, attestando falsamente nella relazione indirizzata all'assemblea degli azionisti AMIA spa, che i bilanci di esercizio al 31.12.2005 e al 31.12.2006 erano stati redatti con chiarezza e che rappresentavano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria, nonché il risultato economico della società, aveva cagionato un danno patrimoniale al comune di Palermo consistito nel peggiorare il deficit finanziario di AMIA spa.
Gli artifici contabili, infatti, se da un lato consentivano di rinviare gli adempimenti necessari a ripianare le perdite (ricapitalizzazione della società o riduzione del capitale sociale), dall'altro determinavano, per l'appunto, un peggioramento del deficit finanziario della società, in ragione del valore delle imposte derivanti dal maggior reddito imponibile fittiziamente dichiarato in bilancio.
In sostanza, come precisato dal pubblico ministero dottor Marzella nel corso dell'audizione, nell'anno 2005 AMIA spa aveva ceduto alla società neo costituita AMIA Servizi srl, e da essa interamente controllata, tutto il parco veicoli, costituito da circa milleottocento mezzi, e sei immobili, stipulando contestualmente contratti di locazione con i quali, di fatto, i mezzi restavano nella disponibilità di AMIA spa, quindi della cedente, senza che vi fosse stato alcun versamento né del prezzo della compravendita, né dei canoni di locazione. Utilizzando questa fittizia operazione di cessione, sempre secondo l'impostazione accusatoria, è stata iscritta in bilancio una plusvalenza di circa 16 milioni di euro, che ha consentito all'AMIA spa di chiudere l'esercizio con un attivo di 113.000 euro. La corretta redazione del bilancio avrebbe comportato la chiusura dell'esercizio con una perdita di euro 15.826.147,00.
Nel 2006 è stata realizzata un'operazione analoga; la cessione ha riguardato alcuni contratti che AMIA spa aveva stipulato con la Platani Energia Ambiente e la Palermo Energia Ambiente che si erano aggiudicate la gara per la realizzazione dei termovalorizzatori in Sicilia, e che erano stati ceduti ad Amia Servizi srl (interamente controllata da AMIA).
I contratti sono stati ipervalutati, secondo la procura, in 44 milioni di euro, non essendosi tenuto conto, nella quantificazione del valore dei contratti medesimi, della procedura di infrazione azionata dalla Commissione europea innanzi alla Corte di giustizia (peraltro conclusasi, come sarà evidenziato nel prosieguo della relazione, con la condanna dell'Italia per la violazione delle norme relative alle forme di pubblicità delle gare d'appalto di dimensioni comunitarie).
Correlativamente la procura della Repubblica di Palermo ha contestato alla società AMIA spa l'illecito amministrativo ai sensi dell'articolo 25-ter, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 231 del 2001.
Ebbene, a fronte di condotte che, sempre secondo l'impostazione accusatoria, avrebbero cagionato un danno patrimoniale alla società ed ai soci, in relazione alle maggiori imposte che l'AMIA ha dovuto versare all'erario rispetto a quelle che avrebbe dovuto versare se non fossero state indicate in bilancio le summenzionate operazioni fittizie, la procura della Repubblica di Palermo avrebbe potuto teoricamente contestare il reato di cui all'articolo 2622 del codice civile (false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori) in luogo del reato di cui all'articolo 2621 del codice civile (false comunicazioni sociali) se fosse stata sporta la querela dal comune di Palermo.
È di tutta evidenza la differenza tra le due fattispecie criminose sotto il profilo della gravità e della relativa sanzione prevista dal legislatore.
Il reato di cui all'articolo 2621 del codice civile è infatti una fattispecie contravvenzionale (procedibile d'ufficio), meno grave rispetto al reato di cui all'articolo 2622 del codice civile, che invece è una fattispecie delittuosa, e sottoposta a termini di prescrizione decisamente più lunghi e tranquillizzanti, tenuto conto dei tempi ordinariamente necessari per l'emissione di una sentenza definitiva in un procedimento, come quello in oggetto, complesso sia per il numero degli imputati che per la tipologia delle condotte.
E tuttavia per la contestazione di questa seconda fattispecie delittuosa avrebbe dovuto essere sporta la querela dal comune di Palermo, socio unico della società AMIA spa.
Proprio per consentire al comune di Palermo di sporgere querela, il sindaco della città, Diego Cammarata, venne convocato in procura e venne informato sia dell'esistenza del procedimento, sia della facoltà di esercitare il diritto di querela entro novanta giorni, ai fini della procedibilità in relazione al più grave reato di cui all'articolo 2622 del codice civile (che, per l'appunto, può essere contestato nel caso in cui sia stato cagionato un danno alla società, ai soci, o ai creditori).
Il comune di Palermo non ha inteso sporgere querela, e ciò è stato precisato nel corso dell'audizione dai magistrati che si occupano del procedimento penale sopra menzionato.
Il sindaco Cammarata, audito dalla Commissione nel corso della prima missione in Sicilia, interpellato in merito alla decisione del comune di non sporgere querela, ha dichiarato di avere richiesto un parere all'ufficio legale del comune di Palermo e di essersi quindi determinato conseguentemente.
Il parere dell'ufficio legale è stato acquisito agli atti della Commissione ed in esso si rappresentano sostanzialmente quelle che sono le regole attinenti alla facoltà dell'esercizio del diritto di querela. Si riportano alcuni stralci del menzionato parere legale: «secondo consolidata giurisprudenza ultra decennale della Corte di cassazione - formata ai fini dell'accertamento della decorrenza del termine di tre mesi previsto dall'articolo 124 del codice penale per la presentazione della querela - è necessario che la persona offesa abbia una conoscenza precisa, certa e diretta del fatto in modo da essere in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari per determinarsi (...).
In virtù dei superiori principi questa Avvocatura ritiene che il termine di tre mesi previsto per la presentazione di un'eventuale querela da parte dell'amministrazione comunale non possa farsi decorrere automaticamente dall'acquisita conoscenza delle richiamate indagini penali. Infatti l'esercizio del diritto di querela (e la decorrenza del previsto termine decadenziale) rimane subordinato alla conoscenza precisa e certa del fatto delittuoso, in tutti i suoi elementi costitutivi previsti dal legislatore.
Precisato quanto sopra, in merito agli addebiti mossi agli amministratori dell'AMIA spa ex articolo 2622 del codice civile - per i quali vi è, allo stato, la verifica giudiziale dell'ipotesi di «danno» correlato alle pretese false comunicazioni sociali - la proposizione di una valida querela da parte del comune dovrà essere supportata dalla rappresentazione di un danno patrimoniale eventualmente sofferto (anche se non ancora individuabile nel suo preciso ammontare) e, qualora dovessero mancare elementi certi («notizie») altrimenti già conosciuti, la stessa rimarrebbe subordinata all'accertamento positivo del danno medesimo, non potendosi ritenere sufficiente, al fine della querela, la mera presunzione della lesione patrimoniale che è oggetto della verifica giudiziale».
In sostanza, nel parere predisposto dall'ufficio legale non si entra nel merito della questione, ma vengono semplicemente chiariti quelli che sono i presupposti per l'esercizio del diritto di querela (che rappresenta comunque una facoltà per la persona offesa dal reato, è bene sottolinearlo).
E dunque, il sindaco Cammarata non ha in realtà spiegato chiaramente a questa Commissione la ragione per la quale il comune non ha inteso sporgere querela, in quanto ha richiamato il parere summenzionato fornito dall'ufficio legale del comune (nel quale vengono semplicemente chiariti in via teorica i presupposti per sporgere querela), ma non ha in alcun modo chiarito quale fosse il «dubbio» che aveva in merito alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, sia sotto il profilo delle false comunicazioni sociali, che sotto il profilo del danno arrecato alla società ed ai soci.
Di fatto, la mancata proposizione della querela ha comportato l'impossibilità di contestare la fattispecie delittuosa, ma solo quella contravvenzionale, con tutte le annesse problematiche legate ai ben più ristretti tempi di prescrizione dei reati contravvenzionali.
5) Dichiarazione dello stato di insolvenza di AMIA Spa e ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.
Nel corso delle indagini relative ai reati di falso in bilancio, e contestualmente all'emersione di tali ipotesi criminose, la procura della Repubblica di Palermo ha avviato un accertamento in merito alla solvibilità della società AMIA spa, e quindi alla sua capacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.
Nel mese di novembre 2009, quindi, la procura della Repubblica di Palermo ha presentato al tribunale civile di Palermo - sezione fallimentare - ricorso con il quale si chiedeva la declaratoria dello stato di insolvenza della società AMIA spa, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 270 del 1999, ovvero, in subordine, la dichiarazione di fallimento della medesima società ai sensi degli articoli 6 e 7 della legge fallimentare.
Con provvedimento del 27 gennaio 2010 il tribunale fallimentare di Palermo ha dichiarato lo stato di insolvenza della società AMIA spa in liquidazione, nominando contestualmente commissari giudiziali il dottor Giuseppe Romano, il dottor Sebastiano Sorbello e il dottor Paolo Lupi.
Il comune di Palermo, al fine di potere accedere alla procedura di amministrazione straordinaria ha adottato una serie di delibere, come dichiarato dal dottor Marzella nel corso dell'audizione, finalizzate a restituire solidità finanziaria alla società. In particolare sono state individuate le seguenti operazioni:
la cessione di alcune quote dell'AGM spa, società interamente partecipata dal comune di Palermo e in bonis, nella misura del 49%;
è stata preventivata la cessione di tre immobili dal comune ad AMIA spa;
il comune ha programmato il trasferimento all'AMIA spa, in vista della sua ricapitalizzazione, di fondi FAS già trasferiti al comune di Palermo con delibera del Cipe del 2009;
sotto il profilo della liquidità sarebbe inoltre stata ipotizzata l'anticipazione di circa 24 milioni di euro ad opera della Sace spa.
Anche in ragione delle considerazioni espresse nella loro relazione dai commissari giudiziali in merito alla risanabilità dell'impresa, il tribunale civile di Palermo, con decreto del 12 aprile 2010, ha ammesso la società AMIA spa alla procedura di amministrazione straordinaria, disponendo contestualmente che la gestione dell'impresa fosse affidata ai commissari giudiziali, in attesa della nomina del commissario straordinario.
6) Le considerazioni dei commissari giudiziali in merito alla società AMIA Spa: le cause del dissesto finanziario.
Nel corso della missione in Sicilia svoltasi dall'otto al dieci giugno 2010, sono stati sentiti i commissari giudiziali nominati dal tribunale di Palermo, dottor Sebastiano Sorbello e dottor Paolo Lupi, mentre in quella sede non è stato sentito il prefetto Romano, nel frattempo dimessosi dalla carica di commissario giudiziale, per dichiarata inconciliabilità con altri gravosi impegni professionali dallo stesso già assunti precedentemente.
Il dottor Sorbello, nel corso dell'audizione, in merito alla individuazione delle ragioni che hanno determinato dissesto dell'AMIA spa ha dichiarato che le cause sono molteplici, diffuse e riguardano i livelli sia politici sia amministrativi che gestionali dell'impresa.
Il commissario giudiziale ha fatto riferimento al programma di ricapitalizzazione e di ripatrimonializzazione dell'AMIA spa secondo uno schema cadenzato che ha reso possibile, evidentemente, l'ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria.
Sotto il profilo economico finanziario è stata evidenziata, da un lato, l'esistenza di un debito di 85 milioni di euro circa della società AMIA nei confronti di fornitori e manutentori (ma sulla quantificazione esatta della massa passiva il commissario giudiziale ha manifestato qualche riserva, anzi ha testualmente affermato di avere molti dubbi, legati verosimilmente a possibili ipotesi di false fatturazioni, ancora da accertare nello specifico), dall'altro, comunque l'esistenza di un numero di dipendenti in carico all'AMIA ed alla controllata AMIA ESSEMME esorbitante.
Il dottor Sorbello ha esplicitamente dichiarato: «3000 sono complessivamente i dipendenti AMIA e della controllata AMIA ESSEMME; c'è inoltre un indotto che è stato calcolato in oltre 2000 unità. Quindi è una realtà che ha 5000 lavoratori».
(I dati riportati nel corso dell'audizione sono in realtà ancora più consistenti rispetto a quelli riportati nella relazione in cui si fa riferimento a un numero di dipendenti all'interno di AMIA spa, allo stato attuale, pari a 1670 unità).
A fronte di questa situazione, la società AMIA vanta crediti nei confronti degli ATO e dei comuni che conferiscono i rifiuti nella discarica di Bellolampo per circa 84 milioni di euro.
La situazione riscontrata dai commissari giudiziali è a dir poco paradossale se si tiene conto che per otto/nove anni i numerosi comuni della provincia che hanno conferito e conferiscono i rifiuti nella discarica di Bellolampo non hanno pagato alla società di gestione l'importo dovuto per il conferimento dei rifiuti, senza che siano state intraprese da parte degli amministratori dell'Amia in modo tempestivo iniziative efficaci e risolutive. Le azioni giudiziarie intraprese non hanno poi sortito alcun effetto.
Sotto il profilo più strettamente contabile è stato sentito il commissario giudiziale, dottor Lupi, il quale si è occupato essenzialmente di esaminare i libri e le scritture contabili della società e i bilanci depositati nel corso degli anni. Il dottor Lupi ha dichiarato: «Il problema, dal punto di vista contabile e amministrativo, è legato innanzi tutto al contratto di servizio che esiste con il comune di Palermo e, conseguentemente, all'attività che viene svolta in subappalto in capo all'AMIA ESSEMME, in particolare quella di spazzamento delle strade. L'AMIA ESSEMME è una società interamente partecipata da AMIA che accoglie tra le sue fila ottocento lavoratori socialmente utili i quali, nel momento in cui sono stati assunti e in cui è stata costituita la società, godevano di alcune agevolazioni previdenziali e fiscali per le quali il costo di AMIA ESSEMME veniva coperto tranquillamente dal comune attraverso il contratto di servizi. Esso prevedeva lo spazzamento delle strade e poi, per accordi che immagino siano intercorsi tra comune ed AMIA, veniva subappaltato ad AMIA Essemme. Venute meno le agevolazioni previdenziali e fiscali, il costo di AMIA ESSEMME è arrivato alla sua interezza. A fronte di tale costo ormai intero non si è verificato una adeguamento del servizio, per cui, a fronte di un costo di 17 milioni di euro annui, ne vengono erogati solo 10.»
In sostanza, secondo quanto dichiarato dal dottor Lupi, il costo del servizio erogato da AMIA ESSEMME è comunque superiore rispetto a quello che viene corrisposto dal comune di Palermo, con una perdita secca annua di circa 7 milioni di euro; da questo punto di vista è emersa nitidamente la necessità di rivedere e quantificare diversamente il costo del contratto di servizio in questione.
Altro profilo evidenziato è quello relativo, per l'appunto, al recupero dei crediti da parte dei comuni che conferiscono i rifiuti nella discarica di Bellolampo, ed all'esubero di personale.
Sul punto specifico relativo ai crediti maturati dall'AMIA va però evidenziato quanto dichiarato dall'assessore regionale dell'energia ed ai servizi di pubblica utilità, dottor Carmelo Pietro Russo, il quale ha manifestato alcune perplessità in merito alla tariffazione di AMIA.
Nella tariffa risulterebbero infatti inserite voci quali «raccolta differenziata», o «termovalorizzatori», che sono in realtà servizi che non vengono effettuati, di tal chè si fa sostenere ai comuni un costo per servizi inesistenti.
Esiste quindi, probabilmente, un problema relativo alla corretta quantificazione delle tariffe.
La cosa sorprendente è che tutte queste problematiche erano già all'evidenza gravissime allorquando la Commissione ebbe a sentire il prefetto di Palermo nel mese di settembre 2009, e nonostante il decorso dei mesi e la gestione commissariale nulla è cambiato, ma è anzi vieppiù peggiorato, come sottolineato dal Comandante del NOE di Palermo, Antonio Tarallo, che è stato sentito dalla Commissione sia nel mese di settembre 2009 che nel mese di giugno 2010.
Proprio nel corso della seconda audizione il Comandante ha dichiarato «la situazione della provincia di Palermo è, ove possibile, ulteriormente peggiorata rispetto alle condizioni appurate durante la precedente audizione, che ho avuto con voi. Il problema della città di Palermo e della sua provincia è connesso principalmente alla gestione della discarica di Bellolampo ed alla situazione economica di AMIA spa».
Quali le cause del dissesto finanziario dell'AMIA spa? In parte sono state rappresentate dal prefetto di Palermo, commissario straordinario per l'emergenza rifiuti nella provincia.
Innanzi tutto si registra un numero esorbitante di dipendenti (tra i quali vi è un considerevole contingente di ex lavoratori socialmente utili del comune di Palermo); a fronte di ciò vi è una rilevantissima esposizione debitoria nei confronti delle ditte esterne affidatarie del servizio di manutenzione ordinaria e riparazione dei mezzi aziendali, che non viene compensata dagli introiti, in quanto i comuni e le società d'ambito che conferiscono i rifiuti nella discarica di Bellolampo non pagano le spettanze dovute all'AMIA.
I comuni, a loro volta, non pagano in quanto i rispettivi bilanci sono deficitari, non essendo riscosse da parte dei cittadini le tasse relative ai rifiuti.
In sostanza la gestione della società non si può dire sia avvenuta in modo trasparente, e peraltro questo aspetto è stato approfondito dalla procura della Repubblica di Palermo che ha avviato il procedimento per falso in bilancio e che, dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza della società, è prevedibile che approfondisca tutte le questioni attinenti ad eventuali ipotesi di bancarotta fraudolenta.
La situazione dell'AMIA spa ha inciso in maniera determinante sulla gravissima situazione di emergenza che si è registrata più volte, anche di recente, nella città di Palermo, in quanto si sono verificate diverse manifestazioni di protesta da parte dei lavoratori che non hanno ricevuto la retribuzione a causa, per l'appunto, della situazione di deficit finanziario della società. Manifestazioni di protesta che si sono concretizzate nella mancata raccolta dei rifiuti per le strade.
Come precisato dal prefetto Trevisone, per le strade di Palermo alla fine del mese di maggio 2009 si sono accumulate circa quattromila tonnellate di rifiuti, e ci si è trovati fronte ad una situazione di assoluta crisi, per fronteggiare la quale è stato necessario l'intervento della protezione civile nazionale e dell'esercito. La gravissima situazione a livello ambientale si è accompagnata ad un gravissimo problema di ordine pubblico, tenuto conto del fatto che la popolazione aveva iniziato a dare fuoco ai rifiuti.
Episodi del genere si sono verificati anche di recente, con conseguente allarme generalizzato anche in relazione ai problemi di ordine pubblico connessi a vicende così gravi, alle quali è stato dato giustamente ampio risalto dai mezzi di informazione.
7) Le assunzioni all'interno della società AMIA e delle società controllate.
Sin dalla prima missione in Sicilia nel mese di settembre 2009 il prefetto aveva evidenziato il grosso problema rappresentato da un'eccessiva mole di assunzioni all'interno della società AMIA spa e delle società da questa controllate.
Sono stati evidenziati da più parti gli sprechi assolutamente ingiustificati nella gestione della società, nella quale è stato assunto un numero esorbitante di dipendenti (per i quali peraltro spesso non si è riusciti a pagare gli stipendi nei tempi dovuti), e ciò è accaduto sia con riferimento all'AMIA spa che con riferimento all'AMIA Servizi srl ed all'AMIA ESSEMME.
A fronte poi del numero sproporzionato di dipendenti, vi è stata nei fatti un'assoluta inefficienza nel servizio, e la società si è trovata a dovere affidare ad imprese terze, con conseguente aggravio dei costi di gestione, una serie di servizi che, ove vi fosse stata una corretta amministrazione, avrebbe potuto effettuare con le proprie risorse umane e di mezzi.
Anche nella relazione dei commissari giudiziali viene ribadito questo aspetto come una delle concause che hanno determinato il deficit finanziario della società.
Nel bilancio il costo del personale è presente nella misura di oltre 83 milioni di euro.
Il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, nel corso dell'audizione effettuata in occasione della missione in Sicilia, con riferimento ai dipendenti evidentemente in esubero, ha dichiarato di avere trovato, al momento dell'assunzione della carica di sindaco nel 2001, una situazione, a suo dire, gravissima lasciata dal precedente governo, un bacino di precariato che contava 7.300 lavoratori socialmente utili i quali, a vario titolo, lavoravano all'interno dell'amministrazione.
Il sindaco quindi si sarebbe fatto carico di stabilizzare i lavoratori socialmente utili, per non abbandonare in sostanza le famiglie e le fasce socialmente più deboli, e ciò sebbene l'amministrazione comunale avesse dovuto pagare un costo altissimo, in quanto il carico del personale, per stessa ammissione del sindaco, pesa molto sul conto economico dell'AMIA spa.
Il problema però non è solo quello relativo all'esubero evidente di personale, ma al fatto che si tratta di personale che poi in effetti non viene deputato, nella gran parte, a svolgere l'attività lavorativa conseguente all'assunzione.
Tra le persone assunte, ed è questa la nota dolente che potrebbe rappresentare la spia di ben altro tipo di interferenze nella gestione di questo tipo di assunzioni, vi sono persone attenzionate dalle forze dell'ordine, pregiudicati che, se è vero che provengono dalle cooperative sociali create proprio per il reinserimento degli ex detenuti, è anche vero che in molti casi non svolgono di fatto alcuna attività lavorativa in seno alla società, e quindi avrebbero dovuto essere teoricamente presi provvedimenti nei loro confronti.
Questo problema è stato evidenziato anche dal sindaco Cammarata nel corso dell'audizione con riferimento specifico al personale assunto nella società AMIA ESSEMME, che è una società che svolge i servizi di spazzamento della città. Testualmente, ha dichiarato: «all'interno di questa società molti dei dipendenti provengono dalle cooperative sociali, di ex detenuti, di persone a cui occorre insegnare il proprio lavoro, trasmettere il senso di appartenenza, il senso civico. Ciò nonostante, prima della stabilizzazione avevamo un limite: questa gente aveva pochi diritti, quindi riteneva di avere pochi doveri. Da quando abbiamo fatto la stabilizzazione abbiamo cercato di mettere in piedi un sistema di controllo, che però per certi versi fa un po' acqua. Molto spesso capita che questa gente minacci i propri controllori. Tutto ciò a me non risulta ufficialmente, perché, se così fosse, o li licenzieremmo, o li denunceremmo all'autorità giudiziaria per il caso specifico. Si tratta pur sempre di situazioni ambientali».
La soluzione elaborata dal sindaco sarebbe quella di assegnare ai lavoratori specifici quartieri con indicazione precisa degli orari di lavoro, e di affidare poi ai cittadini il controllo attraverso la segnalazione delle inefficienze, in modo da consentire poi ai datori di lavoro la repressione nei confronti dei lavoratori inadempienti.
Non vi è chi non veda come si tratti di un sistema di difficile attuazione in una città dove, come dichiarato dal prefetto, c'è scarso senso civico, e la mafia arriva anche ad incendiare le scuole, in alcune zone più degradate della città, per impedire l'acculturamento dei ragazzi.
Sempre il prefetto ha dichiarato che l'AMIA spa ha affidato per qualche tempo il servizio di lavaggio dei cassonetti ad un'impresa legata a Lo Piccolo, circostanza questa evidenziata anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, dottor Messineo.
Allorquando una società che gestisce la raccolta dei rifiuti nella città di Palermo e la discarica di Bellolampo (la più importante in Sicilia) affida servizi a imprese terze, in qualche modo vicine a soggetti dello spessore di Lo Piccolo (non si comprende attraverso quali procedure) ed assume persone con precedenti penali (sia pure nella prospettiva di stabilizzare i lavoratori appartenenti alle cooperative sociali di ex detenuti) appare difficile immaginare che i cittadini possano fungere da controllori, catalizzando in tal modo su di loro le responsabilità in merito ad eventuali provvedimenti di licenziamento adottati dalla società nei confronti dei lavoratori inadempienti.
Sembra quindi scarsamente praticabile la soluzione ipotizzata dal sindaco Cammarata.
Con specifico riferimento alla questione delle assunzioni è stato esplicitamente richiesto ai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo se vi siano delle indagini in questo senso, ma non pare che vi siano a livello giudiziario indagini sulla specifica questione delle assunzioni all'interno dell'AMIA spa, sebbene una serie di indicatori potrebbero far ritenere che in una vicenda del genere abbia potuto inserirsi facilmente la criminalità organizzata.
Vi è da aggiungere che proprio sulla scorta delle esperienze investigative rappresentate dai magistrati auditi, la circostanza che il servizio di lavaggio dei cassonetti fosse stato affidato ad un'impresa legata a Lo Piccolo non può di certo essere considerato un elemento privo di qualsiasi significato.
Sarebbe auspicabile che venisse accertato secondo quali criteri è stata scelta questa impresa, come è stato reso il servizio, da quanto tempo vi è stato l'affidamento, eccetera.
Per ciò che concerne le assunzioni, le stesse sono avvenute in larga parte, come precisato dal dottor Marzella nel corso dell'audizione, al di fuori di procedure pubblicistiche, e questa, peraltro, è stata una delle argomentazioni avanzate dalla procura in sede prefallimentare ai fini del riconoscimento del carattere privatistico ed imprenditoriale della società AMIA spa.
Non sono però emersi elementi di prova, secondo quanto dichiarato dai magistrati di Palermo, che possano far ritenere che nella vicenda delle assunzioni vi sia stato un interessamento della criminalità organizzata.
Può verosimilmente ipotizzarsi un interesse elettoralistico.
8) La discarica di Bellolampo e la gestione da parte dell'AMIA spa.
Sin dalle prime audizioni effettuate in Sicilia nel mese di settembre 2009 era emerso con assoluta evidenza come la messa in sicurezza della discarica di Bellolampo rappresentasse un'emergenza assoluta dal punto di vista ambientale.
Come dichiarato dal prefetto nel corso dell'audizione, era noto che vi fosse una grave perdita di percolato dalla discarica, ma non era noto quanto percolato vi fosse, sicché la discarica si sarebbe potuta trasformare nel giro di breve tempo in una vera e propria bomba ecologica.
Il prefetto, proprio per questo motivo, ebbe modo di inviare all'AMIA in data 12 giugno 2009 una nota con la quale si richiedeva all'ente gestore della discarica se fossero stati adempiuti gli obblighi imposti, con riferimento alla predisposizione di idonee coperture provvisorie della porzione delle vasche non più interessate dagli abbancamenti (al fine di evitare l'esposizione dei rifiuti agli agenti atmosferici e di limitare l'infiltrazione delle acque meteoriche, e quindi la produzione di percolato), all'integrazione del sistema di monitoraggio delle acque superficiali, mediante la realizzazione a monte e a valle della discarica di pozzetti di controllo delle acque meteoriche, nonché all'effettuazione di verifiche di funzionalità del sistema di drenaggio e raccolta del percolato.
L'AMIA spa aveva relazionato sullo stato degli interventi posti in essere segnalando l'impossibilità di adempiere alle prescrizioni impartite in ragione della grave situazione finanziaria della società.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva ritenuto «del tutto insoddisfacente» la situazione rappresentata da AMIA, autorizzando il commissario delegato a procedere, in sostituzione ed in danno dell'AMIA, all'avvio del complesso delle misure per la messa in sicurezza della discarica, a garanzia della salute dei cittadini e delle matrici ambientali.
Quindi, la struttura commissariale in quel contesto ha dovuto farsi carico della risoluzione nell'immediato dell'emergenza relativa allo smaltimento del percolato (smaltito presso il sito di Gioia Tauro, non essendo presenti nella regione siciliana adeguati siti per lo smaltimento). Nella gestione della discarica di Bellolampo si intrecciano in qualche modo tutte le problematiche connesse, da un lato, al reato ambientale in sé, dall'altro alle inefficienze della pubblica amministrazione e, ancora, alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, nei termini di seguito esposti.
Sul punto, significativa è un'espressione utilizzata dal prefetto di Palermo, dottor Trevisone, nel corso dell'audizione innanzi a questa Commissione. A seguito di specifica domande in merito alle infiltrazioni mafiose nel ciclo dei rifiuti, ha dichiarato di non avere elementi specifici per ritenere che la mafia sia parte attiva nel ciclo dei rifiuti in provincia di Palermo, aggiungendo però che a Palermo la mafia non è avulsa dalla realtà: «il problema serio della città e della Sicilia è la zona nebulosa nella quale vi è un intreccio tra affari, malapolitica ed altro».

Un dato certo è che le problematiche relative all'impianto di discarica sono molteplici e datate e possono essere in sostanza sintetizzate come segue:
negli anni il percolato non è stato smaltito secondo modalità adeguate in termini di quantità e tempi di prelevamento. Ciò ha comportato indubbi problemi gestionali che si sono manifestati con la fuoriuscita di percolato dall'impianto e l'interessamento delle zone limitrofe, alcune caratterizzate dalla presenza di immobili di natura residenziale;
la mancata adeguata copertura dei rifiuti conferiti ha determinato un aumento sensibile dei quantitativi di percolato poiché non sono state allontanate le acque meteoriche dall'area di sedime dei rifiuti;
il conferimento presso la discarica di tipologie di rifiuti non consentite, ossia di rifiuti ingombranti, pericolosi e non, circostanza questa che ha evidentemente determinato un aumento dei volumi conferiti con conseguente diminuzione della capacità residua della discarica. Ebbene, la situazione sopra delineata, di evidente gravità, è il risultato di un lungo periodo di mala gestione che avrebbe dovuto essere interrotta prima che si arrivasse ad una situazione limite rispetto ad un possibile disastro ambientale.
Cosa non ha funzionato nel sistema?
Si è verificato un intreccio tra mala gestione, rapporti clientelari, deresponsabilizzazione degli enti, incapacità amministrative che hanno impedito non solo l'effettiva soluzione, ma anche l'arginamento dei problemi.
Innanzi tutto va evidenziato, e di ciò si è avuta contezza nel corso della missione, come siano stati e siano ancora carenti i controlli già sul piano amministrativo. La cosa preoccupante è che si sia arrivati ad una situazione di tracimazione del percolato, con gravissime evidenti ripercussioni dal punto di vista della salubrità dell'ambiente, nella pressoché totale indifferenza da parte degli organi di controllo
Peraltro la situazione di perenne emergenza vissuta nel territorio della provincia di Palermo (emergenza che si trasformerebbe in autentico collasso ove fosse chiusa la discarica di Bellolampo e non vi fosse più la possibilità, per ben cinquantatré comuni di conferire i rifiuti in tale discarica) rende praticamente impossibili interventi drastici che, in altre condizioni generali, sarebbero stati probabilmente presi.
Per quanto riguarda l'ARPA, il procuratore capo della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo ha dichiarato, nel corso dell'audizione, che l'ARPA per la procura è un referente di scarsissima qualità per due ordini di ragioni:
in primo luogo, non esegue attività di analisi e di monitoraggio, e quindi non collabora alle indagini della procura, non disponendo dei mezzi necessari;
in secondo luogo, non ha personale che abbia la qualifica di pubblico ufficiale.
Il tutto nell'ambito di una generale deresponsabilizzazione anche degli enti locali. La discarica di Bellolampo non viene gestita adeguatamente perché mancano le risorse finanziarie in capo all'AMIA spa, i comuni e le società d'ambito territoriale che conferiscono i rifiuti nella discarica non versano le spettanze dovute all'AMIA, seguono inevitabilmente gli interventi risanatori da parte del commissario per l'emergenza rifiuti (come evidenziato nel paragrafo precedente), del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della protezione civile, con conseguente ricasco su tutti cittadini delle inefficienze, a vari livelli, della gestione.
Come evidenziato dai commissari giudiziali nella relazione depositata al tribunale civile di Palermo in data 23 marzo 2010, «le problematiche della discarica di Bellolampo sono intimamente legate, per i profili di interesse, alle vicende di AMIA spa nel senso che le diseconomie del sito hanno costituito una significativa concausa nel processo di accumulo delle passività registrate dalla società (...).
A fronte dei costi di funzionamento di Bellolampo, che hanno inciso percentualmente intorno al 10% sul bilancio societario, AMIA ha accumulato crediti mai esatti per circa euro 82.000.000. In altre parole, a fronte di un servizio che ha comportato uno straordinario impiego di risorse umane e strumentali gravando pesantemente sulla società, i comuni e gli ATO nei quali sono raggruppati, non hanno provveduto ad erogare il corrispettivo previsto da apposito tariffario o lo hanno fatto solo in parte e sporadicamente.
Sarebbe agevole a questo punto addossare ogni responsabilità agli amministratori AMIA ed imputare loro l'incapacità di gestione della società, secondo i normali parametri aziendali che postulano l'equilibrio tra costi e ricavi ed un accorto dimensionamento del personale realmente occorrente.
Un giudizio più sereno deve, tuttavia, ricomprendere nella censura ora mossa, anche la classe dirigente chiamata a governare non solo la regione ma tutti gli organismi territoriali, la quale con una politica a dir poco dissennata ha riversato su AMIA le storture di un sistema destinato al fallimento.
Tale puntualizzazione potrebbe apparire esercizio inutile che in realtà serve, non tanto per ricercare i colpevoli, quanto i rimedi e le soluzioni che ad oggi non sono più differibili».
Sono state intraprese da AMIA diverse iniziative giudiziarie al fine di recuperare i crediti nei confronti degli enti debitori, senza alcun sostanziale esito, sicché l'AMIA non è stata mai in grado di affrontare le spese necessarie per effettuare gli imponenti interventi strutturali sulla discarica idonei a tamponare il disastro ambientale in atto.
9) La discarica di Bellolampo e le problematiche ambientali.
Il principale e urgentissimo problema relativo alla discarica di Bellolampo riguarda lo smaltimento del percolato, che rappresenta un'assoluta e prioritaria emergenza.
Come già dichiarato dal prefetto di Palermo in sede di audizione, si tratta di un'autentica bomba ecologica che potrebbe esplodere da un momento all'altro.
Altrettanto dure sono state le affermazioni dei commissari giudiziali i quali, già in sede di audizione innanzi alla Commissione parlamentare, hanno affermato che il loro principale motivo di apprensione è rappresentato dallo smaltimento del percolato, sostanzialmente stoccato all'interno del battente della discarica, e quantificato in oltre 100.000 metri cubi (anche se in realtà il dato non è certo e nessuno degli auditi è riuscito a fornire questo dato con certezza, tenuto conto del fatto che la pozza di percolato è in continuità idraulica con quello contenuto all'interno della discarica e pertanto i quantitativi da smaltire sono certamente superiori a quelli visibili).
Sempre nella relazione dei commissari giudiziali si legge che «gli elementi forniti consentono di pervenire alla conclusione che qualora non venga affrontato in tempi quanto mai rapidi un quadro credibile di prelievo e smaltimento di percolato (che dalle quantità evidenziate rischia, se non lo ha già fatto, di inquinare il torrente Celona, le falde acquifere da dove si approvvigionano per usi idropotabili alcuni comuni del palermitano) non sarà possibile gestire con appropriatezza ed efficacia la discarica di Bellolampo (...). Se sono vere, com'è ragionevole presumere, le indicazioni fornite dal dirigente e dal liquidatore, a Bellolampo si sta consumando da mesi un disastro ambientale che, a prescindere dalle responsabilità, non potrà essere eliminato se non con interventi straordinari».
Preme osservare come, a fronte di una situazione di emergenza sempre più grave e sotto gli occhi di tutti, le considerazioni espresse dal sindaco di Palermo nel corso dell'audizione il 16 settembre 2009 siano state di segno molto diverso. In quell'occasione il sindaco ha infatti dichiarato «la discarica di Bellolampo è collegata bene, è in buone condizioni e ha una fama molto peggiore di quello che effettivamente merita, perché è la migliore discarica esistente in Sicilia».
È l'unico ad avere questa opinione e nettamente diverse sono state le dichiarazioni rese dal comandante dei Carabinieri del NOE di Palermo e dai magistrati della procura della Repubblica di Palermo che stanno svolgendo accurate indagini in merito alla discarica di Bellolampo, in relazione, tra gli altri, al reato di disastro ambientale.
I carabinieri del NOE di Palermo nella nota del 21 maggio 2010 hanno evidenziato una situazione gravissima nella gestione della discarica, per la quale potrebbe addirittura porsi la necessità della chiusura immediata, non essendo gestibili ordinariamente le normali attività, e ciò per una serie di motivi:
gli autocompattatori spesso non riescono a raggiungere le aree di conferimento in quanto le piste di accesso non sono percorribili a causa di smottamenti (determinati comunque dal ristagno delle acque meteoriche e dalla mancata copertura delle piste con idonei materiali, come per esempio pietrisco da cava);
non è stata effettuata alcuna copertura dei rifiuti; il percolato viene stoccato in qualsiasi bacino sia in grado di contenerlo ed infatti, oltre alla ormai permanente pozza di percolato che sosta al piede della vasca in esercizio, invadendo anche aree esterne alla discarica, vengono utilizzati per contenere il percolato tutti i bacini asserviti ai silos di stoccaggio (che in condizioni normali dovrebbero essere utilizzati per tamponare situazioni di emergenza);
i provvedimenti adottati per superare lo stato di emergenza risultano inadeguati e ispirati all'improvvisazione ed all'estemporaneità. I lavori di messa in sicurezza risultano pesantemente compromessi dalle emergenze ambientali mentre la gestione della discarica non segue più alcuna regola di salvaguardia ambientale. Emblematiche risultano essere le montagne di rifiuti non coperti, il mancato pretrattamento dei rifiuti, il conferimento di tipologie di rifiuti non consentite e provenienti dalla raccolta differenziata;
si è formata una pozza di percolato ai piedi della vasca di esercizio, che ha superato in altezza la recinzione della discarica e la cui attuale stima è di circa centomila metri cubi;
la procura di Palermo, proprio con riferimento a questi aspetti, ha conferito una consulenza tecnica nell'ambito del procedimento penale sopra menzionato (n. 19521/09), e i consulenti hanno accertato la presenza di alluminio, rame, ammoniaca, metalli vari e sostanze chimiche all'interno del torrente Celona che scorre a poca distanza dalla discarica;
è possibile inoltre che il percolato abbia inquinato i pozzi idrici e le falde acquifere a valle della discarica e questa ipotesi è al vaglio dei consulenti della procura della Repubblica di Palermo.
Il procuratore della Repubblica di Palermo, nel corso dell'audizione presso la prefettura di Trapani in data 8 giugno 2010, ha definito la situazione allucinante, essendo stata accertata la presenza di un lago di percolato, di cui non è chiara neppure l'entità in quanto le stime crescono continuamente, e attualmente si parla di decine di migliaia di tonnellate.
Il percolato, allo stato, viene rimosso attraverso un sistema molto costoso, ossia attraverso autobotti che lo prelevano e lo conferiscono presso impianti situati nella regione Calabria, a costi particolarmente elevati che il comune non è in grado di sopportare.
La discarica inoltre presenta un'altra grave criticità che è costituita dall'ormai prossimo esaurimento della capacità di abbancamento dei rifiuti.
L'indagine giudiziaria in merito alla discarica di Bellolampo, proprio con riferimento alle problematiche di tipo ambientale, sono curate dalla dottoressa Maria Teresa Maligno, sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Palermo, la quale ha riferito a questa Commissione i dati acquisiti sino ad oggi nel corso dell'indagine (il procedimento penale reca il numero 19521/2009 mod. 21).
Il procedimento è stato avviato a seguito di segnalazioni da parte di associazioni ambientaliste, ed a seguito di diversi sopralluoghi effettuati nell'ultimo periodo dall'ARPA, dai quali emergeva la presenza massiccia di percolato sia all'interno della discarica che nelle zone limitrofe.
Nel corso delle indagini, svolte con l'ausilio dei Carabinieri del NOE di Palermo, è stato conferito incarico di consulenza tecnica ad un collegio di consulenti al fine di accertare le caratteristiche dell'impianto definito «quarta vasca» della discarica di Bellolampo, al fine altresì di verificare se l'impianto fosse conforme a quello previsto nel progetto approvato, se la sua gestione avvenisse nel rispetto di quanto previsto nel provvedimento di autorizzazione e, infine, al fine di valutare l'ipotesi di disastro ambientale iscritto a carico di tutti i vertici dell'AMIA e quindi di tutti coloro che hanno rivestito all'interno dell'AMIA ruoli dirigenziali dal 2007 fino ad oggi.
In sostanza, oggetto dell'accertamento investigativo è verificare se siano configurabili profili di responsabilità penale, se le misure di tutela ambientale previste ed adottate siano state conformi a quanto stabilito dalla normativa vigente, dagli atti e dai provvedimenti amministrativi, se tali misure siano state idonee ad impedire l'inquinamento delle acque sotterranee sottostanti e circostanti la discarica o se, al contrario, le acque potessero essere inquinate dalla strutturazione di esercizio della quarta vasca.
Gran parte dell'audizione è stata secretata in quanto le indagini sono in corso e gli atti sono coperti da segreto istruttorio.
Quello che è certo e che, contrariamente a quanto dichiarato dal sindaco Diego Cammarata, a detta di tutti i soggetti auditi, la discarica di Bellolampo è un'autentica bomba ecologica e la situazione è di tale emergenza che è a rischio la chiusura della discarica stessa, con tutte le immaginabili conseguenze, sia sotto il profilo ambientale (in quanto i numerosi comuni che attualmente conferiscono i rifiuti nella discarica di Bellolampo non saprebbero altrimenti dove conferirli) sia dal punto di vista economico finanziario rispetto alla società AMIA spa (che si vedrebbe improvvisamente privata di una delle sue principali fonti di entrate)
Anche l'assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, dottor Carmelo Pietro Russo, ha parlato della discarica di Bellolampo in termini di «disastro», in quanto si tratta di una discarica nella quale viene conferito circa un terzo dei rifiuti prodotti in tutta la Sicilia. Una situazione di crisi a Bellolampo determinerebbe quindi un effetto a cascata su tutta la regione con un'amplificazione della situazione di crisi oltre i confini della provincia di Palermo.
Nello stesso senso si è espresso il dottor Pietro Lo Monaco, dirigente generale dipartimento regionale protezione civile, il quale ha dichiarato che la crisi di Bellolampo può comportare una situazione di grave crisi non solo nella provincia di Palermo ma in tutta la regione «Se si chiude Bellolampo e non c'è modo di abbancare i rifiuti della provincia di Palermo in un sito adeguato, entra in crisi tutto il sistema regionale».
Laddove dovesse essere chiusa la discarica di Bellolampo, si porrebbe istantaneamente la necessità di individuare le altre discariche della regione in cui far confluire i rifiuti, però molte delle discariche operative in Sicilia sono vicine alla saturazione e presentano gravi problemi nell'attività di gestione, anche con riferimento specifico allo smaltimento del percolato. L'individuazione di nuovi siti per aprire nuove discariche, oltre alle intuibili difficoltà di ordine pratico, determinerebbe prevedibilmente aperte polemiche da parte delle popolazioni dei territori vicini ai siti.
Come ultima ratio, hanno dichiarato il presidente della regione e l'assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, i rifiuti potrebbero essere portati per lo smaltimento in Olanda (dove peraltro la spesa è stata preventivata in 75 euro a tonnellata, trasporto incluso, a fronte di una spesa di circa 130 euro a tonnellata per conferire i rifiuti nella discarica di Bellolampo), ma questa soluzione verrebbe adottata solo nel caso in cui si profilasse una situazione di assoluta emergenza.
Sarebbe infatti una scelta evidentemente in contrasto con il principio fondamentale in materia dell'autosufficienza dei bacini.
Ciò che risulta evidente con riferimento all'AMIA ed alla discarica di Bellolampo è la permanenza di una situazione di emergenza nella gestione della discarica che si protrae da moltissimo tempo senza che si sia riusciti ad effettuare le opere, quanto meno provvisorie, idonee a contenere i danni e ad evitare che la discarica si trasformasse in una bomba ecologica. La messa in sicurezza della discarica di Bellolampo rappresenta un'emergenza assoluta dal punto di vista ambientale.
In questo senso non paiono soddisfacenti le attività effettuate dalla struttura commissariale operante sino ad oggi.
Solo da poco sono iniziati i lavori di messa in sicurezza della quarta vasca di Bellolampo (in relazione alla quale peraltro sono in corso indagini dell'autorità giudiziaria al fine di verificare se sia stata realizzata in modo conforme al progetto originario) e, con riferimento alla quinta vasca, non è assolutamente chiaro quale sia il progetto per la sua realizzazione e la capacità di abbancamento.
Sul punto l'assessore regionale Carmelo Pietro Russo si è espresso in termini molto duri «La reale capienza della quinta vasca di Bellolampo, realizzata dal prefetto commissario delegato, è come l'Unione Sovietica per Churchill: un enigma avvolto nel mistero. Si passa da un'attestazione di capienza di settecentomila tonnellate (il progetto originario), a una capienza stimata dalla gestione straordinaria AMIA di centoquarantasettemila tonnellate - il che significa che chiude il 7 agosto -, a una ricognizione concordata in cui si affermano essere le tonnellate trecentomila, a una successiva dichiarazione della gestione straordinaria AMIA secondo la quale, allo stato dell'arte, le tonnellate sono centoquarantasettemila e potrebbero diventare trecentomila solo se si dà una maggiore pendenza, però la può fare solo il prefetto, a una dichiarazione di ieri del prefetto, secondo il quale il progetto era già da trecentomila tonnellate, il che significa due cose: che non era da settecentomila tonnellate e che non ci dovrebbe essere previsione derogatoria se il progetto era così originariamente stimato.
A questo punto, essendo vivamente contrariato, ho detto che la regione siciliana, per decidere quello che deve fare sull'emergenza, ha bisogno di avere un dato unico e unitario, quindi vi sedete con me, mi portate il progetto - perché anche questo fa parte dell'enigma avvolto nel mistero, anzi: se voi riuscite ad averlo e me lo fate avere nel corso delle audizioni ve ne sarò molto grato - perché non riesco a capire nulla se non ho il dato di partenza. Quando non c'è il dato di partenza, a me hanno insegnato che si parte dal dato peggiore.»
Per questo motivo l'assessore avrebbe convocato i gestori AMIA, il sindaco di Palermo, il prefetto di Palermo e il presidente della provincia, per chiarire, progetto alla mano, l'entità e la capienza effettiva della quinta vasca, al fine di decidere, con consapevolezza piena in merito allo stato attuale delle cose, quali soluzioni possano e debbano essere adottate.
Il prefetto vicario di Palermo, dottoressa Francesca Ferrandino, a questa Commissione in data 8 giugno 2010 ha dichiarato che la capacità volumetrica dell'attuale quinta vasca, che avrebbero consegnato al più tardi il 30 giugno, è di trecentoquattordicimila metri cubi ricavati con un abbancamento dell'immondizia a 30 gradi.
Particolarmente importante, a parere della Commissione, è quanto dichiarato dal dottor Pietro Lo Monaco in merito all'ampliamento della discarica di Bellolampo, a parte la questione dell'ampliamento dell'attuale progetto che sta portando avanti la prefettura.
A parere del dirigente generale del dipartimento regionale della protezione civile, nel giro del prossimo anno dovrebbe essere individuato un lotto ove si possano abbancare almeno due milioni di metri cubi di rifiuti, in modo da potere poi effettuare con tranquillità, senza il timore di imminenti emergenze, le scelte relative agli impianti da realizzare, compresi i termovalorizzatori.
Probabilmente il lotto potrebbe individuarsi nell'ex area dove avrebbe dovuto essere realizzato il termovalorizzatore, e vi sarebbero, sempre secondo la qualificata opinione del dottor Lo Monaco, anche le disponibilità economiche per farlo, «con un po' di buona volontà da parte di tutti gli attori».
10) Lo smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo.
I dati acquisiti dalla Commissione inducono a ritenere che, dietro alla vicenda «percolato», vi siano importanti interessi economici legati al suo smaltimento, e quindi che non vi sia realmente da parte di tutti la volontà di risolvere in maniera radicale il problema, che per certi versi potrebbe essere stato alimentato proprio in ragione degli interessi economici summenzionati.
Il percolato viene attualmente smaltito attraverso autobotti che lo trasportano, per il successivo smaltimento, in un impianto sito in Calabria e precisamente a Vibo Valentia. Per molto tempo è stato smaltito presso un impianto sito in Gioia Tauro.
Per inciso, va evidenziato come fosse stato realizzato nello scorso anno a Bellolampo un impianto di smaltimento del percolato, che però è stato bloccato in quanto operava attraverso il ricircolo del percolato stesso, procedura questa vietata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Di sicuro interesse è verificare le modalità con cui sono stati effettuati dall'AMIA spa gli affidamenti del servizio di smaltimento del percolato, come sono state scelte le imprese affidatarie del servizio, secondo quali criteri sono stati individuati gli impianti per lo smaltimento.
Proprio su questo specifico aspetto è stato interpellato uno dei commissari giudiziali, il dottor Sorbello, il quale nel corso dell'audizione ha precisato che attualmente le imprese che prestano i servizi relativi allo smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo (individuate attraverso gare) sono in realtà le stesse che fornivano il servizio anche in passato.
È quindi un dato di fatto che le gare vengano vinte sempre dalle stesse imprese. Qual è la ragione di ciò? Dalla visione complessiva della situazione siciliana, sotto il profilo delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, è emerso infatti che raramente si assiste ad un'attività di gestione diretta da parte della criminalità organizzata nel settore in oggetto. Più di frequente la criminalità si inserisce in quelle attività collaterali a valle della gestione, come il trasporto del percolato, la fornitura dei mezzi, la manutenzione, eccetera.
Per questo motivo appare alla Commissione particolarmente importante approfondire le questioni connesse allo smaltimento del percolato, alle imprese che se ne occupano, agli impianti di smaltimento che operano in Calabria.
È inconcepibile che il percolato prodotto in Sicilia, in particolare dalla discarica di Bellolampo, debba essere smaltito in Calabria.
La scelta naturale sarebbe stata quella di realizzare un impianto a norma per lo smaltimento del percolato sul posto.
Il dottor Pietro Lo Monaco, da tecnico del settore, ha manifestato chiaramente in sede di audizione le sue forti perplessità in merito alla mancata realizzazione dell'impianto in questione, «un impianto che tratta 400-500 tonnellate al giorno di tale percolato costa sull'ordine di 6-7 milioni di euro, meno che portarlo in giro un solo anno per l'Italia. È chiaro che io mi sarei posto il problema. Ci sono però problemi gestionale di capacità di affrontare alcune spese. Quando li gestisce una società intervengono diversi fattori. Non conosco la società in questione, però, guardando questa situazione da tecnico, mi viene difficile comprendere perché non si sia compiuta questa scelta da tempo».
Sul punto si è espresso anche l'assessore regionale dell'energia ed dei servizi di pubblica utilità, dottor Carmelo Pietro Russo, il quale ha letto in sede di audizione una sua lettera inviata alla procura della Repubblica di Palermo, nella quale rappresentava una serie di dati, evidentemente allarmanti, attinenti allo smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo: «Leggo una mia lettera alla procura della Repubblica: «Alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Facendo seguito alla precorsa corrispondenza, si evidenzia che con ordinanza n. 3875 il presidente del Consiglio dei ministri ha disposto taluni interventi urgenti relativi, fra l'altro, alla questione del percolato esistente nella discarica di Bellolampo. Per quanto tale ordinanza affidi alla regione siciliana compiti di mero soggetto finanziatore - noi mettiamo il denaro - lo scrivente è intervenuto a dare impulso alle iniziative da assumersi». Ho convocato una serie di riunioni operative e li ho fatti marciare. «Nel rilevare che l'azione della gestione straordinaria è assolutamente puntuale e condivisibile, si evidenzia che la stessa gestione, nel riscontrare la predetta nota, ha rappresentato che, relativamente al percolato esistente, in via del tutto approssimativa è confermata la stima, possibilmente per difetto, di almeno centomila tonnellate, precisando al contempo che da gennaio ad aprile corrente anno sono state smaltite quarantacinquemila tonnellate».
I dati sono stati forniti dall'AMIA, gestione straordinaria. Proseguo: «I dati riferiti impongono alcune riflessioni. In primo luogo, si rileva che nella relazione tecnica dell'AMIA del 13 novembre 2009 - ante commissione straordinaria - viene indicata una quantità complessiva di diecimila metri cubi di percolato da smaltire a novembre, a maggio centomila, indicando quale lasso di tempo necessario per riportare a condizioni di gestione normale venti giorni circa. Con successiva nota del 18 gennaio 2010 del prefetto commissario delegato, viene indicata - c'è anche un grafico - una quantità di percolato residuo nella pozza inferiore a tremilacinquecento tonnellate, da smaltirsi entro il 9 febbraio 2010
Fra i dati resi disponibili dalla gestione straordinaria e i dati precedentemente comunicati vi è un'enorme differenza, che non può essere razionalmente ascritta alle precipitazioni piovose degli scorsi mesi, anche in considerazione del fatto che, proprio in ragione di tali precipitazioni, sono già state rimosse 45 mila tonnellate di percolato.
Quest'ultimo è un dato che sollecita alcune ulteriori riflessioni estremamente preoccupanti. Non è, infatti, possibile escludere che il mancato smaltimento del percolato e la mancata adozione di misure tecniche idonee ad evitare il suo riprodursi, possa essere stato, nel corso degli anni passati, esito non di una colpevole disattenzione, comunque grave e censurabile, ma esito di una opzione. Infatti, lo smaltimento di quarantacinquemila tonnellate a un costo di 80 euro a tonnellata (valore indicato per il futuro smaltimento dalla gestione straordinaria AMIA) fa sì che possa essersi realizzata una spesa di 3 milioni 600 mila euro fra gennaio e aprile.
Pertanto, laddove, anche in passato, i volumi di attività possano essere stati simili, potrebbe esservi stato un interesse a mantenere irrisolto il problema del percolato, il cui smaltimento garantisce buoni profitti, piuttosto che risolvere siffatto problema che taluni ricavi non avrebbe più consentito».
«Facendo seguito alla precorsa corrispondenza - sempre procura - si rappresentano le seguenti riflessioni aggiuntive per ciò che concerne il dato di smaltimento comunicato da AMIA per il periodo da gennaio ad aprile 2010 e stimato in quarantacinquemila tonnellate. Tale dato fa sì che la media mensile di percolato smaltito sia di undicimiladuecentocinquanta tonnellate (quarantacinquemila per quattro mesi). Posto che, secondo notizie acquisite presso AMIA, il percolato viene smaltito mediante autocisterne con rimorchio del volume di trenta tonnellate complessive, ciò significa che ogni mese vengono impegnate trecentosettantacinque autocisterne. Quindi, mediamente, ogni giorno sono impegnate nello smaltimento del percolato 12,5 autocisterne (trecento settantacinque diviso trenta giorni). Vale a dire che, nell'arco di un giorno, ove si considerino le intere ventiquattro ore, festivi e notti inclusi, ogni due ore un'autocisterna da trenta tonnellate è impegnata nello smaltimento, il che significa che in meno di due ore un'autocisterna deve scalare la collina di Bellolampo - con una viabilità notoriamente non eccellente, come potrete verificare -, caricare trenta tonnellate di percolato e ridiscendere, a pieno carico, la strada collinare, verosimilmente incrociando, a questo punto, l'autocisterna successiva, e avviandosi ai centri di smaltimento che, secondo notizie acquisite, si riducono per lo più a un centro sito in Gioia Tauro. Ci si deve necessariamente chiedere se vi sia la disponibilità di un numero così alto di autocisterne, se non si guastino mai, e così via». Ora, trecentosettantacinque autocisterne che fanno un turnover richiedono una disponibilità di circa quattrocentocinquanta-cinquecento autocisterne.»
Ulteriori importanti informazioni acquisite dall'assessore riguardano anche le scelte discutibili fino ad oggi evidentemente assunte dall'AMIA in merito alle modalità di smaltimento ed ai costi sostenuti (80 euro a tonnellata).
Probabilmente non è sbagliato parlare di percolato ricco, almeno per tutti quelli che hanno avuto ed hanno interesse a che non venga mai smaltito del tutto, indifferenti rispetto al disastro ambientale in atto, e che traggono evidenti vantaggi economici dal perdurare della «emergenza».
Naturalmente si tratta di questioni che necessiterebbero degli opportuni approfondimenti investigativi da parte dell'autorità giudiziaria.
Di certo la Commissione, nell'approfondimento dei temi riguardanti gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana, approfondirà nel prosieguo dei lavori gli aspetti attinenti allo smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo, alle imprese che effettuano l'attività di trasporto ed alle imprese che gestiscono gli impianti di smaltimento in Calabria.
11) La discarica di Partinico e la discarica di Bolognetta.
La situazione degli altri comuni della provincia di Palermo non è migliore rispetto a quella del capoluogo.
Nella nota trasmessa dai Carabinieri del NOE il 21 maggio 2010 è stato evidenziato che la discarica di Partinico, riaperta nel mese di novembre 2009, è stata chiusa nel mese di marzo 2010, perché non in regola con le norme che prevedono il pretrattamento dei rifiuti. Dopo l'adeguamento nel mese di aprile è stata più volte temporaneamente chiusa per guasti al tritovagliatore, con il conseguente abbancamento dei rifiuti nello stato in cui si trovavano, e per tale motivo è stata nuovamente chiusa il 14 maggio del 2010.
Anche con riferimento a questa discarica i controlli effettuati dall'ARPA hanno evidenziato gravi forme di inquinamento per il non corretto smaltimento del percolato, tanto che la procura della Repubblica di Palermo ha aperto un procedimento in relazione allo scarico ed al deposito incontrollato di rifiuti speciali per lo sversamento del percolato.
I dodici comuni dell'ATO PA1, su decisione dei sindaci, dei vertici dell'ATO e dell'assessore regionale all'energia, per i trenta giorni di chiusura della discarica conferiranno i rifiuti nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea, distante circa 230 km dalla zona di Partinico
. I maggiori oneri del trasporto saranno affrontati con un impegno finanziario della regione che, in base ad un'ordinanza della protezione civile, anticiperà ai comuni in difficoltà le somme necessarie.
Con riferimento alla discarica di Bolognetta, l'assessore regionale energia e servizi di pubblica utilità della regione siciliana, dottor Piercarmelo Russo, è stato nominato soggetto attuatore per la realizzazione in termini di somma urgenza di un nuovo sito di discarica nel comune di Bolognetta, in provincia di Palermo, presso cui autorizzare il conferimento di rifiuti urbani di parte dei comuni che attualmente utilizzano la discarica di Bellolampo.
Secondo quanto riportato nella nota del NOE di Palermo, i rifiuti prodotti dai comuni appartenenti al Coinres dovrebbero quindi essere conferiti nella discarica di Bolognetta e non più nella discarica di Bellolampo.
12) Coinres. Deficit finanziario. Assunzioni.
Come già sopra evidenziato, gli ATO della provincia di Palermo, ma in realtà il discorso può essere esteso a tutto il territorio siciliano, si sono trasformati in strutture estremamente burocratiche, gestite senza alcun criterio di efficienza, ed utilizzate viceversa quasi esclusivamente per creare posti di lavoro (in realtà privi di qualsiasi utilità e fonte esclusivamente di costi), per gestire le assunzioni e, più in generale, per creare clientele. Sono stati registrati diversi casi di assunzioni di persone legate alla criminalità organizzata.
Il dato rappresentato è inquietante perché la presenza di un soggetto legato alla criminalità organizzata all'interno di una società d'ambito territoriale può essere il segnale di una forma ben più incisiva di controllo finalizzato ad orientare le scelte in merito alla gestione; e tale illecita finalità può essere più facilmente perseguita per il tramite di persone che apparentemente svolgono funzioni di basso livello all'interno della società, ma che in realtà operano nell'ombra a vantaggio dell'organizzazione criminale di appartenenza.
Emblematico è il caso segnalato dal prefetto e dal questore di Palermo, e che riguarda specificatamente la società d'ambito territoriale ATO Palermo 4, i cui comuni unitamente alla provincia regionale di Palermo hanno costituito nel 2002 il consorzio intercomunale rifiuti, energia, servizi (Coinres).
Innanzi tutto, va sottolineato che a partire dallo scorso anno come evidenziato dal prefetto di Palermo nella sua relazione, sono emerse in tutta la loro gravità le difficoltà economiche e gestionali del consorzio, determinate dal mancato pagamento da parte della quasi totalità dei comuni consorziati delle somme necessarie per garantire la gestione del servizio affidato al consorzio, che si è quindi trovato ad avere una rilevante esposizione debitoria nei confronti della società AMIA spa. Nella relazione dei commissari giudiziali dell'AMIA spa si legge che il Coinres ha maturato dal 2005 ad oggi un debito nei confronti della società AMIA spa pari ad oltre 26 milioni di euro.
La problematica gestionale del consorzio ha portato poi all'instaurarsi di vertenze con i dipendenti che non hanno percepito regolarmente lo stipendio, sicché hanno effettuato manifestazioni di protesta sospendendo la raccolta dei rifiuti per più giorni, durante i quali la popolazione dei comuni interessati ha dovuto scontare pesanti conseguenze sotto il profilo igienico-ambientale, e si sono altresì registrati episodi di danneggiamento ed incendio dei cassonetti.
Nel tentativo di evitare un incontrollabile inasprimento della vertenza, oltre che un'emergenza igienico-sanitaria nei comuni interessati, si sono succeduti nel mese di agosto 2009 diversi incontri tra il presidente della regione siciliana, il presidente dell'Arra, il presidente della provincia di Palermo e i sindaci dei comuni interessati e si è concordato di ricorrere all'autorizzazione di un'anticipazione straordinaria in favore del Coinres di 3 milioni di euro mediante accesso al fondo di rotazione, destinato a garantire la copertura delle spese inerenti la gestione integrata dei rifiuti nel caso di temporanea difficoltà economica.
Tale intervento ha avuto però solo l'effetto di tamponare temporaneamente lo stato di agitazione, che puntualmente si è riproposto nel mese di ottobre, non essendo in condizione il Coinres di pagare i fornitori, le spettanze dovute all'AMIA e gli stipendi ai lavoratori.
Fatta questa premessa, va sottolineato come i dipendenti del Coinres fossero, alla data dell'audizione del prefetto di Palermo (nel mese di settembre 2009) cinquecentocinquanta.
Ebbene, sullo specifica questione delle assunzioni è stato aperto un procedimento penale presso la procura della Repubblica di Palermo e le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica, dottoressa Amelia Luise.
Il magistrato è stato audito dalla Commissione in data 8 giugno 2010 ed ha fornito importanti informazioni in merito alle indagini in corso, che attengono proprio alla illecita assunzione di personale da parte dei vertici del Coinres senza l'osservanza delle procedure di evidenza pubblica che avrebbero dovuto essere osservate.
Gran parte dell'audizione è stata secretata per la permanenza del segreto istruttorio sugli atti di indagine essendo ancora il procedimento nella fase delle indagini preliminari.
Molte delle persone assunte, come dichiarato dal prefetto nel corso dell'audizione, erano parenti di personaggi legati alla criminalità organizzata o sponsorizzati da questi personaggi. Peraltro il Coinres raggruppa alcuni dei comuni a più alta densità mafiosa come San Giuseppe Jato, San Cipirello e Bagheria, dove la mafia è presente da sempre.

Ed ancora, con riferimento al Coinres, sono state evidenziate sia dal prefetto che dal questore di Palermo alcune importanti circostanze che sono evidentemente spie di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel consorzio.
Il Coinres ha infatti un rapporto di collaborazione con l'impresa individuale Falletta Mariano, con sede legale a Misilmeri, che dal 1982 opera nel settore edile, stradale, effettua lavori di tinteggiatura, realizzazione e manutenzione fognature, smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali, sbancamento terra. Titolare dell'impresa è Falletta Mariano, immune da precedenti penali. Il rapporto di collaborazione consiste nel servizio di smaltimento di rifiuti solidi urbani fornendo il servizio di nolo dei mezzi per la raccolta al Coinres, giusta ordinanza n. 18 del 13 marzo 2008 a firma del sindaco del comune di Misilmeri, Salvatore Badami.
Ebbene, l'immobile e il terreno ove insiste l'impresa sono di proprietà di Francesco Lo Gerfo, e peraltro sullo stesso terreno vi è l'abitazione di Lo Gerfo, che risulta anche essere dipendente di Falletta Mariano.
Lo Gerfo Francesco è stato indicato come capo famiglia di Misilmeri, a disposizione dell'allora latitante Sciarabba Salvatore, tratto in arresto nel 2003 e successore di Spera Benedetto alla guida del mandamento. Peraltro lo stesso Lo Gerfo Francesco è stato tratto in arresto il 25 gennaio del 2005 per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso nell'ambito dell'operazione di polizia giudiziaria denominata «Grande mandamento» nel corso della quale erano emersi con certezza rapporti di frequentazione tra Lo Gerfo Francesco e l'allora capo della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno, Pastoia Francesco.
Ebbene, non solo nell'impresa del Falletta risulta essere impiegato, non si sa bene con quali specifiche mansioni, Lo Gerfo Francesco, ma anche persone legate a quest'ultimo.
Il 21 febbraio 2009 a Misilmeri veniva assassinato in un agguato di stampo mafioso Bianco Piero, dipendente del Coinres con la qualifica di operatore ecologico, nipote di Lo Gerfo Francesco.
In data 5 giugno 2006 il Coiners ha inoltre assunto a tempo indeterminato Zucchetto Gaspare, nato a Palermo il 17 gennaio 1967, anch'egli arrestato nell'ambito dell'operazione «Grande mandamento» per il reato di favoreggiamento personale aggravato dalle modalità mafiose.
Gaspare Zucchetto nella mattinata del 15 maggio 2009 è stato ucciso in un agguato mafioso unitamente a Paolo Lo Gerfo, e nell'agguato è stato ferito anche tale Sciacca Ivan. Sia Gaspare Zucchetto che Paolo Lo Gerfo erano dipendenti Coinres, assunti per il tramite dell'agenzia di lavoro interinale Temporary.
La circostanza particolare, evidenziata dal questore di Palermo nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione, è che Zucchetto e Lo Gerfo siano stati assassinati mentre si trovavano in un campo a raccogliere le nespole, mentre avrebbero dovuto trovarsi a lavoro.
Sono stati accertati rapporti tra Francesco Lo Gerfo, capofamiglia di Misilmeri, e Zucchetto Gaspare; entrambi poi con Salvatore Sciarabba, noto latitante capo del mandamento cui appartiene la famiglia di Misilmeri.
Ed inoltre, a rafforzare l'ipotesi della più che verosimile presenza di legami del Coinres con personalità di spicco della criminalità organizzata di stampo mafioso, va evidenziato che il consorzio, secondo dati riportati nella relazione predisposta dal questore di Palermo si avvale di mezzi messi a disposizione dalla società Ambiental snc, amministrata da Antonino D'Acquisto, il quale, seppure immune da pregiudizi penali, secondo le risultanze investigative della questura di Palermo risulta avere rapporti diretti con Gioacchino Mineo, attualmente detenuto e indicato nella nota inviata dal questore di Palermo come un «noto mafioso di Bagheria».
Tali circostanze sono state evidenziate in particolare dal questore di Palermo, dottor Marangoni, il quale, rispondendo ad una domanda circa l'interessamento della criminalità organizzata siciliana al business dei rifiuti, ha riferito che, seppure non vi siano indagini significative in questo senso (la mafia risulta sempre prevalentemente interessata al traffico internazionale degli stupefacenti ed alla gestione dei grandi appalti pubblici), tuttavia vi sono indicatori di un inserimento della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Indicatori che, allo stato, potrebbero non apparire particolarmente significativi, ovvero potrebbero rappresentare la punta di un iceberg rimasto ancora nascosto.
Ebbene, gli indicatori rappresentati dal questore di Palermo sono proprio quelli concernenti l'ATO 4 Palermo ed il Coinres, e sono quelli cui sopra si è fatto riferimento.
In merito al coinvolgimento della Temporary spa, agenzia di lavoro interinale attraverso la quale sono avvenute le assunzioni dei soggetti sopra indicati per il tramite di chiamata diretta (circostanza questa evidenziata nella relazione trasmessa dal prefetto di Palermo), il procuratore della Repubblica di Palermo ha dichiarato nel corso dell'audizione che il presidente del consiglio di amministrazione della Temporary, nonché il rappresentante legale ed il datore di lavoro, risulta essere tale Toscano Franco Maria, che non pare essere legato alla criminalità organizzata.
Il responsabile commerciale per la regione siciliana dell'Agenzia Temporary spa è tale Giordano Orazio, neanche lui noto alle forze dell'ordine.
Il procuratore della Repubblica ha però evidenziato una circostanza, relativa al fatto che il Coinres interpellò tre agenzie di lavoro interinale, di cui due molto note (fra cui la Manpower) e tutte e tre le agenzie si rifiutarono in quanto le modalità di avviamento al lavoro di questi dipendenti non erano regolari, a loro dire. La Temporary invece aderì alla richiesta ed avviò al lavoro i dipendenti.
Quanto alle indagini sugli omicidi, il procuratore Messineo ha di recente rappresentato a questa Commissione che le indagini, allo stato, non hanno evidenziato una causale diretta riconducibile all'attività del Coinres o al settore dei rifiuti, quanto piuttosto una causale riconducibile a faide tra famiglie mafiose.
Attualmente nel Coinres si è insediato un commissario ad acta inviato dall'assessore Pietro Carmelo Russo.
Il prefetto vicario di Palermo, dottoressa Francesca Ferrandino, ha dichiarato nel corso dell'audizione in data 8 giugno 2010 che la prefettura di Palermo monitora costantemente il Coinres sotto il profilo delle certificazioni antimafia, con riferimento a tutte le imprese che operano con il Coinres.
13) Indagini giudiziarie segnalate dalla Magistratura.
Il quadro generale offerto dal procuratore generale presso la corte d'appello di Palermo, dottor Luigi Croce, non è affatto rassicurante.

Nella nota del procuratore generale pervenuta alla Commissione il 26 maggio 2009, sono stati indicati i procedimenti pendenti presso i sei tribunali del distretto, procedimenti complessivamente nel numero di cinquecentosettantaquattro aperti per fattispecie di reato riconducibili al decreto legislativo 152 del 2006 e precisamente:
n. 86 procedimenti pendenti presso il tribunale di Palermo;
n. 174 procedimenti pendenti presso il tribunale di Agrigento;
n. 44 procedimenti pendenti presso il tribunale di Termini Imerese;
n. 68 procedimenti pendenti presso il tribunale di Trapani;
n. 108 procedimenti pendenti presso il tribunale di Marsala;
n. 94 procedimenti pendenti presso il tribunale di Sciacca.
(si tratta di dati rilevati fino al mese di maggio del 2009).
La maggior parte dei procedimenti riguarda il reato di attività di gestione non autorizzata di rifiuti, previsto dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, mentre risultano pendenti solo quattro procedimenti per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).
Nel corso dell'audizione, il procuratore generale ha sottolineato come la situazione di grave crisi economica in cui versano le società che gestiscono la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani abbia determinato lo stato di particolare crisi in cui versa il distretto della corte d'appello di Palermo per quel che concerne i rifiuti.
Il fatto che in diverse occasioni non sia stato possibile pagare ai dipendenti lo stipendio a fine mese ha determinato forme di protesta che si sono manifestate con la sospensione del servizio di raccolta dei rifiuti che si sono accumulati per le strade, con grave nocumento per la salubrità dell'ambiente e la salute dei cittadini. Peraltro questo stato di cose ha in qualche modo contribuito al manifestarsi di comportamenti, da parte dei cittadini, assolutamente incompatibili con le regole di civile convivenza.
Si assiste spesso all'abbandono di rifiuti per strada ed il prefetto nel corso dell'audizione ha fatto riferimento alla pratica, evidentemente deprecabile, di lanciare il sacchetto della spazzatura dal balcone.
La situazione delle discariche viene poi definita particolarmente complessa, in quanto anche le discariche gestite da enti pubblici presentano grosse irregolarità, come la discarica di Trapani, alcune discariche in provincia di Palermo, come quella di Castellana Sicula e di Piana degli Albanesi.
La situazione è analoga per quel che riguarda le discariche private, che in linea di massima non sono a norma rispetto alla normativa ambientale, e molte di queste discariche sono gestite da personaggi che, seppure non ne facciano parte, hanno collegamenti con la criminalità organizzata.
13.1) Indagini giudiziarie segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo.
Il procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Messineo, ha fatto riferimento ad una serie di procedimenti che evidenziano i collegamenti esistenti tra la criminalità organizzata ed il settore dei rifiuti.
Una delle prime indagini che ha reso palese l'interesse di soggetti «storicamente» facenti parte della criminalità organizzata nel settore del traffico illecito di rifiuti è il procedimento relativo alla discarica di Terrasini a carico di D'Anna, facente parte della famiglia mafiosa di Terrasini e coinvolto in numerosi procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. Il D'Anna venne arrestato per il reato ex articolo 53-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che si colloca in perfetta continuità normativa con il vigente articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006). Il D'Anna, nella qualità di amministratore della società «M.E.S. Manufatti Edilizi Speciali srl» esercente l'attività di recupero e riciclo di materiali inerti per impiego dei prodotti dell'edilizia nel comune di Terrasini, svolgeva attività non autorizzate di gestione dei rifiuti ed ometteva le attività di recupero e riciclo, per le quali era stata autorizzata ad operare. Venivano quindi gestiti abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti prodotti da diversi soggetti pubblici e privati, che venivano interrati nell'area di pertinenza della predetta impresa per un quantitativo di circa cinquantacinquemila metri cubi negli anni 2002 e 2003.
Altro procedimento ha riguardato lo smaltimento illecito dei rifiuti ospedalieri provenienti dall'ospedale civile di Palermo e da altre strutture ospedaliere della Sicilia, procedimento nell'ambito del quale è stata esercitata l'azione penale nei confronti di numerosi soggetti per avere effettuato attività di raccolta, trasporto ed intermediazione abusiva di rifiuti medico-ospedalieri anche attraverso la falsificazione dei dati identificativi dei rifiuti.
Ebbene, uno dei soggetti coinvolti, Francesco Buscemi, legale rappresentante della MEDIECO, è stato condannato per il reato ex articolo 416-bis del codice penale.
Particolare rilievo ha poi avuto l'indagine relativa allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto (prodotti in «eternit») effettuate tramite interramento presso un cantiere in cui era in corso di costruzione un grosso conglomerato edilizio residenziale in via Ammiraglio Rizzo di Palermo, per lungo tempo sottoposto a sequestro nell'ambito di un procedimento di prevenzione.
La procura della Repubblica di Palermo si è attivata per ottenere il sequestro dell'intero cantiere e la zona è stata opportunamente bonificata (tutti gli imputati hanno patteggiato la pena).
Dall'indagine sopra menzionata, oltre che dalle indagini relative all'illecito smaltimento di percolato dalla discarica di Bellolampo, sono stati acquisiti gli elementi per avviare un'ulteriore indagine che ha consentito di accertare l'esistenza di una vera e propria struttura organizzata pressoché in forma imprenditoriale, responsabile di un traffico illecito di rifiuti proveniente da demolizione di edifici.
Il procedimento penale è quello a carico di Spica Antonio ed altri, procedimento avviato originariamente per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale e poi esteso al traffico illecito di rifiuti.
In sostanza è stata accertata l'esistenza di una struttura organizzata che smaltiva illecitamente ingenti quantitativi di sfabbricidi provenienti principalmente da demolizioni, i quali venivano abbandonati ed interrati presso il sito destinato alla costruzione della quarta vasca della discarica di rifiuti solidi urbani di Bellolampo.
Di particolare importanza, ai fini dell'attività di inchiesta di questa Commissione, è quanto evidenziato dal procuratore di Palermo con riferimento alle caratteristiche comuni riscontrate in questo tipo di indagini «l'ATI aggiudicatrice degli appalti pubblici presenta un'impresa di rilevanza nazionale quale soggetto capogruppo che realizza materialmente l'opera cui viene affiancata una piccola impresa locale (vicina ad ambienti mafiosi nei casi sottoposti alla nostra attenzione) che si occupa dell'aspetto specifico dello smaltimento dei rifiuti. Si tratta in genere di imprese che nel passato si occupavano semplicemente di trasporto terra e che si sono riciclate nel più remunerativo settore della gestione dei rifiuti. Ovviamente i rifiuti vengono trattati secondo le stesse modalità con cui veniva trattato il prodotto che era lavorato in precedenza, senza alcun timore delle ben più gravi conseguenze per l'ambiente e il territorio».
Queste le indagini segnalate dal procuratore della Repubblica di Palermo che evidenzierebbero il collegamento tra la criminalità organizzata e la gestione del ciclo dei rifiuti nella regione siciliana (a parte l'indagine sui termovalorizzatori, di cui si tratterà nella terza parte della relazione).
In merito all'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, il procuratore Messineo ha sottolineato come sia emerso in maniera costante l'interesse della mafia al ciclo dei rifiuti, ma bisogna intendersi su come si manifesti concretamente questo interessamento.
Il grosso affare della mafia nel settore dei rifiuti, nel distretto di Palermo, non si manifesta nel controllo diretto della discarica di Bellolampo che è pubblica, ma nella gestione e nel controllo di tutte quelle attività accessorie alle discariche o comunque al settore dei rifiuti: si tratta in sostanza dell'attività di movimento terra, forniture dei mezzi di cantiere, mezzi d'opera, subappalti nei cantieri.
Il modo di intervento della mafia è occulto: la mafia non vince le gare di appalto, non è interessata a vincerle. È interessata invece a presentarsi il giorno dopo per gestire il succo dell'appalto.
Con riferimento alla vicenda dei termovalorizzatori, fino al mese di settembre 2009, data dell'audizione dei magistrati del distretto di Palermo, non era stato aperto alcun procedimento penale, con specifico riguardo alla gara d'appalto (poi annullata in sede europea), a ipotesi di reato contro la pubblica amministrazione ed a eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nella realizzazione dei termovalorizzatori.
Sul punto il procuratore della Repubblica aveva precisato di essersi occupato della vicenda dei termovalorizzatori solo sotto il profilo ambientale. In particolare mancava, rispetto al termovalorizzatore che avrebbe dovuto essere realizzato a Bellolampo, la VIA, quindi la procura era intervenuta con un provvedimento di sequestro del cantiere.
Peraltro, una delle società partecipanti al raggruppamento temporaneo di imprese stava contemporaneamente costruendo un parcheggio sotterraneo sotto al palazzo di giustizia dove la procura è intervenuta poiché era stato rilevato che i camion che portavano via la terra dallo scavo smaltivano con modalità illecite la terra di riporto.
Tornando alla questione dei quattro termovalorizzatori che avrebbero dovuto essere realizzati in attuazione e a chiusura del piano integrato di gestione dei rifiuti originariamente approvato dalla regione siciliana, la procura, in un primo momento, non se ne è occupata sotto profili diversi da quelli ambientali.
A distanza di pochi mesi la situazione è completamente cambiata per l'effetto della presentazione di una denuncia alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo sporta dall'assessore Pietro Carmelo Russo a seguito di apposita delibera della giunta regionale del 18 marzo 2010.
Nella predetta delibera la giunta prendeva atto e condivideva quanto esposto dall'assessore Russo in una dettagliata relazione nella quale venivano rappresentate una serie di vicende attinenti alla questione dei termovalorizzatori evidentemente sintomatiche di possibili inserimenti della criminalità organizzata, di tal chè si procedeva nel senso di investire l'autorità giudiziaria degli opportuni approfondimenti investigativi.
Della vicenda dei termovalorizzatori si tratterà nella terza parte della relazione, trattandosi di una vicenda che riguarda in qualche modo l'intera Sicilia e non esclusivamente la provincia di Palermo.
13.1.1) Indagini in materia di reati ambientali.
In merito ai procedimenti nei confronti di soggetti pubblici o di ditte affidatarie dei servizi di smaltimento, oltre al procedimento relativo alla discarica di Bellolampo, cui sopra si è fatto riferimento, sono stati segnalati i seguenti rilevanti procedimenti.
Particolare rilievo ha avuto l'indagine relativa allo smaltimento di rifiuti sanitari e di altri rifiuti pericolosi, tipo vernici, presso l'inceneritore Ecofarma. Le indagini, effettuate anche attraverso il ricorso ad operazioni tecniche di intercettazione, hanno consentito di individuare una struttura organizzata operante nel settore del traffico illecito di rifiuti.
Nel corso delle indagini sono stati effettuati sequestri riguardanti un impianto di incenerimento nel sito di Carini, dove venivano abusivamente termodistrutti i rifiuti sanitari, e le tredici aziende che conferivano i rifiuti nel predetto sito. Le società di trasporto che conferivano i rifiuti presso l'inceneritore provenivano dal trapanese, dal territorio di Agrigento e dal territorio palermitano.
Come precisato dal dottor Messineo nel corso dell'audizione, in Sicilia esiste un impianto autorizzato per lo smaltimento dei rifiuti sanitari ed è quello dell'Ecofarma. Nel corso del procedimento si è agito anche nei confronti dell'Ecofarma perché si trovava in una situazione di irregolarità (in merito al rilascio delle autorizzazioni, al mancato pagamento delle garanzie fideiussorie, alla mancanza della valutazione ambientale). Certamente il profilo più evidente dal punto di vista del rilievo penalistico era la mancanza del provvedimento di valutazione di impatto ambientale.
A seguito del sequestro dell'impianto di incenerimento e delle tredici aziende che conferivano i rifiuti nel predetto sito, è stato nominato un amministratore giudiziario e tale nomina ha consentito, da un lato, la prosecuzione di un servizio di rilevante interesse pubblico, quale quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti sanitari, dall'altro, la regolarizzazione delle imprese, che si sono quindi adeguate alla normativa ambientale.
Sono stati già esaminati i casi di problemi relativi allo smaltimento del percolato: manca in Sicilia un impianto autorizzato allo smaltimento di percolato, tanto che lo stesso viene smaltito presso l'impianto di Gioia Tauro, con tutto ciò che comporta già a livello di appesantimento del traffico stradale, e tenuto conto che lo smaltimento del percolato è un problema che riguarda tutte le discariche siciliane; l'impianto della Ecofarma per lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri mancava della valutazione di impatto ambientale, e comunque, evidentemente, non vi erano adeguati controlli se ben tredici ditte vi smaltivano illecitamente i rifiuti; in più, sono state segnalate dalla procura di Trapani indagini relative all'illecito smaltimento dei rifiuti provenienti dalla lavorazione del marmo; ebbene, a fronte del fatto che esiste un'attività lecita di taglio del marmo e di commercializzazione di materiali litoidei, non esiste in Sicilia alcun impianto di smaltimento del marmo; a fronte della problematica del percolato che riguarda in forma pressoché emergenziale moltissime discariche siciliane, non esiste un adeguato impianto di smaltimento del percolato; a fronte di strutture sanitarie importanti non vi sono adeguati impianti per lo smaltimento di rifiuti sanitari. E in una situazione potenzialmente a rischio, proprio per la mancanza di impianti adeguati, risultano carenti anche i controlli da parte degli organi a ciò deputati.
È evidente che in una situazione del genere l'infiltrazione mafiosa e, più in generale, l'infiltrazione della criminalità, è certamente agevolata e facilitata dalla negligenza da parte delle pubbliche amministrazioni che non sono in grado di programmare strutture adeguate per far fronte a questo tipo di problemi sul territorio.
Altra problematica resa evidente dall'indagine segnalata con riferimento all'illecito smaltimento di rifiuti ospedalieri riguarda, a monte, l'aggiudicazione delle gare da parte delle imprese che evidentemente avevano dichiarato di smaltire i rifiuti presso la Ecofarma, che però non era munita della valutazione di impatto ambientale. Come è possibile che ciò sia accaduto?
Altro procedimento ha riguardato l'impianto di degassificazione sito a Palermo in località Acquasanta, destinato al trattamento dei rifiuti sanitari pericolosi, in particolare acque di sentina ed oli esausti.
Nel corso delle indagini si è accertato che l'impianto operava in difformità rispetto a quanto previsto dalla legge ed era privo di autorizzazione; nonostante ciò aveva ricevuto, per il trattamento, rifiuti tossico-nocivi pari a 20.000 mc tanto da determinare una situazione di grave inquinamento sia dell'aria che delle acque, con conseguente allarme della popolazione residente nelle zone limitrofe. È stato quindi disposto il sequestro dell'impianto.
Di sicuro rilievo è poi il procedimento relativo al traffico illecito dei rifiuti derivanti dalla raccolta dei rifiuti in plastica nei comuni della Sicilia occidentale. Le indagini hanno consentito di accertare l'esistenza di una struttura organizzata coinvolta nel settore del traffico illecito di rifiuti operante tra la Sicilia e il nord Italia, struttura messa in piedi anche grazie alla connivenza di soggetti appartenenti alle amministrazioni locali, e sono state anche contestate ipotesi di corruzione.
Ulteriore procedimento segnalato riguarda i decessi e le malattie professionali degli operai che hanno lavorato presso la Fincantieri ove erano esposti alle fibre di amianto, e sono quindi deceduti per asbestosi polmonare.
13.2) Procura della Repubblica presso il tribunale di Termini Imerese.
Con riferimento alla questione, relativa all'interesse di cosa nostra per il settore dei rifiuti, il procuratore della Repubblica di Termini Imerese ha evidenziato due procedimenti per reati ambientali a carico di soggetti collegati ad ambienti di criminalità mafiosa e a persone che risultano sottoposte a misure di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965.
Si tratta in particolare di procedimenti relativi all'illecita gestione dei rifiuti presso l'impianto di frantumazione inerti, gestiti dalla Beton Plus srl in Roccamena, piccolo centro delle Madonie vicino a Corleone, presso un'area sita in Santa Flavia, nella disponibilità della ditta di sbancamento terra di un soggetto con precedenti specifici per reati di mafia.
A parte però queste connotazioni soggettive, si tratterebbe secondo il procuratore (che peraltro ha assunto la direzione della procura della Repubblica di Termini Imerese dal mese di febbraio 2009) di un'indagine che non ha offerto spunti di rilievo, nel senso di far ritenere che le attività che ruotano intorno allo smaltimento dei rifiuti siano attività di interesse di cosa nostra; in sostanza non vi sarebbero emergenze investigative che consentano di ricondurre a Cosa nostra interessi illeciti e rilevanti economicamente nel settore dei rifiuti.
Quanto ai dati statistici ed ai procedimenti pendenti per i reati previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, risultano pendenti nella fase delle indagini preliminari (al mese di settembre 2009) cinquantasei procedimenti iscritti per articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (di cui trentasette a mod. 21 e 19 a mod. 44), n. 77 per articolo 6 della legge n. 210 del 2008 (di cui 54 a mod. 21 e 23 a mod. 44), n. 10 per articolo 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (di cui 8 a mod. 21 e 2 a mod. 44) e n. 7 procedimenti per articolo 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (di cui 6 a mod. 21 e 1 a mod. 44).
Inoltre, tra il 1o luglio 2008 e il 30 giugno 2009, sono stati definiti mediante esercizio dell'azione penale cinquantasette procedimenti relativi ai reati di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al reato ex articolo 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e per il reato ex articolo 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
È stato registrato un aumento significativo delle notizie di reato, oltre che degli arresti in flagranza e dell'applicazione di misure cautelari personali, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 6 della legge n. 210 del 2008, applicabile per l'appunto nei territori in cui vige lo stato di emergenza, e quindi anche nella provincia di Palermo.
Frequenti sono le segnalazioni di discariche abusive di rifiuti, pericolosi e non, che determinano evidentemente un tendenziale degrado dello stato dei luoghi (si tratta spesso di discariche effettuate ad opera di ignoti, trattandosi di aree prive di recinzione o ubicate in prossimità di strade pubbliche, realizzate mediante l'accumulo di materiali inerti provenienti da lavori edili o dalla lavorazione di materiali di cava).
In merito all'attività di bonifica delle aree, il procuratore ha evidenziato che spesso è lo stesso indagato che formula istanza di rimozione temporanea dei sigilli apposti all'area in sequestro per potere pervenire alla bonifica del sito ancora prima della definizione del procedimento penale. In mancanza è l'autorità amministrativa a procedervi, su impulso della procura generale o dell'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
È stata inoltre registrata una pratica diffusa da parte di imprenditori e privati, consistente nel conferire presso siti esterni ai cantieri i materiali terrosi prodotti dalle lavorazioni edili, in assenza di puntuali previsioni progettuali in ordine al loro riutilizzo
Sono inoltre diffusi i procedimenti inerenti il trasporto illecito di rifiuti per mezzo di veicoli non autorizzati per i relativi trasporti.
Per quanto riguarda le discariche pubbliche sono poi stati segnalati una serie di profili di rilevanza penale.
1) le discariche pubbliche, ed in particolare la discarica di Castellana Sicula, non funzionano in modo adeguato, in quanto vengono conferiti rifiuti diversi dai rifiuti solidi urbani; è in atto l'inquinamento delle zone circostanti determinato dalla fuoriuscita di percolato; non viene comunicato agli organi competenti il superamento delle cosiddette concentrazioni soglia contaminazione (CSC) derivante dalla presenza di metalli pesanti, altamente inquinanti;
2) anche le discariche chiuse presentano problemi nella gestione post-operativa; in particolare è stata segnalata la discarica di Piana degli Albanesi, che non risulta essere protetta e che ha determinato una contaminazione del suolo derivante dalla fuoriuscita di percolato;
3) le piazzole ecologiche destinate alla raccolta differenziata ed al successivo trasporto dei rifiuti presso gli impianti di recupero e trattamento risultano realizzate presso siti non autorizzati e privi dei necessari requisiti.
Sono stati infine segnalate le problematiche concernenti il malfunzionamento dei depuratori e l'illecito smaltimento dei cosiddetti fanghi di depurazione prodotti dal processo di trattamento delle acque (l'accumulo di questi rifiuti nei letti di essiccazione supera la durata massima consentita dalla legge per il deposito temporaneo e spesso il mancato smaltimento dei fanghi si protrae per così tanto tempo da far assumere alla fattispecie i connotati dello stoccaggio di rifiuti).
In sostanza, per quel che riguarda il territorio di Termini Imerese, vi è un aumento dei procedimenti per reato di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, sia per l'entrata in vigore delle norme più repressive, in considerazione della dichiarazione dello stato di emergenza della provincia di Palermo, sia per l'inadeguatezza delle strutture pubbliche, inadeguatezza sottolineata anche dal procuratore generale presso la corte d'appello di Palermo, dottor Croce.
14) I controlli amministrativi in fase di prevenzione. Osservazioni del procuratore della Repubblica di Palermo.
Come è stato confermato nel corso delle audizioni dei magistrati del distretto di corte d'appello di Palermo, spesso i reati in materia ambientale sono connessi con profili di responsabilità dei pubblici amministratori, ed in questo senso si pone l'esigenza di un coordinamento fra i magistrati che nell'ambito delle procure si occupano dei reati ambientali e i magistrati che si occupano specificatamente dei reati contro la pubblica amministrazione.
Il procuratore della Repubblica di Palermo ha evidenziato come nella procura esista un coordinamento costante tra il dipartimento 2, che si occupa dei reati ambientali, e il dipartimento 3, che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione, e ciò perché si è riscontrato come molto spesso il reato ambientale presupponga una sorta di inerzia o di complicità da parte degli amministratori pubblici.
Proprio riguardo a ciò, è stata sottolineata l'inerzia, spesso colpevole da parte delle pubbliche amministrazioni rispetto a situazioni anche di particolare allarme ambientale (doc. 81/1), e ciò sia sotto il profilo della mancanza di controlli che la pubblica amministrazione dovrebbe svolgere nella fase di rilascio delle autorizzazioni e nella fase di esercizio dell'attività esercitata (è stato riportato, a titolo esemplificativo, un caso in cui il NOE aveva accertato che nel territorio di Termini Imerese in un sito ove era stata autorizzata l'attività di recupero rifiuti vi era in realtà un campo di carciofi), sia per quanto riguarda l'attività di bonifica e di rimessione in pristino delle aree.
In caso di inerzia del proprietario dell'area interessata da fenomeni di inquinamento, la legge prevede l'intervento diretto da parte della pubblica amministrazione per la bonifica e la rimessione in pristino con spese a carico del proprietario, ma ciò si è verificato molto raramente.
Anche per quanto riguarda i controlli in materia ambientale che dovrebbero essere effettuati dalla provincia, spesso vengono di fatto delegati agli organi di polizia giudiziaria nella fase repressiva, laddove il controllo preventivo consentirebbe di contenere, ove predisposto in modo sistematico ed incisivo, e di prevenire per l'appunto la commissione di reati in materia ambientale.
È stato anche segnalato il consistente numero di truffe ai danni di enti pubblici, realizzate attraverso il conseguimento di fondi stanziati per l'attività di recupero dei rifiuti che però, in realtà, non vengono mai avviate.
Ulteriore dato evidenziato, anche nel corso dell'audizione, è l'assoluta mancanza di collaborazione da parte del personale dell'ARPA, che giustifica il rifiuto di eseguire le deleghe dell'autorità giudiziaria, asserendo che il proprio personale non ha la qualifica di polizia giudiziaria, sicché spesso si verificano ritardi nelle indagini nel caso in cui sia necessario effettuare attività di prelievo, campionamento ed analisi che sono di specifica competenza dell'ARPA, e rispetto alle quali non possono svolgere un ruolo di supplenza altri organi investigativi (peraltro, ha sottolineato il procuratore, gli stessi soggetti assumono un atteggiamento diverso nel caso in cui vengano invece conferite consulenze per effettuare lo stesso o analogo tipo di accertamento).
A ciò si aggiunge un'obiettiva carenza di personale.
Il personale in servizio presso l'ARPA di tutta la regione siciliana è composto da duecentocinquanta unità, a fronte di una pianta organica approvata dal governo regionale che ha quantificato in novecentocinquanta unità quelle necessarie per fronteggiare le esigenze della regione.
L'organico del distretto di Palermo è costituito da venti unità, di cui solo sei tecnici della prevenzione, dei quali tre ufficiali di polizia giudiziaria, e si tratta evidentemente di un organico inadeguato a fronteggiare le esigenze investigative, tenuto conto della situazione particolarmente grave che in materia ambientale si registra nella provincia di Palermo.
Grande collaborazione alle indagini è stata invece prestata da altri organi di polizia giudiziaria, e in primo luogo dal NOE dei Carabinieri e dal NOPA della Polizia municipale di Palermo (istituito sin dal 1991 e specializzato nella repressione e prevenzione di illeciti ambientali).
Non trattandosi però di organi tecnici, e non avendo la possibilità di svolgere attività di campionamento, prelievo ed analisi, spesso la loro attività si è dovuta arrestare per il mancato coordinamento con i tecnici dell'ARPA.
II - Provincia di Trapani.
1) Attività della Commissione.
La Commissione ha approfondito la situazione relativa alla provincia di Trapani nel corso della prima missione nella Sicilia occidentale convocando in sede di audizione il prefetto, dottor Stefano Trotta, il questore, dottor Giuseppe Gualtiero, il presidente della provincia di Trapani, dottor Mimmo Turano, ed il sindaco di Trapani, dottor Girolamo Fazio, nonché acquisendo documentazione inviata dai medesimi organi istituzionali.
È stato inoltre sentito nel corso della missione il procuratore aggiunto presso il tribunale di Trapani, dottoressa Annamaria Leone.
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2) Premessa.
Nel territorio della provincia di Trapani si evidenziano gravissime problematiche nella gestione del ciclo dei rifiuti che manca di una reale programmazione; le discariche in esercizio sono in via di esaurimento e la raccolta differenziata si attesta su livelli bassissimi.
In questo senso, significative sono state le dichiarazioni rese dal prefetto e dal sindaco di Trapani nel corso della missione in Sicilia svoltasi dall'otto al dieci giugno 2010. In particolare, il prefetto di Trapani ha rappresentato una situazione ancora più grave rispetto a quella già rappresentata nel corso della prima audizione (avvenuta nel mese di settembre 2009): entrambe le discariche della provincia sono vicinissime alla saturazione (peraltro la seconda discarica, quella sita in Campobello di Mazara, a fine luglio non sarà più operativa non essendo munita dell'autorizzazione integrata ambientale), e i comuni è prevedibile che debbano conferire i rifiuti nella discarica di Siculiana, nella provincia di Agrigento.
Quanto poi all'ATO Belice Ambiente spa, la situazione è ancora più pesante che in passato, tanto che il presidente e il direttore generale si sono dimessi ed è sempre più accentuato e difficilmente risolvibile in tempi brevi il problema di carenza di liquidità della società d'ambito territoriale.
Permangono le problematiche già evidenziate dalla precedente Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti (XV legislatura) per quel che riguarda il settore marmifero, e ciò testimonia come non solo non vi sia stata alcuna programmazione da parte della pubblica amministrazione per la risoluzione di un evidente problema della provincia (atteso che uno dei settori di maggior rilievo è rappresentato proprio dall'estrazione e dalla lavorazione del marmo, in quanto il territorio ospita un bacino marmifero che per estensione è considerato il secondo d'Europa), ma anche come tali fenomeni criminosi, per la loro ampiezza e sistematicità, abbiano certamente potuto diffondersi grazie al mancato intervento, quando non a vere e proprie collusioni, da parte degli enti territoriali, il che pone in evidenza il problema del funzionamento dei meccanismi di controllo del territorio, problema che peraltro caratterizza ampie zone della Sicilia.
Quanto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, le attività di indagine riferite dai magistrati nel corso dell'audizione risalgono agli anni 1998, 2000 e 2002, e tuttavia, proprio alla luce delle notizie acquisite nel corso delle audizioni mirate ad approfondire la situazione della provincia di Trapani, è emerso come molte delle indagini in materia ambientale vedano coinvolte persone che, sebbene in passato fossero state indiziate di appartenere ad associazioni mafiose, non sono state però condannate in via definitiva.
Ebbene, tenuto conto dell'accertato interesse manifestato in passato dalle organizzazioni mafiose per il settore dei rifiuti, il dato sopra evidenziato può essere considerato indicativo di un permanente interesse delle associazioni criminali rispetto a questo settore, di tal chè sembra quanto mai necessario che gli organi investigativi siano molto vigili rispetto a episodi che, seppure apparentemente di scarso spessore criminale, possono in realtà essere la spia di forme di controllo e di condizionamento ben più significative.
3) Gestione del ciclo dei rifiuti.
Nel territorio della provincia il 20 dicembre 2002 sono stati costituiti due ambiti territoriali ottimali, l'ATO TP2 Belice 2 (del quale fanno parte undici comuni) e la società che gestisce la raccolta e il trasporto dei rifiuti è la società «Belice Ambiente spa», e l'ATO TP1 Terra dei Fenici spa (del quale fanno parte tredici comuni tra cui il comune di Trapani).
Nella città di Trapani il servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani viene effettuato dalla società Trapani Servizi spa, partecipata dal comune di Trapani, che peraltro gestisce anche la discarica per rifiuti solidi urbani sita in contrada Borranea.
La società Belice Ambiente spa svolge il servizio di trasporto e di raccolta in house.
Nella nota trasmessa dalla questura è stato evidenziato come l'ambito territoriale Terra dei Fenici spa sia stato per lungo inattivo, sicché il servizio veniva effettuato dai singoli comuni, o utilizzando mezzi e personale appartenenti alle amministrazioni comunali, ovvero tramite appalti ad imprese individuate dalle singole amministrazioni, in un contesto che evidentemente si presta, più di altri, a possibili infiltrazioni da parte della criminalità organizzata attraverso turbative d'asta, o attraverso l'imposizione di propri mezzi nell'attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti.
E tuttavia, a partire dal mese di settembre 2009, il regime dovrebbe essere cambiato, in quanto la società Biancamano spa, attraverso la sua controllata Aimeri Ambiente srl, è risultata aggiudicataria dell'appalto a seguito di gara indetta dalla società Terra dei Fenici spa, appalto concernente i servizi di igiene urbana dell'ATO TP1 (ad eccezione del comune di Trapani). L'appalto prevede una durata contrattuale di 84 mesi per un importo complessivo di circa 210 milioni di euro.
In sostanza, la società Terra dei Fenici ha esternalizzato la gestione totale del servizio affidandola con gara ad evidenza pubblica all'impresa sopra menzionata. Il servizio ha avuto inizio nei primi giorni di settembre dell'anno in corso e ha riguardato, in una prima fase, solo quattro dei comuni dell'ATO TP1, mentre i rimanenti comuni gestiscono ancora in proprio il sistema di raccolta e di trasporto.
L'impresa che si è aggiudicata l'appalto non presenta alcun tipo di infiltrazione da parte della criminalità, ha precisato il questore, e però unitamente a questo aspetto andrebbe ulteriormente verificato ed approfondito se siano previsti sub appalti, con quali mezzi l'impresa aggiudicataria operi in Sicilia, attraverso quale manodopera, al fine di comprendere se anche in questo caso vi siano situazioni di potenziale infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti (infiltrazione che, com'è noto, avviene soprattutto attraverso il sistema dei sub appalti e la fornitura di mezzi e manodopera).
Le discariche attive per i rifiuti solidi urbani esistenti nel territorio della provincia sono:
la discarica di contrada Borranea nel comune di Trapani, gestita dal comune di Trapani attraverso la società partecipata dal comune medesimo "Trapani Servizi spa";
la discarica di contrada Misiddi Campana nel comune di Campobello di Mazara, gestita dalla società d'Ambito TP2 Belice Ambiente spa.
Le due discariche hanno - secondo quanto si legge nella nota trasmessa alla Commissione dalla provincia regionale di Trapani - vita breve, sebbene alcuni comuni conferiscano i rifiuti presso la discarica di Siculiana nell'agrigentino. Si legge, testualmente, nella nota «fermo restando il permanere del conferimento dei rifiuti solidi urbani prodotti dai comuni di Marsala, Alcamo, Calatafimi, Segesta e Castellammare del Golfo presso la discarica di Siculiana, il sistema attuale di smaltimento residuale dei rifiuti nella provincia di Trapani entrerà in crisi nel giro di sette mesi».
Esistono altre discariche per rifiuti solidi urbani nel territorio provinciale, tutte riportate nell'originario piano regionale di gestione dei rifiuti elaborato dal commissario per l'emergenza rifiuti in Sicilia, la maggior parte attualmente sottoposte a interventi di messa in sicurezza, emergenza e/o di bonifica definitiva.
Il dato preoccupante che riguarda anche la provincia di Trapani è l'assoluta mancanza di una programmazione e la situazione pressoché emergenziale che si registra nella provincia, tenuto conto del fatto che le due discariche sono in via di esaurimento e si palesa come urgente la necessità di aprirne di nuove.
4) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
La procura della Repubblica di Trapani ha avviato procedimenti molto importanti in materia di reati ambientali, procedimenti che hanno evidenziato vaste sacche di illegalità con l'accertamento di gravi fenomeni speculativi in ordine allo smaltimento dei rifiuti.
Presso la procura della Repubblica di Trapani pendono diversi procedimenti per reati in materia ambientale ed, in genere, come evidenziato dal procuratore aggiunto nel corso dell'audizione, si tratta di violazioni minori (in relazione all'articolo 256 del testo unico sull'ambiente ed all'articolo 137 del medesimo testo unico), ma vi sono anche procedimenti complessi in qualche modo originati da quelle che sono le criticità che si riscontrano nella provincia, sopra sinteticamente riportate.
Con riferimento al territorio di Trapani, i Carabinieri del NOE hanno evidenziato nella relazione trasmessa alla Commissione in data 8 settembre 2009 come la gestione dei rifiuti nell'ambito del capoluogo faccia capo alla società Trapani Servizi appositamente costituita in contemporanea all'istituzione degli ATO.
Il comune di Trapani ha trasferito alla Trapani Servizi spa la gestione dell'impianto di discarica dei rifiuti solidi urbani in contrada Borranea, presso cui conferiscono i rifiuti altri comuni della provincia, nonché la gestione dell'impianto di selezione rifiuti ai fini della produzione di compost sito in località Belvedere. Analogamente sono state conferite alla Trapani Servizi anche le attività di raccolta dei rifiuti e di gestione dei centri di raccolta
Ebbene, numerose sono state le indagini effettuate dal NOE di Palermo in relazione alla non corretta gestione degli impianti.
4.1) Indagini relative alla discarica Borranea.
Con riferimento a questo aspetto il procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Trapani, dottoressa Leone, ha evidenziato un procedimento (precisamente recante n. 2518/07 mod. 21, in relazione al quale sono stati inviati a questa Commissione alcuni atti di indagine, e segnatamente la richiesta di convalida di sequestro preventivo e il decreto di citazione a giudizio) le cui indagini sono state svolte dal comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente - NOE di Palermo, in unione con la compagnia Carabinieri di Trapani.
Il procedimento, iscritto a carico del sindaco di Trapani, ha comportato il sequestro della discarica per rifiuti non pericolosi - lotto G del comune di Trapani in località Borranea.
Oggetto degli accertamenti investigativi è stata, in primo luogo, l'ordinanza n. 200 del 1o agosto 2007, emessa dal sindaco di Trapani, ed avente ad oggetto l'autorizzazione all'esercizio provvisorio della discarica rifiuti urbani di contrada Borranea, da ritenersi, secondo l'impostazione accusatoria, illegittima in quanto emessa in violazione del disposto di cui all'articolo 191 quarto comma del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Ed infatti, sempre secondo l'impostazione accusatoria, a seguito dell'emissione dell'ordinanza n. 37471/ANGA del 22 giugno 2006 del presidente della provincia, reiterata con ordinanze del 27 settembre 2006 e del 5 febbraio 2007 aventi ad oggetto l'autorizzazione all'esercizio della discarica in contrada Borranea in via contingibile ed urgente, risultava essere stato già esercitato per due volte il potere di reiterare il provvedimento di urgenza da parte di organi diversi dal presidente della regione, di concerto col Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Nel periodo relativo alla dichiarazione dello stato di emergenza rifiuti nella regione siciliana (dal 31 maggio 1999 al 31 maggio 2006) la realizzazione e l'esercizio della discarica erano stati autorizzati, in via contingibile ed urgente, mediante l'adozione di provvedimenti prefettizi e, in particolare nel 2005, con provvedimento prefettizio era stata autorizzata la realizzazione del lotto G della discarica.
Con la cessazione dello stato di emergenza la provincia di Trapani aveva emesso una prima ordinanza con la quale si autorizzava, in via contingibile ed urgente, l'esercizio del modulo G della medesima discarica, atto questo poi reiterato due volte con provvedimenti che sono venuti a scadenza il 6 agosto del 2007. A questo punto la provincia di Trapani, nella persona del dirigente del settore territorio ed ambiente, manifestava al sindaco di Trapani l'impossibilità di adottare, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, ulteriori ordinanze contingibili ed urgenti, essendone state già emesse tre, sicché la procedura da attivare sarebbe stata quella di richiedere l'emanazione di apposita ordinanza da parte del presidente della regione, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il sindaco di Trapani invece, in data 1o agosto 2007, adottava l'ordinanza sopra menzionata con la quale autorizzava in via contingibile ed urgente l'esercizio provvisorio della discarica limitatamente ai rifiuti prodotti nella provincia di Trapani per un periodo di poco più di quattro mesi, sulla base della considerazione che la provincia di Trapani, in relazione al primo provvedimento emesso, non avesse utilizzato per intero il periodo di sei mesi.
Naturalmente la vicenda sopra rappresentata è ancora in corso di giudizio e quindi viene evidenziata come una delle problematiche che sono state rilevate dagli organi inquirenti in merito alla gestione della discarica, problematiche peraltro strettamente connesse alla precedente gestione commissariale.
Peraltro, a prescindere dallo specifico aspetto delle ordinanze contingibili ed urgenti relative alla discarica in argomento, risulta che i carabinieri del NOE abbiano evidenziato gravi carenze strutturali e gestionali protrattesi negli anni.
È stato verificato dagli organi inquirenti come la discarica in questione sia stata gestita, per anni, in completa violazione della normativa vigente, senza che siano stati mai fatti quegli interventi minimi che avrebbero potuto garantirne la funzionalità nel rispetto della legge.
Le carenze strutturali e gestionali della discarica evidenziate dal NOE riguardavano essenzialmente la mancata funzionalità del sistema antincendio, la carenza di un sistema di captazione del biogas, l'inadeguatezza del sistema di captazione delle acque meteoriche, la mancanza di idonea copertura giornaliera con materiali adeguati dei rifiuti conferiti, la carenza di un sistema di abbattimento delle polveri (con conseguente dispersione dei rifiuti, creazione di polveri fini dannose per la salute, dispersione, con le acque meteoriche e il percolato, delle sostanze presenti in discarica).
I requisiti sopra indicati e previsti dalla legge erano altresì oggetto delle prescrizioni che il presidente della provincia aveva impartito per consentire l'esercizio della discarica in questione.
L'assoluta insufficienza nel tempo degli interventi di adeguamento imposti dalla legge e dai provvedimenti autorizzativi emessi dal prefetto di Trapani e dal presidente della provincia è stata oggetto di indagini giudiziarie, sfociate in un procedimento penale a carico di sei soggetti-dirigenti comunali e dipendenti della società «Trapani Servizi srl» per il reato di gestione di rifiuti non autorizzata.
Altro procedimento (attualmente in fase dibattimentale), a carico sia del sindaco di Trapani che del presidente del Consiglio di amministrazione e dell'amministratore delegato della società Trapani Servizi spa, ha riguardato l'impianto di pre-trattamento sito in contrada Belvedere che sarebbe stato gestito, secondo l'impostazione accusatoria, ponendo in essere degli scarichi di acque reflue industriali in assenza della specifica necessaria autorizzazione comunale; inoltre, dopo il trattamento dei rifiuti presso l'impianto e la conseguente trasformazione in frazioni organiche solide, queste ultime venivano avviate e conferite presso la discarica sita in contrada Borranea, violando le procedure previste dalla normativa per l'avviamento in discarica degli scarti, con particolare riferimento alle norme concernenti l'obbligo della preventiva compilazione di certificazioni attestanti l'ammissibilità dei rifiuti e dei formulari di identificazione dei rifiuti medesimi, che in tal modo venivano conferiti in discarica e smaltiti in assenza di documentazione.
Attualmente, come precisato dal procuratore aggiunto di Trapani, la discarica Borranea è totalmente dissequestrata. Nel tempo vi sono stati numerosi provvedimenti di sequestro che hanno riguardato ora un lotto, ora un altro. Il sequestro, ha dichiarato il magistrato, in alcuni casi è effettivamente servito per attivare, stimolare, per così dire, gli organi competenti a mettere in atto quelle modifiche necessarie per rendere la discarica accettabile.
Peraltro sono in corso ulteriori indagini preliminari concernenti la discarica sita in contrada Borranea (gli atti sono però coperti da segreto istruttorio e non ostensibili), e ciò ad ulteriore conferma delle problematiche mai risolte concernenti la discarica in oggetto.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve osservarsi come la struttura commissariale dell'emergenza si sia rivelata nei fatti inidonea a risolvere le problematiche relative alla discarica. Nel tempo le carenze strutturali e gestionali non sono state in alcun modo colmate, anzi si sono in qualche modo radicalizzate ed aggravate, e ciò nonostante i numerosi procedimenti penali relativi alla discarica e che hanno visto coinvolti privati e pubblici amministratori. Nei fatti, la gestione commissariale, da un lato, e gli interventi della magistratura, dall'altro, non hanno determinato una radicale riorganizzazione dal punto di vista gestionale e strutturale della discarica.
4.2) Indagini relative ai rifiuti provenienti dal settore marmifero.
Altro procedimento di rilevante interesse per i lavori di questa Commissione è quello relativo alle violazioni della normativa specifica per quanto concerne il settore marmifero: una delle località in cui maggiormente è presente l'attività illecita di gestione dei rifiuti del marmo è il comune di Custonaci, località dove peraltro si concentrano le maggiori attività industriali del settore, trattandosi di un centro di esportazione di marmo in tutto il territorio nazionale ed anche all'estero.
Ebbene, le numerose attività investigative hanno evidenziato un'insufficiente azione di controllo da parte degli organi delle pubbliche amministrazioni a ciò delegati, ed in tal modo è stato reso possibile il proliferare di tutte le attività illecite connesse alla produzione dei rifiuti in questo settore.
Il magistrato, nel corso dell'audizione, ha precisato che è sufficiente uno sguardo sulle coste del territorio trapanese per rendersi conto degli enormi quantitativi di rifiuti illecitamente smaltiti e costituiti da scarti di lavorazione del marmo (peraltro nettamente visibili anche nelle aree interne del territorio e nei siti di lavorazione). Come precisato dalla dottoressa Leone nel corso dell'audizione, esistono siti destinati a recuperi ambientali, costituiti da ex cave dismesse colmate mediante l'utilizzo illecito dei fanghi di lavorazione del marmo, che contiene peraltro una sostanza altamente tossica che è lo stirene (sostanza particolarmente pericolosa per la salute dell'uomo, essendo fonte di diverse patologie delle vie respiratorie nonché probabile agente cancerogeno).
La cosa sorprendente, ed è questa la circostanza emersa nel corso dell'audizione, è che nella zona non esista un impianto autorizzato di discarica di questo tipo di rifiuti. In un'area a così alta concentrazione di taglio del marmo, come è possibile che la pubblica amministrazione non si sia posto il problema di fornire una risposta concreta alle esigenze del territorio, realizzando o comunque autorizzando impianti specifici?
Evidentemente in questo senso si registrano carenze da parte della pubblica amministrazione anche di fronte a situazioni, come quella rappresentata dal procuratore aggiunto di Trapani, nelle quali le scelte fisiologiche avrebbero portato a realizzare impianti ad hoc. Evidenti carenze vi sono anche sotto il profilo dei controlli da parte degli organi a ciò deputati, controlli che, ove fossero effettuati in maniera incisiva, razionale e sistematica certamente consentirebbero di contenere questo fenomeno.
Ed ancora, un'altra indagine conclusa dalla procura della Repubblica di Trapani, che ha visto coinvolti diversi soggetti sia pubblici che privati, ha preso le mosse dallo smaltimento dei fanghi di dragaggio del porto di Trapani, fanghi che venivano illecitamente smaltiti, anche mediante interramento, oppure portati presso la discarica sita in contrada Borranea, utilizzando falsi certificati che classificavano i rifiuti come «non pericolosi».
Nel predetto procedimento (risalente all'anno 2006), è stato contestato il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in relazione all'allestimento, da parte degli indagati, di mezzi e di attività continuative organizzate mediante operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti speciali pericolosi del tipo fanghi in siti non autorizzati, il tutto al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel risparmio economico/amministrativo sulle procedure per un corretto smaltimento, compresi i costi previsti nel capitolato d'appalto per la ditta appaltatrice dei lavori.
In sostanza, la procura della Repubblica di Trapani ha avviato procedimenti molto importanti in materia di reati ambientali che hanno evidenziato la presenza di vaste sacche di illegalità, con l'accertamento di gravi fenomeni speculativi in ordine allo smaltimento dei rifiuti.
Altra indagine, sia pure più datata, è quella risalente al 2001, anno in cui la procura della Repubblica ha proceduto al sequestro preventivo di numerose decine di lotti appartenenti al consorzio A.S.I. (area di sviluppo industriale) ed a privati, nelle quali da anni era stata svolta una sistematica attività di smaltimento di materiali di risulta da attività di demolizione, nonché amianto ed altri rifiuti pericolosi, con finalità di riempimento di zone depresse (ex saline) ed il conseguente accertato inquinamento di zone protette (riserva delle saline di Trapani) e della sottostante falda acquifera.
Come evidenziato dal procuratore di Palermo, dottor Messineo, tali fenomeni criminosi, per la loro ampiezza e sistematicità, hanno certamente potuto diffondersi grazie al mancato intervento, quando non a vere e proprie collusioni, da parte degli enti territoriali, il che pone in evidenza il problema del funzionamento dei meccanismi di controllo del territorio.
5) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Marsala.
Per quanto riguarda il territorio di competenza della procura della Repubblica di Marsala, sono stati segnalati prevalentemente procedimenti relativi a discariche abusive di rifiuti di diverso genere, speciali, pericolosi e non pericolosi
Si è registrata una situazione di diffusa illegalità (in particolare sono stati accertati depositi di materiali inerti provenienti da scavi, sfabbricidi provenienti da demolizioni di edifici, carcasse di auto o parti di autovetture fuori uso, liquidi vegetali e sottoprodotti di origine animale, fanghi provenienti da operazioni di dragaggio), ma non sono emersi elementi di commistione con la criminalità organizzata.
Secondo quanto affermato dal sostituto procuratore della Repubblica, dottoressa Angela Avila, probabilmente ha influito la costituzione di una società d'ambito, la società Belice Ambiente spa per la provincia di Trapani, con partecipazioni e finalità esclusivamente pubblicistiche, senza interventi dei privati, che è subentrata ai comuni nell'attivazione del ciclo integrato dei rifiuti.
Le più severe procedure di controllo all'interno di questa società d'ambito, soprattutto a seguito della nuova gestione dal mese di novembre 2006, sono state verificate più volte dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Marsala e non sono state riscontrate anomalie significative, né intromissioni della criminalità organizzata.
Per quanto concerne poi i procedimenti principali trattati in materia ambientale dalla procura di Marsala, è stato segnalato un procedimento che attualmente pende in fase dibattimentale (proc. n. 1658/06 mod. 21) a carico del legale rappresentante della Sicilfert, che è uno stabilimento produttivo che si trova a Marsala in contrada Maimone (iscritta nel registro delle imprese esercenti attività di recupero rifiuti non pericolosi, attività di raccolta e smaltimento rifiuti, nonché produzione di fertilizzanti e concimi).
Nel corso delle indagini sono state rilevate numerose violazioni alle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo e, anche a seguito di consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero e confermate in sede di incidente probatorio, sono stati evidenziati i problemi di inquinamento ambientale legati alla violazione delle prescrizioni.
L'impianto è stato sottoposto a sequestro preventivo e successivamente dissequestrato nel mese di febbraio-marzo 2009, essendo stato adeguato alle prescrizioni impartite (peraltro è stata segnalata l'apertura di un nuovo procedimento penale nel mese di luglio 2009, in relazione ad ulteriori violazioni poste in essere nuovamente dal legale rappresentante della Sicilfert, in relazione a numerosi scarichi di materiale di sovvallo proveniente dalla lavorazione dei rifiuti non pericolosi, svolta presso la Sicilfert e costituente rifiuto speciale, presso vari terreni nella disponibilità dell'indagato e del fratello dell'indagato).

Un'altra società sottoposta a verifica è la Ecological Service, che si occupa dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi con impianto ubicato in Marsala, contrada Amabilina. Anche in questo caso nel corso delle indagini preliminari si è proceduto al sequestro preventivo, essendo state riscontrate, da parte della procura, numerose violazioni alle prescrizioni tecniche per le modalità di esercizio e di gestione degli impianti, oltre alla presenza di fusti contenenti rifiuti speciali pericolosi.
Sono state inoltre effettuate verifiche in merito alla discarica comunale di Castelvetrano, sita in contrada Rampante Favara, all'interno di una cava in disuso affidata alla gestione della Belice Ambiente per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Si tratta di un procedimento pendente ancora nella fase delle indagini preliminari, ma molti degli atti (trattandosi evidentemente di atti garantiti) sono stati ostesi. I sopralluoghi eseguiti dall'ARPA hanno evidenziato numerosi superamenti dei tassi di soglia minimi previsti dai provvedimenti di autorizzazione ed anche il Ministero dell'ambiente ha più volte sollecitato il responsabile della Belice Ambiente ad adeguare l'impianto e la discarica.
6) Attività illecite riconducibili alla criminalità organizzata.
Con riferimento alle infiltrazioni mafiose nello smaltimento dei rifiuti in provincia di Trapani, il procuratore di Palermo ha segnalato un procedimento seguito dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo (proc. n. 4495/94) nell'ambito del quale è stato evidenziato come, sin dal 1996, fosse stato acquisito il controllo del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani di Trapani e della gestione dell'impianto comunale di riciclaggio dei rifiuti stessi da parte della famiglia mafiosa di Trapani, capeggiata dall'allora latitante Virga Vincenzo.
In sostanza, le indagini avevano consentito di accertare le modalità attraverso le quali la criminalità mafiosa si era inserita in modo totalizzante nel settore dei rifiuti:
l'ingerenza della famiglia Virga era stata possibile attraverso una fitta rete societaria caratterizzata dalla partecipazione occulta della famiglia Virga, attraverso prestanome, all'interno delle medesime società;
la gestione dell'impianto di riciclaggio era avvenuta attraverso la società cooperativa a responsabilità limitata "Lex", che svolgeva attività anche nella provincia di Catania, intrattenendo legami con i gruppi mafiosi locali facenti capo a Nitto Santapaola;
l'attività di raccolta e trasporto era gestita mediante sub-appalti e contratti di nolo a freddo a favore di società controllate dalla famiglia Virga;
l'aggiudicazione dell'appalto alla cooperativa Lex era avvenuto in violazione delle norme che regolamentano il settore.
Nel 1998 sono state poi eseguite le ordinanze di custodia cautelare nell'ambito dell'indagine testé menzionata, e la società cooperativa Lex è stata dichiarata fallita (peraltro risultano pendenti numerosi ulteriori procedimenti per i reati di truffa, falso e bancarotta fraudolenta a carico degli amministratori, di diritto e di fatto, della società).
Sempre in un altro procedimento della direzione distrettuale antimafia (n. 14862/00), sono state acquisite ulteriori conferme rispetto al perdurante controllo di cosa nostra sul settore degli appalti relativi all'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
È stato infatti accertato che la famiglia mafiosa trapanese, per il tramite dell'affiliato Coppola Leonardo (arrestato poi nel 2001), aveva sottoposto gli imprenditori del settore ad un pressante controllo che garantiva la predeterminazione, da parte di cosa nostra, dei soggetti che avrebbero dovuto aggiudicarsi gli appalti pubblici per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, e ciò attraverso una sistematica attività di turbativa d'asta e di intimidazione dei concorrenti.
Peraltro si è accertato come l'associazione mafiosa trapanese fosse in grado di predeterminare gli inviti delle imprese anche con riferimento alle trattative private, per quel che concerneva i lavori minori concessi a trattativa privata (come i lavori di pulizia straordinaria, disinfestazione, derattizzazione), sempre attraverso attività di intimidazione o meccanismi collusivi con gli uffici amministrativi e gli assessorati del settore.
Ed ancora, nel mese di giugno 2002, si è proceduto al sequestro preventivo di sette imprese trapanesi e marsalesi, direttamente o indirettamente riferibili ad affiliati mafiosi, che rappresentavano i più importanti gestori di appalti pubblici nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella provincia di Trapani.
Gli interessi criminosi nel settore dello smaltimento dei rifiuti sono altresì testimoniati dai numerosi episodi di danneggiamento ed incendio che hanno riguardato, a partire dal 1998 fino al 2001, l'impianto di riciclaggio di contrada Borranea a Trapani ed i mezzi speciali (autocompattatori) della società mista Trapani Servizi srl che dal 2001 ha assunto il servizio di trasporto dei rifiuti e di gestione della discarica nella provincia di Trapani.
Ebbene, a seguito di specifiche attività investigative si è accertata la responsabilità di Virga Pietro, figlio del capo mandamento mafioso di Trapani, e di altri affiliati mafiosi, successivamente condannati per il reato di attentato ad impianti di pubblica utilità.
Evidentemente la famiglia mafiosa, dopo l'estromissione delle società dalla stessa controllate, aveva tentato attraverso atti intimidatori di ostacolare la gestione dell'impianto da parte della società Trapani Servizi srl.
Con riferimento ad indagini più recenti, è stato evidenziato che molte delle indagini avviate dalla procura di Trapani in materia ambientale hanno visto coinvolti soggetti che, seppure in passato erano stati indiziati di appartenere all'organizzazione mafiosa, non sono stati però condannati in via definitiva.
Si può quindi ipotizzare che cosa nostra possa avvalersi di soggetti vicini all'organizzazione ma la cui affiliazione non sia stata ancora accertata, per la gestione di rilevanti interessi nel settore dell'illecito smaltimento dei rifiuti.
III Provincia di Agrigento.
1) Attività della Commissione. Premessa.
Anche con riferimento alla provincia di Agrigento sono state effettuate dalla Commissione attività mirate per comprendere quale sia la situazione della provincia in merito al ciclo dei rifiuti ed in quale modo la criminalità, comune e non, si interessi concretamente al settore.
A questo fine sono stati auditi, nel corso della prima missione in Sicilia effettuata dalla Commissione nel mese di settembre 2009, il prefetto e il questore di Agrigento, dottor Umberto Postiglione e dottor Girolamo Di Fazio, il presidente della provincia di Agrigento, dottor Eugenio D'Orsi, e il sindaco di Agrigento, dottor Marco Zambuto.
Sono stati poi auditi i magistrati della procura della Repubblica di Agrigento e di Sciacca e, sempre con riferimento alla situazione della provincia, il Comandante del Noe di Palermo.
Nel corso della missione in Sicilia svoltasi dall'8 al 10 giugno 2010, proprio in merito alle indagini relative alla discarica di Campobello di Licata, è stato audito il procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo, il quale si occupa del settore direzione distrettuale antimafia per la provincia di Agrigento, dottor Vittorio Teresi.
In realtà, notizie riguardanti l'indagine sulla discarica di Campobello di Licata erano state acquisite anche nel corso della precedente missione, ma le dichiarazioni rese dai magistrati e dal Comandante del Noe erano state secretate in quanto non vi era stata ancora alcuna discovery degli atti di indagine. Nei mesi successivi sono state invece adottate ed eseguite misure cautelari personali e reali, sicché gli atti d'indagine risultano in larga parte ostesi.
2) Gestione del ciclo dei rifiuti.
Nella provincia di Agrigento, nel 2004, il commissario delegato per il superamento dello stato d'emergenza nel settore dei rifiuti aveva disposto la costituzione di tre ambiti territoriali ottimali:
ATO AG1 con società d'ambito SOGEIR spa;
ATO AG2 con società d'ambito GE.S.A. spa;
ATO AG3 con società d'ambito DEDALO Ambiente.
Il prefetto di Agrigento, dottor Postiglione, nella nota inviata alla Commissione, ha evidenziato una serie di criticità legate al ciclo dei rifiuti e segnatamente alla gravissima situazione di deficit finanziario in cui versano le società d'ambito territoriale.
«Gli approfondimenti effettuati in materia sembrano, infatti, evidenziare non solo che il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti potrebbero, nel giro di pochi mesi, bloccarsi, ma che anche la raccolta differenziata potrà essere avviata con enormi difficoltà».
Allorquando il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti era affidato ai singoli comuni, questi provvedevano, in sede di bilancio, a prevedere il recupero delle relative spese con i ruoli della TARSU, i cui importi oscillavano tra il 50 e il 60 % dei costi del servizio; la copertura totale dei costi suddetti veniva assicurata attraverso un'integrazione prevista a carico di altre entrate di bilancio.
Quando sono stati costituiti gli ATO (nella forma di società per azioni i cui soci, costituiti dai comuni, erano tenuti a ripianare le perdite di gestione) le amministrazioni locali hanno trasferito agli ATO i ruoli TARSU per la riscossione.
A questo punto le nuove tariffe hanno subito un rapido aumento, con il raddoppio in alcuni casi dell'importo delle bollette, in quanto gli ATO non avevano entrate diverse da quelle relative al ruolo TARSU e dovevano comunque coprire il 100% dei costi del servizio, come prescritto dalla normativa in materia.
Sono seguite quindi proteste accese da parte dei cittadini, che si sono rifiutati di pagare gli importi dovuti; a ciò è ovviamente seguita una situazione di grave indebitamento finanziario degli ATO che spesso non hanno potuto far fronte ai pagamenti nei confronti delle imprese che hanno in appalto il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti e che, a loro volta, hanno pagato con ritardo i dipendenti, determinando proteste e scioperi.
Nella nota sopra menzionata, il prefetto aggiunge «considerato che i cittadini, anche in ragione delle polemiche tra amministratori dei comuni e degli ATO, sono restii a pagare le cartelle dagli importi così lievitati e che, dal canto loro, i comuni sono restii ad integrare i costi sostenuti dagli ATO, è ragionevole immaginare che il sistema possa, a breve, crollare, determinando situazioni di emergenza di tipo campano, non tanto per la carenza di discariche ma per la interruzione dei servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti».
In sostanza, nella provincia di Agrigento si ripropongono le stesse problematiche in materia di smaltimento dei rifiuti analoghe a quelle che si evidenziano nelle altre province della regione siciliana: grave deficit finanziario delle società d'ambito territoriale, problemi legati all'interruzione del servizio di raccolta dei rifiuti da parte dei dipendenti delle imprese che hanno in appalto il servizio (che non ricevono il pagamento delle spettanze loro dovute e che quindi non sono in condizione di pagare i dipendenti), smaltimento dei rifiuti che avviene quasi esclusivamente mediante conferimento in discariche per rifiuti non pericolosi.
Peraltro, la situazione di grave difficoltà finanziaria degli ATO pare riconducibile anche ad una eccessiva mole di assunzioni, da un lato, assolutamente esorbitanti rispetto alle esigenze del servizio, dall'altro, fonte di costi insostenibili e riconducibili esclusivamente a interessi di carattere clientelare.
Sul punto sono state molto dure le parole del presidente della provincia di Agrigento (Eugenio D'Orsi) in sede di audizione: «Sono convinto che le assunzioni vengano fatte in maniera indecorosa. C'è un gran numero di assunzioni e di enti non in regola con i pagamenti. Ciò comporta che ogni mese abbiamo uno sciopero ed è necessario fare ricorso a tutte le risorse di riserva per venire incontro a queste situazioni.». A seguito di specifica domanda del presidente della Commissione, onorevole Gaetano Pecorella, in merito alla possibilità che le assunzioni siano frutto di imposizioni da parte della criminalità organizzata, il presidente della provincia di Agrigento ha risposto: «Credo che le pressioni esistano ma non potrei affermare di averle constatate personalmente. Dico semplicemente che le assunzioni si basano non su un concorso, ma sulla raccomandazione che arriva dai politici o da altre figure. Sono convinto che questo avvenga, ma non posso dire di avere assistito ad una situazione del genere. Se avessi avuto la fortuna di vedere un fatto simile, lo avrei denunciato all'autorità giudiziaria. Credo che comunque ci sia un interesse particolare. Oggi l'immondizia è più importante dell'oro, è più cara della benzina».
Altro profilo di criticità degli ATO riguarda anche le nomine degli amministratori, spesso provenienti dal mondo della politica senza specifiche competenze nel settore dei rifiuti; ciò ha comportato nel tempo l'affidamento di costose consulenze esterne a terzi esperti, con conseguente ulteriore aggravio della situazione economica degli ATO.
Per quanto riguarda i reati ambientali, nella nota trasmessa dal procuratore generale presso la corte d'appello di Palermo, si evidenzia come il numero totale dei procedimenti pendenti presso il circondario di Agrigento sia particolarmente elevato.
La procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento ha dovuto inoltre contrastare una prassi legata all'agricoltura e consistente nell'incenerimento sul terreno delle coperture di materiale plastico utilizzate per proteggere vaste aree di terreno occupate da colture pregiate; si tratta di una prassi particolarmente nociva per l'ambiente perché determina la liberazione nell'atmosfera e nell'ambiente di pericolose sostanze inquinanti quali la diossina.
Anche per quanto riguarda la discarica di Campobello di Licata sono stati aperti diversi procedimenti attinenti all'illecito smaltimento del percolato prodotto dalla discarica medesima e vi sono in corso procedimenti relativi alle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nella gestione della discarica.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
Le notizie acquisite dalla Commissione sono state fornite essenzialmente dai procuratori della Repubblica presso il tribunale di Agrigento e presso il tribunale di Sciacca.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento.
Nel corso della missione in Sicilia è stato audito il procuratore aggiunto della procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento.
In quel contesto sono stati evidenziati, innanzi tutto, gli aspetti di criticità connessi alla problematica della raccolta dei rifiuti, resa complessa dalla grave crisi finanziaria degli ATO.
In diverse occasioni è stata interrotta l'attività di raccolta dei rifiuti, e sono stati quindi iscritti presso la procura della Repubblica procedimenti penali per il reato di interruzione di pubblico servizio, procedimenti nell'ambito dei quali si è inteso evidentemente verificare se fossero configurabili responsabilità di carattere penale in capo ai legali rappresentanti degli ATO ed alle imprese deputate alla raccolta.
Sono stati poi evidenziati due procedimenti recenti in materia di reati ambientali.
Un procedimento ha visto coinvolto il sindaco di Lampedusa, il quale è anche stato tratto in arresto sulla base delle dichiarazioni di imprenditori ai quali avrebbe fatto indebite richieste di somme di denaro per la corresponsione di quanto dovuto alle imprese che avevano effettuato la loro attività di trasferimento dei rifiuti dall'isola e che avevano avviato un contenzioso con l'amministrazione comunale.
Un altro procedimento penale ha riguardato la discarica di Campobello di Licata, in relazione al quale le indagini sono state svolte dal NOE del gruppo di Napoli (nella nota trasmessa dal NOE al riguardo si legge «altro impianto, non in esercizio, insistente nel comune di Campobello di Licata, oggetto di recenti indagini del dipendente Nucleo, ha evidenziato rilevanti situazioni di non conforme gestione, tali da richiedere urgenti provvedimenti di messa in sicurezza»).
Ebbene, è pervenuto alla Commissione il recentissimo provvedimento di sequestro preventivo che è stato emesso dal Gip presso il tribunale di Agrigento il 30 marzo 2010 e che ha riguardato la discarica rifiuti solidi urbani ubicata in contrada Bifara-Favarotta in Agro di Campobello di Licata.
È stato contestato nei confronti del gestore della discarica, amministratore della società Dedalo Ambiente spa, il reato di cui all'articolo 256, commi 1 e 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, per avere illecitamente gestito rifiuti speciali consistiti nel percolato prodotto dalla stessa discarica, attraverso operazioni non autorizzate di smaltimento consistite nel convogliare il percolato in un pozzetto di raccolta delle acque meteoriche pertinente alla vasca n. 3 ed al suo successivo scarico sul suolo mediante una condotta di allontanamento conducente in un'area esterna al perimetro della discarica.
Ed ancora, sono state contestate una serie di condotte illecite consistite, secondo l'impostazione accusatoria:
nell'omessa raccolta, captazione e smaltimento del percolato e delle acque di discarica in modo tale da assicurare il mantenimento dei requisiti di sicurezza ambientale; in particolare ciò veniva effettuato sigillando con argilla il pozzetto di raccolta delle acque meteoriche posto a servizio delle vasche n. 3 e 4, in tal modo negando sfogo al sistema di raccolta delle acque meteoriche e causandone il dirottamento nei pozzi di captazione del percolato con commistione pericolosa tra il sistema di smaltimento delle acque meteoriche e quello del percolato;
nell'omessa copertura dei tre moduli di conferimento rifiuti area di discarica mediante la posa di geomembrana in HDPE necessaria al fine di evitare l'infiltrazione delle acque meteoriche, con conseguente aumento proporzionale del percolato giacente in discarica;
nell'omessa attivazione di un sistema per lo smaltimento del biogas;
nel non aver impedito che l'eccessiva presenza di percolato concorresse alla produzione di diffusi movimenti franosi che, interessando sia il versante che la sponda della discarica, minacciano di arretrare sino ad interessare lo stesso corpo della discarica (in particolare, la vasca per la raccolta del percolato a valle della vasca 2 appariva inclinata per movimento franoso; la strada alla base della vasca 2 appariva in frana come pure la recinzione della discarica; la strada perimetrale della fossa n. 3 era in frana in direzione della adiacente vasca di accumulo del percolato; la sponda laterale sud est della discarica - vasca n. 2 - era interessata da evidente erosione).
Ciò che colpisce della lettura del provvedimento è che le violazioni relative al non corretto smaltimento del percolato della discarica si sarebbero perpetuate in un ampio arco di tempo, a decorrere almeno dal 4 maggio 2004, dando luogo ad uno stato di incuria che si sarebbe protratto, sempre secondo l'impostazione accusatoria, anche oltre la data di chiusura della discarica, decretata nel mese di giugno 2008.
Era stata già emessa dal tribunale di Agrigento nel 2004 una sentenza di condanna, ormai passata in giudicato, nei confronti dell'amministratore della società LAES srl, con la quale si dichiarava il mancato apprestamento giornaliero di rifiuti all'interno della discarica e la omessa predisposizione di un sistema di captazione delle acque meteoriche.
A seguito del passaggio di consegne dalla LAES srl alla Dedalo Ambiente spa nel mese di agosto 2006, gli sforzi compiuti da tale ultima società al fine di porre rimedio alle già preesistenti criticità non sono risultati affatto sufficienti ad assicurare un'ottimizzazione nella gestione del percolato.
Le opere necessarie e programmate nel progetto di messa in sicurezza del percolato presentato all'autorità competente non sono state realizzate attesa la «insufficiente capacità finanziaria» della società Dedalo Ambiente spa che risultava avere un contenzioso amministrativo con il comune di Campobello di Licata circa l'individuazione del soggetto tenuto ad erogare le somme dovute per la messa in sicurezza definitiva. In sostanza, la Dedalo Ambiente lamentava di non avere potuto effettuare i lavori in quanto non aveva ricevuto dal comune di Campobello di Licata le somme dovute.
Per la risoluzione del problema, l'agenzia regionale dei rifiuti e delle acque di Palermo riuniva nel mese di aprile 2009 un tavolo tecnico, unitamente a personale del comune e della Dedalo, e rilevava come, a prescindere dal contenzioso amministrativo in corso tre i due enti, l'obbligo primario di procedere agli interventi di messa in sicurezza della discarica gravasse sul comune di Campobello di Licata, in ragione della considerazione che il comune risultava ancora in possesso delle somme già accantonate e riferite alla gestione post mortem della discarica stessa.
Il comune però rispondeva all'Agenzia che ogni intervento era da addebitare alla società Dedalo (peraltro nel corso delle indagini si accertava che la somma accantonata nelle casse del comune specificatamente riferita alla messa in sicurezza e gestione post mortem della discarica fosse di euro 3.665.798).
In sostanza anche in questo caso si è assistito ad una situazione di evidente pregiudizio per la salubrità dell'ambiente e la salute dei cittadini, a fronte di una situazione di estrema conflittualità venutasi a creare in ordine all'individuazione del soggetto tenuto ad effettuare le opere di messa in sicurezza della discarica: da un lato, il comune di Campobello di Licata, quale ente proprietario della discarica, dall'altro, la società Dedalo spa quale ente gestore (peraltro secondo una giurisprudenza di legittimità vi sarebbe una responsabilità del gestore della discarica anche nella fase post-mortem).
Quello che colpisce, a prescindere dalle situazioni di conflittualità in atto, è l'amplissimo arco di tempo durante il quale vi è stata una non corretta gestione, raccolta e smaltimento del percolato, con le gravissime conseguenze oggi evidenziate dai carabinieri del Noe di Palermo e che hanno determinato la magistratura a procedere al sequestro preventivo della discarica.
Sebbene vi fosse stata una sentenza di condanna del 2004 a carico del precedente gestore rispetto a problematiche analoghe attinenti al percolato della discarica, sono passati sei anni senza che siano state realizzate le opere di messa in sicurezza definitive.
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Sciacca.
Presso la procura della Repubblica di Sciacca pendono diversi procedimenti per reati ambientali. I dati più significativi sono stati forniti dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Sciacca nel corso dell'audizione effettuata innanzi a questa Commissione.
La maggior parte dei procedimenti pendenti riguarda il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività di gestione dei rifiuti non autorizzata) mentre pende un solo procedimento in fase di indagine preliminare contro autori noti per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti).
Un gran numero di procedimenti iscritti per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 riguarda l'illecito smaltimento ed utilizzo di materiali provenienti dall'attività edilizia, cosiddetti sfabbricidi, smaltimento che viene effettuato in violazione delle specifiche prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi, in siti che, sebbene muniti di autorizzazione rispetto all'estrazione di materiali di cava, in realtà vengono utilizzati nella quasi totalità dei casi come discariche abusive.
Con riferimento alle possibili infiltrazioni della criminalità mafiosa nel settore dei rifiuti, sono stati segnalati due procedimenti riguardanti la gestione e realizzazione di una discarica non autorizzata, in un'area di vaste dimensioni (peraltro oggetto di provvedimento di sequestro preventivo), appartenente ad un soggetto imputato in separati procedimenti per associazione a delinquere di stampo mafioso.
A parte questo riferimento di carattere soggettivo, ha sottolineato il magistrato audito, non sono stati però acquisiti elementi che possano far ritenere che vi sia un interesse o un coinvolgimento da parte dell'organizzazione mafiosa cui si ipotizza il soggetto appartenga.
È stato inoltre iscritto un procedimento a carico di altro soggetto, titolare di attività estrattiva di cava: anche in questo caso la cava sarebbe stata utilizzata per lo smaltimento degli sfabbricidi ed anche in questo caso si tratta di un soggetto imputato in separato procedimento per associazione a delinquere di stampo mafioso; a parte questo elemento soggettivo, non sono stati acquisiti ulteriori elementi certi di prova circa un eventuale coinvolgimento nell'attività di illecito smaltimento da parte dell'organizzazione mafiosa cui si ipotizza che il soggetto appartenga.
Il dato sopra evidenziato, di per sé apparentemente poco significativo, in realtà assume importanza alla luce di quello che è emerso a livello nazionale e che è stato anche rappresentato dal procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso, nel corso dell'audizione in Commissione. Testualmente, il procuratore Nazionale Antimafia ha dichiarato «come ho anticipato, molta attenzione è stata riservata alle cave perché, tradizionalmente, queste entrano nel ciclo gestito dalla criminalità organizzata, nei territori dove è presente. Difatti, le cave, che servono per trarre gli inerti utilizzati per le costruzioni, quando si esauriscono diventano degli ottimi contenitori per i rifiuti da smaltire. Sotto questo aspetto la nostra attenzione è massima. A questo scopo, abbiamo avviato un monitoraggio di tutte le cave, utile sia per controllarne la titolarità, sia per verificare se le persone titolari siano o meno prestanome, oppure abbiano relazioni con appartenenti alla criminalità organizzata; sia, infine, per controllare, rispetto a quelle attive, la loro attività nella fornitura degli inerti ai fini del ciclo del cemento e del calcestruzzo e, rispetto a quelle inattive, se siano utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti».
In sostanza, il dato emerso a livello nazionale è che, nei luoghi ove è radicata la criminalità organizzata, le cave vengano pressoché sistematicamente utilizzate per realizzare discariche abusive, gestite da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata.
Proprio per questa ragione bisogna costantemente controllare come vengano rilasciate le autorizzazioni per l'attività estrattiva e in che misura vengano effettuati i controlli da parte delle competenti autorità amministrative in merito all'effettivo esercizio, nel rispetto della legge, della medesima attività.
Altri procedimenti risultano iscritti per articolo 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e riguardano precisamente gli scarichi reflui industriali provenienti da impianti di industrie ittico-conserviere di Sciacca; sono state inoltre concluse le indagini per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nel corso delle quali è stato disposto il sequestro preventivo di un importante impianto di distillazione ubicato nelle immediate vicinanze di Sciacca, all'interno del quale era stata rinvenuta una discarica costituita da scarti di materiali provenienti dalla lavorazione.
Il Comandante del NOE di Palermo, con riferimento alla situazione delle discariche nella provincia di Agrigento, ha evidenziato che le discariche in esercizio sono quelle di Sciacca, di Siculiana ed Alessandria Della Rocca.
La discarica di Siculiana, realizzata e gestita dall'impresa "Catanzaro Costruzioni" non ha evidenziato problematiche particolari (salvo alcuni procedimenti penali relativi al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale).
La discarica di Sciacca ha evidenziato problematiche connesse al sistema di captazione e smaltimento del percolato (problematica, questa, che riguarda pressoché tutte le discariche che operano in Sicilia, ed è accentuata dalla mancanza in tutta la regione di un adeguato impianto di smaltimento del percolato).
Per quanto riguarda l'impianto di Campobello di Licata (non più in esercizio) sono state avviate diverse indagini sia dalla procura ordinaria di Agrigento sia dalla procura distrettuale antimafia di Palermo (indagini queste ultime sulle quali ci si soffermerà nel successivo paragrafo).
La discarica di Siculiana, secondo quanto dichiarato dal prefetto di Trapani nel corso dell'ultima audizione, probabilmente verrà utilizzata a breve dai comuni della provincia di Trapani per il conferimento dei rifiuti (essendo ormai in via di saturazione la discarica di Trapani in Contrada Borranea e la discarica di Campobello di Mazara).
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Nel corso della prima missione in Sicilia effettuata da questa Commissione sono stati auditi il prefetto ed il questore di Agrigento, anche in merito all'eventuale presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Il prefetto di Agrigento, dottor Postiglione, ha evidenziato come la pressione delle cosche sulle attività che riguardano la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti sia stata nel tempo esercitata secondo le forme tradizionali, cioè attraverso l'imposizione del pizzo; tuttavia non si sarebbe mai manifestata con pienezza una forma di gestione, diretta o indiretta, della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Notizie più precise sono state acquisite dalle forze di polizia che operano sul territorio con attività investigative mirate in materia ambientale, e il Comandante del NOE di Palermo, Antonio Tarallo, ha dato importanti informazioni concernenti tutta la situazione della Sicilia occidentale.
Per quanto riguarda la Sicilia occidentale, il Capitano ha dichiarato che risulta evidente l'interessamento di «cosa nostra» nella gestione dei rifiuti, in particolare nelle provincie di Palermo, Trapani ed Agrigento.
4.1) La discarica di Campobello di Licata.
Un'indagine emblematica di come la criminalità organizzata possa inserirsi nel settore dei rifiuti anche gestendo direttamente le relative attività è quella concernente la discarica di Campobello di Licata, indagine curata dal dottor Vittorio Teresi, procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Palermo.
Sul punto, importanti notizie erano state acquisite dalla Commissione nel corso della prima missione in Sicilia, allorquando era stato sentito il Comandante Tarallo, nonché il procuratore aggiunto della procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento, dottor Giovanni Fonzo, ma in quella base le dichiarazioni erano state secretate in quanto gli atti di indagine erano ancora coperti dal segreto istruttorio.
Nel corso della missione in Sicilia dell'8 giugno 2010 è stato sentito il procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia di Palermo, dottor Vittorio Teresi, il quale si occupa specificatamente della zona di Agrigento ed ha seguito le indagini che hanno riguardato la costruzione e la gestione della discarica di Campobello di Licata, sulla quale si sono concentrati gli interessi mafiosi della provincia di Agrigento, facenti capo a Giuseppe Falzone, per molti anni latitante.
Nell'ambito di questa indagine sono state emesse dal Gip ordinanze applicative di misure cautelari di custodia in carcere, e gli elementi di prova utilizzati sono stati costituiti, da un lato, dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Sardino e Maurizio Di Gati, i quali indicavano Giuseppe Falzone come un soggetto che aveva interessi criminali in molte delle attività economiche della provincia di Agrigento, comprese quelle relative alla gestione della discarica di Campobello di Licata, dall'altro, dai risultati delle intercettazioni telefoniche.
In particolare, Giovanni Falzone avrebbe percepito dal comune di Campobello di Licata il pagamento di canoni per l'utilizzo della discarica, canoni quantificati in circa 50.000 euro annui.
Le propalazioni dei collaboratori di giustizia risultano riscontrate, secondo quanto dichiarato dal magistrato nel corso dell'audizione, innanzi tutto documentalmente, atteso che nel corso di una perquisizione effettuata in una delle abitazioni indicate dai collaboratori di giustizia come possibili covi di Falzone, sono stati sequestrati documenti che in sostanza rappresentavano la contabilità relativa alla gestione della discarica di Campobello di Licata; molti dei documenti rinvenuti e sequestrati risulterebbero vergati a mano proprio dal latitante Falzone. Ulteriori elementi di riscontro sarebbero stati acquisiti attraverso i risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali autorizzate nel corso del procedimento.
In sostanza, lo spaccato che emerge dal procedimento penale sopra menzionato (che pende però ancora in fase di indagini preliminari) è l'assoluta conferma dell'interesse generale dell'organizzazione mafiosa per tutte le attività economiche che si svolgono sul territorio, e quindi anche per le attività che riguardano la gestione del ciclo dei rifiuti, nel momento in cui rappresentano una possibile fonte di profitti illeciti.
IV - Provincia di Caltanissetta.
1) Attività della Commissione. Premessa.
Nel corso della prima missione in Sicilia (dal 15 al 17 settembre 2009), la Commissione ha approfondito anche la situazione della provincia di Caltanissetta e sono stati auditi il prefetto di Caltanissetta, dottor Vincenzo Petrucci, il presidente della provincia di Caltanissetta, dottor Giuseppe Federico, e il sindaco di Caltanissetta, dottor Michele Campisi.
Sono inoltre stati sentiti i magistrati operanti nel distretto di corte d'appello di Caltanissetta (cui appartengono i quattro circondari di Caltanissetta, Gela, Nicosia ed Enna), i quali hanno fornito importanti notizie in merito al fenomeno dei reati ambientali ed al coinvolgimento della criminalità, organizzata e non, nel settore dei rifiuti.
La provincia di Caltanissetta risente di tutte le criticità e le problematiche che si manifestano, in forma più o meno emergenziale in tutte le province della regione siciliana, sia per quanto riguarda le inefficienze e le inadeguatezze delle società d'ambito territoriale, con le conseguenti ricadute sulla corretta gestione del ciclo dei rifiuti nei rispettivi territori d'ambito, sia per quanto concerne l'inadeguatezza degli impianti di smaltimento e delle discariche, non razionalmente dislocate sul territorio.
La criticità della situazione della provincia può sintetizzarsi nei seguenti punti:
gravissimo deficit finanziario delle società d'ambito territoriale;
assoluta inadeguatezza degli impianti di smaltimento dei rifiuti;
eccessivo costo per il conferimento dei rifiuti nelle discariche, non razionalmente dislocate sul territorio;
netto aumento, dal punto di vista giudiziario, dei procedimenti in materia di reati ambientali, spesso connessi a reati contro la pubblica amministrazione;
gravissima scopertura dei posti di sostituto procuratore negli uffici giudiziari del distretto di corte d'appello di Caltanissetta
mancanza di adeguati e capillari controlli sul territorio da parte degli organi amministrativi a ciò deputati, determinati anche da gravi carenze di organico.
2) Gestione del ciclo dei rifiuti.
Nel territorio della provincia di Caltanissetta hanno operato, dal mese di dicembre del 2002, due società d'ambito: l'ATO CL1, costituito in forma di società per azioni formato dal comune di Caltanissetta e dalla provincia regionale, come soci di maggioranza, e da ulteriori quattordici comuni, e l'ATO CL 2.
A causa della situazione di grave deficit finanziario dell'ATO CL1, l'agenzia regionale per i rifiuti e le acque il 3 agosto 2009 ebbe a nominare un commissario ad acta con il compito di individuare i crediti legittimamente vantati dalla società d'ambito al fine di intraprendere le iniziative per il recupero delle somme.
In genere, come è emerso dall'analisi della situazione di altre società d'ambito in cui è stata effettuata la nomina di commissari ad acta, la procedura seguita dall'ARRA non ha fatto conseguire risultati soddisfacenti, in quanto in effetti non sono state avviate efficacemente attività di recupero dei crediti né è stata in alcun modo risanata la situazione gravemente deficitaria delle società d'ambito.
Negli ultimi anni, anche nella provincia di Caltanissetta, si sono verificati momenti di attrito tra le maestranze e gli ATO, per l'impossibilità di pagare ai lavoratori gli stipendi a causa della mancanza di liquidità nelle casse, dovuta anche all'incapacità dell'ATO di emettere correttamente i ruoli di riscossione.
Ciò ha determinato forme di protesta da parte dei lavoratori attraverso la sospensione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, con tutte le evidenti conseguenze dal punto di vista della salubrità dell'ambiente e della salute dei cittadini
Il secondo ambito territoriale ATO CL 2, secondo quanto precisato dal prefetto di Caltanissetta, non ha affidato il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ed assimilati per i comuni appartenenti all'ambito territoriale (tra cui il comune di Gela) a causa del contenzioso promosso innanzi al TAR di Palermo da parte della concorrente non aggiudicataria del servizio.
Allo stato, quindi, la quasi totalità del servizio di igiene urbana viene svolto dalle associazioni temporanee di impresa ECO.NET srl, Roma Costruzioni srl e CO.VE.CA. srl, a seguito dei trasferimenti dei contratti d'appalto dai comuni alla società d'ambito.
La gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Caltanissetta è particolarmente critica anche perché nella zona non vi sono impianti di smaltimento in attività, sicché i rifiuti vengono conferiti in siti distanti dai luoghi di produzione, e precisamente nelle discariche private di Motta Sant'Anastasia (gestita dalla società OIKOS spa) e di Siculiana (gestita dalla società Catanzaro Costruzioni srl).
Proprio con riferimento alle problematiche connesse alle società d'ambito territoriale, ed in particolare all'ambito territoriale CL1, efficacemente il sindaco della città di Caltanissetta, dottor Michele Campisi, ha rappresentato la situazione in cui si trova la città di Caltanissetta e che può essere ritenuta in qualche modo emblematica del rapporto che, in generale, nelle varie società d'ambito viene a crearsi tra il comune, socio, e la società d'ambito.
Da un lato, viene infatti sottolineata da più parti la deresponsabilizzazione dei comuni, dall'altro, un eccessivo aggravio proprio sui cittadini dell'aumento esorbitante dei costi del servizio a fronte di una scarsa qualità dello stesso.
In primo luogo, a fronte delle difficoltà economiche della società d'ambito (a causa dell'aumento dei costi generali per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti), il comune di Caltanissetta aveva sottoscritto un aumento di capitale sociale sia nel 2007 che nel 2008 al fine di consentire alla società d'ambito di accedere al fondo di rotazione regionale.
Ma nel 2009 si era ripetuta identica la stessa situazione deficitaria, perché i costi del servizio erano troppo elevati e i cittadini, in ciò sollecitati anche dai sindaci dei comuni facenti parte dell'ATO, si erano rifiutati di pagare le bollette, il cui importo si era peraltro triplicato rispetto alla situazione precedente alla creazione delle società d'ambito.
Evidentemente, anche alla luce delle informazioni acquisite in merito alla provincia di Caltanissetta, è il sistema complessivo di gestione degli ATO che non consente di raggiungere un equilibrio tra l'aspetto finanziario e quello economico.
Peraltro, come evidenziato dal sindaco di Caltanissetta, ulteriore elemento di aggravio dei costi è rappresentato dalla necessità di smaltire in discariche, come quella di Motta Sant'Anastasia, molto distanti dal luogo di produzione dei rifiuti (circa 200 km), con conseguente appesantimento dei costi di trasporto e di conferimento.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
Proprio dai magistrati che operano nel distretto di corte d'appello di Caltanissetta (che comprende i circondari di Caltanissetta, Gela, Nicosia ed Enna) sono state acquisite importanti informazioni in merito agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti ed alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta.
Il procuratore generale presso la corte d'appello di Caltanissetta ha evidenziato un incremento del dato statistico dei procedimenti pendenti nel distretto concernenti la materia dell'ambiente e non ha mancato di sottolineare una preoccupante scopertura dei posti di sostituto procuratore nelle procure della Repubblica presso i tribunali di Caltanissetta, Gela ed Enna, che negli ultimi anni hanno lavorato con un deficit prossimo al 50% della scopertura.
Sono stati inoltre acquisiti dalla Commissione una serie di documenti relativi alle principali indagini in materia ambientale svolte dalle procure della Repubblica presso i tribunali dei circondari rientranti nel distretto di corte d'appello di Caltanissetta (tribunali di Gela, Nicosia ed Enna).
Il procuratore della Repubblica di Caltanissetta ha sottolineato come nell'ultimo triennio si sia registrato un incremento dei reati connessi al ciclo dei rifiuti.
La violazione più ricorrente, dato questo relativo anche ad altre procure, è quella di cui all'articolo 256 comma 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (realizzazione o gestione di discariche non autorizzate).
In minor numero pendono procedimenti per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti), cui spesso è connesso il reato di cui all'articolo 258, comma 4, del decreto legislativo n. 15 del 2006 relativo al trasporto di rifiuti pericolosi senza il formulario di cui all'articolo 193 del predetto decreto legislativo, con indicazioni incomplete o inesatte
Proprio con riferimento a questa ultima ipotesi di reato, ed in ragione della ratio che è posta alla base della redazione del formulario (ossia la possibilità di seguire l'iter del rifiuto dalla fonte di produzione fino alla destinazione finale, oltre che di identificarlo in merito alla qualità ed alla tipologia in modo da potere controllare le relative attività di gestione), apparirebbe incongrua la previsione di una sanzione penale solo con riferimento ai trasporti dei rifiuti pericolosi (con esclusione quindi di quelli non pericolosi)
Sono stati poi segnalati alcuni procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari di particolare interesse:
un procedimento (recante n. 824/07), iscritto per il reato di cui all'articolo 260 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, concerne una presunta attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti speciali costituiti essenzialmente da residui dell'attività edilizia che, invece di essere sottoposti a trattamento prima del loro riutilizzo, venivano illecitamente ceduti a terzi per riempimenti, con falsificazione della documentazione attestante l'avvenuto conferimento in un centro di raccolta e di recupero;
altro procedimento (iscritto però a carico di ignoti) per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 256 del 2006, concerne le possibili infiltrazioni di percolato nei terreni e nelle acque limitrofe alla discarica comunale di Caltanissetta sita in contrada Stretto. È stata conferita consulenza tecnica per accertare se siano state effettuate dal comune di Caltanissetta tutte le opere necessarie per la messa in sicurezza della discarica;
sono inoltre in corso indagini per il reato di associazione a delinquere (iscritto nel 2009, proc. 1133/09 mod. 21) finalizzata alla trattazione ed allo smaltimento di rifiuti speciali mediante la predisposizione di falsi documenti di trasporto (FIR): è stato accertato lo smaltimento illecito di rifiuti quali sfabbricidi e materiale inerte proveniente dalla demolizione di fabbricati, utilizzando cave dismesse e siti abbandonati. Sempre nell'ambito di questa attività d'indagine si è proceduto al sequestro dell'area sita in contrada Stretto di Caltanissetta, ove sono stati rinvenuti rifiuti consistenti in residui dell'attività edilizia.
Più in generale sono stati segnalati procedimenti nel corso dei quali si è accertato lo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi, come eternit, mediante conferimento di tale materiale, unitamente ad altro materiale inerte, in siti abbandonati e degradati, con conseguente mutamento dello stato dei luoghi.
In fase di udienza preliminare pende poi un procedimento relativo all'illecita gestione della discarica di contrada Martino sita a Serradifalco (essendo avvenuta in violazione dei limiti posti dall'autorizzazione prefettizia) e nell'ambito di tale procedimento è stato contestato anche il reato di abuso di ufficio a carico dei responsabili dell'ATO Ambiente CL 1 spa in merito all'aggiudicazione della gara pubblica d'appalto mediante pubblico incanto inerente il «servizio di compattazione ed interramento dei rifiuti speciali non pericolosi nella discarica di contrada Rabbione - Martino nel territorio del comune di Serradifalco» (sarebbe stata aggiudicata la gara d'appalto ad una ditta che non aveva neppure i requisiti per potere ottenere l'affidamento del servizio).
Il procuratore distrettuale antimafia di Caltanissetta, dottor Sergio Lari, nel corso dell'audizione, ha ribadito la situazione di gravissima scopertura dei posti di sostituto procuratore nelle procure della Repubblica rientranti nel distretto di Caltanissetta. Scopertura determinata dalla impossibilità di destinare i magistrati di prima nomina negli uffici monocratici penali.
A ciò deve aggiungersi anche una certa difficoltà ad avvalersi di personale di polizia giudiziaria specializzato, per la difficoltà di impiegare per le indagini i carabinieri del NOE di Catania, che ha problemi di risorse umane e materiali
Proprio per sopperire a queste difficoltà è stata costituita all'interno della stessa procura una sezione di polizia giudiziaria per le indagini in materia ambientale, che però certamente non è sufficiente in relazione alla mole delle indagini nello specifico settore di interesse.
In sostanza però, si lamenta la scopertura dei posti in procura e la carenza di organico degli organi di polizia specializzati.
Sinteticamente, si riportano le notizie fornite dai magistrati degli uffici giudiziari di Gela e Nicosia.
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Gela.
Il procuratore della Repubblica di Gela, dottor Lucia Lotti, nel corso dell'audizione, ha evidenziato la situazione di degrado ambientale in cui versa il territorio del circondario di Gela, situazione determinata anche dalla mancanza di adeguati controlli amministrativi e di polizia giudiziaria sul territorio.
Non solo il procuratore della Repubblica ha evidenziato la grave scopertura dei posti di sostituto procuratore della Repubblica presso la procura di Gela, ma ha anche evidenziato la carenza di personale di polizia giudiziaria specializzata. Testualmente, ha dichiarato: «basti pensare che abbiamo un distaccamento della forestale, al momento non operativo, per l'intero circondario di Gela, formato da sole tre persone. Non abbiamo strutture territoriali distaccate, se non in minima parte, quindi tutte le nostre strutture sono allocate a Caltanissetta. Sul territorio di Gela, conseguentemente, abbiamo una carenza di interlocutori, soprattutto su queste materie (...) non abbiamo la possibilità di accedere ai nuclei specializzati del NOE, che hanno un'articolazione a Catania e che sono in difficoltà perché ci sono sempre spese di missione e strutture specializzate»
Il territorio di Gela, ha aggiunto il magistrato, è fortemente compromesso dal punto di vista ambientale, essendo praticamente disseminato di discariche a cielo aperto, in cui vengono scaricati gli inerti derivanti dai lavori di demolizione e ristrutturazione di appartamenti, e addirittura anche amianto. Il fenomeno riguarda inoltre le cave della zona, in cui vengono occultati rifiuti, anche in questo caso rappresentati prevalentemente da inerti.
È stato accertato in alcuni casi che imprese, anche di un certo spessore, aggiudicatrici di appalti pubblici, in realtà smaltivano i rifiuti abbandonandoli in discariche abusive o in cave abbandonate, utilizzando a tal fine false fatturazioni o falsi documenti di accompagnamento del carico. In questo senso, sarebbe quindi determinante una efficace attività della polizia stradale, che nel corso di operazioni di controllo avrebbe la possibilità di intercettare e segnalare i trasporti illeciti.
Altra situazione gravissima rappresentata dal magistrato riguarda tutta l'area agricola del circondario di Gela ed è legata all'attività che si svolge nelle serre; sistematicamente tutti i teloni per coprire le coltivazioni, i fitofarmaci, i contenitori, vengono abbandonati e finiscono in mare. E d'altronde, anche per le ragioni sopra evidenziate in merito alla carenza di personale di polizia giudiziaria e di polizia amministrativa, non è capillare il controllo del territorio, e diventa poi molto difficile se non impossibile individuare le responsabilità dei singoli.
Il procuratore di Gela ha poi inviato alla Commissione alcuni atti giudiziari esemplificativi della tipologia di reati che più frequentemente si verificano sul territorio (in particolare si tratta dei reati di cui agli articoli 256, comma 1, lettera a, del decreto legislativo n. 152 del 2006, 269 e 276 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
3.3) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Nicosia.
Anche dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Nicosia sono stati inviati alcuni atti giudiziari esemplificativi delle più frequenti tipologie di reato in materia ambientale che vengono accertati nel circondario del tribunale di Nicosia (articolo 269 e 279, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, 192, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, 256, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, 186 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Indagini svolte prevalentemente dalla Polizia provinciale, dalla Polizia municipale, dall'Asl.
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso, è stato menzionato il processo cosiddetto «Munda Mundis» che attualmente pende nella fase dibattimentale, concernente l'attività estorsiva posta in essere in danno di imprenditori gelesi che si occupavano, nel decennio dal 1996 al 2006, della raccolta dei rifiuti solidi urbani.
Nell'ambito di quel procedimento erano state emesse ordinanze di custodia cautelare a carico di numerosi esponenti di cosa nostra. Nel corso del dibattimento era stata prospettata la tesi difensiva circa una cointeressenza degli imprenditori nel momento dell'aggiudicazione dell'appalto (in relazione a questo ulteriore aspetto è stato aperto altro procedimento penale presso la procura della Repubblica di Caltanissetta).
Il pagamento di un «pizzo» molto alto da parte degli imprenditori aveva comportato poi inevitabilmente l'impossibilità di espletare correttamente il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con evidenti disagi per tutti i cittadini di quel territorio, fruitori del servizio.
In sostanza, il servizio non poteva essere effettuato a norma, in quanto gli imprenditori dovevano versare mensilmente 9000 euro a cosa nostra.
L'unico episodio segnalato in merito a cointeressenze della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti ha riguardato quindi una vicenda prevalentemente di carattere estorsivo. La mafia sarebbe intervenuta anche nel momento dell'aggiudicazione degli appalti con una tecnica consistita nel dissuadere gli imprenditori sgraditi dal partecipare alla gara d'appalto.
Il magistrato che ha riferito alla Commissione in merito al summenzionato processo, dottor Antonino Patti, ha poi precisato che gli imprenditori «graditi» erano quelli della città di Gela, conosciuti come compaesani, ma al di là di questo non sono stati acquisiti elementi per potere ritenere che vi fosse una collusione tra gli imprenditori e gli esponenti mafiosi.
In ogni caso, il prefetto ha rappresentato che erano in corso gli approfondimenti finalizzati all'eventuale rilascio della certificazione antimafia nei confronti delle imprese (Roma Costruzioni srl, Eco.net srl, Meco.gest srl, Ambiente Italia srl, Novambiente srl, Co.Ve.Ca srl, Cannizzo Nunzio e Callea Luca Francesco) con le quali l'ATO CL2 avrebbe dovuto prorogare i contratti di servizio di igiene ambientale. Nell'ambito di questi approfondimenti venne per l'appunto accertato che:
le imprese in questione da diversi anni svolgevano il servizio di raccolta dei rifiuti urbani nel territorio di Gela;
i titolari avevano denunciato di essere vittima di estorsioni e il procedimento penale si era concluso in primo grado con una sentenza di condanna per gli imputati;

nel corso del medesimo procedimento penale alcuni collaboratori di giustizia avevano indicato gli imprenditori come «collusi»;
molti dei medesimi imprenditori in passato erano stati indagati di associazione a delinquere di stampo mafioso;
tutti gli imprenditori, ad eccezione di Romano Giuseppe della Roma costruzioni srl, avevano richiesto di potere accedere al Fondo di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura.
Proprio in ragione dell'acquisizione di questi dati, in parte confliggenti, il prefetto ha dichiarato che sarebbero stati effettuati approfondimenti mirati prima di rilasciare le certificazioni richieste.
Per quanto concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, il procuratore aggiunto, dottor Lari, ha dichiarato che dai processi in corso non risultano elementi tali da far ritenere che vi sia un interesse diretto delle organizzazioni mafiose alla gestione illecita del ciclo dei rifiuti, e questo verosimilmente perché l'economia siciliana non è ricca e non vi è una realtà industriale che possa produrre quantitativi ingenti di rifiuti, come viceversa accade in altre regioni del nord o centro Italia.
L'interesse delle organizzazioni mafiose è generalmente volto al capillare controllo del territorio attraverso l'imposizione a tappeto del «pizzo», che colpisce tutte le attività economiche di qualche interesse, comprese quindi le imprese che operano nel settore dei rifiuti.
L'unico procedimento di qualche rilievo in questo senso è il procedimento cosiddetto «Munda mundis», nel quale è emerso che gli appalti sono stati aggiudicati ad imprese vittime della successiva pesante pressione estorsiva da parte delle organizzazioni mafiose.
L'interesse delle organizzazioni mafiose del centro-sud d'Italia sarebbe legato principalmente allo smaltimento dei rifiuti del centro-nord d'Italia, che in Sicilia non arrivano. A fronte di ciò, il magistrato ha però precisato che sarebbe stato aperto un procedimento ad Enna in merito allo smaltimento di percolato nel quale era coinvolta un'impresa calabrese. Il fatto che in Sicilia manchino impianti per lo smaltimento di percolato è un dato preoccupante non solo perché si tratta di un'evidente grave carenza dal punto di vista impiantistico della regione, ma anche perché la necessità di effettuare lo smaltimento in Calabria, a costi elevati, rende più agevole per la criminalità organizzata insinuarsi nel settore approfittando delle inefficienze amministrative.
Un importante dato sottolineato però dal procuratore riguarda la mancanza di adeguati controlli sul territorio di fondamentale importanza sia dal punto di vista preventivo che dal punto di vista repressivo, tenuto conto che spesso indagini che sono state trasmesse alla direzione distrettuale antimafia in ragion delle specifiche competenze sono nate da attività di controllo sul territorio.
Se non vengono effettuati in misura adeguata i controlli su strada, verificando il carico, eventuali rapporti tra i trasportatori ed esponenti della criminalità organizzata di stampo mafioso, non è possibile risalire a responsabilità più ampie
Spesso le indagini traggono spunto da accertamenti che presuppongono un controllo costante e capillare del territorio, controllo che evidentemente nel distretto di Caltanissetta non viene effettuato in forma adeguata, anche a causa della mancanza di personale specializzato.
Le osservazioni effettuate dal magistrato in merito al fatto che la criminalità organizzata di stampo mafioso non sia particolarmente interessata al settore dei rifiuti, in quanto settore non particolarmente ricco, non trova però conforto nei dati acquisiti dalla Commissione e che riguardano più in generale tutta la regione.
Il forte interesse economico nel ciclo dei rifiuti nasce, paradossalmente, proprio dalla situazione disastrosa che caratterizza la regione siciliana, dalla mancanza di discariche a norma razionalmente allocate sul territorio, dalla mancanza di impiantistica adeguata, dalla imponenza dei trasporti connessi al settore dei rifiuti (un dato evidenziato dal procuratore nazionale antimafia è proprio quello relativo all'improvviso ampliamento dell'oggetto sociale da parte di diverse imprese che, se fino a qualche tempo fa si occupavano solo del movimento terra, adesso si occupano anche del trasporto dei rifiuti).
E il settore dei trasporti, proprio nella provincia di Caltanissetta, si profila in astratto come altamente remunerativo, tenuto conto del fatto che le discariche utilizzate appaiono decisamente distanti dai luoghi di produzione dei rifiuti, la raccolta differenziata si attesta su livelli decisamente bassi e l'unica forma di smaltimento è rappresentata dal conferimento in discarica.
Anche a volere ritenere che il settore specifico dei rifiuti possa non apparire prima facie «ricco», in realtà vi sono tutte le attività collaterali (trasporto, impiego dei mezzi eccetera) che rappresentano un'evidente fonte di ricchezza per le organizzazioni criminali, le quali sfruttano proprio le carenze del sistema complessivo di gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia per lucrare illeciti guadagni.
Non è un caso che non siano state segnalate indagini significative nel settore, tenuto conto della grave scopertura dei posti degli uffici di procura nel distretto di corte d'appello di Caltanissetta, della carenza di personale di polizia giudiziaria specializzata e della mancanza di adeguati controlli sul territorio.
PARTE SECONDA
SICILIA OCCIDENTALE. PROVINCE DI ENNA, MESSINA, CATANIA, SIRACUSA E RAGUSA
I - Provincia di Enna.
1) Attività della Commissione. Premessa.
La situazione della provincia di Enna è stata approfondita ascoltando, in sede di audizione, il prefetto di Enna, dottor Giuliano Perrotta, il questore, dottor Salvatore Patanè, il presidente della provincia, dottor Giuseppe Monaco e il sindaco di Enna, dottor Rino Agnello.
Anche nella provincia di Enna si ripropongono le problematiche tipiche di tutte le province siciliane:
deficit finanziario dell'ATO;
assunzioni clientelari ed esorbitanti all'interno delle società d'ambito;
eccessiva lievitazione delle tariffe del servizio di igiene urbana, senza alcun miglioramento del servizio medesimo;

tentativi di inserimento della criminalità organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti.
2) La gestione del ciclo dei rifiuti.
In data 31 dicembre 2002 è stata costituita la società d'ambito EnnaEuno spa, unica per tutta la provincia , che gestisce il ciclo integrato dei rifiuti e la discarica di Enna (quella di Nicosia è stata più volte sottoposta a sequestro da parte dell'autorità giudiziaria). Della società d'ambito EnnaEuno spa fanno parte tutti i comuni della provincia di Enna e la provincia regionale.
La società d'ambito ATO EnnaEuno gestisce il ciclo integrato dei rifiuti attraverso la società "Sicilia Ambiente spa".
Come evidenziato dal prefetto di Enna nella nota prodotta in sede di audizione innanzi alla Commissione parlamentare, in data 17 settembre 2009, il servizio rifiuti nella provincia di Enna è in una condizione di deficit finanziario, impiantistico e gestionale, con difficili possibilità di soluzione nel breve periodo e con possibili rischi di carattere igienico sanitario e di riflessi sull'ordine e sulla sicurezza pubbliche.
La società d'ambito, a causa della perdita dell'intero capitale sociale è stata messa in liquidazione; successivamente è stato nominato un commissario ad acta con la possibilità di accedere ai fondi regionali con i quali pagare i lavoratori e si sono evitate in tal modo ulteriori forme di protesta che si erano manifestate con la sospensione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti (con tutte le immaginabili conseguenze per la salubrità dell'ambiente).
Quali sono state le cause che hanno determinato il deficit finanziario dell'ATO? Indubbiamente anche in questo caso si possono riconoscere le dinamiche che hanno caratterizzato quasi tutti gli ATO siciliani.
Una concausa è certamente rappresentata dalle assunzioni eccessive di personale: nel 2004, allorquando l'ATO è divenuto operativo, sono state assunte centouno persone.
Proprio in relazione a questa abnorme assunzione di personale, sono state avviate indagini di polizia giudiziaria che hanno consentito l'emissione di un provvedimento di rinvio a giudizio (emesso dal Gip del tribunale di Enna il 15 luglio 2009) nei confronti di alcuni componenti del consiglio di amministrazione dell'ATO, i quali avrebbero proceduto ad «assunzioni del tutto sovrabbondanti per ragioni di clientela creando un danno patrimoniale per l'ente e per gli utenti finali del servizio in relazione alla maggiorazione dei costi destinati a far lievitare la tariffa».
L'aumento dei costi ha determinato l'aumento delle tariffe, senza che peraltro ciò si accompagnasse ad un miglioramento del servizio; i cittadini, a partire in particolare dal 2007, non hanno più pagato la tariffa, e questo circolo vizioso ha determinato progressivamente l'indebitamento dell'ATO e l'incapacità della società affidataria del servizio di pagare i dipendenti, secondo dinamiche ampiamente note e diffuse in Sicilia.
Sempre con riferimento all'ATO EnnaEuno spa, merita di essere segnalata una circostanza, peraltro evidenziata dal prefetto di Enna sia in corso di audizione sia nella nota scritta inviata alla Commissione, concernente la società che, nel 2006, ha ottenuto l'affidamento diretto (cosiddetto affidamento in house) dell'intero servizio e della gestione della discarica: la società Sicilia Ambiente spa.
La società Sicilia Ambiente (che prima dell'affidamento del servizio da parte dell'ATO effettuava per conto della provincia e di un comune il servizio di raccolta differenziata) nel 2005 aveva acquisito il ramo d'azienda relativo alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti dell'Altecoen spa, unitamente ai centosettantacinque dipendenti già impiegati presso quest'ultima società, al prezzo di 350.000 euro.
I dipendenti complessivamente occupati presso la Sicilia Ambiente a quella data erano dunque trecentoquarantatré.
Nell'anno 2006, dopo la sottoscrizione della convenzione, il numero dei dipendenti lievitava a settecentoquarantacinque unità.
E proprio in relazione a questa vicenda sono state avviate le indagini cui sopra si è fatto riferimento, relative all'abnorme assunzione di personale effettuata esclusivamente per ragioni clientelari (personale che ha poi inciso significativamente sui costi complessivi del servizio, contribuendo a determinare la situazione di gravissimo deficit finanziario della società d'ambito territoriale).
Ebbene, con riferimento alla Sicilia Ambiente spa vi sono due aspetti da sottolineare.
In primo luogo, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, in accoglimento dell'appello promosso dalla Assoutenti (un'associazione di cittadini), ha annullato:
la deliberazione dell'assemblea ordinaria dei soci di Enna Euno spa dell'11 dicembre 2006, recante l'approvazione della tariffa di igiene ambientale per gli anni 2006 e 2007;
la deliberazione dell'assemblea ordinaria dei soci di EnnaEuno spa del 2 ottobre 2006, recante la comunicazione dello stato di attuazione del piano di risanamento e conferimento dei servizi e della successiva delibera del Cda del 27 dicembre 2006;
la convenzione stipulata dalla EnnaEuno spa con la Gerit Sicilia spa per la riscossione della tariffa di igiene ambientale per l'anno 2006;
la convenzione stipulata il 19 gennaio 2007 tra Enna Euno spa e la società Sicilia Ambiente per l'affidamento diretto del ciclo integrato dei rifiuti dal primo gennaio 2007;
tutti gli ulteriori atti relativi all'affidamento diretto a Sicilia Ambiente del servizio di gestione integrata dei rifiuti nell'ATO Enna Euno e degli atti presupposti, connessi e conseguenti, nonché le deliberazioni assembleari del 28 dicembre 2005 e del 2 ottobre 2006 con cui l'ATO Enna Euno ha individuato in Sicilia Ambiente il soggetto a cui affidare il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani nell'ATO denominato EN1.
In sostanza l'annullamento ha riguardato sia le delibere concernenti la determinazione delle tariffe, sia l'affidamento in house alla società Sicilia Ambiente spa del servizio di gestione integrata dei rifiuti.
Proprio con riferimento a quest'ultimo aspetto nella sentenza si legge: «sembra chiaro al Collegio come nel caso in esame non ricorra, quanto meno, il primo presupposto (cioè quello della partecipazione totalitaria al capitale sociale della società che si assume essere «in house»); condizione comunque necessaria, e da sola neppure sufficiente, per la legittimità dell'affidamento diretto. Invero il capitale sociale di Sicilia Ambiente spa è detenuto per il 51 % dalla stessa Enna Euno spa ma per la restante frazione è solo in parte di proprietà dei vari enti territoriali locali ricompresi nel relativo ATO (...). È assolutamente dirimente che nel capitale di Sicilia Ambiente è presente almeno un ente privato: l'Unione regionale delle provincie siciliane (...). È pacifico, nell'attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società «in house» debba sussistere in termini assoluti.
Per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento in house è infatti sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale.
Nella specie, lo 0,5% del capitale sociale di Sicilia Ambiente è in atto detenuto dall'Unione regionale delle provincie siciliane. Ciò comporta l'accoglimento del motivo di appello in esame, con assorbimento di quelli ulteriori, perché ad esso subordinati».

L'ATO ancora non risulta avere ottemperato al pronunciamento del giudice amministrativo (come evidenziato dal prefetto nella nota prodotta il 17 settembre 2009); per assicurare la continuità del servizio, con varie proroghe l'ATO ha affidato temporaneamente il servizio medesimo alla società Sicilia Ambiente.
Altro aspetto certamente di rilievo è quello che concerne l'acquisizione da parte della Sicilia Ambiente spa (che all'epoca contava settantacinque dipendenti) del ramo d'azienda dell'Altecoen.
Ebbene, amministratore delegato dell'Altecoen fino all'anno 2004 era stato Gulino Francesco, già presidente dell'Assindustria di Enna, il quale è stato arrestato nel 2005 su richiesta della procura distrettuale antimafia presso il tribunale di Messina per concorso esterno in associazione mafiosa finalizzata principalmente ad acquisire il controllo di attività economiche, concessioni, appalti e servizi in materia ambientale ed in particolare nella raccolta e gestione dei rifiuti.
Si tratta di una società che è stata capace di aggiudicarsi gli appalti relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani in differenti ambiti territoriali (Messina, Enna e Caltanissetta), evidentemente infiltrata dalla criminalità organizzata di stampo mafioso, come verificato nel corso di indagini giudiziarie.
Quanto poi al sistema di gestione dei rifiuti, in sostanza i rifiuti vengono conferiti nella discarica di Cozzo Vuturo, rispetto alla quale non si è riusciti ad avere notizie certe in merito alla capacità residua.
Il presidente della provincia di Enna, a questo proposito, ha precisato che la discarica ha una capacità di ulteriore abbancamento dei rifiuti di ulteriori venti mesi, al termine dei quali sarà completamente satura. L'ATO avrebbe già dato incarico al Genio Civile di Enna di predisporre un progetto di ampliamento della discarica, e, secondo quanto dichiarato dal presidente della provincia, il progetto sarebbe quasi completato.
Ove fosse ampliata la discarica si potrebbe garantire la ulteriore raccolta e smaltimento dei rifiuti per altri quattro anni.
Anche in questo caso ci si ritrova di fronte ad un sistema di smaltimento dei rifiuti basato esclusivamente sul conferimento in discarica. In più, anche nella provincia di Enna si riscontra il problema relativo all'indebitamento della società d'ambito, al problema delle assunzioni, dei costi eccessivi del servizio, alla prossima saturazione della discarica fino ad oggi utilizzata, e alla bassissima percentuale di raccolta differenziata.
3) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
In merito alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, il questore di Enna in sede di audizione ha dichiarato che: «nella provincia di Enna, specialmente negli ultimi mesi, a fronte di attività investigative volte a tentare di stroncare il rinascere di «cosa nostra» a Enna, tramite i contatti presi con «cosa nostra» catanese e palermitana, abbiamo verificato se vi sia un interesse delle organizzazioni criminali esistenti in provincia: queste organizzazioni sono diversificate (...). Ebbene le attività investigative non hanno evidenziato la consistenza di un interesse né di «cosa nostra», né di organizzazioni criminali compattate nei confronti della raccolta dei rifiuti. Attenzione perché personalmente ritengo che invece la raccolta dei rifiuti susciti un interesse specifico, anche perché in altre regioni genera un business particolare, vedi la regione Campania nonché, in passato, la Sicilia soprattutto con i rifiuti speciali che avevamo nella zona di Messina, nel milazzese e i rifiuti speciali che provenivano da Priolo Gargallo».
A parere di questa Commissione è già significativa ed emblematica la vicenda relativa a Sicilia Ambiente spa che, da un lato, ha acquistato un ramo d'azienda dell'Altecoen, poi ha ottenuto illegittimamente l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti nell'ATO EnnaEuno prescindendo da qualsiasi gara. A seguito dell'affidamento sono aumentate le assunzioni all'interno della società di oltre il doppio dei dipendenti e successivamente la procura della Repubblica ha aperto un procedimento penale a carico degli amministratori.
Non può essere considerato privo di significato il dato allarmante, a parere della Commissione, per il quale la Sicilia Ambiente spa non solo aveva ottenuto illegittimamente l'affidamento in house del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, ma aveva acquisito un ramo di azienda dell'Altecoen, società nota per le infiltrazioni mafiose accertate nel corso di indagini giudiziarie e che era riuscita anche ad inserirsi, attraverso la copertura di altre società, nel grosso affare dei termovalorizzatori che avrebbero dovuto essere realizzati in Sicilia.

All'acquisizione del ramo d'azienda è seguita poi un'imponente assunzione di dipendenti.
Ebbene, se anche le indagini giudiziarie hanno riguardato esclusivamente gli aspetti clientelari delle assunzioni, è indubbio che nella vicenda in oggetto possa essersi inserita la criminalità organizzata.
II - Provincia di Messina.
1) Attività della Commissione. Premessa.
L'approfondimento relativo alla situazione della provincia di Messina è stato effettuato attraverso l'audizione del prefetto, dottor Francesco Alecci, del questore, dottor Vincenzo Mauro; del presidente della provincia, dottor Giovanni Ricevuto, e del sindaco di Messina, dottor Giuseppe Buzzanca.
Sono stati inoltre auditi i magistrati: il dottor Antonio Cassata, procuratore generale presso la corte d'appello di Messina, il dottor Guido Lo Forte, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, il dottor Salvatore De Luca, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Peraltro il dottor Lo Forte e il dottor De Luca sono stati sentiti in occasione di entrambe le missioni organizzate dalla Commissione in Sicilia.
Le criticità nel settore dei rifiuti nella provincia di Messina sono essenzialmente legate ai seguenti aspetti:
dissesto finanziario delle società d'ambito territoriale;
proliferazione delle assunzioni all'interno delle società d'ambito con conseguente aumento dei costi del servizio;
inadeguatezza impiantistica;
presenza nella provincia di un'unica discarica, quella di Mazzarà Sant'Andrea, che peraltro è stata oggetto di importanti indagini da parte dell'autorità giudiziaria, anche sotto il profilo delle infiltrazioni mafiose nella gestione;
proliferazione di numerosissime discariche abusive (solo nel territorio della città di Messina ne sono state censite sessantuno);
massiccia presenza della criminalità organizzata in vari settori dell'economia, compreso quello dei rifiuti;
carenza di adeguati controlli sul territorio da parte degli organi amministrativi a ciò deputati.
2) La gestione del ciclo dei rifiuti.
Nell'ambito della provincia di Messina sin dal 2002 sono stati individuati cinque ambiti territoriali ottimali:
l'ATO ME 1, che comprende trentatré comuni della fascia nebroidea e tirrenica da Mistretta fino a Capo d'Orlando.  
                                                                                                                                            La gestione dei servizi di igiene urbana è affidata ad una società consortile di scopo denominata «Nebrodi Ambiente ». I rifiuti vengono raccolti in larghissima parte in forma indifferenziata e vengono conferiti presso la discarica di Mazzarà Sant'Andrea;
l'ATO ME 2 che comprende trentotto comuni della fascia tirrenica da Brolo fino a Villafranca Tirrena. La raccolta dei rifiuti, in forza di una convenzione stipulata il 15 marzo 2005, viene gestita dalla GE.SE.NU. spa, società che detiene quote azionarie della Tirrenoambiente spa;
l'ATO ME 3 che comprende il territorio del comune di Messina; i servizi di igiene ambientale vengono curati dalla Messinambiente spa;
l'ATO ME 4 che comprende trentadue comuni della fascia ionica della provincia. Il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani è stato affidato a seguito di pubblico incanto alla AMIA spa. La gara è stata però annullata con decreto del presidente della regione siciliana del 23 luglio 2008 e, nelle more dell'espletamento del nuovo incanto, il servizio continua ad essere gestito dall'AMIA. I rifiuti raccolti nei suddetti comuni vengono conferiti presso la discarica di Motta Sant'Anastasia, gestita dall'impresa OIKOS spa;
l'ATO ME 5 che comprende i quattro comuni dell'arcipelago eoliano.
L'unica discarica operativa sul territorio provinciale è quella situata nel territorio del comune di Mazzarà Sant'Andrea, gestita dalla società mista Tirrenoambiente spa.
La provincia di Messina, analogamente alle altre provincie della regione siciliana, registra una serie di criticità legate essenzialmente alla mancanza di impianti, unitamente ad un insufficiente livello di raccolta differenziata, al dissesto finanziario degli ATO, trasformatisi ormai ovunque in strutture burocratiche prive di qualsiasi utilità effettiva e fonte esclusivamente di gestioni clientelari di posti di lavoro.
Nel corso dell'audizione sia il prefetto che il questore di Messina hanno evidenziato le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti nell'ambito provinciale, problematiche che possono in qualche modo essere sintetizzate come segue.
L'unica discarica provinciale è quella di Mazzarà Sant'Andrea, in un comune compreso in un'area particolarmente colpita dal fenomeno criminale.
Si tratta di una discarica molto grande che dovrebbe essere fornita di un impianto di biostabilizzazione da realizzarsi ad opera della società Tirrenoambiente spa, la società mista pubblico privata che gestisce la discarica.
La predetta società è stata coinvolta in un'indagine, cosiddetta operazione «Vivaio», in merito alla quale sono state fornite importanti informazioni dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, e della quale si tratterà nel dettaglio successivamente.
Ciò che è stato opportunamente sottolineato dal prefetto di Messina è che la società soffre di una costante pretesa creditoria nei confronti degli ATO della provincia che conferiscono i rifiuti nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea (si pensi che dalla società Messinambiente vanta circa 15 milioni di euro). Per esemplificare, tutto ciò che l'ATO 3 versa a Messinambiente serve quasi esclusivamente a pagare gli stipendi; Messinambiente non ha la possibilità di acquistare i mezzi né di fare la gestione del verde pubblico.
Peraltro i costi del conferimento dei rifiuti di Messina nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea sono elevati, trattandosi dell'unica discarica esistente in provincia che pratica prezzi elevati e che si trova a notevole distanza dalla città di Messina.
Significativo è quanto dichiarato dal prefetto di Messina proprio con riferimento alle pretese creditorie che la Tirrenoambiente vanta nei confronti degli ATO della provincia «il fatto stesso di come questa società sia riuscita, come si evince almeno dalle denunce presentate, dalle operazioni, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, a estendere l'area della superficie della discarica e quindi a rendere quanto mai permanente la condizione di essere l'unico sito di discarica presente nella provincia, condizionando di fatto tutto il resto, effettivamente testimonia anche questa situazione. Un corretto impianto gestorio, sotto l'aspetto imprenditoriale della società, non potrebbe consentire questa mancata riscossione, persistente negli anni, dei crediti vantati. Se tutto fosse legato soltanto ad un corretto assetto imprenditoriale ordinario, una società che vanta crediti per 20 milioni di euro con un ATO e per altri 25 milioni con un altro, secondo me sarebbe stramazzata al suolo. Evidentemente si riesce, in una logica molto più articolata, a trovare tuttavia la possibilità di proseguire l'attività».
Alla specifica domanda del presidente della Commissione, onorevole Gaetano Pecorella, che ha chiesto in cosa consista la logica più articolata, il prefetto ha risposto che la società evidentemente acquisisce disponibilità che non derivano esclusivamente da quelle che sono le entrate della società, che peraltro dovrà realizzare l'impianto di biostabilizzazione. (La Tirrenoambiente è titolare dell'autorizzazione dell'impianto di biostabilizzazione).
Sono state tenute una serie di riunioni in prefettura proprio in relazione alle difficoltà economiche della società che gestisce la discarica di Mazzarà Sant'Andrea a causa del mancato pagamento delle spettanze dovute da parte degli ATO, i quali, a loro volta, non ricevono i pagamenti da parte degli utenti. Sono stati nominati anche dei commissari ad acta che si sono insediati nell'ATO Messina 1 e nell'ATO Messina 2 per verificare concretamente la possibilità di avviare le procedure di recupero dei crediti, ma neanche i commissari ad acta muniti di poteri straordinari sono riusciti ad ottenere risultati significativi.
Il presidente della provincia di Messina, nel corso dell'audizione avvenuta il 30 settembre 2009, ha evidenziato l'anomalia dell'esistenza di una sola discarica per tutta la provincia, con conseguente penalizzazione, da questo punto di vista, di un solo sito. È stato poi segnalato sempre nel corso dell'audizione che rifiuti misti di tutti i generi, e anche veicoli fuori uso, sono stati sversati negli alvei dei fiumi, soprattutto nei torrenti cittadini di Messina, ma anche in quelli degli altri comuni della provincia, e in relazione a questa situazione sono state bandite le gare per aggiudicare i lavori di rimozione dei rifiuti sul territorio.
Quello che è stato certamente rilevato è l'esigenza di incentivare i controlli sul territorio, perché non pare siano state mai accertate e neppure ipotizzate responsabilità di soggetti individuati in merito all'abbandono dei rifiuti in queste zone.
Il problema riguarda specificatamente anche la città di Messina nella quale, come evidenziato dal sindaco nel corso dell'audizione, sono state censite sessantuno discariche abusive.
Proprio con riferimento alla città di Messina, il sindaco ha sottolineato come le spese per il conferimento dei rifiuti in discarica siano elevatissime. Non è possibile incentivare la raccolta differenziata, che in questa fase si attesta su livelli bassissimi (5-6%), dovendosi a tal fine effettuare investimenti che non è possibile sostenere in quanto la società Messinambiente (la società che per conto del comune si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani) ha un piano industriale che si aggira intorno ai 47 milioni di euro che derivano da una eccessiva dilatazione del personale (il personale, al momento della costituzione della società, passò da circa trecentodue dipendenti a cinquecentosette dipendenti).
Vi è l'intenzione da parte del comune di Messina di aprire una discarica propria in contrada Pace, per contenere i costi del trasporto e del conferimento in discarica, ma ovviamente la logica che caratterizza tutta la regione è sempre quella di tamponare i problemi in via temporanea ed urgente, ma non di pianificare in maniera razionale e risolutiva la gestione del ciclo dei rifiuti.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina.
Le principali informazioni sono state acquisite attraverso l'audizione dei magistrati che nel distretto della corte d'appello di Messina hanno svolto significative indagini nel settore dei reati ambientali.
Il procuratore generale presso la corte d'appello di Messina (che ricomprende i tribunali di Messina, Mistretta, Patti e Barcellona Pozzo di Gotto) ha introdotto in via generale la questione relativa alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nel distretto di Messina evidenziando come, per quanto concerne le procure ordinarie, siano pendenti moltissimi procedimenti per fatti connessi allo smaltimento dei rifiuti.
Sebbene si tratti di procedimenti per reati spesso di tipo contravvenzionale, apparentemente meno gravi rispetto al crimine organizzato, organicamente presi evidenziano un'autentica attività di sciacallaggio e di depredazione del territorio, con guasti in alcuni casi di carattere irreversibile.
In alcuni procedimenti sono stati contestati anche reati contro la pubblica amministrazione, connessi ai reati ambientali, a carico del presidente o degli amministratori dei locali ATO.
Il procuratore della Repubblica di Messina ha poi evidenziato un dato di particolare interesse per la Commissione, avendo segnalato (come peraltro avviene in tutti i distretti giudiziari presi in considerazione) un fenomeno diffuso di abbandono di rifiuti speciali e di creazione di discariche abusive. Le discariche abusive censite nel solo territorio comunale di Messina sono oltre cinquanta e contengono rifiuti di tutti i tipi.
Evidentemente si tratta di un fenomeno che in qualche modo è stato determinato dall'assoluta carenza di strutture adeguate nel territorio: da un monitoraggio effettuato in via amministrativa è emerso che nel territorio di Messina sono solo due i siti autorizzati alla discarica di rifiuti speciali, e nessuno dei due risulta autorizzato a ricevere rifiuti pericolosi.
È stata poi aperta un'indagine giudiziaria, avviata a seguito del sequestro di un'ex discarica di rifiuti solidi urbani sita in località Portella Arena, nella quale erano stati rilevati numerosi rifiuti speciali. Si tratta di una discarica che ha determinato una problematica ambientale di tale portata che è stato necessario un appalto per concepire un piano di indagini per la messa in sicurezza del territorio.
Proprio con riferimento a questo aspetto, il caso segnalato è emblematico della carenza di controlli sul territorio da parte degli organi amministrativi a ciò deputati. Mancanza di controlli sia nella fase preventiva, sia, evidentemente, nella fase repressiva.
Quanto alle segnalazioni dei cittadini, i magistrati del distretto di Messina hanno evidenziato come in effetti non vi sia da questo punto di vista grande collaborazione.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Anche il procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto ha sottolineato la gravissima scopertura dei posti di pubblico ministero all'interno della procura, tanto che vi è il concreto rischio che all'interno dell'ufficio giudiziario operi il solo procuratore capo, senza sostituti.
Si tratta di una situazione di assoluta criticità che, peraltro, si è registrata in diverse procure della Repubblica in Sicilia, dove viceversa, per le evidenti problematiche attinenti alla endemica presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso, alle gravissime problematiche attinenti al ciclo dei rifiuti, all'entità dei reati ambientali e dei connessi reati contro la pubblica amministrazione, sarebbe necessaria la copertura di tutti i posti previsti nella pianta organica degli uffici giudiziari (condizione essenziale, questa, anche per la creazione dei gruppi di lavoro specializzati nella specifiche materie, compresa quella ambientale).
In merito ai procedimenti pendenti, sono stati segnalati, alla data dell'audizione avvenuta nel mese di settembre 2009, ben ottantatré procedimenti iscritti per reati previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
La procura della Repubblica presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha inoltre competenza territoriale sui territori di Milazzo, San Filippo e Pace di Mela in cui operano importanti industrie per la produzione di energia elettrica, per la raffinazione dei prodotti petroliferi e per la produzione di acciaio. La presenza di queste attività ha comportato nel tempo l'iscrizione e l'istruzione di numerosi procedimenti in materia di reflui industriali e immissioni non autorizzate in atmosfera.
Sono state inoltre segnalate indagini in corso su alcune discariche e su impianti di depurazione che barcellonese e milazzese. In questo ambito sono state effettuate attività di controllo e in alcuni casi è stato disposto il sequestro di impianti di produzione agrumaria per l'illegale immissione nella rete fognaria di reflui industriali non trattati.
Nel corso dell'audizione il procuratore ha poi evidenziato che di recente gli amministratori dell'ATO Messina 2, che si occupano di Barcellona Pozzo di Gotto, sono stati citati a giudizio per il reato di falso in bilancio.
3.2) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti e dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Mistretta.
I procuratori della Repubblica di Patti e di Mistretta non sono stati sentiti nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione, in quanto, come precisato dal procuratore generale della Repubblica di Messina, non avevano sostituti procuratori all'interno dei rispettivi uffici, che non potevano quindi restare del tutto sguarniti (è di tutta evidenza l'emergenza che si registra in alcuni uffici di procura in cui, in sostanza, il procuratore capo non ha sostituti procuratori).
Con una nota inviata alla Commissione sono stati segnalati dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mistretta i seguenti procedimenti pendenti per reati ambientali:
ventuno procedimenti iscritti a noti, prevalentemente per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
ventitre procedimenti iscritti a ignoti, sempre in maggioranza per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mistretta ha poi segnalato, nella nota inviata alla Commissione, due procedimenti attinenti al ciclo dei rifiuti, entrambi nella fase delle indagini preliminari ed iscritti nell'anno 2009.
Il primo è iscritto nei confronti dei legali rappresentanti della Tirrenoambiente e dell'ATO Messina 1 per la presunta illegittima sospensione del servizio di raccolta e conferimento dei rifiuti solidi urbani (verosimilmente connesso al mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti, che poi hanno sospeso l'attività lavorativa in forma di protesta).
Il secondo, iscritto per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, riguarda l'illegittima presunta gestione della discarica e il mancato e irregolare smaltimento dei rifiuti, anche di tipo speciale, in Tusa e all'interno del Parco dei Nebrodi.
Anche i dati forniti dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti sono dello stesso tenore, nel senso che il numero dei procedimenti pendenti in materia ambientale è sostanzialmente lo stesso e le indagini riguardano essenzialmente il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti. Procedimenti trattati dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina.
Il procuratore della Repubblica di Messina, sede della procura distrettuale antimafia, ha fornito, nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta, un quadro organico dell'intervento delle associazioni di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, evidenziando anche alcune caratteristiche specifiche del territorio di Messina.
Innanzi tutto, la mafia a Messina per molti anni si era dedicata ad un'attività predatoria di primo livello attraverso il racket delle estorsioni; si trattava di gruppi criminali che, circa venti anni fa, non erano organicamente strutturati ma erano comunque organizzati in base ad una precisa ripartizione dei territori cittadini.
Il secondo livello è stato rappresentato dall'attività di reimpiego dei patrimoni illecitamente acquisiti, mediante investimenti immobiliari.
Il terzo livello è stato rappresentato dalle attività finalizzate all'appropriazione di attività aziendali ed imprenditoriali, in una sorta di progressione criminosa che partiva dall'acquisizione di capitali illeciti, proseguiva con l'investimento in acquisizioni immobiliari, fino al reimpiego in attività economiche e finanziarie, reimpiego incidente in maniera gravissima sugli equilibri delle regole del mercato e sulla qualità dei servizi resi.
Il procuratore, nel corso dell'audizione, ha fornito un quadro generale, innanzi tutto, in merito alle caratteristiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sul territorio della provincia di Messina.
Messina come tale, probabilmente anche per la sua collocazione geografica, non è stata mai sottoposta al controllo diretto né da parte della 'ndrangheta calabrese, né da parte di «cosa nostra» palermitana o di «cosa nostra» catanese. Ci sono stati tentativi falliti di conquista del territorio messinese da parte dell'una o dell'altra organizzazione.
Le tre organizzazioni hanno effettuato di volta in volta investimenti in settori immobiliari, ma hanno evitato l'appropriazione diretta del territorio, che avrebbe probabilmente innescato un conflitto tra organizzazioni criminali.
Fatta questa premessa in merito all'evoluzione nel tempo ed alle caratteristiche della mafia siciliana nella provincia di Messina, il procuratore della Repubblica Guido Lo Forte ha fatto riferimento al processo che ha riguardato la società Messinambiente spa, emblematico di come esponenti di «cosa nostra» palermitana, catanese, nonché della 'ndrangheta calabrese si siano dedicati, trovando una sorta di accordo fra loro, ad affari di notevole interesse economico (si tratta evidentemente del terzo livello cui prima aveva fatto riferimento il magistrato).
Si tratta di un processo attualmente pendente in fase dibattimentale, le cui indagini sono state effettuate dalla direzione investigativa antimafia e dalla questura di Messina.
Nel decreto che dispone il giudizio, trasmesso agli atti della Commissione, è contestato il reato di associazione a delinquere distampo mafioso cui avrebbero partecipato, tra gli altri, soggetti in parte riconducibili ad ambienti imprenditoriali, in parte ad ambienti politici, ed in parte ad ambienti della criminalità organizzata messinese, barcellonese e catanese.
L'associazione a delinquere, secondo l'impostazione accusatoria, era finalizzata:
ad acquisire il controllo delle attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici in materia ambientale, in special modo nel settore della raccolta e della gestione dei rifiuti;
all'accaparramento delle risorse finanziarie pubbliche collegate;
ad una molteplicità di vantaggi collaterali (assunzione di dipendenti nelle più varie qualifiche, favori a familiari e conoscenti);
all'impiego dei capitali illecitamente ottenuti per il soddisfacimento di esigenze personali proprie, di esigenze più strettamente aziendali.
Risulta inoltre contestato il reato di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997 (ora confluito nel nuovo articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), in quanto gli indagati, nelle diverse qualità assunte in seno alla società mista Messinambiente spa ed alla società Altecoen srl (componente privata della stessa società mista), attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, avevano gestito abusivamente ingenti quantità di rifiuti al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel conseguimento di una cospicua riduzione dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani dei comuni di Messina e Taormina.
Ebbene, è stato accertato l'inserimento nella società a capitale misto Messinambiente, di altra società, l'Altecoen srl (Alternativa ecologica ennese), leader nei primi anni 2000 nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti nella Sicilia orientale.
L'Altecoen a Messina aveva assunto un cospicuo numero di dipendenti, buona parte dei quali provenienti dal rione Giostra della città di Messina, controllato dal capomafia Luigi Galli, più volte condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso ed attualmente detenuto in regime di 41-bis.
Anche sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia messinesi, è emerso che l'Altecoen, società di Enna, era sponsorizzata sul territorio di Messina dalla mafia catanese facente capo a Nitto Santapaola, e in epoca precedente all'aggiudicazione dell'appalto vi era stato un incontro tra esponenti della mafia catanese ed esponenti del gruppo mafioso messinese, che aveva ottenuto come contropartita l'assunzione di personale all'interno dell'impresa.
Alla gara avevano partecipato anche altre imprese, unitamente all'Altecoen, tutte riconducibili a «cosa nostra»: oltre all'Altecoen, sponsorizzata da Nitto Santapaola, vi era la Lex, società cooperativa a responsabilità limitata, controllata sempre da Nitto Santapaola e la Termomeccanica spa, sponsorizzata da Angelo Siino.
In quell'occasione, dunque, vi era stata una partecipazione di diverse imprese alla gara d'appalto, partecipazione che però non era espressione di una concorrenza reale, ma di una concorrenza fittizia.
Spesso, ha aggiunto il procuratore (e quello sopra descritto appare un caso emblematico) si fornisce l'apparenza di una gara con una pluralità di partecipanti, ma in effetti i partecipanti sono sempre gli stessi, o comunque sono riconducibili agli stessi interessi.
A questa operazione aveva partecipato anche la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto tramite Giuseppe Gullotti, che per molti anni è stato capo di una importante famiglia mafiosa del barcellonese ed è stato condannato con sentenza definitiva alla pena di trenta anni di reclusione, attualmente è detenuto in regime di 41-bis
In sostanza la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto avrebbe rappresentato, in questo affare, gli interessi della mafia palermitana. Ed infatti, dalla fine degli anni ottanta la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto ha avuto strettissimi contatti con «cosa nostra» palermitana, e importanti «uomini d'onore» della famiglia mafiosa palermitana di Salvatore Lo Piccolo, divenuti poi collaboratori di giustizia, avevano trascorso la loro latitanza in territorio di Barcellona.
Peraltro, ha aggiunto il procuratore Lo Forte, sulla base di ulteriori indagini sono emersi elementi che rafforzano l'ipotesi che Salvatore Lo Piccolo si rivolgesse agli esponenti mafiosi di Barcellona allorché doveva condizionare gli appalti o richiedere il pizzo alle imprese partecipanti agli appalti, nel caso si trattasse di imprese messinesi.
Il processo cui ha fatto riferimento il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Messina, processo rispetto al quale attualmente è in corso di celebrazione il dibattimento, rappresenta un caso emblematico di come diversi gruppi criminali, unitamente a esponenti della pubblica amministrazione, possano accordarsi per controllare il settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, approfittando delle maglie lasciate aperte dal sistema delle società miste.
Più volte e in diverse sedi è stato sottolineato come l'esperienza delle società miste nella gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Sicilia si sia rivelata fallimentare perché troppo spesso terreno di compenetrazione tra strutture amministrative e organizzazioni criminali, consentendo il pieno dispiegamento del patto tra mafia, mala gestione e cattiva politica che interessa i settori della pubblica amministrazione interessati da cospicui flussi di erogazione di denaro pubblico.
Altro significativo procedimento penale cui ha fatto riferimento il procuratore Lo Forte nel corso dell'audizione è quello relativo alla cosiddetta operazione «Vivaio» (proc. n. 1541/07 mod 21, in relazione al quale è stato emesso dal Gup il provvedimento che dispone il giudizio con udienza fissata innanzi alla corte d'assise di Messina il 20 luglio 2009; quindi allo stato dovrebbe essere già in corso la fase dibattimentale del processo), nel quale sarebbero emerse con chiara evidenza le infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti.
Si tratterebbe poi di un processo emblematico di una delle modalità attraverso le quali le organizzazioni criminali acquisiscono il controllo diretto dei più importanti appalti.
Negli ultimi due anni, uno degli affari più importanti, dal punto di vista del settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, è stato quello della discarica di Mazzarà Sant'Andrea, discarica che per una serie di ragioni è stata deputata a servire le esigenze di smaltimento rifiuti della maggior parte dei comuni della provincia di Messina.
Proprio con riferimento alla discarica di Mazzarà Sant'Andrea sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese, e in particolare da parte della famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea.
Il comune di Mazzarà Sant'Andrea aveva inteso progettare i lavori per l'ampliamento della discarica, gestita dalla società Tirrenoambiente. I lavori che avrebbero dovuto essere eseguiti dalla Giano Ambiente srl e che erano stati subappaltati alla società IBG srl, sarebbero stati di fatto realizzati dalla Carot srl amministrata da un notorio mafioso, Michele Rotella.
La società Carot srl si sarebbe inserita attraverso modalità tipicamente mafiose. Pochi giorni dopo l'inizio dei lavori da parte della IBG, questa stessa impresa subì dei danneggiamenti. Successivamente si inserì la Carot la cui partecipazione venne ufficializzata, dopo avere di fatto assunto il controllo dei lavori grazie all'opera di «persuasione» effettuata nei confronti della IBG, e venne incaricata ufficialmente dalla Tirrenoambiente, benché fosse priva, secondo quanto sostenuto dagli inquirenti, dei requisiti necessari per svolgere quel tipo di attività.
Il controllo mafioso in questo affare sarebbe stato esercitato, sebbene fosse detenuto, dal capo della famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea, Carmelo Bisognano, il quale si era avvalso anche in maniera spudorata dell'impresa individuale di Teresa Truscello, sua convivente, impresa che si occupava del movimento terra per la copertura degli strati di rifiuti solidi urbani, utilizzando materiale ferroso proveniente dalla discarica di Contrada Zuppà.
In questa vicenda, a parte il controllo mafioso, si sarebbero inserite una serie di truffe basate su duplicazioni di compensi, fatturazioni inesistenti e quant'altro.
Come precisato dal magistrato, la mafia non si accontenta semplicemente di acquisire il controllo di questa criminalità economica, ma lucra ulteriormente, percependo tutta una serie di compensi e di denaro per lavori mai eseguito.
Nel corso delle indagini erano state acquisite le dichiarazioni di Enzo Marti, il quale era inizialmente il responsabile tecnico delle discariche di Mazzarà Sant'Andrea e Tripi per conto della Tirrenoambiente.
Si è trattato, ha spiegato il procuratore della Repubblica, di una collaborazione graduale, in quanto, in un primo momento, il teste aveva reso alcune dichiarazioni concernenti frodi realizzate mediante fatture emesse per operazioni inesistenti da società fornitrici, collegate a dirigenti e consulenti della società Tirrenoambiente.
Successivamente venne consumato l'omicidio in pregiudizio di Rottino Antonino (il 22 agosto 2006), già braccio destro di Bisognano Carmelo, ma progressivamente depotenziato dalla scemata leadership del suo capo in ragione dello stato detentivo in regime di 41 bis cui si trovava sottoposto sin dall'anno 2006.

A seguito delle indagini effettuate dal Ros dei Carabinieri, anche attraverso l'attivazione di operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale, è risultato che in realtà Enzo Marti si era consapevolmente e volontariamente assoggettato, dapprima, al mafioso Rotella, e poi, al mafioso Bisognano, ed in relazione a questa vicenda il Marti è stato condannato dal Gup del tribunale di Messina, alla pena di anni sei e mesi quattro di reclusione perché ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione di stampo mafioso rispetto alla famiglia mafiosa di Mazzarà Sant'Andrea.
Dopo la condanna Enzo Marti ha reso una collaborazione più ampia, utile sia rispetto al processo in corso, che rispetto ad ulteriori indagini.
Ebbene, con riferimento alle dichiarazioni rese dal procuratore Lo Forte, il presidente (Sebastiano Giambò) e l'amministratore delegato (Giuseppe Innocenti) della società Tirrenoambiente, hanno chiesto di essere sentiti da questa Commissione per chiarire il loro punto di vista. Sebastiano Giambò è stato rinviato a giudizio e per questo si è dimesso dalla carica di amministratore delegato della Tirrenoambiente, ma ricopre attualmente la carica di presidente della società.
Hanno in sostanza rappresentato che:
la società Tirrenoambiente nel tempo non si era più avvalsa della collaborazione dell'impresa Rotella, impresa che peraltro aveva utilizzato per attività di movimenti terra i mezzi di alcuni subappaltatori, non autorizzati, ma tali fatti non erano a conoscenza della Tirrenoambiente;
il Marti in sostanza era un soggetto che aveva rapporti con personaggi mafiosi ed era stato lui protagonista di attività illecite ai danni della Tirrenoambiente;
la ditta di Truscello Teresa non aveva mai operato nella discarica di Mazzarà Sant'Andrea;
le dichiarazioni rese da Marti in merito ai bilanci della società, alle doppie fatturazioni eccetera erano da ritenere false, in quanto Marti percepiva danaro da Rotella e da Bisognano/Truscello e non faceva in effetti gli interessi della società.
Naturalmente il processo dovrà essere celebrato innanzi al giudice competente che è la corte d'assise d'appello di Messina.
Il dato obiettivo e incontrovertibile, allo stato, è che vi sono state complesse ed articolate indagini caratterizzate dall'acquisizione di elementi di prova di diversa natura e di diversa fonte, sia dichiarativa che documentale, dall'esecuzione di operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale, dall'espletamento di consulenze tecniche, elementi tutti vagliati dal giudice dell'udienza preliminare e giudicati idonei per sostenere l'accusa nel giudizio dibattimentale innanzi alla corte d'assise di Messina.
Il procuratore della Repubblica di Messina, dottor Guido Lo Forte, è stato sentito nuovamente dalla Commissione e, nel corso dell'audizione, fornendo ulteriori precisazioni in merito al processo in corso (nel quale a breve dovrà essere sentito il teste Marti), ha esibito copia del decreto che dispone il giudizio, nel quale risultano articolati i capi di imputazione contestati agli indagati.
Il caso sopra delineato rappresenterebbe uno di quei casi in cui si assiste ad un controllo diretto da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso rispetto al settore dei rifiuti.
Per ciò che concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore specifico dei rifiuti è stato inoltre segnalato un procedimento che si è concluso in primo grado con sentenza di condanna nell'ambito della cosiddetta «Operazione Gabbiani» (proc. 1850/03).
In questo processo è stata accertata la penale responsabilità degli imputati che, avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale, con minacce avevano costretto il dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Barcellona Pozzo di Gotto (Ing. Salvatore Bonavita) a commettere una serie indeterminata di reati di falso in atto pubblico e di abuso in atti di ufficio in favore della cooperativa «Libertà e lavoro» amministrata da Aragona Andrea (successivamente deceduto), nell'ambito della procedura di gestione ed affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Ciò che è emerso particolarmente dalle dichiarazioni rese dal procuratore Guido Lo Forte è che, in sostanza, vi sono due livelli di inserimento della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore concernente la gestione e lo smaltimento dei rifiuti.
Da un lato, si registra un livello più basso che si manifesta attraverso attività finalizzate a trarre profitto dalla gestione altrui, attraverso l'imposizione del «pizzo» e l'imposizione dell'assunzione di soggetti appartenenti all'organizzazione criminale (o comunque vicini all'organizzazione) all'interno delle imprese che operano nel settore dello smaltimento e della raccolta dei rifiuti.
Dall'altro, si registra invece un livello più elevato, quale quello emerso nell'ambito dell'inchiesta relativa alla discarica di Mazzarà Sant'Andrea, in cui le organizzazioni di stampo mafioso mirano ad acquisire il controllo ed a gestire direttamente, per il tramite di proprie imprese, le attività del settore, riuscendo a farsi subappaltare i lavori.
Il problema degli appalti e dei successivi subappalti è particolarmente sentito in Sicilia. Se certi appalti non riescono proprio a partire e ad essere avviati, in una sorta di «stallo» amministrativo, la ragione (evidenziata dal procuratore Lo Forte anche a seguito dei suoi dati conoscitivi acquisiti nel corso della sua attività sia presso la procura della Repubblica di Palermo che presso la procura della Repubblica di Messina) va ricercata proprio nella capillare capacità di infiltrazione nel settore da parte delle organizzazioni criminali. Fino a quando non si riescono a raggiungere tutti gli accordi in merito all'appalto, ai subappalti, al danaro da consegnare alle organizzazioni criminali, a come tenere la contabilità, ebbene, fino a quando non ci si accorda su tutti questi aspetti le procedure d'appalto non vengono avviate.
Si tratta evidentemente di una necessaria semplificazione del fenomeno, che nella realtà può presentare sfaccettature diverse, ma nella sostanza le problematiche connesse agli appalti sono quasi sempre le stesse.
Il problema in generale (ed in questo senso si era espresso anche il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, dottor Francesco Messineo) non riguarda gli appalti ma i subappalti: normalmente a vincere l'appalto è una società credibile che però poi subappalta i lavori ad altra meno credibile.
Peraltro, anche sulla base delle informazioni acquisite dai Prefetti, sono emerse tutte le inefficienze del sistema nel rilascio della certificazione antimafia, spesso facilmente eludibile.
E le imprese che pur pulite, riescono ad aggiudicarsi un appalto al sud, dovendo operare in una realtà particolare quale quella siciliana, cercano una sorta di appoggio sul posto; e quindi da un lato sono vittime e dall'altro cercano canali per poter operare senza avere problemi di danneggiamento o altro.
Non è neanche ipotizzabile un costante controllo di polizia per verificare chi operi effettivamente sui cantieri.
Su esplicita richiesta del presidente della Commissione, onorevole Gaetano Pecorella, il procuratore della Repubblica ha poi indicato una possibile soluzione per dissuadere le imprese sane a procedere a subappalti non autorizzati, noli a freddo e quant'altro, soluzione che andrebbe cercata non sul piano del diritto penale, ma ipotizzando a carico delle imprese che operino nel senso sopra indicato sanzioni di tipo amministrativo molto gravi per gli interessi aziendali, come ad esempio l'impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione o di partecipare alle gare d'appalto per un congruo numero di anni.
Il sistema delle sanzioni civili e amministrative potrebbe rivelarsi più adeguato rispetto alle imprese di grosse dimensioni che potrebbero sfuggire a sanzioni di tipo penale a causa di una forma di deresponsabilizzazione a cascata nell'ambito delle società che utilizzano molto lo strumento della delega, rendendo così più difficoltosa l'individuazione del responsabile e l'accertamento dell'elemento psicologico del reato.
Si tratterebbe di elaborare una norma di prevenzione generale idonea a dissuadere le imprese sane dall'intrattenere rapporti con imprese collegate alla criminalità, organizzata e non.
Non sembra neanche facile elaborare un sistema di controlli rispetto al settore dei subappalti, non essendo certamente sufficienti meri controlli di tipo amministrativo, atteso che da un punto di vista formale compare normalmente quale subappaltatrice un'impresa sana.
Il vero problema è che l'impresa che effettua realmente i lavori oggetto del subappalto è diversa da quella che compare formalmente da un punto di vista documentale.
L'unico accertamento penetrante è quello che viene effettuato per il tramite di indagini di tipo giudiziario, attraverso sopralluoghi sul cantiere per verificare quali mezzi siano adoperati, a quale impresa appartengano, per chi lavorino gli operai.
È quindi una verifica che potrebbe essere effettuata già nel corso di eventuali attività di vigilanza e prevenzione da parte degli ispettori del lavoro, che effettuano in via amministrativa (ma le verifiche possono poi trasformarsi in altrettanti procedimenti penali) i controlli sul cantiere, sull'adozione delle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni nei posti di lavoro. Si tratta di una verifica che potrebbe poi consentire di effettuare degli accertamenti sui cantieri e fare emergere elementi tali da giustificare l'avvio di una mirata attività di indagine.
III - Provincia di Catania.
1) Attività della Commissione. Premessa.
La situazione della provincia di Catania è stata approfondita attraverso l'audizione del prefetto, dottor Vincenzo Santoro, del questore, dottor Domenico Pinzello, del presidente della provincia, dottor Giuseppe Castiglione, e del direttore generale del comune di Catania, dottor Maurizio Lanza.
Sono inoltre stati sentiti i magistrati operanti nel distretto di corte d'appello di Catania che hanno svolto indagini significative nel settore dei reati ambientali.
Le criticità rilevate nella provincia di Catania possono riassumersi come segue:

dissesto finanziario degli ATO (che hanno maturato debiti per circa 100 milioni di euro);
raccolta differenziata attestata su livelli bassissimi;
presenza sul territorio di molte discariche abusive, alcune, anche sequestrate di recente, di grandi proporzioni;
presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, soprattutto per quello che concerne l'attività di raccolta dei rifiuti solidi urbani
mancanza di controlli adeguati sul territorio.
2) La gestione del ciclo dei rifiuti.
Nell'ambito della provincia di Catania sono stati costituiti cinque ambiti territoriali ottimali con le corrispondenti società d'ambito:
CT1, società d'ambito Jonia Ambiente spa;
CT2, società d'ambito Aci Ambiente spa;
CT3, società d'ambito Simeto Ambiente spa;
CT4, società d'ambito Catania Ambiente spa;
CT5, società d'ambito Kalat Ambiente spa.
I rifiuti prodotti nella provincia vengono riversati nelle discariche di contrada Tiritì del comune di Motta Sant'Anastasia (CT) e di contrada Grotte San Giorgio nel territorio di Lentini (SR).
La discarica di Grotte San Giorgio è gestita dalla società privata Sicula Trasporti, mentre la discarica di Motta Sant'Anastasia è gestita dalla società OIKOS.
La Commissione, nel corso della missione in Sicilia, ha effettuato un sopralluogo sia presso la discarica di Motta Sant'Anastasia che presso la discarica di Grotte San Giorgio ed ha acquisito documentazione relativa alla modalità di gestione della discarica, sentendo sul posto gli amministratori delle società.
Come evidenziato dal prefetto nel corso dell'audizione, anche in provincia di Catania si registra una situazione gravemente deficitaria dal punto di vista finanziario di tutti gli ATO (ad eccezione dell'ATO CT5 Kalat Ambiente), ed in particolare l'ATO CT3 presenta una situazione deficitaria di circa cento milioni di euro.
La ragione del grave dissesto finanziario è da ricondurre alle cause che hanno determinato in altri ambiti territoriali della Sicilia una condizione analoga: da un lato, le società d'ambito sostengono costi eccessivi sia per il costo del servizio di raccolta, trasporto e conferimento dei rifiuti, sia per il personale in esubero; dall'altro, i cittadini non pagano la tassa sui rifiuti, che percepiscono come ingiustificatamente aumentata senza che a ciò corrisponda un miglioramento del servizio. Anche in questo contesto vi sono state poi le astensioni dal lavoro dei dipendenti che non percepiscono lo stipendio.
Il 19 luglio 2008 presso la prefettura di Catania si è tenuta una riunione a causa della paventata cessazione dell'attività della discarica sita in contrada Tiritì e gestita dalla società OIKOS che vanta crediti consistenti nei confronti dell'ATO CT3.
Negli ultimi mesi, inoltre, i circa cinquecento lavoratori facenti parte dei consorzi addetti al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani presso i diciotto comuni della provincia che dipendono dall'ATO CT3 Simeto Ambiente, a causa del mancato pagamento delle mensilità, si sono astenuti dal lavoro, sicché per diversi giorni è stato sospeso il servizio di raccolta dei rifiuti.
Le proteste hanno creato evidenti disagi alle popolazioni a causa dell'accumulo dei rifiuti e le soluzioni trovate per tamponare temporaneamente le forme di protesta non sono comunque riuscite a limitare e contenere le forme di agitazione.
La raccolta differenziata è a livelli bassissimi e le due discariche hanno capienza fino al 2013, essendo stati approvati progetti di ampliamento delle vasche.
Sul punto, il presidente della provincia di Catania ha segnalato un'anomalia relativa proprio a questo aspetto: in sostanza, nella provincia alcuni operatori che si occupano della raccolta dei rifiuti gestiscono anche la discarica ed è evidente che non vi è alcun interesse da parte di questi operatori ad incentivare la raccolta differenziata. Il soggetto che ha interesse ad effettuare la raccolta dei rifiuti è anche colui che ha interesse a che venga conferito il più possibile in discarica.
Sempre il presidente della provincia, nel corso dell'audizione, ha evidenziato come vi sia un'assoluta carenza di impianti e la gestione delle discariche avvenga in una sorta di monopolio reale: «Questi sono alcuni temi che nella provincia si profilano. Che ci possa essere interesse da parte di alcune organizzazioni criminali nelle strutture interne non siamo in condizioni di dirlo. Certamente il settore è molto appetibile e in Sicilia, a mio avviso, contaminazioni se ne possono verificare».
Quanto al sistema dei controlli, appare certamente significativo il sequestro operato dalla Guardia di finanza di una discarica abusiva che si estendeva su cinquantamila metri quadrati di terreno.
Anche in provincia di Catania, quindi, si registra una situazione molto grave sotto il profilo della gestione del ciclo dei rifiuti, in quanto, da un lato, gli ATO si trovano in una condizione di dissesto finanziario, dall'altro, l'unica forma di smaltimento dei rifiuti è il conferimento nelle discariche, che peraltro sono in via di esaurimento.
A ciò si aggiunge, come evidenziato dal prefetto nel corso dell'audizione, la presenza di numerose micro discariche abusive disseminate per lo più presso zone di campagna adiacenti alle strade provinciali che portano al vulcano Etna. In questo contesto, ha sottolineato il prefetto, particolarmente attivo è il ruolo svolto dalla Guardia di finanza, dalla polizia provinciale e dal corpo regionale delle Guardie forestali, sicché sono state sequestrate circa tredici discariche abusive per complessivi centoventimila metri quadrati.
Quello che però non si riesce a fare nella quasi totalità dei casi - il caso più eclatante è quello che riguarda il sequestro della discarica abusiva in località Ramacca - è l'individuazione dei responsabili. Quasi mai le indagini giudiziarie riescono ad accertare le penali responsabilità dei singoli.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti e infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Con riferimento specifico agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, particolarmente significative sono state le notizie fornite dal questore e dai magistrati della corte d'appello di Catania auditi nel corso della missione effettuata dalla Commissione in Sicilia.
Dall'audizione del questore di Catania e dalle notizie fornite anche attraverso la relazione scritta emerge un interesse costante della criminalità organizzata di stampo mafioso al settore dei rifiuti, interesse evidenziato già da alcune indagini giudiziarie che negli anni '90 avevano riguardato l'omicidio di Benfatto Giorgio, la cui moglie era titolare di un'impresa che operava nel settore dei rifiuti. L'omicidio era stato compiuto da Sebastiano Sciuto, appartenente alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano; il movente era riconducibile al controllo del settore dei rifiuti (come accertato dalla corte d'assise d'appello di Catania) e, peraltro, concorrente nel reato era anche un altro soggetto che operava nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
Successivamente, nell'operazione cosiddetta «Orsa Maggiore», alcuni collaboratori di giustizia hanno evidenziato gli interessi della malavita organizzata, riconducibile alle famiglie Santapaola-Ercolano, nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
Questi episodi sono peraltro stati analizzati dalle precedenti Commissioni parlamentari che ne hanno per l'appunto evidenziato l'importanza sotto il profilo dell'interesse evidente della criminalità organizzata per un settore ritenuto remunerativo.
Le indagini attuali hanno consentito di delineare un interesse marcato della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, soprattutto per quel che concerne l'attività di raccolta dei rifiuti urbani.
La squadra mobile di Catania, nel 2006, nel corso di un'attività investigativa nei confronti della cosca Sciuto-Tigna, ha documentato come Sciuto Biagio, personaggio di vertice della cosca Sciuto (già arrestato in sede di applicazione di misura cautelare per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale) utilizzasse per i suoi spostamenti un'autovettura appartenente alla Cooperativa «La mimosa» di Catania, cooperativa che, unitamente alle altre due cooperative «Creatività» e «Batticinque», appartenenti al consorzio «Il Solco», provvedeva allo spazzamento del centro storico etneo, avendo ottenuto il relativo appalto.
Proprio in relazione a questo aspetto la questura di Catania ha effettuato delle verifiche con riferimento alle cooperative summenzionate e, sebbene sia stato accertato che ai vertici delle stesse si trovino personaggi non riconducibili alla criminalità organizzata, tuttavia sono stati approfonditi gli accertamenti con riferimento ai lavoratori, che risultano nella maggior parte segnalati allo sdi, con precedenti penali, sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Il reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro è certamente un dato positivo, ma se si accerta che l'autovettura della cooperativa è sistematicamente utilizzata da un capo mafia della zona, evidentemente la situazione va valutata diversamente ed infatti sono state avviate indagini giudiziarie sul punto, come precisato dal questore.


Nel corso dell'audizione, prendendo spunto proprio dall'episodio summenzionato, è stata approfondita la questione delicatissima del rilascio delle certificazioni antimafia e degli approfondimenti che normalmente vengono richiesti ed effettuati per il rilascio della certificazione.
Uno dei problemi principali riguarda il fatto che informative dettagliate in merito agli amministratori delle società, ai dipendenti, ai legami con organizzazioni criminali, comporterebbero il disvelamento di atti e notizie acquisite nel corso di indagini e coperte da segreto istruttorio, dovendosi dare atto nel corpo della motivazione circa il diniego della certificazione delle ragioni poste alla base del provvedimento.
Si è quindi rappresentata l'esigenza di innovazioni a livello normativo che consentano in qualche modo di superare questo problema, che può determinare la redazione di informative incomplete in ragione del segreto istruttorio summenzionato.
Ed ancora, è stato segnalato dalla prefettura che alcuni netturbini, che espletano il servizio di raccolta dei rifiuti presso il comune di Paternò per conto di una ditta, sono vicini ad ambienti criminali.
Questo dato è stato segnalato dal sindaco di Paternò al prefetto ed è stata investita della questione l'autorità giudiziaria.
Quello che si è accertato nel corso della missione è che vi sono un insieme di elementi indiziari da cui dedurre una presenza significativa della criminalità organizzata nel settore della raccolta dei rifiuti, ma le indagini sono ancora in corso e in via di sviluppo.
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Caltagirone.
In via generale, presso la procura della Repubblica di Caltagirone risultano pendenti (al mese di giugno 2009) ottantuno procedimenti per reati in materia ambientale, dieci dei quali risultano iscritti anche per reati contro la pubblica amministrazione connessi con i reati previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
Tra i procedimenti più importanti segnalati vi è quello relativo al sequestro della discarica di Mineo, gestita dal comune, ormai chiusa perché satura. In sostanza la discarica è stata sequestrata per un non corretto smaltimento del percolato.
Nell'ambito di questo procedimento è stato contestato anche il reato di cui all'articolo 328 del codice penale a carico dei responsabili della custodia della discarica e dei funzionari tecnici, i quali indebitamente omettevano di adottare i tempestivi provvedimenti atti ad impedire la tracimazione del percolato, con rischi tutt'altro che marginali di inquinamento non solo delle aree circostanti ma anche della falda acquifera.
Si tratta evidentemente di un'indagine che ha mostrato uno spaccato importante dello stato in cui versano molte discariche chiuse in Sicilia, in condizioni di pressoché totale abbandono.
L'amministrazione comunale pare si sia attivata per le attività di messa in sicurezza d'urgenza della discarica, mentre la ASL competente ha emesso ordinanza di divieto di raccolta di verdure selvatiche e di frutti da coltivazioni arboree nella zona circostante alla discarica.
È stata poi effettuata un'indagine (doc. 90/2) nell'ambito della quale sono stati emessi dal Gip presso il tribunale di Caltagirone ordinanze applicative di misure cautelari che hanno attinto due imprenditori, due rappresentanti dell'ufficio tecnico del comune di Palagonia, nonché l'ex sindaco del comune di Palagonia.
In sostanza, sono stati riconosciuti gravi indizi di colpevolezza in merito al reato di abuso d'ufficio, falso in atto pubblico e truffa aggravata ai danni del comune di Palagonia.
Le indagini hanno riguardato le ordinanze contingibili ed urgenti con le quali l'ex sindaco di Palagonia avrebbe affidato per più anni, senza una gara d'appalto, l'incarico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani all'impresa ecologica «Ecosi» (titolare Busso Giuseppe), unitamente ai reati di falso preordinati a consentire il conferimento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti alla predetta impresa, senza tenere conto delle più vantaggiose offerte effettuate da altre imprese.
Attraverso le predette condotte sarebbe stato commesso il reato di truffa ai danni del comune di Palagonia, che ha dovuto versare ingenti somme per un servizio che sarebbe costato di meno se fosse stato assegnato mediante una regolare gara ad altre imprese o alla Kalat (che era già pienamente operativa) e che sarebbe stato anche qualitativamente superiore.
Si è infatti accertato, anche sulla base delle lamentele dei cittadini e delle dichiarazioni rese dagli attuali amministratori comunali, che il servizio era svolto solo parzialmente, con mezzi vetusti ed inadeguati, omettendo alcune attività, come la raccolta differenziata, sollecitate e mai eseguite e, tuttavia, pagate senza alcuna contestazione o decurtazione, nonostante fosse evidente e nota la loro omissione. L'ATO 5 di Catania che comprende i comuni del Calatino Sud ha affidato la gestione integrata dei rifiuti alla società Kalat Ambiente spa. La società d'ambito aveva poi affidato dal primo novembre 2007 il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con riferimento al alcuni comuni, alla società Aimeri Ambiente del Gruppo Biancamano e, con riferimento ad altri comuni, alla società Agesp spa. Solo nel comune di Palagonia operava l'Impresa Ecologica Busso Giuseppe.
A parte l'attività investigativa sopra evidenziata, è stato comunque sottolineato in sede di audizione che nel territorio di Caltagirone si ravvisano dei fenomeni che potrebbero rappresentare la punta di un iceberg e che evidentemente necessitano di approfondimenti investigativi: da un lato, la presenza di cumuli di rifiuti e di un abusivismo diffuso nelle piazzole di sosta e in vari centri comunali di stoccaggio dei rifiuti; dall'altro, di un rialzo costante delle tariffe per il servizio di raccolta dei servizi solidi urbani cui non si accompagna l'efficienza del servizio e una percentuale adeguata di rifiuti nel settore della raccolta differenziata (la società d'ambito, la Kalat ambiente, si avvale di due società di servizi che sono la Aimeri Ambiente e la Agesp Ambiente).
Questi due fenomeni hanno fatto scattare un campanello d'allarme, dovendosi accertare le ragioni di queste anomalie e di questi disservizi.
Un episodio particolarmente drammatico ha riguardato il depuratore del comune di Mineo, presso il quale sono morti sei operai.
Nel corso delle indagini si è accertato che le cause della morte sarebbero riconducibili, da un lato, a violazioni della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, dall'altro, a violazioni specifiche attinenti alla non corretta gestione del depuratore, violazioni che avevano determinato un evidente stato di anaerobiosi dell'impianto medesimo e di condizioni anaerobiche fermentative dei fanghi di sedimentazione secondaria, e quindi concentrazioni significative di solfuri nei fanghi, che hanno rappresentato la causa della morte dei lavoratori per avvelenamento acuto da idrogeno solforato allo stato gassoso.
Nel predetto procedimento è stata esercitata l'azione penale con richiesta di rinvio a giudizio a carico del dirigente dell'ufficio tecnico comunale di Mineo, dell'assessore con delega ai lavori pubblici, al servizio idrico integrato, all'ecologia e ai servizi tecnologici, nonché a carico del responsabile del servizio lavori pubblici, nonché dei datori di lavoro e delle altre figure rilevanti in materia di sicurezza appartenenti all'impresa affidataria del servizio (Carfì Servizi Ecologici srl con sede in Ragusa).
Risultano pendenti numerosi procedimenti per il reato di cui all'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e sono stati segnalati importanti procedimenti per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 260 del 2006.
In generale, dalla panoramica dei procedimenti evidenziati nella nota trasmessa dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltagirone emerge come la procura e le forze di polizia abbiano operato nella concordia delle strategie di contrasto, attraverso un'opera di prevenzione e repressione delle varie forme di inquinamento, nonché nel controllo delle discariche abusive, esercitando le dovute azioni di impulso per quanto concerne la bonifica dei siti.
È stato inoltre segnalato che i comuni hanno stipulato appositi contratti di servizio con le società di servizi (Aimeri Ambiente spa e Agesp spa) mentre il rapporto tra la Kalat ambiente e le società di servizi sono regolati da convenzioni. Si tratta evidentemente di un doppio regime giuridico che si espone al rischio di abusi patrimoniali nella contabilizzazione dei rifiuti raccolti e smaltiti.
Per quanto concerne le possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, il procuratore della Repubblica ha rappresentato che, sino ad ora, non sono emersi evidenti profili di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Ha comunque evidenziato come, allo stato, l'unica forma di smaltimento dei rifiuti sia rappresentata dalle discariche, che però sono in via di esaurimento e peraltro presentano problemi di gestione; per realizzarne delle altre non ci sono terreni disponibili e popolazioni disposte ad accettarne l'insediamento. Tutto ciò è una situazione ottimale per il business dell'ecomafia.
Della questione specifica relativa al termovalorizzatore che avrebbe dovuto essere realizzato a Paternò, e della relativa indagine, si tratterà nella terza parte della relazione.
IV - Provincia di Ragusa.
1) Attività della Commissione. Premessa.
Anche con riferimento alla provincia di Ragusa l'approfondimento della questione attinente alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti è avvenuto attraverso l'audizione del prefetto di Ragusa, dottoressa Francesca Cannizzo, del questore, dottor Giuseppe Oddo nonché del presidente della provincia, dottor Franco Antoci, e del sindaco di Ragusa.
Le problematiche registrate nella provincia di Ragusa riguardano:

prossima saturazione delle discariche in esercizio
presenza di numerose discariche abusive, realizzate prevalentemente nelle ampie zone disabitate della provincia;
presenza di insediamenti industriali altamente inquinanti;
inoperatività del locale ATO, tuttavia fonte di oneri e spese sia in relazione alla sua struttura che in relazione al personale;
scopertura dei posti di sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Ragusa, pari, al mese di settembre 2009, al 60% del numero previsto dalla pianta organica.
2) La gestione del ciclo dei rifiuti.
Nella provincia di Ragusa è stato costituito il 28 dicembre 2002 un ATO con la società d'ambito Ragusa ambiente spa alla quale partecipano i dodici comuni della provincia e, a partire dal primo luglio 2005, la società d'ambito ha assunto la titolarità ed il controllo dell'attività di raccolta e di conferimento in discarica dei rifiuti solidi urbani.

Per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani sono in atto operanti due discariche comprensoriali a servizio dell'intero bacino di utenza provinciale, discariche ubicate nei comuni di Ragusa e di Vittoria; una terza discarica, quella di Scicli, è stata chiusa in ragione della scadenza dell'autorizzazione per l'utilizzo.
In relazione ad entrambe le discariche sono previsti progetti di ampliamento e, peraltro, come evidenziato nella relazione trasmessa dal prefetto di Ragusa, la provincia di Ragusa, unitamente con la società d'ambito territoriale Ragusa ambiente spa, sta realizzando progetti per l'individuazione di nuovi siti idonei ad ospitare discariche che possano servire l'intero territorio provinciale.
L'esigenza di ricercare nuove località per la realizzazione di aree ove insediare discariche per rifiuti è stata determinata dallo stimato esaurimento dei due impianti attualmente in esercizio per la fine del prossimo anno.
E quindi anche nella provincia di Ragusa si ripropongono le medesime problematiche presenti in tutto il territorio siciliano in merito alla prossima saturazione delle discariche ed alla mancanza di soluzioni alternative rispetto all'ampliamento di quelle già esistenti o all'individuazione di siti per realizzarne di nuove.
Anche il presidente della provincia, nel corso dell'audizione, ha evidenziato le problematiche connesse alle discariche ed ha dichiarato, testualmente: «Il grave problema della provincia è quello delle discariche. Attualmente abbiamo in esercizio soltanto due discariche autorizzate, quella di Ragusa e quella di Vittoria. Quella di Ragusa è autorizzata con una mia ordinanza che scadrà alla fine dell'anno, quella di Vittoria ha avuto l'autorizzazione regionale. Quando queste due discariche si satureranno emergerà un serio problema. C'è la possibilità di ampliarle ed a breve dovrebbero entrare in funzione due impianti di compostaggio presso le discariche di Ragusa e di Vittoria, diminuendo anche il contenuto conferito in discarica (...). La raccolta differenziata è ferma a livelli inaccettabili».
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti.
Per quanto riguarda eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, il prefetto di Ragusa ha evidenziato come non emergano elementi riconducibili a fenomeni di criminalità organizzata nell'attività di raccolta, trasporto ed eliminazione dei rifiuti.
La questura di Ragusa ha inoltre fatto presente che, nel corso delle attività di indagine espletate a partire dalla fine degli anni '80, non sono emersi riferimenti in ordine a collegamenti, ingerenze o tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della gestione del ciclo e dello smaltimento dei rifiuti, ritenuto un ambito nei confronti del quale le consorterie mafiose della provincia non hanno evidenziato particolare interesse. Così pure come non emergono elementi riguardanti iniziative illecite concernenti la fittizia classificazione dei rifiuti da inquinanti a non inquinanti mediante false fatturazioni o analisi eseguite da laboratori o enti compiacenti.
È stato inoltre rappresentato che i collaboratori di giustizia non hanno reso dichiarazioni al riguardo «anche se tra i dipendenti delle aziende addette ai servizi sopra richiamati, in particolare in quella operante nel comune di Vittoria, ove vi è un indice di criminalità maggiore rispetto al resto del territorio provinciale, vi sono alcuni soggetti che annoverano pregiudizi penali». Tale circostanza, come di seguito evidenziato, è stata evidenziata anche dal procuratore della Repubblica di Ragusa nel corso dell'audizione.
Il prefetto di Ragusa ha però sottolineato come nella provincia siano state registrate situazioni di malaffare, laddove i titolari di alcune imprese, che si sono aggiudicate gli appalti per la raccolta ed il conferimento dei rifiuti, si sono resi responsabili di reati in danno della pubblica amministrazione, in alcuni casi in concorso con gli amministratori pubblici.
In particolare si riferiva alla impresa di Busso Giuseppe, rispetto al quale peraltro la procura della Repubblica di Modica ha trasmesso alla Commissione copia della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio, emesso dal Gip presso il tribunale di Modica (l'impresa di Busso Giuseppe effettuava per conto del comune di Modica il servizio di raccolta e conferimento dei rifiuti solidi urbani in discarica).
In sostanza, sono stati contestati reati di cui agli articoli 323, 314, 356 e 328 del codice penale a pubblici amministratori del comune di Modica e a Busso Giuseppe in relazione all'illegittima, e presuntivamente illecita, aggiudicazione definitiva del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani del comune di Modica all'ATI costituita tra l'impresa ecologica di Busso Giuseppe e la società ECO.S.I. srl, carente dei requisiti prescritti e della capacità tecnico imprenditoriale per lo svolgimento dell'appalto. Sono stati inoltre contestati diversi episodi di frode in pubbliche forniture e di appropriazione indebita connessi alla condotta sopra menzionata.
Il processo è in fase dibattimentale, essendo stato emesso già il decreto che dispone il giudizio nei confronti di tutti gli imputati.
L'impresa Busso opera ancora per il comune di Modica (almeno alla data dell'audizione del prefetto) e, secondo quanto riferito dal prefetto medesimo, il sindaco si sarebbe adoperato per avviare le procedure finalizzate a determinare la risoluzione del contratto, che però richiedono tempi non brevissimi.
Quello che stupisce è che, a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio effettuata dalla procura della Repubblica di Modica il 18 febbraio 2009, ancora il comune continui a operare con l'impresa sopra menzionata.
Informazioni più dettagliate in merito ai reati ambientali consumati sul territorio della provincia sono state fornite dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Ragusa.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Ragusa ha evidenziato sin dall'inizio della sua audizione innanzi alla Commissione la gravissima scopertura di organico che caratterizza la procura della Repubblica di Ragusa (sono in servizio solo due sostituti su sei, con un indice di scopertura dei posti pari al 66%, a causa della disposizione dell'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo n. 160 del 2006).
Ciò ha determinato l'impossibilità di creare un gruppo specializzato di magistrati che si occupassero esclusivamente di reati ambientali, sicché tutte le notizie di reato vengono trattate indifferentemente dai due sostituti procuratori in servizio e dal procuratore capo.
Quanto agli organi di polizia giudiziaria che cooperano nelle indagini in materia ambientale, sono stati segnalati i comandi territoriali dei Carabinieri e della Guardia di finanza, la Polizia provinciale di Ragusa, in collaborazione con il locale dipartimento dell'ARPA Sicilia (che evidentemente in questa zona opera meglio che nella provincia di Palermo). È risultato invece marginale il contributo fornito dal NOE - Carabinieri di Catania (probabilmente per l'eccentricità del territorio di Ragusa rispetto alla sede del comando).
Il procuratore ha poi evidenziato che il territorio del circondario di Ragusa si presta particolarmente alla consumazione di reati ambientali per una serie di ragioni: da un lato, si tratta di un territorio con una non elevata densità della popolazione, concentrata in grandi insediamenti urbani, sicché vi sono vaste zone del territorio disabitate e difficilmente controllabili; dall'altro, vi sono insediamenti industriali e risultano molto sviluppate l'agricoltura e la zootecnia, con le relative conseguenti necessità di smaltimento di rifiuti e residui di produzione spesso gravemente inquinanti.
Proprio in relazione a questo ultimo aspetto sono state svolte indagini (peraltro ancora in corso) relative ad un grave inquinamento di falde acquifere utilizzate per gli usi civili e la zootecnia; inquinamento determinato da un residuo del siero del latte particolarmente inquinante (è stata quindi effettuata dalla procura la comunicazione alle autorità competenti di «evento inquinante», ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Sono stati poi segnalati due procedimenti riguardanti i comuni di Monterosso Almo e di Santa Croce Camerina, nel corso dei quali è stato accertato che le citate amministrazioni avevano realizzato delle «isole ecologiche» non conformi ai dettami del decreto ministeriale 8 aprile 2008, in quanto carenti di quasi tutti i requisiti tecnico-gestionali previsti nell'allegato 1 del citato decreto.
Di fatto si trattava di discariche nelle quali venivano depositati anche rifiuti pericolosi, con evidente pregiudizio per la salute dei cittadini. I siti sono stati sequestrati nel corso delle indagini e i comuni interessati hanno poi provveduto a mettere a norma i siti medesimi.
Altra indagine riguarda un possibile danno ambientale determinato dagli scarichi del depuratore del comune di Ragusa (ma si tratta di un'indagine ancora in corso, peraltro iscritta a mod. 44).
3.1) Indagini segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Modica.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Modica non è stato sentito nel corso dell'audizione, ma ha inviato a questa Commissione parlamentare documentazione relativa ad importanti indagini a carico di pubblici amministratori locali del comune di Scicli per i reati di truffa ai danni dello stato (articolo 640, comma 2, del codice penale), inadempimento ai contratti di pubblica fornitura (articolo 355 del codice di procedura penale) in relazione alla gestione della discarica di San Biagio di Scicli, sia per quel che concerne la determinazione dei costi di gestione, sia per quanto concerne la mancata predisposizione di sistemi di intercettazione e combustione del biogas (proc. n. 699/06).
A ciò si sarebbe aggiunta anche la mancata realizzazione del sistema di impermeabilizzazione della superficie della discarica e la mancata corretta gestione del percolato e del biogas con la conseguente dispersione nel suolo e nell'atmosfera.
4) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Con riferimento alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, il procuratore, pur precisando che il contesto territoriale ragusano non è spiccatamente caratterizzato dalla presenza e dall'operatività di aggregati di tipo mafioso, tuttavia ha sottolineato come l'area corrispondente alla città di Vittoria appaia largamente influenzata dalle organizzazioni di stampo mafioso (cosa nostra e stidda) operanti nella vicina città di Gela.
Sono state segnalate alcune circostanze particolari, e di sicuro interesse per la Commissione, relative all'azienda municipalizzata di igiene urbana del comune di Vittoria (AMIU), che gestisce per conto dello stesso comune di Vittoria l'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
È stato infatti accertato come presso l'AMIA prestino servizio numerosi soggetti condannati per reati di varia natura o legati da vincoli di parentela con soggetti indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Si è quindi delineata l'ipotesi che possa esservi un qualche collegamento con le organizzazioni di stampo mafioso attraverso assunzioni di comodo.
È stata segnalata poi l'effettiva inoperatività del locale ATO che, pur essendo esistente ed organizzato sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista del personale, non pare svolga particolari funzioni nello specifico settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, che sono invece affidati da tutti i comuni, a parte due, ad un'unica impresa.
L'impresa è quella di Busso Sebastiano, indicata nella nota inviata dal prefetto di Ragusa come l'impresa che esercita il servizio di raccolta e conferimento dei rifiuti solidi urbani nei comuni di Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Monterosso Almo, Ragusa, Modica, Santa Croce Camerina e Scicli (nel comune di Pozzallo opera invece la Geo Ambiente srl e nel comune di Vittoria la Azienda Speciale AMIU).

Secondo quanto precisato nella nota, gli affidamenti alle imprese sono avvenuti a seguito dell'espletamento di procedure di appalto pubblico sicché, sulla base delle informazioni acquisite, non è possibile affermare che vi siano state anomalie nelle procedure d'appalto.
Certo è che anche nella provincia di Ragusa evidentemente l'ATO si è rivelato essere una struttura meramente burocratica priva di un'effettiva operatività ed efficienza e tuttavia fonte di oneri e spese per la struttura e per il personale. Su questo aspetto, segnalato dal procuratore della Repubblica, evidentemente sono in corso approfondimenti da parte dell'autorità giudiziaria.
V - Provincia di Siracusa.
1) Attività della Commissione. Premessa.
La situazione della provincia di Siracusa è stata approfondita attraverso l'audizione del prefetto di Siracusa, dottoressa Carmela Floreno, il questore, Domenico Percolla, il presidente della provincia regionale di Siracusa, Nicola Bono e il sindaco di Siracusa, Roberto Visentin.
Sono inoltre stati sentiti i magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale di Siracusa che hanno svolto indagini significative in materia di reati ambientali.
Anche con riferimento alla provincia di Siracusa è stato accertato che:
la raccolta differenziata si attesta su livelli bassissimi;
gli ATO si sono rivelati essere organismi autoreferenziali privi di qualsiasi efficienza e esclusivamente utilizzati come centri di potere;
la gestione del ciclo dei rifiuti è rimasta sostanzialmente in capo ai comuni e vi è stato un innalzamento dei costi dei servizi di raccolta;
permane la carenza di discariche e persistono difficoltà nella realizzazione di nuove o di ampliamento di quelle già esistenti, anche per una carenza di progettualità da parte dei comuni;
vi è una proliferazione di discariche abusive di inerti, anche per la mancanza di centri di recupero per lo smaltimento di tali tipi di rifiuti;
carenza di impianti.
2) Gestione del ciclo dei rifiuti.
Nella provincia di Siracusa sono stati costituiti due ambiti territoriali ottimali (SR1 e SR2) che, pur esistenti sulla carta, non hanno però mai operato direttamente e il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti viene gestito o dai comuni direttamente o attraverso alcune imprese cui viene affidato il servizio.
A questo proposito il presidente della provincia di Siracusa si è espresso in termini molto critici: «Ritengo che fino ad ora gli ATO abbiano privilegiato l'aspetto dell'autoreferenzialità, guardando più alle assunzioni di personale ed alla gestione del nuovo potere acquisito che non del servizio collegato al potere. L'inadeguatezza dei comuni è oggettiva...... le inefficienze degli ATO e dei comuni creano un organismo che sembra riprodurre le due inefficienze piuttosto che trovare una soluzione di efficienza alle problematicità».
Uno dei punti critici evidenziati dal prefetto nel corso dell'audizione è rappresentato dal bassissimo livello di raccolta differenziata che nella provincia di Siracusa si attesta su percentuali scarse. Tutti i comuni conferiscono i rifiuti non pericolosi senza alcuna selezione nella discarica privata «Costa Gigia» nel comune di Augusta (gestita dalla società Green Ambiente, mentre un solo comune, Lentini, conferisce i rifiuti nella discarica di Motta Sant'Anastasia, in provincia di Catania).
Vi è poi nella provincia di Siracusa un'ulteriore discarica per rifiuti inerti, sita in contrada Costa Mendola, nel comune di Augusta.
Sotto il profilo delle discariche in esercizio, il presidente della provincia di Siracusa ha sottolineato un aspetto, a parere della Commissione, molto importante. Uno dei motivi di difficoltà nel funzionamento del settore dei rifiuti sarebbe infatti rappresentato dalla situazione di monopolio di fatto nella gestione delle discariche. Testualmente, ha dichiarato: «Appare evidente come l'esistenza di due soli impianti in tutta la provincia per due distinte tipologie di rifiuti rappresenti una grave criticità. Oggi infatti non esiste alcuna concorrenza in questo delicato settore, con ogni ipotizzabile conseguenza sia in merito ai costi che alla qualità del servizio. Tra l'altro si tratta di impianti che si avviano velocemente all'esaurimento, cosicché, non provvedendo con urgenza alla creazione di nuovi impianti, si rischiano ben presto nuove forme di emergenza rifiuti nella nostra provincia».
In sostanza si ripropongono nella provincia di Siracusa i gravissimi problemi legati alle inefficienze degli ATO e dei comuni, allo scarsissimo livello di raccolta differenziata, ad una gestione delle discariche che pare non garantisca la qualità del servizio e la congruità dei costi, all'inadeguatezza degli impianti esistenti ed alle vischiosità burocratiche che si incontrano nel caso in cui si promuovano nuove iniziative e nuovi progetti.
Un caso, evidenziato sempre dal presidente della provincia di Siracusa, è quello del comune di Floridia che, pur avendo già realizzato nel suo territorio una discarica per rifiuti solidi urbani conforme ai progetti approvati, nel mese di settembre 2009 non aveva ancora ottenuto l'autorizzazione regionale per l'avvio della attività.
La ragione del mancato rilascio dell'autorizzazione sarebbe da ricercare nel fatto che, quando non era in funzione ancora la discarica di Costa Gigia, il comune di Floridia aveva avviato le procedure per realizzare la discarica chiedendo l'autorizzazione alla provincia regionale, l'ente che in via straordinaria ha competenza al riguardo, in mancanza di discariche autorizzate nella provincia.
Il comune di Floridia aveva ottenuto l'autorizzazione della provincia e realizzato la discarica, ma non ha poi ottenuto l'autorizzazione dalla regione in quanto nel frattempo era entrata in funzione la discarica di Costa Gigia.
Sono comunque stati presentati progetti per l'ampliamento delle discariche esistenti, essendo previsto l'esaurimento al 2011 dei volumi abbancabili.
3) Illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. Infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Nella relazione inviata dal prefetto, per ciò che concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, è stata segnalata un'indagine, tutt'ora in corso e seguita dalla squadra mobile della questura di Siracusa, concernente tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore dei rifiuti, soprattutto per quanto concerne l'ATO SR 2.
Alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata della zona a sud della provincia, riconducibili alla famiglia «Trigila», attraverso ditte di movimento terra, a loro direttamente o indirettamente riconducibili, hanno manifestato interesse nella costruzione o ristrutturazione di alcune discariche per la raccolta dei rifiuti ubicate nella zona a sud della provincia.
Il questore di Siracusa, dottor Domenico Percolla, ha evidenziato in sede di audizione che il tentativo della cosca mafiosa di inserirsi nel settore dei rifiuti, emerso nel contesto dell'indagine summenzionata, non si era concretizzato in quanto sono state portate avanti correlative indagini da parte della Guardia di finanza e del commissariato di Avola che hanno consentito l'arresto di numerosi indagati.
Al tempo stesso però è stato osservato come in realtà non vi sia un interessamento organico da parte delle cosche locali al settore dei rifiuti, in quanto le principali attività della criminalità organizzata locale sono rappresentate dal traffico di sostanze stupefacenti e da attività estorsive che possono riguardare diverse tipologie di imprenditori, compresi quelli che operano nel settore dei rifiuti.
In questo senso si sono espressi anche i magistrati nel corso dell'audizione. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa, pur sottolineando l'esistenza di importanti indagini relative a fenomeni di inquinamento ambientale legati all'attività industriale della zona (indagini ancora coperte da segreto istruttorio), ha evidenziato come non si registrino significative infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti nella provincia di Siracusa.
Il comandante del NOE di Catania ha però riferito di un fenomeno particolare che si è verificato soprattutto nella provincia di Siracusa e che riguarda il consistente numero di imprese che, originariamente operanti nel settore delle autodemolizioni, improvvisamente hanno cominciato a richiedere e ad ottenere le autorizzazioni per le attività di recupero di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata.
Le imprese che hanno ottenuto la conversione per l'attività di recupero rifiuti appaiono legate, direttamente o indirettamente, al clan Nardo di Lentini, facente capo al boss Sebastiano Nardo (attualmente detenuto e sposato con una cugina di Nitto Santapaola).
La situazione è apparsa allarmante ai Carabinieri del Noe anche perché il fenomeno si verifica in un territorio, come quello siracusano, in cui gli ATO esistono solo teoricamente, ma non gestiscono effettivamente il ciclo dei rifiuti, che viene invece gestito direttamente dai comuni i quali emanano provvedimenti in via d'urgenza per rinnovare i rapporti di servizio con aziende che «destano sospetti», secondo quanto dichiarato dal comandante.
Si tratta evidentemente di una situazione che intrinsecamente si presta ad infiltrazioni della criminalità sfruttando le maglie larghe di un sistema deficitario e privo di trasparenza, in assenza di adeguati controlli.
PARTE TERZA
1) Il fallimento del piano del ciclo dei rifiuti in Sicilia adottato nel 2002.
Secondo il rapporto dell'ISPRA, la produzione di rifiuti solidi urbani in Sicilia si attesta intorno alle 2.700.000 tonnellate/anno, equivalenti a circa 540 kg/anno, di poco al di sotto della media nazionale.
La raccolta differenziata è stimata attorno al 6-7%, dato che colloca questa regione agli ultimissimi posti a livello nazionale.
La capacità impiantistica di trattamento degli RSU (esclusi i centri di selezione e raccolta) era limitata al 2007 a sette impianti di compostaggio (capacità di circa trecentomila tonnellate all'anno), due impianti di trattamento meccanico e biologico (capacità centodiecimila tonnellate all'anno) ed un impianto di incenerimento (capacità diciottomila tonnellate all'anno).
Dai dati sopra riportati emerge in tutta evidenza una drammatica carenza infrastrutturale ed impiantistica ed infatti la Sicilia smaltisce in discarica il 93% dei propri rifiuti.
Per fronteggiare questa situazione la regione siciliana si è dotata di un apposito piano regionale, che prevedeva sostanzialmente un decollo della raccolta differenziata e, a valle di quest'ultima, un sistema di gestione dei rifiuti che passa per la selezione e la separazione dei metalli, la biostabilizzazione della frazione umida per produrre compost non di qualità (e quindi destinato a discarica o a recuperi ambientali) e la selezione di frazione secca per i quattro inceneritori previsti dal piano stesso, che avrebbero dovuto trattare circa due milioni di tonnellate l'anno.
Con l'attuazione completa della pianificazione adottata era previsto che rimanessero in esercizio solo sette discariche per tutto il territorio regionale, che avrebbero dovuto essere utilizzate esclusivamente per i sovvalli provenienti dal sistema della termovalorizzazione.
Il piano per la gestione dei rifiuti in Sicilia era stato formalmente adottato in data 18 dicembre 2002, con ordinanza commissariale n. 1166.
La Commissione europea giudicò il piano conforme alle direttive europee in tema di rifiuti, evidenziando come esso andasse nella direzione di una gestione ambientalmente sana dei rifiuti in Sicilia, conformemente alle esigenze delle rilevanti direttive europee, in particolare le direttive 75/442, 91/689 e 94/62.
Il piano di gestione dei rifiuti poneva alla base la «gestione integrata e l'obiettivo della politica di gestione erano le cosiddette quattro R: riduzione e riuso; recupero e riciclaggio. In sostanza l'obiettivo era rappresentato dalla diminuzione della produzione di rifiuti, sicché solo la frazione residuale a valle della raccolta differenziata avrebbe potuto essere destinata alla termovalorizzazione, mentre, come detto, i residui della lavorazione sia della frazione proveniente dalla raccolta differenziata che quelli provenienti dalla frazione destinata al recupero energetico avrebbero dovuto costituire gli unici rifiuti da destinare nelle discariche.
Al centro del piano integrato dei rifiuti si ponevano le società d'ambito che costituiscono le aggregazioni di comuni alle quali i comuni stessi dovevano trasferire l'esercizio delle proprie competenze in materia.
Il compito degli ATO sarebbe stato quello di pianificare e programmare la gestione integrata sul proprio territorio, compresa la realizzazione degli impianti, il livello di raccolta differenziata e l'affidamento della gestione integrata, predisponendo a tal fine, ciascuno, un proprio piano d'ambito e perseguendo, in primo luogo, gli obiettivi minimi di raccolta differenziata.
Altro aspetto fondamentale della gestione integrata dei rifiuti era rappresentato dalla termovalorizzazione, che si sarebbe dovuta fondare, innanzi tutto, sulla raccolta differenziata a monte e, per il residuo a valle della raccolta differenziata, sul trattamento del rifiuto ai fini del recupero energetico mediante termovalorizzazione.
Ebbene, il piano della gestione dei rifiuti in Sicilia è rimasto inattuato (ormai peraltro è in via di superamento a seguito della legge regionale n. 9 del 2010) e il fallimento è riconducibile a due aspetti essenziali:
il dissesto finanziario degli ATO in quasi tutte le province siciliane;
la mancata realizzazione dei termovalorizzatori.
2) Il dissesto finanziario degli ATO.
In più occasioni e da anni si è sottolineata l'assoluta inefficienza dei ventisette ATO siciliani e la necessità di una loro drastica riduzione.
Sul punto, la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti della precedente legislatura, nella relazione finale, si era espressa nei seguenti termini: «Da più parti gli ATO sono stati individuati come il maggiore centro di imputazione delle responsabilità relative sia alla lievitazione dei costi del non-ciclo dei rifiuti in Sicilia che ad una generale deresponsabilizzazione dei comuni.
Del resto, secondo quanto emerso nel corso delle audizioni svoltesi nel capoluogo siciliano, il debito maturato fino ad oggi dagli ATO ammonta a circa 430 milioni di euro, cui vanno aggiunti i costi che dovranno essere sostenuti per la stabilizzazione dei lavoratori di pubblica utilità e dei lavoratori socialmente utili assunti in larga parte dai comuni e poi trasferiti sui bilanci degli ATO (...). Tali criticità assumono, nel loro complesso, portata assorbente e giustificano non solo una sensibile riduzione degli ATO, ma anche una radicale rivisitazione del ruolo degli stessi ambiti, a favore di una maggiore centralità delle responsabilità gestionali dei comuni; cosa, peraltro, condivisa dallo stesso legislatore nazionale che, in sede di legge finanziaria per il 2008, è pervenuto ad una radicale rivisitazione del ruolo stesso degli ambiti territoriali ottimali. L'inefficienza costosa degli ambiti territoriali risulta, peraltro, sanzionata anche dai cittadini siciliani che hanno avviato procedure dirette a contestare la pretesa impositiva di tali enti».
Anche questa Commissione non ha potuto che constatare l'evidente aggravamento della situazione già registrata dalla precedente Commissione parlamentare.
In data 16 settembre 2009, in occasione della missione che la Commissione parlamentare di inchiesta ha effettuato in Sicilia, sono stati sentiti (su delega del presidente della regione originariamente convocato) il dottor Mario Milone, assessore regionale territorio ed ambiente, e la dottoressa Rossana Interlandi, direttore generale del dipartimento territorio ed ambiente, i quali hanno in sostanza dichiarato che:
effettivamente la maggior parte degli ATO siciliani versava in una situazione di gravissimo dissesto finanziario, determinato anche da una sorta di deresponsabilizzazione dei comuni e dei sindaci, nonché da un eccesso di (inutili) assunzioni, da spese eccessive per i compensi agli amministratori, eccetera;
appena costituite le società, il Governo aveva emanato una direttiva con la quale si vietava l'assunzione di personale, ma le società non ne avevano tenuto conto, trattandosi di società per azioni; era stata anche emanata una direttiva sui compensi perché «era giunta voce che la liquidazione sui compensi fosse sostitutiva di promesse elettorali mancate»;
il «governo Lombardo», avendo «ereditato» questa situazione disastrosa, si era determinato a risolvere quelli che sembravano i principali punti di scollamento nel funzionamento delle società d'ambito: il numero eccessivo delle società d'ambito e la forma giuridica degli ambiti territoriali ottimali (società per azioni);
era stata costituita una «cabina di regia» per la gestione dell'emergenza rifiuti ed era stato dato mandato all'Arra (Agenzia regionale per i rifiuti e le acque) di nominare commissari in tutte le società d'ambito, al fine di monitorare esattamente la situazione debitoria, ad individuare esattamente i crediti esigibili nonché a verificare la mole di contenzioso in atto.
In realtà, come è stato verificato nel corso delle missioni in Sicilia, i commissari ad acta inviati presso alcuni ATO non sono stati in alcun modo risolutivi, né sono riusciti ad avviare concretamente azioni di recupero dei crediti esigibili.
I dati più precisi relativi all'entità del complessivo deficit finanziario degli ATO siciliani sono stati forniti dal presidente della regione siciliana, Raffaele Lombardo, il quale, nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione il 3 febbraio 2010, ha precisato che il debito complessivo, a quella data, ammontava a oltre 800 milioni di euro (l'esposizione debitoria è quindi raddoppiata in meno di due anni).
Il giorno dell'audizione il presidente Lombardo era accompagnato dall'assessore dell'energia e dei servizi pubblici, acqua e ambiente, dottor Carmelo Pietro Russo (alla data del 1o gennaio 2010 è infatti intervenuto lo scioglimento dell'agenzia regionale per i rifiuti e le acque, già disposto con legge del 2008, e sono stati ridisegnati i dipartimenti regionali ed istituito l'assessorato dell'energia e dei servizi pubblici, del quale è stato nominato titolare Pietro Carmelo Russo, ex segretario generale della regione).
Già nel corso della prima audizione il presidente Lombardo e l'assessore Russo avevano fatto riferimento ad un disegno di legge che prevedeva la riduzione degli ATO da ventisette a nove e la loro trasformazione da soggetti gestori in soggetti di regolamentazione, perseguendo l'obiettivo di una rinnovata responsabilizzazione dei comuni. Il disegno di legge dopo pochi mesi si è tradotto nella legge regionale n. 9 del 2010.
Ciò che preme sottolineare in questa sede è che l'indebitamento degli ATO Siciliani, l'utilizzo clientelare delle assunzioni, le incapacità politiche ed amministrative che ne hanno caratterizzato la gestione vanno realisticamente ricondotti non solo ad inefficienze amministrative ma, più realisticamente, a una commistione tra queste ultime e vaste sacche di illegalità, che hanno favorito l'ingresso della criminalità organizzata in questo settore.
La Sicilia è stata caratterizzata da anni di inadempienze ed incapacità sul piano amministrativo ed è quindi stato fin troppo facile per la criminalità organizzata insinuarsi, rendendo inevitabile e quasi endemica la crisi nella gestione dei rifiuti.
In questa regione caratterizzata da anni di emergenza appare difficile discernere distintamente se l'origine del caos sia l'inadempienza degli amministratori o la mano della criminalità organizzata o se entrambi i fattori si reggano insieme sotto forma di connivenze e complicità. Paradossale è che in questa regione, come anche in altre del sud, vi sia il maggior rapporto di personale assunto nelle attività di raccolta dei rifiuti a fronte delle più basse prestazioni in termini di servizio reso.
Dall'analisi della situazione esistente con riferimento alle singole province emerge chiaramente come siano state effettuate assunzioni di personale in modo assolutamente esorbitante.
Il caso del Coinres (in relazione al quale sono in corso le indagini della magistratura) è emblematico non solo di una gestione dissennata del consorzio, nel quale sono stati assunti numerosissimi dipendenti in violazione di tutte le regole normativamente prescritte in tema di evidenza pubblica, ma anche del subdolo insinuarsi della criminalità organizzata in questo specifico settore.
Come è stato già evidenziato nella prima parte della relazione, sono stati accertati numerosi legami tra il consorzio summenzionato e personaggi legati alla criminalità organizzata sia per quanto concerne i dipendenti assunti (spesso indagati o arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso), sia per quanto concerne i mezzi utilizzati per l'effettuazione del servizio (mezzi forniti da società e da imprese che, secondo le informazioni fornite dalla questura di Palermo, risultano legate alla criminalità organizzata).
Ed ancora, secondo quanto dichiarato dal presidente Lombardo nel corso dell'audizione del 10 giugno 2010, il Coinres avrebbe effettuato una serie di rinnovi di concessione in cui la dimensione dell'appalto, frammentata con vari espedienti, era tale da non doversi richiedere la certificazione antimafia. In seguito, una volta disposti gli accertamenti da parte della regione, si è accertato come le imprese in questione non fossero munite della certificazione antimafia.
Altrettanto emblematico è il fatto che siano stati assassinati recentemente due dipendenti del consorzio, già indagati per reati di mafia, mentre si trovavano in un campo a raccogliere le nespole, quando avrebbero dovuto invece trovarsi a lavoro.
Le indagini giudiziarie, ancora in corso, non hanno allo stato evidenziato un movente connesso alla gestione del consorzio e quindi al settore dei rifiuti.
Certamente singolare è che nel Coinres non vi fosse alcun controllo sull'attività dei dipendenti e ciò conferma ulteriormente la gestione dissennata del consorzio medesimo, che non può che essere interpretata come espressione di insopportabili connivenze o di vere e proprie complicità tra i pubblici amministratori e la criminalità locale, salvo dovere ritenere che gli stessi pubblici amministratori siano stati vittime di minacce o di intimidazioni, di cui però non pare vi sia traccia tra le notizie di reato della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo o, comunque, non ne è stata fornita notizia alla Commissione.
Questioni analoghe si sono registrate anche in altre province e sono testimoniate dai procedimenti penali avviati a carico di pubblici amministratori in relazione alle illecite assunzioni.
Nel procedimento penale riguardante la società mista Messinambiente è stato contestato agli indagati il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata, tra le altre cose, all'assunzione di dipendenti all'interno della società medesima.
Sono quindi stati acquisiti elementi di prova in relazione al forte condizionamento della criminalità organizzata con riferimento anche all'aspetto delle assunzioni.
Il Gip presso il tribunale di Enna, poi, ha disposto il rinvio a giudizio nei confronti di alcuni componenti del consiglio di amministrazione del locale ATO, i quali avrebbero proceduto ad «assunzioni del tutto sovrabbondanti per ragioni di clientela, creando un danno patrimoniale per l'ente e per gli utenti finali del servizio in relazione alla maggiorazione dei costi destinati a far lievitare la tariffa».
E questi sono solo alcuni dei procedimenti giudiziari avviati con riferimento alle illiceità connesse alle assunzioni di personale.
L'aumento sconsiderato di personale all'interno delle società d'ambito, la nomina di amministratori incapaci, privi di alcuna esperienza nel settore (con la conseguente necessità di affidare numerose e costose consulenze esterne), la creazione di strutture tanto articolate quanto inutili ha determinato evidentemente un aumento consistente dei costi del servizio, e quindi delle tariffe, a fronte di un peggioramento del servizio medesimo, sicché i cittadini si sono rifiutati di pagare quanto dovuto.
Si è in tal modo innescato il circolo vizioso che ha portato al disastro finanziario che si registra all'interno delle società d'ambito.
Ed allora appare estremamente riduttivo ricondurre il fallimento degli ATO a mere incapacità gestionali e amministrative, ma va più realisticamente ricondotto a quello che può essere definito un intreccio tra cattiva gestione, incapacità politica, sia a livello regionale che a livello degli enti territoriali, connivenze e, in qualche caso, complicità tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata.
Non si spiega diversamente la pervicacia con cui sono state effettuate assunzioni di personale (in molti casi si trattava di soggetti pregiudicati con collegamenti con la criminalità organizzata), sebbene fossero state già emanate dalla regione prescrizioni, direttive, circolari di richiamo al rispetto della normativa vigente.
Con legge n. 9 del 2009 il governo della regione, adeguando la normativa regionale a quanto previsto dal legislatore nazionale (che ha proceduto ad una rivisitazione del ruolo degli ATO), ha disposto:
riduzione degli ATO da ventisette a dieci (in sostanza vengono fatti coincidere con le province); i nuovi ambiti territoriali delimitano esclusivamente i territori di riferimento e non rappresentano più gli enti gestori, in quanto la gestione viene affidata alle SRR (società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti);
la previsione delle SRR che sono costituite dalla provincia e dai comuni che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale e che svolgono il servizio di gestione integrata dei rifiuti (non possono farne parte altri soggetti pubblici o privati, a parte provincia e comuni dell'ATO di riferimento).
Per ciò che concerne le assunzioni effettuate in violazione della normativa vigente in tema di procedure di evidenza pubblica, ne viene sancita la nullità, con esclusione di qualsiasi possibile sanatoria.
Ebbene, a prescindere dalla questione relativa alla riduzione degli ATO, da ventisette a dieci, ed alla creazione delle SRR, resta comunque il problema di ripianare i debiti accumulati dagli ATO.
In sostanza, da un lato, gli Ato non sono in grado di pagare i loro debiti, dall'altro lato però i comuni (che a loro volta dovrebbero versare cospicue somme alle società d'ambito), qualora dovessero ripianare le perdite che essi stessi hanno creato in qualità di amministratori delle società d'ambito, si troverebbero in una situazione di dissesto.
In sede di audizione innanzi alla Commissione il 3 febbraio 2010, il dottor Russo, assessore regionale per l'energia e per i servizi di pubblica utilità, ha dichiarato: «La regione siciliana si trova come amministrazione nell'obbligo di affrontare un problema imponente. L'idea è di ragionare, ancora una volta, in termini di anticipazione, vale a dire che la regione compia alcuni trasferimenti ai comuni sul fondo delle autonomie. Una parte di tale fondo sarebbe vincolata al ripiano dei debiti, secondo l'articolo 194 del testo unico sugli enti locali, con la possibilità per i comuni di restituirla in un dato tempo. Il dibattito in corso è se debba esservi un intervento della regione siciliana per cui in parte essa si accolli parte della massa debitoria e, per la parte rimanente la ascriva, nei termini che ho appena descritto, ai comuni, oppure se, viceversa, tutta la massa finanziaria debba essere ascritta a chi l'ha generata, seppur consentendogli modalità di ripiano che evitino la condizione di dissesto».
In sostanza, resta ancora aperto il problema relativo al ripianamento dei debiti.
3) Termovalorizzatori. Denuncia sporta dall'amministrazione regionale. Indagini dell'autorità giudiziaria.
Al centro del piano integrato dei rifiuti in Sicilia si poneva la realizzazione dei quattro termovalorizzatori che avrebbero, almeno teoricamente, consentito di chiudere il ciclo dei rifiuti nella regione.
I fatti relativi a questa vicenda possono così ricostruirsi:
con ordinanza del 5 agosto 2002 n. 670 il presidente della regione siciliana, agendo in qualità di commissario delegato per l'emergenza rifiuti, aveva approvato un documento intitolato «avviso pubblico per la stipula di convenzioni per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, prodotti dalla regione siciliana, al netto della raccolta differenziata»;
l'avviso è stato pubblicato il 9 agosto 2002 sulla Gazzetta ufficiale della regione siciliana;
avendo ricevuto un reclamo riguardo a questa procedura, il 15 novembre 2002 la Commissione delle Comunità europee aveva trasmesso alle autorità italiane una lettera di richiesta di informazioni, alla quale le suddette autorità avevano risposto con una lettera del 2 maggio 2003;
il 17 giugno 2003, nonostante la lettera di richiamo summenzionata, il commissario delegato aveva stipulato quattro convenzioni per la realizzazione dei termovalorizzatori, rispettivamente con la Tifeo energia ambiente scpa, la Palermo energia ambiente scpa, la Sicil power spa e la Platani energia ambiente scpa;
il 17 ottobre 2003 la Commissione, ai sensi dell'articolo 226 CE, inviava alla Repubblica italiana una lettera di diffida, imputando all'Italia la violazione della direttiva 92/50, in forza della quale gli appalti pubblici di servizi devono essere pubblicati in modo dettagliato sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, mentre nel caso di specie il bando era stato pubblicato in modo dettagliato sulla Gazzetta ufficiale della regione siciliana e solo in modo «indicativo» sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, con conseguente discriminazione dei prestatori di servizi non nazionali rispetto a quelli nazionali;
l'Italia rispondeva alla diffida in data 1o aprile 2004; la Commissione europea inviava quindi alla Repubblica italiana un parere motivato, invitando l'Italia a mettere fine all'inadempimento nel termine di due mesi;
a seguito della contestazione da parte dell'Italia, la Commissione adiva la Corte di giustizia della Comunità europea che, con sentenza del 18 luglio 2007, ha poi statuito che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza della direttiva 92/50 CEE, per non avere pubblicato il bando di gara dell'appalto nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea.
In sostanza, è stato contestato alla regione di avere seguito una strada dai livelli di trasparenza insoddisfacenti, in violazione di quanto statuito dalla direttiva n. 92/50CEE.
Per diverso tempo la sentenza è rimasta inattuata e non sono state assunte dall'amministrazione regionale iniziative per adeguarsi a quel pronunciamento.
A partire dal mese di aprile 2009 sono stati pubblicati nuovamente i bandi nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. Alla data di scadenza della presentazione delle offerte (30 giugno 2009) non ne è pervenuta alcuna; l'amministrazione ha poi pubblicato un successivo bando per acquisire manifestazioni di interesse da parte di soggetti che potevano essere interessati ad essere invitati alla procedura negoziata, ma non vi è stata manifestazione di interesse da parte di alcuna impresa.
In data 11 settembre 2009, con delibera di giunta n. 348, la regione siciliana affidava all'agenzia regionale per i rifiuti e le acque (Arra) la definizione nelle dovute forme giuridiche dei rapporti con gli operatori industriali interessati tenuto conto dei profili di nullità scaturenti dalla dichiarata illegittimità della procedura di gara, statuita con la sentenza della Corte di giustizia europea del 18 luglio 2007.
L'agenzia regionale per i rifiuti e le acque, con ordinanza emessa in pari data, dichiarava invece che i rapporti in corso erano risolti per inadempimento, escutendo nei confronti degli originari aggiudicatari le fideiussioni previste proprio nell'eventualità di un inadempimento.
Conseguentemente sono state avviate le iniziative giudiziarie da parte di uno dei raggruppamenti aggiudicatari, che si è opposto all'escussione delle fideiussioni per inadempimento, di tal chè è stato investito della questione il giudice civile, precisamente il tribunale di Milano, cui è stato presentato ricorso ex articolo 700 del codice di procedura penale.
Ebbene, secondo quanto riferito sia dal presidente della regione che dall'assessore Russo nel corso dell'audizione, il giudice della tutela interinale, pur nei limiti di un giudizio sommario, ha sostenuto che la colpa del mancato perfezionamento delle convenzioni è dipesa dall'amministrazione che non aveva effettuato il bando secondo le regole ed è stata quantificata l'entità del risarcimento dovuto dall'amministrazione in circa 90 milioni di euro.
L'assessore Russo, come dallo stesso precisato, sarebbe venuto a conoscenza in modo del tutto casuale del provvedimento del giudice, che giaceva nei cassetti, allorquando rimanevano solo quarantotto ore di tempo per promuovere l'opposizione. Tutto ciò sebbene si trattasse di una pronuncia particolarmente incidente sul bilancio regionale, tenuto conto del fatto che un risarcimento danni per ciascun raggruppamento pari a 90 milioni di euro si sarebbe tradotto complessivamente, rispetto a tutti i raggruppamenti, in un risarcimento pari a 360 milioni di euro.
Da questo momento in poi si muove qualcosa all'interno dell'amministrazione regionale in senso opposto rispetto a quanto accaduto fino a quel momento, evidentemente anche al fine di bloccare le pretese risarcitorie nei confronti della regione, e vengono effettuate una serie di verifiche e di accertamenti, partendo innanzi tutto, come ribadito più volte dagli auditi, da una relazione della Corte dei conti del 2007 e da quanto riportato nella relazione della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti nella precedente legislatura.
Nella relazione della Corte dei conti sulla gestione dei rifiuti nelle regioni commissariate, proprio con riferimento alla questione dei termovalorizzatori in Sicilia, si legge che «la presunta imperiosa urgenza nella conclusione delle convenzioni ha comportato la stipula delle stesse a prescindere dall'acquisizione dell'informativa antimafia: tale comportamento è da ritenersi particolarmente imprudente nella considerazione dei noti interessi della criminalità organizzata nel campo dei rifiuti e del contesto ambientale siciliano. Puntualmente una delle società riunite in associazione temporanea d'imprese aggiudicataria di due dei quattro sistemi integrati è risultata infiltrata dalla criminalità mafiosa (società Altecoen). Il commissario non poteva certo ignorare la circostanza dal momento che la stessa impresa era coinvolta nell'esperienza sulla raccolta dei rifiuti nel comune di Messina».
Peraltro la Corte dei conti aveva già evidenziato una serie di dati:
l'avviso del bando di gara era stato pubblicato in data 9 agosto 2002, imponendo un termine molto breve di ottanta giorni (il minimo previsto dalla legislazione nazionale vigente) per la presentazione della proposta di partecipazione alla gara, sul presupposto dell'urgenza;
il bando, inoltre, richiedendo agli operatori industriali la disponibilità delle aree su cui realizzare i termovalorizzatori, di fatto privilegiava coloro che, per la loro presenza sul luogo, erano a conoscenza della situazione fattuale prima della pubblicazione dei bandi, e chi era già in possesso di bandi, studi di fattibilità tecnico-economico e finanziaria.
Quello che poi colpisce ulteriormente è che, sebbene la Commissione europea avesse inviato all'Italia lettere di richiamo e diffide e avesse infine promosso causa innanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, l'amministrazione regionale non abbia minimamente cambiato rotta, persistendo pervicacemente nell'impostazione originaria, ed anzi accelerando i tempi della procedura.
In sede di audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti della precedente legislatura, in data 12 ottobre 2007, il dottor Roberto Scarpinato, procuratore aggiunto della procura della Repubblica di Palermo, aveva osservato come l'organizzazione mafiosa fosse incisivamente intervenuta per acquisire il controllo economico dell'intero ciclo dello smaltimento dei rifiuti urbani in tutta Sicilia, citando alcuni casi rilevanti.
In primo luogo, la cooperazione di mafiosi, politici, professionisti e imprenditori anche non siciliani, finalizzata ad aggiudicarsi il monopolio degli appalti della discarica di Bellolampo, per la progettazione e realizzazione di un inceneritore. Sarebbe stato per l'appunto l'impegno di un progetto a lungo termine, come quello dell'inceneritore, che avrebbe dimostrato l'interessamento di cosa nostra ad affrontare il discorso globale della trasformazione dei rifiuti in tutta la Sicilia.
L'organizzazione, sempre secondo quanto dichiarato dal dottor Scarpinato, avrebbe anche «progettato di intervenire sull'intero piano regionale di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani, per plasmarlo secondo i propri interessi (...); l'organizzazione criminosa predisponeva essa stessa i progetti e i piani, che poi venivano accettati a scatola chiusa dagli enti pubblici e fatti propri».
Va tuttavia sottolineato come, a fronte di queste dichiarazioni del dottor Scarpinato, l'indagine sulla vicenda relativa ai termovalorizzatori (con particolare riferimento agli aspetti concernenti la procedura per la stipula delle convenzioni) sia stata aperta presso la procura della Repubblica di Palermo solo di recente e solo a seguito della denuncia sporta dall'amministrazione regionale.
Nel corso della prima missione in Sicilia, effettuata dalla Commissione (nel mese di settembre 2009), era stato audito il procuratore della Repubblica di Palermo il quale, rispondendo ad una specifica domanda, aveva precisato che a quella data la procura di Palermo non si era occupata della vicenda dei termovalorizzatori per profili diversi da quelli ambientali.
4) Anomalie nella procedura di gara e nella presentazione delle offerte. Le indagini dell'autorità giudiziaria.
L'amministrazione regionale da un certo momento in poi ha effettuato approfondimenti finalizzati ad evidenziare gli elementi, per così dire di sospetto, che hanno caratterizzato la pubblicazione del bando di gara e, più in generale, tutta le vicenda relativa ai termovalorizzatori.
Il dato di partenza è quindi rappresentato proprio da una serie di circostanze a sostegno non solo della natura viziata della gara per la realizzazione dei termovalorizzatori, ma anche della presenza della criminalità organizzata in questo affare che può definirsi il più importante del settore, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista gestionale.
È di tutta evidenza come il controllo della gestione dei termovalorizzatori in Sicilia avrebbe significato per la criminalità organizzata il controllo di tutto il ciclo dei rifiuti, che si sarebbe dovuto chiudere teoricamente proprio con la termovalorizzazione.
Ne sarebbero stati condizionati il livello di raggiungimento della raccolta differenziata, la determinazione delle tariffe; in sostanza tutto il sistema economico-gestionale del settore sarebbe stato nelle mani della criminalità organizzata.
L'amministrazione regionale, proprio con riferimento a questa vicenda, ha approvato con delibera di giunta del 18 marzo 2010 la relazione predisposta dall'assessore dell'energia e dei servizi di pubblica utilità, nella quale sono dettagliatamente elencate una serie di storture e di anomalie che avrebbero caratterizzato la procedura di gara per l'aggiudicazione dell'appalto per la realizzazione dei termovalorizzatori.
È quindi seguita la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria e segnatamente alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, che ha aperto un'indagine (un'ulteriore indagine risulta aperta presso la procura della Repubblica di Catania, con specifico riferimento all'anomalo e sproporzionato aumento di valore delle aree su cui avrebbe dovuto sorgere il termovalorizzatore nella zona di Paternò).
Sebbene non sia più attuale la questione attinente alla concreta realizzazione dei quattro termovalorizzatori, sono quanto mai attuali e importanti le problematiche che hanno caratterizzato questa vicenda e che sono oggi approfondite dall'autorità giudiziaria.
In sostanza, quello che si ipotizza, e su cui sono in corso le indagini, è che le violazioni di natura amministrativa riscontrate nella procedura per la stipula delle convenzioni non siano state semplicemente il frutto di un errore di valutazione degli organi amministrativi, ma siano invece uno dei segnali più evidenti di una gara meramente apparente, in cui tutto era già deciso « a tavolino» e, cosa ancora più grave, in cui un ruolo determinante potrebbero avere avuto le organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Queste le anomalie del bando di gara e del procedimento:
la mancata pubblicazione del bando sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (aspetto questo sanzionato dalla Corte di giustizia con la sentenza summenzionata);
i tempi ristretti per la presentazione delle offerte (appena ottanta giorni dalla pubblicazione del bando);
la previsione di affidare agli operatori privati la facoltà di scegliere i siti dove ubicare i vari impianti;
la mancata acquisizione, attesa la presunta urgenza, delle certificazioni antimafia;
la previsione per cui gli offerenti avrebbero dovuto delimitare gli ambiti territoriali ottimali di propria competenza e, ove vi fossero state sovrapposizioni (assolutamente prevedibili e fisiologiche), il commissario delegato avrebbe potuto intervenire modificando la suddivisione al fine di evitare sovrapposizioni territoriali;
la presentazione di offerte che non solo non determinavano alcuna sovrapposizione nei gruppi di ATO rispettivamente proposti ma, cosa ancora più singolare, coprivano interamente tutti gli ATO della regione, nessuno escluso; evento questo che non è credibile si sia verificato casualmente, a prescindere da un previo accordo;
la stipula delle convenzioni a prescindere dall'acquisizione delle certificazioni antimafia, tanto che successivamente si accertava che due delle società riunite in associazione temporanea d'imprese era infiltrata dalla criminalità mafiosa (la società Altecoen);
la scelta da parte dell'ARRA di estromettere esclusivamente l'Altecoen, laddove avrebbero dovuto essere esclusi entrambi i raggruppamenti di cui l'Altecoen faceva parte;
la sussistenza di una serie di elementi di collegamento soggettivo fra i vari raggruppamenti, elemento questo a sostegno di un previo accordo per la presentazione delle offerte;
la costituzione di tre delle ATI che hanno presentato le offerte, lo stesso giorno e presso lo stesso notaio.
Attualmente pendono indagini coordinate dai magistrati della direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Palermo, i quali sono stati auditi dalla Commissione in merito al procedimento sui termovalorizzatori, ma sia le dichiarazioni rese in sede di audizione, sia i documenti trasmessi alla Commissione non sono ostensibili in quanto coperti da segreto istruttorio.
Altra indagine viene svolta dalla direzione distrettuale antimafia di Catania, ed attiene essenzialmente ad una lievitazione del valore dell'area sita in località Cannizzola del comune di Paternò, ove avrebbe dovuto essere realizzato uno dei termovalorizzatori, al fine, probabilmente, di far lievitare la tariffa e di potere recuperare tutte le spese ponendole poi a carico della regione.
Il pubblico ministero che segue questo filone d'indagine, dottor Giuseppe Gennaro, ha infatti precisato che l'indagine seguita dalla procura della Repubblica di Palermo concerne la vicenda globale di tutti e quattro i termovalorizzatori, per quanto riguarda la svolgimento della gara, la scelta dei contraenti privati eccetera, mentre presso la procura della Repubblica di Catania vengono coordinate le indagini relative alle acquisizioni delle aree nel territorio di competenza della procura distrettuale.
Tutti gli elementi sopra rappresentati inducono a ritenere che la gara per la realizzazione dei termovalorizzatori non sia stata solo viziata da irregolarità o illiceità attinenti esclusivamente al profilo amministrativo, ma sia invece stata caratterizzata da una forte presenza e da un forte condizionamento da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. E questo non solo per la presenza dell'Altecoen all'interno di due ATI, ma anche per la presenza di altre società che indagini di polizia giudiziaria hanno accertato essere collegate a soggetti legati alla criminalità organizzata.
Solo le indagini dell'autorità giudiziaria (allo stato coperte da segreto istruttorio) consentiranno di sviluppare i temi sopra rappresentati.
È più che legittimo oggi porsi la domanda del perché in Sicilia non siano state realizzate le grandi strutture originariamente previste e che avrebbero probabilmente consentito di gestire in maniera più adeguata il ciclo dei rifiuti.
Il caso più eclatante è certamente quello relativo alla realizzazione dei quattro termovalorizzatori, ma in realtà il discorso può essere esteso a tutta l'impiantistica che in Sicilia dovrebbe essere realizzata da tempo e, tuttavia, ad oggi risulta ancora assolutamente insufficiente.
Eppure è a tutti evidente la necessità che vengano realizzate opere ed impianti che consentano di gestire in maniera effettiva il ciclo dei rifiuti, che impediscano quindi il mero conferimento del rifiuto in discarica, ma l'impiantistica non è mai partita in modo adeguato.
La capillare capacità di infiltrazione delle organizzazioni di stampo mafioso si comprende proprio da questi fenomeni; fino a quando non si raggiungono tutti gli accordi in merito all'appalto, ai subappalti, al danaro da consegnare alle organizzazioni criminali, a come tenere la contabilità, gli appalti non possono partire.
Spesso poi la partecipazione di più imprese a gare d'appalto nel settore dei rifiuti è una partecipazione apparente che non riflette una concorrenza reale ma fittizia. Si fornisce l'apparenza di una gara, ma in realtà i partecipanti sono sempre gli stessi o sono comunque riferibili agli stessi interessi.
Ebbene, nel momento in cui si è trattato di far partire un grande affare economico, quale quello dei termovalorizzatori, non si è stati in grado di avviare efficacemente e portare a termine concretamente il progetto.
Non può ritenersi casuale che in Sicilia manchino termovalorizzatori e sembra quasi impossibile realizzare strutture importanti e risolutive della situazione di emergenza pressoché cronica, realizzare tutta l'impiantistica che consentirebbe, per esempio, di smaltire adeguatamente il percolato prodotto dalle discariche (che costituiscono allo stato l'apertura e la chiusura del ciclo dei rifiuti in Sicilia), lo smaltimento dei rifiuti provenienti dalla lavorazione del marmo, lo smaltimento di rifiuti ospedalieri.
Nel corso delle audizioni che sono state effettuate in Sicilia è emersa in modo chiarissimo la necessità di realizzare impianti il cui costo sarebbe di molto inferiore rispetto a quello attualmente sostenuto dalla regione e dagli enti locali per lo smaltimento dei rifiuti: un costo elevatissimo che la regione paga non solo in termini economici ma anche in termini di efficienza del servizio.
Ancora, non è casuale che analoga situazione emergenziale riguardi la Calabria e la Campania (pure caratterizzate dalla presenza di organizzazioni criminali di stampo mafioso); la criminalità organizzata non ha interesse - salvo controllarle e condizionarne l'operatività - alla realizzazione di strutture che consentano di gestire adeguatamente il ciclo dei rifiuti.
5) Infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti nella regione siciliana.
Il presidente della regione siciliana Raffaele Lombardo è stato sentito dalla Commissione in sede di audizione il 3 febbraio del 2010 e, sin dalle prime battute, ha evidenziato come l'organizzazione mafiosa di cosa nostra, pesantemente presente nel tessuto economico-sociale della Sicilia, sia penetrata nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.
Nella nota prodotta in sede di audizione dal presidente Lombardo l'incipit è rappresentato proprio dalla consapevolezza di un dato incontrovertibile relativo alla regione siciliana, ossia, testualmente, dalla «presenza pervasiva dell'organizzazione mafiosa, il suo subdolo e strisciante intervento in vari settori della vita della collettività. Parliamo di una delle forme di criminalità tra le più invasive che, attraverso la forza della violenza e dell'intimidazione, ma anche della corruzione e della connivenza, ha inciso sul momento elettorale, ha conquistato consensi in grosse fette della società e si è infiltrata nella pubblica amministrazione creando alleanze con espressioni del mondo dell'imprenditoria, delle professioni, della produzione. Ciò costituisce l'essenza della forza e della potenza dell'organizzazione mafiosa, la sua capacità di infiltrarsi e di mimetizzarsi in larghi strati della società per perseguire il profitto, la ricchezza e soprattutto il potere».
Peraltro il presidente Lombardo già in un'intervista apparsa sul quotidiano La Repubblica aveva affermato in modo molto netto: «la mafia è nel business dei rifiuti».
Questa affermazione, confermata dal presidente della regione in sede di audizione, discendeva, secondo quanto chiarito nel corso dell'audizione stessa, non solo da dati acquisiti all'interno dell'amministrazione, ma da«elementi oggettivi di istituzioni i cui giudizi e le cui valutazioni per me e per tutti noi assumono il valore di attestazione» (faceva riferimento, come successivamente chiarito, ad alcuni passaggi contenuti nella relazione della precedente Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e nella relazione della Corte dei conti del 2007 sulla gestione commissariale nella regione siciliana).
Ed è proprio dal dato contenuto nella precedente relazione che pare necessario prendere le mosse.
È di tutta evidenza come l'interesse delle organizzazioni criminali sia orientato verso quelle attività da cui possono trarre guadagni ed è altrettanto evidente come per la criminalità organizzata sia più facile inserirsi in quei settori in cui il controllo e la gestione da parte dell'amministrazione pubblica sia carente, qual è per l'appunto il caso della regione siciliana, con specifico riferimento al settore dei rifiuti
Dalle indagini giudiziarie in corso emerge chiaramente l'interesse sistematico e costante della criminalità di stampo mafioso al ciclo dei rifiuti, ma bisogna cercare di capire come si manifesti concretamente questo interesse.
Indubbiamente le infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti si manifestano attraverso le forme classiche, ossia attraverso il controllo ed il condizionamento (diretto o indiretto) degli appalti e dei subappalti, condizionamento che peraltro in Sicilia si manifesta con riferimento a tutti i settori dell'economia, compreso il settore dei rifiuti.
L'intervento della mafia anche in questo settore è occulto; la mafia, in molti casi, non ha interesse a vincere le gare d'appalto, ma è interessata a presentarsi il giorno dopo rispetto all'aggiudicazione dell'appalto per gestirne il «succo», attraverso il sistema dei subappalti. Anche se non può semplificarsi un fenomeno così complesso quale è quello degli appalti, normalmente a vincere l'appalto è una società «credibile» che però poi sub-appalta i lavori ad altra «meno credibile».
Le imprese del nord che, pur «pulite», riescono ad aggiudicarsi un appalto al sud, dovendo operare in una realtà complessa qual è quella siciliana, cercano una sorta di appoggio sul posto e, quindi, da un lato, sono vittime, dall'altro hanno la consapevolezza di dovere trovare canali per potere operare senza dovere subire danneggiamenti, minacce e atti di intimidazione.
La presenza della criminalità mafiosa si registra particolarmente non solo nel settore dei rifiuti propriamente detto, ma anche rispetto a tutte le attività, per così dire, accessorie alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti, quali attività di movimento terra, trasporto, forniture dei mezzi di cantiere, manutenzione dei mezzi eccetera.
Ciò appare supportato dal fatto che molte imprese, originariamente aventi ad oggetto l'attività di movimento terra, improvvisamente hanno ampliato il loro oggetto sociale occupandosi anche del trasporto dei rifiuti.
6) I tre livelli di condizionamento mafioso nel settore dei rifiuti.
Allo stato attuale degli approfondimenti effettuati dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, sono emersi tre livelli di inserimento della criminalità di stampo mafioso nel settore dei rifiuti:
il primo livello, classico, si manifesta attraverso le tipiche attività estorsive, ossia attraverso l'imposizione del «pizzo» o l'imposizione di assunzioni all'interno delle società che operano nel settore dei rifiuti;
il secondo livello, più elevato, si manifesta nel controllo, diretto o indiretto, sfruttando anche connivenze e complicità di amministratori pubblici, delle attività del settore, non solo di quelle principali (quali la gestione di discariche) ma anche di quelle accessorie (quali il trasporto, la fornitura dei mezzi d'opera, le attività di manutenzione dei mezzi);
il terzo livello, più invasivo e penetrante, è quello della gestione diretta da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso delle principali attività del settore fino ad arrivare a quelle forme di controllo e di condizionamento globali cui faceva riferimento il dottor Scarpinato nel corso dell'audizione summenzionata e che riguardano l'intero settore dei rifiuti (l'esempio più eclatante è rappresentato proprio dalla vicenda relativa alla realizzazione dei termovalorizzatori).
Quello dei rifiuti in Sicilia è un settore appetibile per la criminalità organizzata per le ragioni di seguito esposte:
la fonte di ricchezza e di guadagno per le associazioni criminali nasce, paradossalmente, proprio dalla situazione di perenne emergenza in cui versa la regione siciliana, dalle inadeguatezze impiantistiche e gestionali, e dalla mancanza totale di autosufficienza dei singoli ambiti territoriali nello smaltimento dei rifiuti. Tutti elementi, questi, che favoriscono illeciti guadagni. Si pensi al settore del trasporto dei rifiuti, alla gestione delle discariche controllate in alcuni casi dalla criminalità organizzata. La gestione di una discarica da parte di un gruppo criminale significa inevitabilmente che in quel territorio verrà ostacolata a tutti i livelli la raccolta differenziata e si farà di tutto per potere conferire in discarica quanti più rifiuti possibili; significa ancora che tutte le attività collaterali alla gestione della discarica verranno pesantemente condizionate e che la stessa discarica non verrà gestita nel rispetto della normativa ambientale;
la permanenza di situazioni di autentico disastro ambientale, quale quello che si riscontra nella discarica di Bellolampo, è tendenzialmente fonte di ricchezza per chi voglia ricavare profitti illeciti. È sufficiente soffermarsi sugli interessi economici connessi allo smaltimento del percolato, che viene smaltito a costi elevati presso impianti calabresi, con l'impiego di numerosi mezzi per il trasporto da una regione all'altra, per comprendere quanto le organizzazioni criminali possano essere attratte da un affare del genere;
i reati in materia ambientale sono di tipo contravvenzionale e non consentono, salvo il caso dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (fattispecie delittuosa), il ricorso alle intercettazioni telefoniche ed ambientali quale mezzo di ricerca della prova; i controlli amministrativi sono notoriamente inadeguati e la polizia giudiziaria specializzata in questo tipo di indagini è obiettivamente sottodimensionata rispetto alle esigenze determinate dalla realtà siciliana, sicché a fronte di evidenti guadagni, i rischi concreti dal punto di vista giudiziario paiono molto contenuti.
Come già evidenziato nelle prime due parti della relazione, sono numerosi i procedimenti penali che testimoniano l'interesse della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Alcuni dei procedimenti segnalati dai magistrati nel corso delle audizioni sono ancora in corso di celebrazione innanzi al giudice competente.
1) Con riferimento al primo livello di inserimento della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti (attraverso modalità «classiche» di tipo estorsivo), un esempio è rappresentato dalla vicenda che ha riguardato il territorio di Gela e più in generale il territorio della provincia di Caltanissetta e che ha comportato l'avvio di un procedimento, cosiddetto procedimento «Munda Mundis».
È stata rilevata una pressante, incisiva e continuativa attività estorsiva posta in essere da numerosi esponenti di cosa nostra e della stidda in danno di imprenditori gelesi che si occupavano, nel decennio dal 1996 al 2006, della raccolta dei rifiuti solidi urbani in quel territorio.
Ovviamente, a causa del pagamento di un «pizzo» molto alto, gli imprenditori non avevano le risorse occorrenti per espletare correttamente il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con evidenti disagi per tutti i cittadini di quel territorio, fruitori del servizio.
La mafia sarebbe intervenuta anche nel momento dell'aggiudicazione degli appalti con una tecnica consistita nel dissuadere gli imprenditori sgraditi dal partecipare alla gara d'appalto.
Quello sopra evidenziato è un esempio significativo di come l'esercizio di attività estorsive da parte di cosa nostra a carico di imprenditori che operavano nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti abbia di fatto inciso profondamente sulla qualità del servizio reso ed è quindi un caso emblematico di come i disservizi e le inefficienze nel sistema della raccolta e trasporto dei rifiuti possano essere ricondotti ai condizionamenti operati dalla criminalità organizzata.
2) Quanto alla seconda tipologia di intervento nel settore dei rifiuti, numerosi procedimenti penali hanno testimoniato e continuano a testimoniare l'interesse diretto che la criminalità organizzata ha sia rispetto al settore dei rifiuti vero e proprio, sia rispetto alle attività accessorie, quali il trasporto, il servizio di manutenzione dei mezzi, la fornitura dei mezzi medesimi, eccetera.
Il procuratore di Palermo ha segnalato un procedimento seguito dalla direzione distrettuale antimafia nell'ambito del quale è stato evidenziato come, sin dal 1996, fosse stato acquisito il controllo del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani di Trapani e della gestione dell'impianto comunale di riciclaggio del rifiuti stessi da parte della famiglia mafiosa di Trapani, capeggiata dall'allora latitante Virga Vincenzo.
In sostanza, le indagini avevano consentito di accertare le modalità attraverso le quali la criminalità mafiosa si era inserita in modo totalizzante nel settore dei rifiuti:
l'ingerenza della famiglia Virga era stata possibile attraverso una fitta rete societaria caratterizzata dalla partecipazione occulta della famiglia Virga, attraverso prestanome, all'interno delle medesime società;
la gestione dell'impianto di riciclaggio era avvenuta attraverso la società cooperativa a responsabilità limitata «Lex», che svolgeva attività anche nella provincia di Catania, intrattenendo legami con i gruppi mafiosi locali facenti capo a Nitto Santapaola;
l'attività di raccolta e trasporto era gestita mediante sub-appalti e contratti di nolo a freddo a favore di società controllate dalla famiglia Virga;
l'aggiudicazione dell'appalto alla cooperativa «Lex» era avvenuto in violazione delle norme che regolamentano il settore.
Nel 1998 sono state poi eseguite le ordinanze di custodia cautelare nell'ambito dell'indagine testé menzionata e la società cooperativa Lex è stata dichiarata fallita (peraltro risultano pendenti numerosi ulteriori procedimenti per i reati di truffa, falso e bancarotta fraudolenta a carico degli amministratori, di diritto e di fatto, della società).
Sempre in un altro procedimento della direzione distrettuale antimafia (n. 14862/00) sono state acquisite ulteriori conferme rispetto al perdurante controllo di cosa nostra sul settore degli appalti relativi all'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
È stato infatti accertato che la famiglia mafiosa trapanese, per il tramite dell'affiliato Coppola Leonardo (arrestato poi nel 2001), aveva sottoposto gli imprenditori del settore ad un pressante controllo che garantiva la predeterminazione, da parte di cosa nostra, dei soggetti
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che avrebbero dovuto aggiudicarsi gli appalti pubblici per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, e ciò attraverso una sistematica attività di turbativa d'asta e di intimidazione dei concorrenti.
E ancora, si è accertato come l'associazione mafiosa trapanese fosse in grado di predeterminare gli inviti delle imprese anche con riferimento alle trattative private per quel che concerneva i lavori minori concessi a trattativa privata (come i lavori di pulizia straordinaria, disinfestazione, derattizzazione), sempre attraverso attività di intimidazione o meccanismi collusivi con gli uffici amministrativi e gli assessorati del settore.
Nel mese di giugno 2002, l'autorità giudiziaria ha proceduto al sequestro preventivo di sette imprese trapanesi e marsalesi, direttamente o indirettamente riferibili ad affiliati mafiosi, che rappresentavano i più importanti gestori di appalti pubblici nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella provincia di Trapani.
Gli interessi criminosi nel settore dello smaltimento dei rifiuti sono altresì testimoniati dai numerosi episodi di danneggiamento ed incendio che hanno riguardato, a partire dal 1998 fino al 2001, l'impianto di riciclaggio di contrada Borranea a Trapani ed i mezzi speciali (autocompattatori) della società mista Trapani Servizi srl che, dal 2001, ha assunto il servizio di trasporto dei rifiuti e di gestione della discarica nella provincia di Trapani.
Ebbene, a seguito di specifiche attività investigative si è accertata la responsabilità di Virga Pietro, figlio del capo mandamento mafioso di Trapani, e di altri affiliati mafiosi, successivamente condannati per il reato di attentato ad impianti di pubblica utilità.
Evidentemente la famiglia mafiosa, dopo l'estromissione delle società dalla stessa controllate, aveva tentato attraverso atti intimidatori di ostacolare la gestione dell'impianto da parte della società Trapani Servizi srl
Con riferimento ad indagini più recenti, è stato evidenziato come molte delle indagini avviate dalla procura di Trapani in materia ambientale avrebbero visto coinvolti soggetti che, seppure in passato erano stati indiziati di appartenere all'organizzazione mafiosa, non sono stati però condannati in via definitiva.
Si può quindi ipotizzare che cosa nostra possa utilizzare soggetti vicini all'organizzazione ma la cui affiliazione non sia stata ancora accertata per la gestione di rilevanti interessi nel settore dell'illecito smaltimento dei rifiuti.
Vi è stato quindi per molto tempo un controllo diretto della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, controllo accertato dall'autorità giudiziaria.
Non può allora ritenersi casuale che nella provincia di Trapani, in cui vi è stato un così incisivo intervento della criminalità organizzata, non solo attraverso atti intimidatori ma anche attraverso meccanismi collusivi con gli uffici amministrativi e gli assessorati del settore, si registri una situazione particolarmente grave nel settore dei rifiuti, nella più totale carenza di pianificazione a livello amministrativo.
La situazione pressoché disastrosa che riguarda lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla lavorazione del marmo è stata rilevata da questa Commissione, ma era stata già evidenziata dalla precedente Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
Di nuovo, rispetto ad allora, c'è che la situazione è ulteriormente peggiorata: gli organi amministrativi non sono stati in grado di pianificare, progettare, realizzare un impianto di smaltimento ad hoc.
Analogamente, appare sempre grave la situazione che caratterizza la discarica sita in località Borranea, in relazione alla quale pendono a carico di amministratori pubblici numerose indagini per reati ambientali, espressione di gravi carenze strutturali e gestionali protrattesi negli anni.
La gestione commissariale è risultata assolutamente inidonea a risolvere le problematiche connesse alla gestione della discarica.
È un dato di fatto che, laddove la criminalità organizzata si sia nel tempo inserita nella gestione del ciclo dei rifiuti, si rilevino situazioni particolarmente gravi anche a livello della situazione ambientale.
Nella provincia di Messina l'infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti è stata approfondita nell'ambito del procedimento cosiddetto «Vivaio», in corso di celebrazione innanzi alla corte d'assise di Messina, nell'ambito del quale sono state contestate condotte che dimostrerebbero come diversi gruppi criminali appartenenti a diverse articolazioni della mafia siciliana, unitamente ad esponenti della pubblica amministrazione, si siano accordati per controllare il settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, sfruttando il sistema delle società miste (nel caso di specie la Tirrenoambiente spa, a capitale misto pubblico-privato).
Altro noto procedimento è quello che riguarda la società Messinambiente, procedimento che ha dimostrato come in certi casi la partecipazione di più imprese a gare d'appalto sia solo apparente e come il controllo da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso del settore dei rifiuti sia avvenuto per il tramite della partecipazione nella società a capitale misto Messinambiente di altra società, Altecoen spa, leader nei primi anni del 2000 nel settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti nella Sicilia orientale e riferibile al clan Santapaola di Catania.
Ebbene, ancora una volta, ci si deve porre la domanda se non vi sia un collegamento tra la penetrante presenza della criminalità organizzata nella provincia di Messina (come dimostrano le numerose indagini della locale direzione distrettuale antimafia) e la situazione particolarmente complessa che si registra sotto il profilo dello smaltimento dei rifiuti.
In questa provincia esiste solo la discarica di Mazzarà Sant'Andrea che opera in regime, praticamente, di monopolio. Il livello di raccolta differenziata si attesta su livelli bassissimi e, conseguentemente, tutti i rifiuti vengono conferiti nella predetta discarica, con costi particolarmente elevati a carico dei comuni più lontani, che devono ovviamente sopportare anche i maggiori oneri relativi al trasporto.
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La discarica di Mazzarà Sant'Andrea dovrà inoltre ricevere per qualche tempo i rifiuti prodotti da alcuni comuni che normalmente li conferiscono presso la discarica di Bellolampo, sicché si apre evidentemente una fase in cui la discarica riceverà quantitativi di rifiuti ancora maggiori. Il tutto in un'ottica, evidentemente errata, per cui la soluzione dei problemi in Sicilia consiste nello spostare i rifiuti da un posto ad un altro, attraversando da un estremo ad un altro l'intero territorio della regione siciliana.
Nella provincia di Enna, rispetto alla quale non sono state segnalate particolari indagini da parte della magistratura, si è rilevato un dato che merita di essere segnalato.
La società Siciliambiente spa nel 2006 ha ottenuto l'affidamento in house da parte del locale ATO del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e della gestione della locale discarica.
Nel 2005 la società Siciliambiente spa aveva acquistato un ramo d'azienda dell'Altecoen spa (società nota per i collegamenti con la criminalità organizzata di stampo mafioso del catanese), successivamente aveva ottenuto illegittimamente l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti nell'ATO EnnaEuno prescindendo da qualsiasi gara.
A seguito dell'affidamento sono aumentate le assunzioni all'interno della società di oltre il doppio dei dipendenti, con successiva apertura di un procedimento penale a carico degli amministratori proprio in relazione a questo aspetto.
Non può essere considerato privo di significato il dato, a parere della Commissione allarmante, per il quale la Sicilia Ambiente spa non solo aveva ottenuto illegittimamente l'affidamento in house del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti (illegittimità dichiarata con sentenza dal giudice amministrativo), ma aveva acquisito un ramo di azienda dell'Altecoen, società nota per le infiltrazioni mafiose accertate nel corso di indagini giudiziarie e che era riuscita anche ad inserirsi, come evidenziato nel paragrafo che precede, nel grosso affare dei termovalorizzatori che avrebbero dovuto essere realizzati in Sicilia.
All'acquisizione del ramo d'azienda è seguita poi un'imponente assunzione di dipendenti.
Ebbene, se anche le indagini giudiziarie hanno riguardato esclusivamente gli aspetti clientelari delle assunzioni, appare di tutta evidenza la gravità, quanto meno a livello indiziario, del coinvolgimento della società Altecoen nella gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Enna e della riconosciuta illegittimità amministrativa dell'affidamento in house, da parte dell'ATO, del servizio di raccolta trasporto dei rifiuti alla società Sicilia Ambiente spa
Anche nella provincia di Enna sono state rilevate problematiche enormi rispetto alla gestione delle società d'ambito, alle assunzioni di personale, all'aumento delle tariffe, al peggioramento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, ad un sistema di smaltimento dei rifiuti basato esclusivamente sul conferimento in discarica, prossima peraltro alla saturazione, ed alla bassissima percentuale di raccolta differenziata.
La gestione diretta della discarica da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso si è accertata nell'ambito delle recentissime indagini coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo e concernenti la discarica di Campobello di Licata.
Nell'ambito di questa indagine sono state emesse dal Gip ordinanze applicative di misure cautelari di custodia in carcere e gli elementi di prova utilizzati sono stati, da un lato, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Sardino e Maurizio Di Gati, i quali indicavano Giuseppe Falzone come un soggetto che aveva interessi criminali in molte delle attività economiche della provincia di Agrigento, comprese quelle relative alla gestione della discarica di Campobello di Licata; dall'altro, le intercettazioni telefoniche e ambientali.
In particolare, Giovanni Falzone avrebbe percepito dal comune di Campobello di Licata il pagamento di canoni per l'utilizzo della discarica, canoni quantificati in circa 50.000-60.000 euro annui.
Le propalazioni dei collaboratori di giustizia risultano riscontrate - secondo quanto dichiarato dal magistrato nel corso dell'audizione - innanzi tutto documentalmente, atteso che nel corso di una perquisizione effettuata in una delle abitazioni indicate dai collaboratori di giustizia come possibili covi di Falzone sono stati sequestrati documenti che in sostanza rappresentavano la contabilità relativa alla gestione della discarica di Campobello di Licata; molti dei documenti rinvenuti e sequestrati risulterebbero vergati a mano proprio dal latitante Falzone. Ulteriori elementi di riscontro sarebbero stati acquisiti attraverso i risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali autorizzate nel corso del procedimento.
Ebbene, ancora una volta si assiste ad una sorta di binomio tra presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti e situazioni di evidente criticità ambientale.
La discarica di Campobello di Licata presenta infatti da anni gravissime problematiche in relazione alla produzione di percolato ed alla necessità di smaltimento, nonché problematiche attinenti alla messa in sicurezza della discarica medesima, tanto che risultano aperti diversi procedimenti penali al riguardo, procedimenti che vedono coinvolti anche pubblici amministratori e che testimoniano anni ed anni di incuria e di cattiva gestione.

Sono stati segnalati ulteriori procedimenti aventi ad oggetto vicende analoghe, ma il dato particolarmente significativo è proprio quello che globalmente si desume dalle citate indagini:
inadeguatezze ed incapacità amministrative rappresentano terreno fertile per la criminalità organizzata;
spesso apparenti inadeguatezze celano dolose complicità tra pubblici amministratori e appartenenti ad associazioni mafiose;
la presenza, diretta o indiretta, della criminalità organizzata condiziona il settore, impedisce che vengano adottate scelte programmatiche, che venga data soluzione alle problematiche esistenti che, dal punto di vista delle associazioni criminali, sono invece fonte di continui guadagni;
le carenze a livello dei controlli di carattere preventivo e repressivo sul territorio facilitano evidentemente la penetrazione delle organizzazioni criminali.
Vi sono poi procedimenti per gravi reati ambientali nell'ambito dei quali risultano indagati soggetti che, in altri procedimenti, sono indagati per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
È stata infatti segnalata un'indagine a carico di un soggetto, titolare di attività estrattiva di cava; la cava sarebbe stata utilizzata per lo smaltimento degli sfabbricidi e l'indagato risultava imputato in separato procedimento per associazione a delinquere di stampo mafioso; a parte questo elemento soggettivo, non erano stati acquisiti ulteriori elementi certi di prova circa un eventuale coinvolgimento nell'attività di illecito smaltimento da parte dell'organizzazione mafiosa cui si ipotizzava che il soggetto appartenesse.
Ed ancora, proprio con riferimento alle cave, sono stati segnalati numerosi procedimenti circa l'illecito utilizzo delle cave per lo «smaltimento» di rifiuti.
Il dato sopra evidenziato, di per sé apparentemente poco significativo, in realtà appare importante alla luce di quello che è emerso a livello nazionale e che è stato anche rappresentato dal procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso, nel corso dell'audizione in Commissione. Testualmente, ha dichiarato: «come ho anticipato, molta attenzione è stata riservata alle cave perché, tradizionalmente, queste entrano nel ciclo gestito dalla criminalità organizzata, nei territori dove è presente. Difatti, le cave, che servono per trarre gli inerti utilizzati per le costruzioni, quando si esauriscono diventano degli ottimi contenitori per i rifiuti da smaltire. Sotto questo aspetto la nostra attenzione è massima. A questo scopo, abbiamo avviato un monitoraggio di tutte le cave, utile sia per controllarne la titolarità, sia per verificare se le persone titolari siano o meno prestanome, oppure abbiano relazioni con appartenenti alla criminalità organizzata sia, infine, per controllare, rispetto a quelle attive, la loro attività nella fornitura degli inerti ai fini del ciclo del cemento e del calcestruzzo e, rispetto a quelle inattive, se siano utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti».
In sostanza il dato emerso a livello nazionale è che, nei luoghi ove è radicata la criminalità organizzata (come la Sicilia), le cave vengano pressoché sistematicamente utilizzate per realizzare discariche abusive e gestite da soggetti che risultano avere collegamenti con le associazioni a delinquere di stampo mafioso. Proprio per questa ragione bisogna costantemente controllare come vengano rilasciate le autorizzazioni per l'attività estrattiva e in che misura vengano effettuati i controlli da parte delle competenti autorità amministrative in merito all'effettivo esercizio, nel rispetto della legge, della medesima attività.
3) il terzo, e ancora più penetrante livello di inserimento della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, è rappresentato proprio dalle attività finalizzate a controllare tutto il ciclo dei rifiuti ed a condizionarne le modalità. In questo senso può ritenersi emblematica la vicenda relativa alla realizzazione dei termovalorizzatori, sulla quale sono in corso indagini da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, e segnatamente dalla direzione distrettuale antimafia, e dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Catania.
L'ipotesi investigativa, come sopra evidenziato, è che nel procedimento relativo all'aggiudicazione della gara per la realizzazione delle opere non si siano solo palesate irregolarità di tipo amministrativo, che rappresenterebbero invece solo il segnale esterno di accordi illeciti che avrebbero visto coinvolti la criminalità organizzata di stampo mafioso ed esponenti della pubblica amministrazione.
Se dovesse essere dimostrato che l'affare dei termovalorizzatori è stato il frutto di accordi tra il mondo politico amministrativo, il mondo economico e le associazioni criminali (ipotesi non fantasiosa, alla luce degli elementi sin qui rilevati), ebbene questo sarebbe la dimostrazione più lampante di come il settore dei rifiuti rappresenti un affare di grandissima portata per la criminalità organizzata, interessata a controllarne la gestione su tutto il territorio siciliano.
La gestione dei termovalorizzatori avrebbe infatti significato inevitabilmente il controllo ed il condizionamento dell'intero ciclo dei rifiuti in Sicilia.
7) I controlli amministrativi. Le indagini di polizia giudiziaria e della magistratura.
Le verifiche effettuate dalla Commissione hanno evidenziato come in Sicilia un grave problema sia rappresentato dalla mancanza di controlli da parte degli organi amministrativi a ciò deputati, dalla carenza di personale di polizia giudiziaria specializzata, dalla preoccupante scopertura dei posti di sostituto procuratore in numerose procure della Repubblica della regione.
Il procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Messineo, ha sottolineato duramente l'inerzia, spesso colpevole da parte delle pubbliche amministrazioni rispetto a situazioni anche di particolare allarme ambientale (doc. 81/1), e ciò sia sotto il profilo della mancanza di controlli che la pubblica amministrazione dovrebbe svolgere nella fase di rilascio delle autorizzazioni e nella fase di esercizio dell'attività esercitata (è stato riferito un caso in cui il NOE aveva accertato che nel territorio di Termini Imerese, in UN SITO ove era stata autorizzata l'attività di recupero rifiuti, vi era in realtà un campo di carciofi), sia per quanto riguarda l'attività di bonifica e di rimessione in pristino delle aree.
In caso di inerzia del proprietario dell'area interessata da fenomeni di inquinamento, la legge prevede l'intervento diretto da parte della pubblica amministrazione per la bonifica e la rimessione in pristino con spese a carico del proprietario, ma ciò si è verificato molto raramente.
Anche per quanto riguarda i controlli in materia ambientale che dovrebbero essere effettuati dalla provincia, spesso vengono di fatto delegati agli organi di polizia giudiziaria nella fase repressiva, laddove il controllo preventivo consentirebbe di contenere, ove predisposto in modo sistematico ed incisivo, e di prevenire, per l'appunto, la commissione di reati in materia ambientale.
Ulteriore dato evidenziato dal procuratore Messineo nel corso dell'audizione, è l'assoluta mancanza di collaborazione da parte del personale dell'ARPA, che giustifica il rifiuto di eseguire le deleghe dell'autorità giudiziaria asserendo che il proprio personale non ha la qualifica di polizia giudiziaria, sicché spesso si verificano ritardi nelle indagini nel caso in cui sia necessario effettuare attività di prelievo, campionamento ed analisi che sono di specifica competenza dell'ARPA e rispetto alle quali non possono svolgere un ruolo di supplenza altri organi investigativi (peraltro, sottolinea il procuratore, gli stessi soggetti assumono un atteggiamento diverso nel caso in cui vengano invece conferite consulenze per effettuare lo stesso o analogo tipo di accertamento).
Peraltro, il personale in servizio presso l'ARPA di tutta la regione siciliana è composto da duecentocinquanta unità, a fronte di una pianta organica approvata dal governo regionale che ha quantificato in novecentocinquanta le unità necessarie per fronteggiare le esigenze della regione.
L'organico poi del Distretto di Palermo è costituito da venti unità, di cui solo sei tecnici della prevenzione, dei quali tre ufficiali di polizia giudiziaria, organico evidentemente inadeguato a fronteggiare le esigenze investigative.


Le indagini in materia ambientale vengono prevalentemente effettuate dal NOE di Palermo e dal NOE di Catania, che però, obiettivamente, non dispongono di personale sufficiente per potere seguire adeguatamente tutte le complesse indagini aperte nelle diverse procure della Repubblica, e spesso risultano penalizzati uffici giudiziari più piccoli, ma non per questo meno impegnati sul fronte della repressione dei reati ambientali.
Si pensi in proposito alla procura della Repubblica di Gela: non solo il procuratore della Repubblica di Gela ha evidenziato la grave scopertura dei posti di sostituto procuratore, ma ha anche evidenziato la carenza di personale di polizia giudiziaria specializzata. Testualmente, ha dichiarato: «basti pensare che abbiamo un distaccamento della forestale, al momento non operativo, per l'intero circondario di Gela, formato da sole tre persone. Non abbiamo strutture territoriali distaccate, se non in minima parte, quindi tutte le nostre strutture sono allocate a Caltanissetta. Sul territorio di Gela, conseguentemente, abbiamo una carenza di interlocutori, soprattutto su queste materie (...) non abbiamo la possibilità di accedere ai nuclei specializzati del NOE, che hanno un'articolazione a Catania e che sono in difficoltà perché ci sono sempre spese di missione».
Quanto ai controlli in materia di appalti, il problema è quello di elaborare un sistema efficace di controllo con particolare riferimento ai subappalti, non essendo certamente sufficienti meri controlli di tipo amministrativo, atteso che da un punto di vista formale compare normalmente quale subappaltatrice un'impresa sana, ma spesso opera realmente un'impresa diversa da quella apparente.
Il vero problema è che l'impresa che effettua i lavori oggetto del subappalto è diversa da quella che compare da un punto di vista documentale.
L'unico accertamento penetrante è quello che viene effettuato per il tramite di indagini di tipo giudiziario, attraverso sopralluoghi sul cantiere per verificare quali mezzi siano adoperati, a quale impresa appartengano, per chi lavorino gli operai.
È quindi una verifica che potrebbe essere effettuata già nel corso di eventuali attività di vigilanza e prevenzione da parte degli ispettori del lavoro, che effettuano in via amministrativa (ma le verifiche possono poi trasformarsi in altrettanti procedimenti penali) i controlli sul cantiere, sull'adozione delle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni nei posti di lavoro. Si tratta di una verifica che potrebbe poi consentire di effettuare degli accertamenti sui cantieri e fare emergere elementi tali da giustificare l'avvio di una mirata attività di indagine.
Anche la procedura relativa al rilascio delle certificazioni antimafia appare una procedura facilmente eludibile da parte delle organizzazioni criminali, e scarsamente efficace al fine di preservare il settore degli appalti dalle infiltrazioni delle associazioni criminali.
Le informative che spesso vengono trasmesse dalle Questure su richiesta delle locali Prefetture al fine del rilascio della certificazione antimafia appaiono spesso carenti di dati concernenti tutto l'assetto societario. Spesso riguardano solo gli organi amministrativi della società, laddove in molti casi i personaggi che rappresentano l'elemento di collegamento tra la società e l'organizzazione criminale rivestono ruoli apparentemente marginali all'interno della società medesima.
È stato inoltre sottolineato come in alcuni casi le informative siano carenti perché i dati che dovrebbero essere inseriti all'interno riguardano indagini ancora in corso coperte da segreto istruttorio, di talché non possono essere riportate all'interno della motivazione del provvedimento di diniego del rilascio della certificazione antimafia, potendone derivare grave pregiudizio per le indagini giudiziarie.
Per quanto riguarda la fase repressiva va evidenziato come non vi siano strumenti normativi adeguati a fronteggiare un fenomeno sempre più critico, qual è quello del diffondersi dei reati ambientali, dei connessi reati contro la pubblica amministrazione, della criminalità organizzata sempre più infiltrata nel settore dei rifiuti.
Le indagini della magistratura in questo campo sono particolarmente complesse.
Il business dei rifiuti coinvolge inevitabilmente diverse figure: appartenenti alla pubblica amministrazione, imprenditori, soggetti deputati ad effettuare attività di controllo e di monitoraggio, tecnici di laboratorio, trasportatori, uomini d'affari.
Si tratta di un settore in cui devono gravitare diversi personaggi, tutti complici o conniventi, affinché la filiera delle operazioni necessarie per l'illecito smaltimento dei rifiuti possa funzionare. Una delle maggiori difficoltà nelle indagini nasce proprio dal fatto che, ai fini probatori, è necessario entrare in una zona apparentemente nebulosa in cui affari, mala politica e criminalità si intrecciano fra di loro.
E quindi anche gli strumenti investigativi utilizzabili dalle forze dell'ordine e dalla magistratura dovrebbero essere più adeguati e il primo passo sarebbe proprio quello di porre mano alla normativa in materia ambientale, prevedendo una serie di fattispecie delittuose al posto di quelle contravvenzionali attualmente vigenti, che non consentono, per esempio, il ricorso alle intercettazioni telefoniche.
Né al riguardo può valere il discorso della contestazione del reato associativo o dell'aggravante dell'articolo 7 del decreto legge n. 152 del 1991 perché indagini, anche importanti e complesse, possono prendere il via da un banale sequestro di una discarica abusiva, o da un trasporto illecito di rifiuti: ecco perché il controllo in fase preventiva del territorio è di fondamentale importanza.
Nelle fasi iniziali delle indagini spesso non è possibile ipotizzare un'associazione o l'aggravante mafiosa, e però, non è neppure possibile utilizzare strumenti investigativi che consentano di aprire l'indagine su piani più ampi, rispetto peraltro ad una tipologia di reati che ha una naturale vocazione transregionale e transnazionale (si pensi anche al trasporto illecito di rifiuti da una regione ad un'altra o al traffico di rifiuti in paesi terzi).
Si impone, quindi, anche da questo punto di vista, la necessità di un intervento normativo.
8) Legge regionale n. 9/2009.
La legge regionale 8 aprile 2010, n. 9 riguarda la gestione integrata dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati.
Tale legge costituisce un atto di indirizzo programmatico, ma non contiene il tanto atteso piano regionale di gestione dei rifiuti, che la regione è tenuta ad adottare in un momento successivo, una volta sentita la Conferenza permanente regione-autonomie locali, ai sensi dell'articolo 9 della medesima legge.
La legge regionale n. 9 del 2009 riduce a dieci il numero degli ambiti territoriali ottimali per la gestione integrata dei rifiuti (ATO) dai ventisette che erano. Gli ATO coincideranno sostanzialmente con le nove province siciliane, a cui si aggiunge un ATO per le isole minori.
La provincia ed i comuni ricompresi in ciascun ambito territoriale ottimale costituiranno una apposita società consortile di capitali per l'esercizio delle funzioni di gestione integrata dei rifiuti. Lo statuto tipo di queste società, denominate «società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti» (S.R.R.), sarà definito con un decreto dell'assessorato regionale, che si riserva tra l'altro il diritto di approvare la dotazione organica degli ATO (è evidente l'obiettivo da parte della regione di vigilare sulle assunzioni di personale da parte degli ATO).
Il piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà definire le modalità per il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata e di recupero di materia. Tali obiettivi sono stati fissati all'articolo 9 e sono molto ambiziosi; soprattutto è di fondamentale importanza il fatto che siano definiti gli obiettivi sul recupero di materia, che sono il vero obiettivo della raccolta differenziata, che in se stessa costituisce il mezzo e non il fine (come invece spesso viene ritenuto dall'opinione pubblica e ahimè anche dagli amministratori).
Gli obiettivi sono riportati di seguito (articolo 9, comma 4):
anno 2010: Raccolta differenziata 20 per cento, recupero materia 15 per cento;
anno 2012: Raccolta differenziata 40 per cento, recupero materia 30 per cento;
anno 2015: Raccolta differenziata 65 per cento, recupero materia 50 per cento.
Il piano regionale dovrà definire una serie di questioni fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi sopra riportati e per garantire la corretta gestione dei rifiuti. Tra queste vanno evidenziate:
i criteri per la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani;
le iniziative dirette a limitare la produzione dei rifiuti ed a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti;
i criteri per la localizzazione degli impianti;
i requisiti tecnici generali relativi alle attività di gestione dei rifiuti;
l'esclusione di trattamenti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani che non garantiscono i requisiti di efficienza energetica fissati dalla direttiva n. 2008/98/CE;
la predisposizione di un piano per l'ampliamento di discariche pubbliche esistenti e/o nuove discariche pubbliche, sufficienti per soddisfare il fabbisogno del conferimento di rifiuti delle società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti per almeno tre anni;
i criteri e le modalità da adottarsi in tutto il territorio della regione, per la determinazione delle tariffe di conferimento in discarica (anche in questo caso è evidente la preoccupazione di evitare una lievitazione dei costi).
Al fine di aumentare la quantità di materiale recuperato e raggiungere gli obiettivi di recupero di materia, è prevista da parte della regione una serie di iniziative (non individuate però nella norma) di sostegno agli acquisti verdi, di sensibilizzazione verso la prevenzione dei rifiuti, di promozione delle produzioni di beni mediante l'impiego di materie derivanti dalla raccolta differenziata, eccetera.
La legge inoltre stabilisce una serie di semplificazioni per le autorizzazioni degli impianti di gestione dei rifiuti e delle opere connesse, di adempimenti per le pubbliche amministrazioni relative all'utilizzo di materiali riciclati, nonché di una serie di condizioni per il rilascio delle autorizzazioni per le strutture di vendita relative alla gestione dei rifiuti.
In sostanza, la legge regionale n. 9 del 2010 contiene alcune importanti elementi, i principali dei quali sono:
riduzione del numero degli ATO;
definizione di obbiettivi ambiziosi sul recupero di materia;
introduzione di una serie di criteri e strumenti per il controllo dell'attività degli ATO;
iniziative volte al riciclo ed al riutilizzo di materiale recuperato.
Il limite più importante della legge è che sono rimandati a momenti successivi gli strumenti per la applicazione della stessa, in particolare il piano regionale di gestione dei rifiuti.
Fino alla approvazione di tale piano sarà impossibile esprimere una valutazione sulla capacità da parte della regione di incidere su questa tematica. Al momento manca infatti completamente l'individuazione degli impianti di trattamento dei rifiuti e delle iniziative finalizzate all'implementazione della raccolta differenziata.
Inoltre non si può fare a meno di evidenziare che l'obiettivo di raccolta differenziata relativo all'anno in corso (20 % di raccolta differenziata e 15 % di recupero di materia) appare assolutamente irrealistico rispetto ai dati storici della regione e a quanto la Commissione ha avuto modo di constatare nel corso delle missioni effettuate in Sicilia.
Conclusioni.
Le verifiche in relazione alla problematica dei rifiuti nella regione siciliana hanno dimostrato la necessità di una scrupolosa applicazione della legge nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Infatti, l'inefficienza che si è avuto modo di constatare non è dipesa da ipotetiche complicazioni di natura burocratica conseguenti alle procedure disciplinate dalle norme, ma dalla assoluta inettitudine di un regime in deroga a realizzare lo scopo finale di uno smaltimento dei rifiuti in sintonia con la salvaguardia di quegli interessi che la legge intende tutelare in materia ambientale.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti non può considerarsi risolto per il solo fatto, per così dire, che per gli stessi vengano trovati luoghi ove concentrarli, perché la questione non è di spostare i rifiuti da un luogo ad un altro, ma di smaltirli senza danno per l'ambiente.
Attualmente in Sicilia il ciclo dei rifiuti può, più realisticamente, essere definitivo un non ciclo, in quanto i rifiuti vengono conferiti in discarica e vi sono percentuali di raccolta differenziata bassissime in quasi tutti i comuni siciliani.
Tamponare, nell'emergenza, le problematiche relative alle discariche attraverso il regime in deroga ad oggi non ha avuto altro effetto che aggravare ulteriormente la situazione e la discarica di Bellolampo è in qualche modo ne è l'emblema.
In Sicilia il settore dei rifiuti si caratterizza perché esso stesso organizzato per delinquere.
È la più eclatante manifestazione della legge dell'illegalità, cioè l'illegalità si è fatta norma che permea negli aspetti più minuti e capillari qualsivoglia aspetto afferente al ciclo dei rifiuti.
Il sistema si pone come obiettivo non già lo smaltimento dei rifiuti, ma il «non smaltimento» dei rifiuti medesimi.
Il rifiuto, infatti, in questo paradossale sistema, è esso stesso la ricchezza e come tale va conservato e tutelato affinché non si disperda.
La vicenda relativa al percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo è un esempio lampante di come il rifiuto (che in quel caso ha anche determinato una situazione di disastro ambientale) si trasformi in «ricchezza», e consenta di far conseguire illeciti profitti alla criminalità organizzata e non.
A questo punto appare talmente organizzato il disordine organizzativo da far nascere la fondata opinione che esso stesso sia intenzionalmente architettato al fine di funzionare come generale giustificazione per l'inefficienza di ciascuna articolazione della macchina burocratica, in modo che ciascun ufficio possa giustificare la propria inefficienza con la presunta inefficienza di un altro ufficio, e così via all'infinito, in una perversa spirale e comunque in modo da far perdere a chi eventualmente volesse capirci qualcosa il bandolo della matassa.
Il ciclo dei rifiuti in Sicilia è un esempio di «disfunzione organizzata».
Si tratta di un sistema che si fonda su una materia apparentemente assai dura, ma in realtà assai fragile, come l'argilla, e riesce a preservarsi nella misura in cui nessun serio meccanismo di tutela svolga la sua funzione.
Laddove fosse minimamente efficace un'attività programmatica di controlli preventivi, l'intero sistema crollerebbe.
Ebbene, il sistema in deroga non farebbe altro che ulteriormente legittimare lo stato attuale di cose, provocando ulteriori metastasi nel sistema.
Quali le soluzioni? In questo contesto l'estrema ratio della norma penale assolve alla sua funzione di prevenzione generale e speciale e di retribuzione del male compiuto.
Vanno, come evidenziato da diversi procuratori della Repubblica nel corso delle audizioni, potenziati gli strumenti di accertamento, sia nella fase preventiva, sia nella fase propriamente investigativa.
Solo in questo modo è possibile avviare tutte quelle attività di verifica che farebbero crollare, come un castello di sabbia, il sistema dell'illegalità che caratterizza il settore dei rifiuti nella regione.
La vicenda dei termovalorizzatori, poi, favorisce uno spaccato allucinante della situazione in Sicilia perché dimostra come la criminalità organizzata abbia una straordinaria capacità di avere contezza di quelli che sono gli affari e questo presuppone l'esistenza di un'area di contiguità estremamente estesa e consolidata che abbraccia interi settori delle professioni, della politica e della pubblica amministrazione.
Laddove la criminalità organizzata fosse riuscita effettivamente ad ottenere la gestione dei termovalorizzatori, tutte le varie fasi del ciclo dei rifiuti in Sicilia ne sarebbero state condizionate.
L'aspetto particolarmente allarmante della vicenda è che il settore dei rifiuti non è paragonabile ad altri settori dell'economia, nei quali pure la criminalità organizzata è riuscita ad infiltrarsi in Sicilia, in quanto si tratta di un settore che attiene al soddisfacimento di quelli che sono i bisogni primari dell'uomo, ossia la propria salute e la salvaguardia ambientale
La gestione da parte della criminalità organizzata dell'intero ciclo dei rifiuti in Sicilia, attraverso la realizzazione e la gestione dei termovalorizzatori, avrebbe avuto conseguenze disastrose non solo per l'economia del settore, ma soprattutto per la salute dei cittadini siciliani e per l'ambiente.
In questo senso certamente meritoria è stata la scelta del governo attuale della regione siciliana di presentare presso gli uffici della procura della Repubblica di Palermo un dossier nel quale sono stati evidenziati gli elementi di distorsione della procedura per l'aggiudicazione della gara concernente i termovalorizzatori sia sotto il profilo prettamente amministrativo che sotto il profilo delle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata (con conseguente nullità delle convenzioni stipulate dal commissario delegato).
La summenzionata denuncia ha consentito l'apertura dell'indagine presso la procura di Palermo, ove, fino a quel momento, non era stata aperto alcun procedimento penale in merito a questa vicenda. Si tratta di una circostanza, questa, che non deve meravigliare, non potendo l'autorità giudiziaria avviare indagini meramente esplorative e in assenza di una notizia di reato.
Vanno altresì apprezzati alcuni recenti sforzi della regione di introdurre norme rigorose con la previsione di altrettante rigorose sanzioni in caso di mancata osservanza da parte dei destinatari.

Assolutamente inutile, anzi deleteria, appare allo stato la dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana nel settore dello smaltimento dei rifiuti e la nomina di un commissario delegato, come peraltro avvenuto in passato senza alcun risultato, se non quello di alimentare l'emergenza medesima, e quindi l'inefficienza nel settore.
La strada da seguire è allora quella della rigorosa applicazione delle norme, del potenziamento dei sistemi di controllo esterni ed interni, della formazione di polizia giudiziaria specializzata ed attrezzata per questo tipo di indagini, della applicazione delle sanzioni penali (le sole che hanno una efficacia specialpreventiva e generalpreventiva), della possibilità per l'autorità giudiziaria di utilizzare tutti gli strumenti investigativi che il codice di procedura penale prevede per la ricerca della prova.

A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE



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