TERMOVALORIZZATORI SENTENZA TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
SENTENZA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA 332
2005 LUGLIO 2005
N.
01197/2013 REG.PROV.COLL.
N.
01968/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione
Seconda)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1968 del 2009, integrato da motivi
aggiunti, proposto dalla società TIFEO ENERGIA AMBIENTE s.c.p.a. e dalla
società ELETTROAMBIENTE s.p.a. nelle persone dei rispettivi rappresentanti
legali, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Prof. Giuseppe de’ Vergottini,
Giuseppe Lombardi e Cesare Caturani, con domicilio eletto presso lo studio
dell’Avv. Vito Augusto Candia, in Palermo, via L. Pirandello n. 2;
contro
Regione
Sicilia in persona del Presidente, rappresentato e difeso – giusta procura
depositata in atti – dall’avv. Carmelo Pietro Russo, con domicilio eletto
presso lo studio dell’Avv. Francesco Stallone in Palermo, via Nunzio Morello
N.40;
Assessorato
Reg.le Energia e Servizi di Pubblica Utilità (subentrato ex lege all’Agenzia
Regionale per i Rifiuti e le Acque – A.R.R.A.), in persona dell’Assessore p.t.,
rappresentato e difeso – giusta procura depositata in atti – dall’Avv. Carmelo
Pietro Russo, presso il cui studio, in Palermo, via Nunzio Morello n.40, è
elettivamente domiciliato;
Presidenza del Consiglio dei Ministri in
persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello
Stato, presso la cui sede distrettuale, in Palermo, Via A. De Gasperi n.81, è
ex lege domiciliato;
e con l’intervento di Legambiente –
Comitato Regionale Siciliano – Onlus, in persona del legale rappresentante
p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Corrado V. Giuliano, Nicola Giudice,
Daniela Ciancimino, Antonella Bonanno e Marilena Del Vecchio, con domicilio
eletto presso lo studio del primo, in Palermo, via M. D’Azeglio n. 27/C; –
interveniente ad opponendum -
per l’annullamento
- del decreto n.340 dell’11.9.2009 (avente
ad oggetto “Sistema integrato di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani a
valle della raccolta differenziata, prodotta dai Comuni della Regione
siciliana. Adempimenti connessi all’attuazione della sentenza della Corte di
Giustizia europea del 18 luglio 2007 (causa C-382/05)” e del parere motivato
pervenuto il 24 febbraio 2009, della nota dell’A.R.R.A. prot. n.33926
dell’8.9.2009;
- di ogni atto presupposto, conseguente o
comunque connesso, ivi compresi:
a) il bando della procedura negoziata
indetta dall’A.R.R.A., reso noto con avviso pubblicato in GUCE S139 del
23.7.2009 n.203985 (per “l’affidamento dei servizi aventi ad oggetto la
gestione di un sistema integrato, finalizzato al recupero di energia, di
trattamento e smaltimento della frazione residua a valle della raccolta differenziata
dei rifiuti solidi urbani non pericolosi e dei rifiuti non pericolosi
assimilati agli urbani prodotti negli ambiti territoriali della Sicilia”,
relativo al Sistema Augusta);
b) la lettera di invito alla indicata
procedura aperta, del 27.4.2009 avente il medesimo oggetto;
c) la nota dell’A.R.R.A. del 10.9.2009; d)
la nota dell’A.R.R.A. del 25.9.2009, prot. 35956;
e per la condanna
dell’Amministrazione (A.R.R.A. e Regione
siciliana) al risarcimento dei danni subiti e subendi da parte delle società
ricorrenti;
nonché, su ricorso per motivi aggiunti,
per l’annullamento
- del provvedimento adottato dal Presidente
della Regione siciliana e dell’Assessore Regionale per l’energia e per i
servizi di pubblica utilità n.548/GAB del 22.9.2010, notificato alle ricorrenti
il 19.7.2011;
- di ogni atto presupposto, conseguente o
comunque connesso; compresi:
a) la deliberazione di Giunta regionale
n.63 del 18.3.2010 unitamente all’allegata Relazione dell’Assessore per
l’energia e per i servizi di pubblica utilità;
b) la deliberazione di Giunta Regionale
n.348 dell’11.9.2009
e per la condanna
della Regione siciliana e della Presidenza
del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni subìti e subendi da parte
delle società ricorrenti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i
relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
delle Amministrazioni regionali, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
dell’interveniente ad opponendum;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato Relatore nell’udienza pubblica del
giorno 7 maggio 2013 il Cons. Avv. Carlo Modica de Mohac e uditi per le parti i
Difensori indicati nell’apposito verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
I. Il presente giudizio riguarda la
complessa vicenda dell’affidamento del servizio di smaltimento della frazione
residua dei rifiuti solidi urbani, al netto della raccolta differenziata, nella
Regione Siciliana.
Come sarà meglio illustrato nel corpo della
presente decisione, agli inizi dell’anno 2000 la Regione Sicilia – visto lo
stato di emergenza ambientale proclamato nell’Isola a causa del degenerare
della situazione relativa alla raccolta e allo smaltimento dei RSU – decideva
di procedere alla gestione del ciclo dei rifiuti attraverso la costruzione di
apposite centrali di trattamento e incenerimento – i cc.dd.
“termovalorizzatori” – che avrebbero dovuto anche produrre energia elettrica da
immettere nel libero mercato.
Con O.M. del 31 maggio 1999 n. 2983, il
Presidente della Regione veniva nominato Commissario Delegato alla gestione
dell’emergenza; ed in tale veste, con ordinanza del 5 agosto 2002 n. 670
approvava un “Avviso pubblico per la stipula di Convenzioni per l’utilizzo
della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta
differenziata, prodotta nella Regione Siciliana”, che però non veniva
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.
Cionondimeno la procedura si concludeva con
l’atto commissariale n.333 del 2.5.2003, mediante cui il servizio veniva assegnato
alle varie Associazioni temporanee d’imprese risultate aggiudicatarie (per i
diversi segmenti di servizi previsti dal bando).
Per gli ATO CT4, CT5, SR1, SR2, ENI e RG1,
l’affidamento veniva disposto in favore dell’a.t.i. composta da Elettroambiente
s.p.a. (in qualità di capogruppo mandataria), Enel Produzione s.p.a., Panelli
Impianti Ecologici s.p.a. e Altecoen s.r.l., poi trasformatasi in Tifeo Energia
Ambiente s.c.p.a., odierna ricorrente.
In data 17 giugno 2003, tra il Commissario
e la società indicata, veniva sottoscritta la Convenzione, di durata
ventennale, “per il trattamento e l’utilizzo mediante termovalorizzazione della
frazione residuale dei rifiuti urbani al netto della raccolta differenziata”
prodotta nei Comuni della Regione siciliana.
Con ordinanza n.1688 del 29.12.2004, il
Commissario, esperita la procedura di valutazione d’impatto ambientale,
autorizzava la costruzione e gestione degli impianti ai sensi degli allora
vigenti artt. 27 e 28 del D.lgs. n.22 del 1997.
Con una serie di provvedimenti, tra il 2005
e il 2006, di cui si dà ampio conto nel ricorso introduttivo, il termine di
inizio e di fine dei lavori per la costruzione dei termovalorizzatori veniva
più volte sospeso o prorogato.
Con legge regionale del 22 dicembre 2005,
n. 19, le competenze commissariali venivano trasferite ad un’apposita Agenzia
all’uopo costituita (Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque – A.R.R.A.),
che è succeduta al Commissario Delegato con decreto del Presidente della
Regione siciliana 28 febbraio 2006.
Senonchè, in questo quadro interveniva la
sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 18 luglio 2007
(C-382/05) che decretava la illegittimità della Convenzione per contrarietà
alla Direttiva 92/50. Ed invero posto che la gara era volta all’affidamento di
un appalto di servizi (“soprasoglia”), il relativo bando avrebbe dovuto essere
reso pubblico mediante la pubblicazione nella GUCE.
A questo punto l’ARRA – comunque obbligata
a dare corso alla procedura – avviava alcune attività volte a definire e a
riavviare le procedure di affidamento dell’appalto ed a comporre in via
transattiva i contenziosi sorgenti dall’annullamento dei provvedimenti adottati
nel corso del procedimento illegittimamente esperito (cfr. relazione ARRA del
16 luglio 2008).
Incaricava, pertanto, un “Advisor” –
nominato con mandato congiunto con gli Operatori – di valutare i costi fino ad
allora sostenuti dai concessionari per la realizzazione degli impianti.
Infine, con delibera n. 124 del 21 aprile
2009, la Giunta regionale conferiva all’ARRA il compito di rinnovare la
procedura conformemente alla normativa comunitaria, stabilendo che in caso di
mancata partecipazione di qualsiasi operatore alla procedura aperta e alla
procedura negoziata, la Regione sarebbe subentrata accollandosi gli oneri
materiali e finanziari dell’impresa, previa valutazione dei costi sostenuti
dagli affidatari originari i quali avrebbero dovuto essere rimborsati.
Sulla scorta di tale sollecito, le imprese
concessionarie giungevano, in data 28 aprile 2009, alla stipulazione di un
Accordo con l’Agenzia, che contemperava – almeno nelle intenzioni – le esigenze
di porre fine all’infrazione della normativa comunitaria, di assicurare la
continuità nella gestione del servizio di smaltimento e gestione integrata dei
rifiuti e di tutelare le stesse imprese.
I contenuti dell’Accordo in sintesi
consistevano:
- nell’obbligo, per gli Operatori
industriali, di proseguire il servizio sino alla conclusione della procedure ad
evidenza pubblica e di partecipare alla procedura negoziata che sarebbe stata
bandita in caso di infruttuoso esperimento della gara aperta (a condizioni tali
da evitare la perdita dell’investimento effettuato);
- nella quantificazione dei costi sostenuti
fino al 31 dicembre 2008, che l’Advisor aveva calcolato in € 45.422.066,00;
- nell’obbligo, per l’eventuale
aggiudicatario della gara, di tenere indenni gli Operatori dai costi sostenuti
nonché di corrispondere circa 35 milioni di euro per il subentro nei rapporti
contrattuali.
Il 27 aprile 2009, veniva bandita sulla
GUCE la gara aperta per la gestione del sistema integrato finalizzato al
trattamento e smaltimento dei rifiuti prodotti nell’ATO di Palermo, con
produzione di energia elettrica conseguente al trattamento negli impianti di
termovalorizzazione.
Il disciplinare prevedeva – in sintesi – la
remunerazione delle spese già sostenute dagli originari concessionari e dei
costi relativi allo scioglimento dei contratti in essere.
Poiché la gara andava deserta, il 23 luglio
2009 l’ARRA pubblicava sulla GUCE gli avvisi di avvio della procedura negoziata
ai sensi dell’art. 57, co. 6, d.lgs. 163/2006.
Gli Operatori manifestavano il loro
interesse, così come contemplato nell’art. 3 dell’Accordo, e venivano invitate
dall’ARRA alla procedura negoziata (cfr. lettera di invito del 5 agosto 2009)
precisandosi che le “condizioni iniziali del contratto sono quelle contenute
nello schema di contratto di appalto allegato al bando pubblicato per la
procedura aperta”.
A detto invito, seguiva un carteggio tra
imprese e ARRA, nel quale, in sintesi, le prime chiedevano ulteriori garanzie
in ordine al mantenimento dell’equilibrio economico finanziario
dell’operazione.
Tuttavia, scaduto il termine del 31 agosto
2009 (per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura),
l’ARRA doveva prendere atto chenessuna offerta era pervenuta.
A questo punto – dopo aver constatato che
nessuna impresa aveva partecipato alla procedura negoziata – con la
deliberazione impugnata (n. 339 dell’11 settembre 2009), l’ARRA procedeva alla
risoluzione per inadempimento dell’Accordo e della Convezione.
In particolare, con il suddetto
provvedimento l’ARRA:
- contestava alle imprese concessionarie la
violazione dell’art. 3, comma 1, dell’Accordo, sia nella parte (primo punto) in
cui prevedeva l’esecuzione dei lavori al 30 giugno 2009 e poi al 30 settembre
2009 (del tutto ineseguiti), sia nella parte (secondo punto) relativa alla
mancata partecipazione alla procedura negoziata;
- e risolveva la Convenzione, sia per le
ragioni di cui sopra, sia per ulteriori inadempimenti concernenti obblighi
ancora vigenti pur a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 18
luglio 2007.
Infine, in data 25 settembre 2009, l’ARRA
provvedeva all’escussione delle polizze fideiussorie stipulate dagli Operatori
con Zurich International Italia (polizze 950D9881 del 13 giugno 2003),
rilasciate per le finalità di cui alla Convenzione per una somma pari a euro
23.225.400,00, e questo in ragione dei gravi inadempimenti in cui le Ricorrenti
sarebbero incorse.
II. Con il ricorso in esame le società
Tifeo Energia Ambiente s.c.p.a. ed Elettroambiente s.p.a. hanno impugnato i
provvedimenti indicati in epigrafe.
Lamentano:
1) eccesso di potere per erroneità e
pretestuosità dei presupposti e della motivazione, travisamento dei fatti e
sviamento di potere, difetto di istruttoria, contraddittorietà, ingiustizia
grave e manifesta e lesione del legittimo affidamento; nonché violazione
dell’art. 97 della Costituzione, degli Accordi stipulati il 28.4.2009, degli
artt. 1218, 1176, 1322, 1372, 1453 e 1455 c.c., dell’art. 11 della l. 241/90 e
dei principi generali in materia di obbligazioni e contratti, deducendo:
- di non essersi mai immotivatamente ed
inopinatamente rifiutate di partecipare alla procedura negoziata, ma di aver
ripetutamente richiesto all’ARRA i chiarimenti indispensabili per la
formulazione dell’offerta, nel rispetto dell’art. 3 dell’Accordo, che sanciva
un obbligo di partecipazione alla procedura negoziata (in caso di gara deserta,
come in affetti avvenuto) sol se fosse stato garantito l’equilibrio economico e
finanziario del progetto iniziale;
- che non essendo stato garantito dall’ARRA
l’equilibrio economico finanziario, e avendo l’Agenzia indetto una procedura di
gara radicalmente diversa rispetto a quella originaria ed in difformità a
quanto pattuito in sede di Accordo, il contestato inadempimento era da imputare
esclusivamente al soggetto pubblico;
- che le contestazioni sulla mancata
esecuzione dei cc.dd. “lavori interinali” sono state avanzate dall’ARRA in violazione
dell’art. 1185 c.c., prima della scadenza del termine del 30 settembre 2009; e
che il contestato inadempimento, quand’anche esistente, non è qualificabile
“grave” ai sensi dell’art. 1455 c.c.;
- di non essere state inadempienti rispetto
alla Convenzione, e che l’illegittimità della procedura, rilevata dalla
sentenza della Corte di Giustizia del 18 luglio 2007, è del tutto ascrivibile
all’Amministrazione pubblica, la quale – in definitiva – è stata l’unica a
violare gli accordi;
2) violazione e falsa applicazione
dell’art. 57 e 118 del d.lgs. 163/2006 (cd. codice degli Appalti) e degli artt.
1, comma 1 bis e 11 della l. 241/1990, nonché eccesso di potere per
contraddittorietà, perplessità, illogicità manifesta e sviamento, deducendo:
- che le disposizioni provvedimentali (di
cui alla nota del 21.8.2009) secondo cui i requisiti stabiliti nel bando sono
stati riconosciuti “negoziabili” violano la regola della par condicio dei
concorrenti (che impone l’immutabilità delle condizioni di gara);
- e che il bando è illegittimo anche per
violazione dell’art. 118 d.lgs. 163/2006, in quanto ha imposto il divieto
assoluto di subappalto nella categoria prevalente (laddove la suddetta norma lo
consente nella quota massima del 30%);
3) eccesso di potere sotto tutti i possibili
profili sintomatici e, nella specie, per erroneità nella motivazione, nonchè
violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies e dell’art. 11, co. 4 e 21
quinquies della l. 241/90, deducendo:
- che i “profili di nullità scaturenti
dalla dichiarata illegittimità della procedura di gara statuita dalla sentenza
della Corte di Giustizia” in realtà non sussistono, posto che l’atto
amministrativo contrario al diritto comunitario non può considerarsi nullo (non
essendo ricompresa tale causa di nullità tra quelle tassativamente previste
dalla legge);
- che la sentenza della Corte di Giustizia
non costituiva e non può costituire un giusta causa di risoluzione dell’Accordo
e della Convenzione; e ciò a maggior ragione in quanto le questioni poste dalla
violazione del diritto comunitario erano state risolte dall’Accordo del 28
aprile 2009;
- che l’ARRA ben avrebbe potuto recedere
unilateralmente dall’Accordo ai sensi dell’art. 11, comma 4, della l. 241/90, o
revocarlo in autotutela ai sensi dell’art. 21 quinquies l. 241/90, ma che
avrebbe dovuto indennizzare i soggetti privati pregiudicati (ciò che non ha
fatto perché ha ritenuto la soluzione, ancorchè giusta ed equa, troppo onerosa
per essa);
4) eccesso di potere per sviamento dalla
causa tipica, deducendo:
- che l’ARRA ha strumentalmente impedito
l’attivazione dei rimedi risolutori già previsti (sia normativamente che in via
pattizia), per evitare di dover rimborsare alle imprese aggiudicatarie i costi
già sostenuti e di dover corrispondere loro le INDENNITÀ dovute;
- che, in particolare, l’Amministrazione ha
congegnato le procedure concorsuali in modo da impedire l’aggiudicazione sia ad
un nuovo Operatore industriale, sia alle stesse società di progetto che erano
state concessionarie ab origine (e che, stipulando l’Accordo, si erano
impegnate a partecipare alla procedura negoziata laddove fosse stato loro
garantito l’equilibrio economico e finanziario del progetto); che, in sostanza,
la gara è stata congegnata in modo da andare deserta (posto che richiedeva una
serie di requisiti, sia di natura tecnico finanziaria che di natura economica,
assolutamente irragionevoli);
- e che anche il riferimento al dovere di
dare esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia è un chiaro sintomo di
sviamento, posto che, nell’immediato, la soluzione adottata rispetto alla
sentenza medesima era quella dell’Accordo, ossia una soluzione conservativa
rispetto a quanto già in essere, nulla lasciando presagire una successiva
risoluzione.
Con il ricorso in esame le società
ricorrenti chiedono altresì la condanna dell’Amministrazione al risarcimento
del danno, suggerendo una liquidazione equitativa e riservandosi la
quantificazione in corso di causa.
Deducono, al riguardo, che il risarcimento
dovrebbe comprendere la perdita di utili dallo svolgimento ventennale del
servizio e della relativa remunerazione, oltre al valore della remunerazione da
CIP6. Ciò corrisponderebbe ad una somma superiore agli ottanta milioni di euro,
tenuto conto che questa somma avrebbe dovuto essere corrisposta da un eventuale
aggiudicatario della gara (andata, invece deserta) alle società di progetto, in
ragione dei costi sostenuti, come accertati dall’Advisor, nonchè del valore
degliassets.
Sotto diverso profilo, il risarcimento
dovrebbe comprendere – ad avviso delle ricorrenti – anche il danno per la
violazione del legittimo affidamento, tenuto conto dell’errore commesso
dall’Amministrazione sin dalla pubblicazione del bando di gara nel 2002
(dichiarato non conforme al diritto comunitario dalla Corte di Giustizia
europea).
III. A decorrere dal 1° gennaio 2010,
l’ARRA veniva soppressa (art. 10 della l.r. 16 dicembre 2008 n. 19) e le
funzioni e i compiti da essa esercitati sono stati trasferiti al neonato
Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di pubblica utilità (in
seguito: l’Assessorato), ex art. 9, co. 2, della l.r. 16 dicembre 2008, n. 19.
L’Assessorato, tenuto conto della discrasia
esistente tra provvedimenti dell’ARRA e risultanze della sentenza della Corte
di Giustizia del 2007 (i primi fondati su un presunto inadempimento delle
società, la seconda basata sulla nullità dell’intera procedura) procedeva ad
una nuova valutazione dell’azione amministrativa (cfr. delibera di Giunta del
18 marzo 2010, n. 63) e con nota del 7 maggio 2010, n. 15766, rendeva ai
raggruppamenti interessatiavviso di avvio del procedimento per la declaratoria
di nullità dell’intera procedura di affidamento indetta con ordinanza
commissariale 670/2002.
In data 22 settembre 2010, il Presidente
della Regione Siciliana e l’Assessore Regionale per l’energia e i servizi di
pubblica utilità, adottavano il decreto prot. 548/GAB (in seguito, “ il
Decreto”), notificato il 19 luglio 2011.
Con il suddetto Decreto veniva ribadita la
nullità di tutta la procedura di gara e delle relative Convenzioni; e ciò in
ragione e per effetto della già menzionata sentenza della Corte di Giustizia..
Ma l’Amministrazione regionale giustificava
l’annullamento anche con i seguenti due ulteriori motivi:
l’illecito collegamento tra i
raggruppamenti, volto ad alterare la concorrenza ed a determinare una
sostanziale turbativa nel libero gioco delle offerte;
la circostanza che la società Altecoen
s.r.l.. originariamente associata a due dei quattro raggruppamenti
concessionari, era risultata soggetta ad infiltrazioni da parte della
criminalità organizzata.
Pertanto, con il Decreto 548/10, la Regione
Sicilia annullava in autotutela l’intero procedimento (ed i relativi atti
procedimentali a partire dall’ordinanza commissariale 333/2002).
IV. Con ricorso per motivi aggiunti
notificato il 3.10.2011 le società Tifeo Energia Ambiente s.c.p.a. ed
Elettroambiente s.p.a. hanno impugnato il provvedimento in questione
chiedendone l’annullamento, per le conseguenti statuizioni reintegratorie e di
condanna (anche al risarcimento dei danni).
Lamentano, al riguardo:
1) eccesso di potere per sviamento,
ingiustizia manifesta, contraddittorietà, illogicità e perplessità dell’azione
amministrativa, nonché violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei
principi di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, deducendo:
- che la vera ragione che ha condotto la
Regione a disconoscere il proprio precedente operato non risiede nell’esito del
giudizio della Corte di Giustizia (noto sin dal 2007), bensì nel timore di
subire, nel giudizio di merito, una condanna al risarcimento del danno(cfr.
par. 10 del Decreto e la relazione allegata D.G.R. 18 marzo 2010 n. 63);
- che le motivazioni basate sull’asserito
pericolo di infiltrazioni mafiose e sul preteso illecito collegamento fra
raggruppamenti, sono del tutto pretestuose e “costruite” su mere supposizioni;
2) eccesso di potere per irragionevolezza,
illogicità e perplessità dell’azione amministrativa, violazione del principio
di legalità e del principio di proporzionalità, violazione dell’art. 21 septies
della legge 241/90 e dell’art. 21 nonies l. 241/90, deducendo:
- che i profili di nullità asseritamente
scaturenti dalla dichiarata illegittimità della procedura di gara statuita
dalla sentenza della Corte di Giustizia, in realtà non sussistono, posto che
l’atto amministrativo contrario al diritto comunitario non può considerarsi
nullo(non essendo ricompresa tale causa di nullità tra quelle tassativamente
previste dalla legge);
- che la sentenza della Corte di Giustizia
non costituiva e non può costituire un giusta causa di risoluzione dell’Accordo
e della Convenzione; e ciò a maggior ragione in quanto le questioni poste dalla
violazione del diritto comunitario erano state risolte dall’Accordo del 28
aprile 2009;
- che anche l’annullamento d’ufficio della
procedura sarebbe illegittimo, perché alle violazioni di legge poste a suo
fondamento, la Regione medesima avrebbe già trovato rimedio attraverso
l’Accordo del 2009 (firmato dall’ARRA), che rimodulava l’assetto di interessi
in gioco e lo faceva in senso diametralmente opposto a quello poi fatto proprio
dalla Regione nel 2010; e che in ogni casonon sono stati rispettati i parametri
previsti dall’art. 21 nonies per la declaratoria di annullamento (interesse
pubblico, termine ragionevole, interessi dei destinatari);
3) eccesso di potere per carenza
istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta ed irragionevolezza,
nonché violazione del principio “tempus regit actum”, deducendo:
- che la motivazione relativa all’asserito
collegamento fra i raggruppamenti (in funzione anticoncorrenziale) è
pretestuosa in quantola circostanza era ben nota all’Amministrazione regionale
fin dal 2002 e non rientrava tra le cause di esclusione di cui agli atti di
concessione adottati nel 2002;
- che nel 2002 le norme sull’esclusione
delle imprese collegate non erano applicabili agli appalti di servizi
(contrariamente a quanto accadeva per gli appalti di lavori, ex art. 10, co. 1
bis della l. Merloni);
- che, in ogni caso, l’applicazione della
norma avrebbe necessitato di un contraddittorio con le imprese, essendo
certamente illegittimo un sistema di esclusione automatico (cfr. art. 34, co.
2, d.lgs. 163/2006, disapplicato prima, e abrogato poi dal d.l.135/2009 in
ragione della sentenza della Corte di Giustizia del 19 maggio 2009 C-538/2007);
4) violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 del d.P.R. 490/1994 e dell’art. 11 d.P.R. 252/1998., nonché del
combinato disposto dell’art. 12 d.P.R. 252/1998 e dell’art. 37 d.lgs. 163/2006
ed eccesso di potere per carenza di istruttoria e grave difetto di motivazione,
illogicità, irragionevolezza e violazione del principio di buon andamento
dell’amministrazione, deducendo:
- che la società Altecoen s.r.l. –
sospettata di subire gli effetti delle infiltrazioni mafiose – aveva costantemente
ottenuto la positiva certificazione antimafia (“come risulta dalla più recente
certificazione rilasciata dalla CCIAA di Enna in data 24.5.2010”, nonché dalla
risposta all’interpellanza parlamentare n.2-00698 fornita dal Sottosegretario
di Stato per i rapporti con il Parlamento nella seduta n.208 del 20.9.2007);
- che in realtà i fatti posti alla base
delle decisioni cui la Regione è pervenuta con il provvedimento impugnato erano
noti da tempo in ambito regionale e, comunque, in base alle norme di legge
citate nella rubrica della censura, potevano condurre alla revoca degli atti
relativi alle procedure di appalto, o al recesso dai medesimi, ma non
all’annullamento, facendo salvo il pagamento delle opere eseguite;
5) violazione, per mancata applicazione,
del d.lgs. 53/2010 e degli artt. 121 e 122 c.p.a., carenza di potere e
violazione dei principi di proporzionalità e imparzialità, deducendo:
- che la Regione, caducando la procedura di
gara, ha agito in carenza di potere, in quanto non ha tenuto conto
dell’evoluzione legislativa successiva alla introduzione del d.lgs. 53/2010
(oggi, artt. 121 e 122 c.p.a.), che attribuisce solo al giudice il potere di
caducare il contratto stipulato tra Amministrazione e privato, tenendo conto
degli interessi pubblici in gioco;
6) violazione dell’art. 2 della l.r.
10/1991 e del principio del buon andamento dell’Amministrazione, deducendo che
il procedimento iniziato dalla Regione e conclusosi con il provvedimento
impugnato avrebbe dovuto concludersi entro 30 giorni dal suo inizio e comunque
entro trenta giorni dalla ricezione delle controdeduzioni delle parti, quindi
entro il 17 luglio 2010, laddove il Decreto 548 è del 22 settembre 2010,
notificato addirittura il 19 luglio 2011.
Infine, sotto il profilo risarcitorio, le
società ricorrenti hanno ribadito le domande proposte già col ricorso
introduttivo, quantificando le somme richieste in non meno di euro
49.555.742,00, pari ai costi sostenuti per la realizzazione del progetto.
In subordine, in caso di rigetto dei ricorsi
e di conferma della legittimità dell’operato dell’Assessorato regionale, le
Ricorrenti hanno chiesto il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei
confronti dello Stato italiano, stante le ripetute illegittimità commesse del
Commissario Delegato, a partire dal 2002, e consistite nell’indizione di una
procedura gravemente viziata, nella quale, tuttavia, i vari raggruppamenti
hanno riposto incolpevole affidamento.
Le parti hanno stimato tali danni in euro
49.555.742,00 a titolo di danno emergente e in euro 88.8 milioni a titolo di
lucro cessante, come da allegata relazione di stima.
V. Ritualmente costituitasi con il
patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri ha eccepito il propriodifetto di legittimazione passiva e comunque
l’infondatezza del ricorso.
Originariamente costituitasi anche per
l’A.R.R.A. (cfr. atto di costituzione del 16.11.2009, depositato il
22.12.2009), nella memoria del 18.4.2013 (depositata il 20.4.2013) l’Avvocatura
dello Stato ha successivamente precisato che quest’ultima (l’Agenzia) è stata
soppressa e che le relative funzioni sono state trasferite al Dipartimento
Regionale dell’Acqua e dei Rifiuti dell’Assessorato Regionale dell’Energia e
dei Servizi di Pubblica Utilità.
Ritualmente costituitasi, la Regione
Siciliana (difesa dall’avv. Carmelo Pietro Russo del libero foro, e non
dall’Avvocatura dello Stato, stante il potenziale conflitto di interessi con lo
Stato) ha eccepito:
a) l’improcedibilità del ricorso principale
per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’oggetto del medesimo, ossia
la delibera ARRA 339/2009, è stata annullata in autotutela dal Decreto
548/2010, oggetto dei motivi aggiunti;
b) il difetto di legittimazione passiva
della Regione Siciliana, poiché le Ricorrenti ricollegano la pretesa
risarcitoria ai vizi dell’originario bando di gara (redatto dal Commissario
Delegato, organo dello Stato), in base al quale le offerte provenienti da
soggetti “sovrapponibili” avrebbero potuto essere positivamente valutate
attraverso un’apposita attività di “sistemazione” da parte del Commissario
Delegato, “ allo scopo di renderle territorialmente complementari”, così
superando la questione della provenienza delle offerte stesse da soggetti
sostanzialmente collegati;
c) la tardività della domanda risarcitoria,
in quanto, anche prima dell’entrata in vigore del Codice del Processo
Amministrativo, la giurisprudenza faceva decorrere il termine di prescrizione
quinquennale dalla data dell’illecito (nel caso di specie, l’illecito si
sarebbe verificato al momento dell’emissione dell’avviso relativo alle
concessioni di servizio del 2002, poi dichiarato illegittimo dalla Corte di
Giustizia);
d) e, comunque, l’infondatezza nel merito
del ricorso.
Dette eccezioni, unitamente alla puntuale e
argomentata confutazione dei motivi posti alla base del ricorso per motivi
aggiunti avverso il Decreto 548/2010, sono state ribadite nella seconda
memoria, depositata il 24 ottobre 2012.
VI. In data 8 aprile 2013, quando già era
fissata al 7 maggio successivo l’udienza pubblica per la discussione del
ricorso oggetto del presente giudizio e di tutti quelli incardinati dai
raggruppamenti originari concessionari, le società ricorrenti hanno depositato
una istanza di rinvio dell’udienza pubblica, in quanto il giudizio pendente avanti
al Tribunale di Milano – avente ad oggetto l’escussione delle fideiussioni –
era stato sospeso ex art. 295 c.p.c.
Avverso l’ordinanza di sospensione, le
società ricorrenti avevano depositato presso la Corte di Cassazione un ricorso
per regolamento di giurisdizione, la cui discussione era stata fissata per il
14 maggio 2013.
Pertanto, le medesime parti hanno chiesto
il rinvio della trattazione della causa amministrativa, onde evitare contrasti
di decisioni con la Suprema Corte sul punto della giurisdizione.
La Regione Siciliana, con memoria
depositata il 20 aprile 2013, si è fermamente opposta al rinvio, rilevando che
i profili di giurisdizione, sollevati nel regolamento, attengono esclusivamente
all’art. 133, co.1, lett. p) c.p.a., ossia ai provvedimenti del Commissario
delegato, laddove, nel caso concreto, avendo il Decreto 548/10 annullato il
precedente Accordo inter partes del 28 aprile 2009, la giurisdizione non può
che essere del Giudice Amministrativo, in base agli art. 121, co. 1, lett. a)
c.p.a. (inefficacia del contratto in ragione della illegittima mancata
pubblicazione del bando di gara) e 133, co. 1, lett. a2) c.p.a. (giurisdizione
sugli accordi procedimentali).
In pari data, con ulteriore memoria, la
Regione ha nuovamente confutato nel merito le deduzioni avversarie contenute
nel ricorso e nei motivi aggiunti.
Sempre il 20 aprile 2013, l’Avvocatura
dello Stato ha depositato una memoria per la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, con la quale:
ha eccepito, ancora una volta, il difetto
di legittimazione passiva dello Stato, in quanto è la Regione Sicilia ad essere
subentrata al Commissario Delegato al termine della fase emergenziale della
gestione dei RSU (2006); e la tardività delle richieste risarcitorie;
e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
Con memoria del 26 aprile 2013, le
ricorrenti hanno replicato alle memorie delle parti pubbliche.
VII. Il 30 aprile 2013, le Ricorrenti hanno
depositato un regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. relativo al
presente giudizio, prospettando una identità sostanziale tra il petitum del
ricorso amministrativo e quello del ricorso civile pendente innanzi al
Tribunale di Milano, in relazione al quale pendeva – come già rilevato – un
regolamento di giurisdizione presso la Corte (RG 21397/2012) volto ad ottenere
l’affermazione del potere del G.O. di pronunciarsi senza alcuna
pregiudizialità, e nel quale il Procuratore Generale, nelle conclusioni
depositate il 28 gennaio 2013, ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione
ordinaria, trattandosi di atti successivi al momento genetico delle
obbligazioni contrattuali.
Pertanto, hanno chiesto al Collegio la
sospensione del giudizio ex art. 367 c.p.c.
Con memoria del 4 maggio 2013, la Regione
si è opposta alla sospensione, in ragione della manifesta infondatezza del
ricorso per regolamento di giurisdizione proposto innanzi a questo Tribunale
Amministrativo.
VIII. In data 7 maggio 2013, uditi i
Difensori delle parti, i quali hanno insistito nelle rispettive richieste ed
eccezioni (sia in ordine alla sospensione del giudizio ex art. 367 c.p.c., sia
sul merito del ricorso), la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. Le domande giudiziali sono parte
improcedibili e per il resto infondate, nei sensi e per le ragioni che si passa
ad esporre.
1.1. La domanda di sospensione del giudizio
ex artt.10 c.p.a. e 41 e 367 c.p.c., non merita accoglimento,
appalesandosimanifestamente infondato il ricorso per regolamento di
giurisdizione sul quale si basa.
Come già cennato, con il ricorso in esame
le ricorrenti richiamano e fanno proprie le conclusioni del Sostituto
Procuratore Generale relative ad un altro procedimento per regolamento di
giurisdizione da esse proposto, nascente nell’ambito del giudizio civile
pendente innanzi al Tribunale di Milano nella causa relativa all’escussione
delle fideiussioni prestate dalle medesime in qualità di ex concessionarie del
servizio pubblico di raccolta dei rifiuti in Sicilia.
Secondo la tesi fatta propria dalle
ricorrenti, qualsiasi questione concernente l’attività di autotutela amministrativa
successiva alla sottoscrizione dei rapporti convenzionali (rectius: negoziali)
fra la Pubblica Amministrazione e le società private, dovrebbe essere devoluta
all’Autorità Giudiziaria Ordinaria (A.G.O.); e ciò in quanto dalla data
dell’instaurazione del rapporto negoziale la Pubblica Amministrazione, ormai
agente in qualità di contraente (e dunque in posizione di pariteticità), non
potrebbe più esercitare alcun potere di supremazia o di imperio (senza
perciostesso ledere illecitamente i diritti soggettivi dell’altro contraente).
Sempre secondo la tesi in esame,
ogniqualvolta il giudizio verta sull’annullabilità di atti negoziali, atti
perciostesso inidonei ad affievolire diritti soggettivi, la giurisdizione
spetterebbe all’AGO, indipendentemente dal fatto che siano stati impugnati
provvedimenti amministrativi presupposti.
Ad avviso del Collegio, tale tesi è
palesemente infondata perché non tiene conto, all’evidenza, del combinato
disposto degli artt. 121, co. 1, lett. ‘a’ e 133, co. 1, lett. ‘a/2’ ed ‘e’ del
Codice del processo amministrativo, che stabiliscono espressamente:
che nell’annullare l’aggiudicazione
definitiva, perché avvenuta senza la prescritta previa pubblicazione del bando
o dell’avviso di gara, il Giudice Amministrativo dichiara anche – avendone
dunque il pieno potere – l’inefficacia del contratto;
e che in caso di “controversie relative a
procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione
della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza
pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle
risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione
di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed
alle sanzioni alternative”, la giurisdizione spetta in via esclusiva al Giudice
amministrativo.
Tanto sopra premesso, non resta che
evidenziare che l’odierno contenzioso scaturisce (anche, ma non solo)
dall’annullamento, da parte dell’ARRA prima e della Regione poi, dell’intera
procedura di affidamento del servizio pubblico di smaltimento dei RSU per
ragioni legate proprio al mancato rispetto della normativa comunitaria relativa
alla pubblicazione del bando di gara sulla GUCE, così come stabilito sia dalla
ormai risalente Direttiva 92/50/CEE, e ribadito dalla più recente Direttiva
07/66, recepita nel nostro Ordinamento con il d.lgs. 53/2010, poi trasfuso, in
parte, nel Codice del processo.
L’infrazione alla normativa comunitaria,
sanzionata dalla Corte di Giustizia nella nota sentenza del 18 luglio 2007, sta
quindi espressamente alla base delle decisioni impugnate in questa sede (cfr.
art. 3 del Decreto 548/2010), con la conseguenza che la giurisdizione spetta,
sul punto, al Giudice Amministrativo, ben potendo il giudice amministrativo
giudicare sull’efficacia del contratto.
Valga sul punto la recente decisione delle
Sezioni Unite dell’8 agosto 2012, n. 14260, secondo la quale sussiste la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in ordine alle domande di
dichiarazione di inefficacia o di nullità del contratto di fornitura alla p.a.
conseguente all’annullamento in autotutela, confermato in sede giurisdizionale,
delle deliberazioni di affidamento diretto, senza indizione di gara, attuato in
violazione delle norme comunitarie e nazionali (imponendo tanto il medesimo
diritto comunitario quanto il vigente sistema interno la trattazione unitaria
delle domande di affidamento dell’appalto e di caducazione del contratto
concluso per effetto dell’illegittima aggiudicazione, come anche delle domande
restitutorie direttamente connesse alla declaratoria di inefficacia o di
nullità del contratto stesso).
Ed anche considerando l’art. 133, co. 1,
lett. a.2) c.p.a., il Collegio non può che ritenere non fondata la
contestazione in ordine alla propria giurisdizione.
Detta disposizione, infatti, devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salve ulteriori previsioni
di legge, le controversie in materia di “ formazione, conclusione ed esecuzione
degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo”, ivi
compresa, quindi, anche le questioni sul risarcimento del danno (sul punto, ex
plurimis, Cons. St, sez. IV, 09 gennaio 2013 n. 81; id., 28 novembre 2012 n.
6033; id., 02 febbraio 2012, n. 616) o sul recesso di una delle parti
dall’accordo (Cass. civ., sez. un., 03 ottobre 2011, n. 20143).
In tale novero può certamente ricondursi
l’Accordo del 28 aprile 2009, poi risolto con i provvedimenti impugnati, e sul
quale le imprese ricorrenti fondano le loro pretese risarcitorie.
Esso, infatti, ha natura di accordo
procedimentale ex art. 11 l. 241/90, tra la parte pubblica e le parti private,
volto alla definizione del procedimento di affidamento del servizio, già
oggetto della Convenzione poi dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte
di Giustizia.
Ne discende che, anche sotto il profilo
relativo all’esecuzione dell’accordo medesimo, la giurisdizione non può che
appartenere al giudice amministrativo.
Vi è, infine, un ulteriore profilo
dirimente dal quale non sembra potersi prescindere al fine del giudizio sul
regolamento di giurisdizione in esame.
La Suprema Corte ha affermato che “il
ricorso per regolamento di giurisdizione è inammissibile per sopravvenuta
carenza di interesse, allorché, successivamente alla sua proposizione e nelle
more del procedimento di cassazione, il giudice amministrativo abbia, nel
relativo giudizio, pronunciato sentenza di primo grado” (Cass. civ., sez. un., 13
marzo 2009, n. 6057).
Ciò sulla base del semplice ragionamento
basato sulla testuale previsione di cui all’art. 100 c.p.c. (“per proporre una
domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi l’interesse”),
disposizione che, a detta della Cassazione, “trova applicazione anche con
riguardo al ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, il quale è
inammissibile ove, per qualsiasi motivo, faccia difetto l’interesse ad agire
(cfr., Cass., sez. un., 30 giugno 2008, n. 17776; Cass., sez. un., 19 dicembre
2007, n. 26734; Cass., sez. un., 30 maggio 2005, n. 11328).
L’interesse ad agire deve infatti
sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma
anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione
della domanda originariamente formulata, va valutato (Cass. civ, sez. un., 29
novembre 2006, n. 25278; Cass. civ., sez. un., 6 dicembre 2006, n. 26171).
Ne discende che nel caso di specie, poiché
l’udienza per la decisione del regolamento di giurisdizione è fissata al 14
maggio 2013, e poiché, per espressa disposizione di legge, a decorrere
dall’odierna udienza pubblica (7 maggio) il Collegio ha 7 giorni di tempo per
pubblicare anche solo il dispositivo della presente decisione (art. 120, co. 9,
c.p.a.), può ragionevolmente presumersi che la Suprema Corte possa anche
omettere di pronunciarsi sulla questione della giurisdizione qualora, come in
questo caso, il giudice amministrativo abbia ritenuto non fondato il
regolamento di giurisdizione e pronunciato sentenza.
Ragione in più per trattenere la causa in
decisione sul punto, senza sospendere il giudizio, laddove non vi siano le
dovute certezze sulla fondatezza della questione di giurisdizione sollevata.
1.2. L’eccezione sollevata dalla Regione
Sicilia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo cui il ricorso
introduttivo è divenuto improcedibile per effetto dell’avvenuta proposizione
del ricorso per motivi aggiunti, merita accoglimento.
Come già illustrato, con la delibera n. 339
dell’11 settembre 2009, impugnata con il ricorso principale (gli altri
provvedimenti ivi parimenti impugnati non sono altro che atti a questo
collegati, lesivi in ragione dell’esistenza del primo), l’ARRA ha proceduto,
nei confronti dal raggruppamento guidato da PEA, alla risoluzione per
inadempimento dell’Accordo del 28 aprile 2009 e della Convezione stipulata
inter partes il 17 giugno 2003.
Le imprese concessionarie, come detto,
hanno proceduto a contestare la citata delibera in sede giurisdizionale,
chiedendo altresì il risarcimento dei danni asseritamente subito per effetto
della caducazione degli accordi a vario titolo stipulati con l’Agenzia
regionale.
Detta delibera, tuttavia, è stata a sua
volta dichiarata nulla e, in subordine, annullata in autotutela dalla Regione
Sicilia che, con il Decreto 548/2010, ha provveduto a rivalutare l’intera
procedura ab origine, motivando nuovamente in ordine alla stessa e alle ragioni
per le quali essa doveva considerarsi nulla oppure annullata in via di
autotutela.
Orbene, le motivazioni poste alla base del
Decreto, assorbono quelle poste alla base della delibera n. 339/2009.
In particolare, è tranciante
l’affermazione, contenuta nell’ultimo “ CONSIDERATO” della delibera 339/2009 in
base al quale “in ogni caso, la prosecuzione di ogni rapporto contrattuale con
l’Operatore industriale è preclusa dalle determinazioni assunte e comunicate
dalla Commissione europea a seguito della sentenza della Corte di Giustizia
C-382/05 del 18/07/2007”.
Ciò significa che, a prescindere dal merito
delle valutazioni dell’ARRA in ordine all’inadempimento o meno delle società
concessionarie rispetto all’Accordo del 2009 e alla Convenzione del 2003,
l’effetto del pronunciamento del giudice comunitario è da solo sufficiente a
determinare la caducazione degli accordi stipulati con le società coinvolte nel
progetto.
Orbene, con la medesima motivazione, l’art.
3 del Decreto 548/2010 ha dichiarato la nullità, e disposto in subordine
l’annullamento, delle Convenzioni sottoscritte tra ARRA e Operatori in esecuzione
delle procedure di affidamento avviate con l’ordinanza commissariale 670/2002.
Per effetto di ciò, andando oltre e “a
modifica di quanto disposto nelle richiamate deliberazioni dell’Agenzia
Regionale per i rifiuti e le acque n. 339, 340, 341 e 342 dell’11 settembre
2009”, la Regione Siciliana, subentrata all’ARRA dal 1 gennaio 2010, ha
caducato tutti gli Accordi sottoscritti in data 28 aprile 2009 (art. 4
Decreto).
Ne consegue, senza ombra di dubbio, che il
Decreto 548/2010, anche se basato, come si vedrà nel prosieguo della presente
sentenza, anche su motivazioni ulteriori rispetto a quelle della delibera
339/2009, sicuramente assorbe in sé il contenuto di quest’ultimo provvedimento,
perché supera la questione dell’inadempimento degli Operatori industriali alle
pattuizioni contrattuali, e riconduce il tutto alla dichiarata nullità della
procedura di affidamento del servizio, per effetto della sentenza della Corte
di Giustizia del 2007, che ha accertato le plurime violazioni del diritto
comunitario commesse sin dal 2002 dall’allora Commissario Delegato alle
gestione dell’emergenza, nonché, come si vedrà, al “collegamento sostanziale”
tra i raggruppamenti aggiudicatari.
Stando così le cose, l’intero ricorso
introduttivo (ivi comprese le domande risarcitorie, riprodotte identiche nei
contenuti e, anzi, ampliate nei motivi aggiunti) deve ritenersi superato
dall’impugnazione, con i motivi aggiunti, del Decreto 548/2010, che assorbe,
nei contenuti, la delibera 339/2009.
A ciò si aggiunga che l’improcedibilità è
stata anche dichiarata dal C.G.A., con parere n. 451/2011 emesso nell’ambito
del ricorso straordinario al Presidente della regione Siciliana proposto dalla
società EMIT (impresa associata alle odierne ricorrenti) avverso la
deliberazione dell’ARRA n. 339/2009.
In tale contesto, il C.G.A. ha addirittura
affermato l’improcedibilità per cessata materia del contendere, “ avendo il
Governo Regionale (…) proceduto nel settembre ottobre 2010 alla declaratoria di
nullità, e comunque, in via subordinata, all’annullamento in autotutela, di
tutti gli atti e i provvedimenti relativi alla suddetta procedura di
affidamento”.
Il ricorso introduttivo va dunque
dichiarato improcedibile, stante la carenza di interesse delle parti alla
decisione dello stesso, restando ogni determinazione sul punto assorbita dalla
decisione sul provvedimento più recente e più esaustivo, con il quale, come
detto, un nuovo soggetto pubblico ha proceduto, in luogo di altro soggetto
ormai estinto, alla rivalutazione delle circostanze di fatto e di diritto
nonché e degli interessi delle parti.
1.3. Le eccezioni di difetto di
legittimazione passiva sollevate dalla Regione Sicilia e dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, non possono essere accolte.
Nel giudizio, come circoscritto ai soli
motivi aggiunti, sono legittimate passivamente, infatti, sia la Regione
Sicilia, sia la Presidenza del Consiglio.
La prima per ovvie ragioni, essendo venuti
meno, con l’improcedibilità del ricorso introduttivo, i profili di possibile
estraneità prospettati dalla difesa della Regione e dovuti all’emanazione dei
provvedimenti di matrice commissariale, quindi statale, cui le Ricorrenti,
secondo la difesa regionale, ricollegano la pretesa risarcitoria.
Quanto alla Presidenza del Consiglio,
quindi allo Stato, la legittimazione passiva della stessa risiede
nell’esistenza di una domanda risarcitoria anche nei suoi confronti, sia pure
proposta in via subordinata, alla luce delle asserite illegittimità commesse
del Commissario Delegato, a partire dal 2002, e consistite nell’indizione di
una procedura gravemente viziata, nella quale, tuttavia, i vari raggruppamenti
hanno riposto incolpevole affidamento.
1.4. Nel merito, il ricorso per motivi
aggiunti è infondato.
1.4.1. Al fine di evidenziare le
motivazioni di tale assunto, il Collegio ritiene necessaria una ricognizione
preliminare del contenuto del provvedimento con esso impugnato (atto del
Presidente della regione Sicilia e dell’Assessore Regionale per l’Energia e per
i Servizi di Pubblica Utilità n.548/gab del 22.9.2010).
Nell’impugnato provvedimento, dopo aver
ripercorso i fatti-base della vicenda (parr. 1-7) la Regione dà atto (par. 8-9)
di una discrasia tra la determinazione della Giunta regionale dell’11 settembre
2009 n. 348, che dava mandato all’ARRA di ridefinire i rapporti con gli
Operatori nelle dovute forme giuridiche “tenuto conto dei profili di nullità
scaturenti dalla dichiarata illegittimità della procedura di gara statuita
dalla sentenza della Corte di Giustizia”, ed i successivi provvedimenti
dell’Agenzia, tra cui il n. 339 dell’11 settembre 2009, che procedeva alla
risoluzione per inadempimento dei contratti di affidamento del servizio medio
tempore stipulati (enunciando i profili di nullità di cui alla citata decisione
ed affermando la perdurante efficacia delle originarie convenzioni di
affidamento).
La nuova valutazione da parte della
Regione, disposta con la delibera del 18 marzo 2010, n. 63, tiene conto altresì
di due fatti nuovi, ossia della paventata infiltrazione nella società Altecoen
s.r.l. (membro di due dei quattro raggruppamenti concessionari, fra i quali
proprio il ricorrente) da parte della criminalità organizzata (par. 11, lett.
a), e delle “ripetute intersezioni di alcune delle imprese componenti” tra i
quattro raggruppamenti aggiudicatari, congegnate in modo tale da “adombrare,
per la loro concreta articolazione, rilevanti sintomi dell’esistenza di un
collegamento sostanziale tra tutti i raggruppamenti (atto a turbare la
obiettività della gara e la effettiva concorrenzialità delle offerte).
In ordine alla questione delle
infiltrazioni criminali, con l’art. 2 della parte dispositiva del
provvedimento, la Regione decreta l’esclusione dei raggruppamenti costituiti
con la società Altecoen (nella specie, Elettroambiente s.p.a. capogruppo più 3,
DGI- Daneco Gestione Impianti capogruppo), oltre che degli altri due
raggruppamenti (Elettroambiente s.p.a. capogruppo + 4 e Falck s.p.a. capogruppo
+ 7).
Nei parr. da 25 a 42, la Regione esamina i
molteplici aspetti di collegamento sostanziale esistenti tra i quattro
raggruppamenti concessionari, decretando, all’art. 1, l’esclusione delle
offerte presentate dalle Ricorrenti (e da tutti gli altri raggruppamenti)
nell’ambito della gara indetta con ordinanza del Commissario Delegato del 5
agosto 2002, n. 670, in ragione: a) della “ reiterata intersezione soggettiva
di alcune delle imprese associate, presenti in più di un raggruppamento” (cfr.
parr. 25-30); b) della ricorrenza delle circostanze riportate al punto 31; c)
per l’effetto, dell’assenza di qualsiasi sovrapposizione territoriale nelle
offerte (parr. 32-39).
Infine, nei parr. da 43 a 50, l’Assessorato
approfondisce i “profili di nullità” della procedura, collegati alla sentenza
della Corte di Giustizia del 18 luglio 2007, a causa della mancata pubblicazione
del bando di gara nella GUCE, con il conseguente effetto caducatorio a catena
sui contratti e in generale su tutti gli atti successivamente posti in essere
nell’ambito della medesima procedura.
Per effetto di questo, all’art. 3 della
parte dispositiva, dichiara la nullità della procedura e dispone l’annullamento
in autotutela dell’ordinanza commissariale n. 333/2002, e di tutti gli atti in
essa richiamati o adottati in suo presupposto, tra cui, espressamente, per ciò
che concerne il presente ricorso, la Convenzione del 17 giugno 2003 e la
delibera ARRA n. 339/2009.
1.4.2. Alla luce della struttura stessa del
Decreto impugnato, il Collegio rileva che trattasi, chiaramente, di un
provvedimento a motivazione plurima, basato, come tale, su ragioni diverse, ciascuna
delle quali in grado di supportarne, da sola, la legittimità.
È infatti pacifico in giurisprudenza che,
in presenza di provvedimenti con motivazione plurima, solo l’accertata
illegittimità di tutti i singoli profili su cui essi risultano incentrati può
comportare l’illegittimità e il conseguente effetto annullatorio dei medesimi
(il principio è assolutamente pacifico e costantemente affermato in
giurisprudenza, ex plurimis Cons. St., sez. V, 10 marzo 2009 n. 1383; id., 28
dicembre 2007, n. 6732; id., sez. IV, 10 dicembre 2007 n. 6325; id., sez. IV,
31 maggio 2007, n. 2882; Tar Liguria, sez. I, 25 marzo 2013, n. 522; Tar
Napoli, sez. IV, 06 marzo 2013, n. 1248; id., sez. VII, 21 dicembre 2012, n.
5293; id., sez. VIII, 01 settembre 2011, n. 4272; id., 05 maggio 2011, n. 2485;
id., 03 febbraio 2010, n. 555; id., 02 luglio 2010, n. 16564; Tar Lazio, sez.
I, 04 marzo 2013, n. 2273).
Pertanto, in caso di provvedimento basato
sulla suddetta motivazione, accertata la legittimità anche solo di uno dei
motivi posti a fondamento del medesimo, è superfluo l’esame della fondatezza
delle censure dedotte, dai destinatari dell’atto, avverso gli ulteriori motivi
a supporto del provvedimento impugnato, poiché esso non può essere annullato
qualora anche uno solo dei motivi posti a suo fondamento fornisca autonomamente
la legittima e congrua giustificazione della determinazione adottata (così Tar
Catania, sez. I, 17 gennaio 2013 n. 134; più specificamente, in materia di
appalti, Tar Napoli, sez. I, 15 gennaio 2013, n. 302; ex plurimis, Tar Lecce,
sez. III, 29 gennaio 2013, n. 255; Tar Bari, sez. I, 11 ottobre 2012, n. 1756;
Tar Napoli, sez. VIII, 10 gennaio 2013, n. 239; id., sez. IV, 03 gennaio 2013,
n. 90; Tar Bari, sez. III, 09 gennaio 2013, n. 11).
Ne consegue che, come chiarito da Cons.
St., sez. IV, 8 giugno 2007 n. 3020, nei casi in cui il provvedimento impugnato
risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente
indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure
indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo,
di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di
respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle
censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente
dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la
conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente
all’esame delle altre doglianze (cfr. anche Cons. St., sez. IV, 05 febbraio
2013, n. 694; Tar Napoli, sez. III, 09 febbraio 2013, n. 844; id., sez. II, 15
gennaio 2013, n. 304).
1.4.3. La circostanza che il Decreto
548/2010 sia basato su tre diversi motivi, in cui, pertanto, la fondatezza di
uno solo tra essi determina, di per sé, la legittimità dell’atto a prescindere
dall’esame delle ragioni poste a fondamento delle ulteriori motivazioni rese
dall’Amministrazioni, fa sì che il Collegio debba esaminare prioritariamente le
censure indirizzate dalle parti Ricorrenti contro il primo tra questi motivi,
al fine di verificare se esso, da solo, presenti quei profili di fondatezza
tali da rendere irrilevante l’esame delle ulteriori censure rivolte verso le
restanti parti del provvedimento.
Infatti, a differenza dei casi in cui il
provvedimento impugnato si basi su un’unica motivazione e venga censurato dalle
parti sotto molteplici profili, ciascuno dei quali di per sé idoneo a
consentire la caducazione del provvedimento, nel caso concreto diventano
irrilevanti, perché carenti di interesse al loro accoglimento o meno, quei
motivi di ricorso indirizzati verso parti del provvedimento del tutto autonome
tra loro, e che, anche se cassate, consentirebbero al provvedimento di
sopravvivere per quanto concerne la parte immune da vizi ritenuta legittima, e
ciò in quanto l’effetto finale dell’attività dell’Amministrazione nei confronti
dei privati non subirebbe alcuna alterazione.
Venendo al caso concreto, e seguendo il
medesimo ordine fatto proprio dall’Amministrazione regionale nell’ambito del
dispositivo del Decreto impugnato, devono esaminarsi prioritariamente le
ragioni poste alla base dell’art. 1 del decreto medesimo, anche perché esse si
fondano sulla prospettazione dell’illegittima partecipazione alla procedura di
affidamento ab origine, in ragione di un collegamento sostanziale esistente tra
i raggruppamenti concessionari che ha avuto l’effetto di impedire in radice lo
svolgimento di qualsivoglia meccanismo concorrenziale, falsando la procedura
sin dalle sue battute iniziali.
È evidente che una prospettazione di tale
contenuto, se ritenuta valida, determina da sola la legittimità del
provvedimento impugnato, indipendentemente dall’esito del giudizio riguardante
le ulteriori statuizioni di cui agli artt. 2 e 3 del Decreto.
Ne consegue che, al fine di procedere alla
sua valutazione alla luce della censura che le Ricorrenti hanno articolato per
contrastare tale tipo di impostazione (art. 3 dei Motivi Aggiunti), il Collegio
deve necessariamente illustrare i singoli passaggi del provvedimento regionale
(parr. 25-42 del Decreto).
1.4.4. Gli elementi individuati
dall’Assessorato Regionale a fondamento della tesi del collegamento sostanziale
sono sette:
1) il collegamento soggettivo tra le
quattro ATI concessionarie (Elettroambiente S.p.A.+ 4; Elettroambiente S.p.A..
+ 3; Falck s.p.a. + 7; DGI Daneco Gestione Impianti s.p.a. + 5), in quanto
Elettroambiente s.p.a. era la capogruppo di due ATI (la prima e la seconda), in
ciascuna delle quali era presente anche Enel Produzione s.p.a. (inoltre, sia
Enel Produzione che Elettroambiente facevano capo alla holding Enel s.p.a. e
alla sub-holding Generazione ed Energy Management); nella prima e nella terza
ATI erano presenti sia AMIA s.p.a. che EMIT s.p.a. e nelle altre due era
presente l’Altecoen S.p.a.; le ATI non collegate direttamente tra loro per la
presenza di una stessa impresa in entrambe, sarebbero comunque collegate in via
mediata attraverso la presenza incrociata di AMIA, EMIT, Altecoen ed
Elettroambiente (cfr. par. 29-30 del Decreto).
Per le prime tre ATI sopra citate, anche
(cfr. par. 31 del Decreto):
2) la costituzione presso il medesimo
Notaio, con sede in Tivoli, e con numeri di repertorio in successione;
3) l’aver prestato un deposito cauzionale,
a garanzia dell’offerta, di pari importo (5.500.000.000), costituito nella
stessa data (26 ottobre 2002) e concesso dal medesimo istituto di credito;
4) l’aver presentato, il 15 novembre 2002,
identiche deduzioni alle osservazioni del raggruppamento Panda (escluso)
allegate ai verbali di gara dell’8 novembre 2002 e del 15 novembre 2002:
infatti, le deduzioni presentate dalle tre ATI sopra citate, sono assolutamente
identiche, oltre che nei contenuti, nella forma, nell’impaginazione, nella
redazione (cfr. documenti Regione depositati il 5 dicembre 2012);
5) l’aver affidato ad Elettroambiente la
qualità di capogruppo in entrambe le ATI e l’aver affidato sempre e solamente
all’AMIA, partecipante ad entrambi i raggruppamenti, la rappresentanza nel
corso delle procedure di gara (vedi nota del 30 ottobre 2002 di
Elettroambiente, allegata al verbale di gara n. 7 del 15 novembre 2002; e nota
del 28 ottobre 2002 di Falck, allegata al verbale di gara del 28 ottobre 2002);
6) l’identità formale nei mandati
collettivi e nelle convenzioni-regolamento;
7) la abnorme intersezione tra le offerte
presentate dalle quattro ATI aggiudicatarie, per quanto concerne la copertura
dei 25 ATO siciliani, in quanto nessuna resta scoperta e nessuna offerta
interseca le altre quanto a sovrapposizione territoriale;
Infine (parr. 37-38) i termini minimi
assegnati per la presentazione delle offerte rispetto alla data di
pubblicazione del bando (9 agosto 2002) avrebbero favorito, secondo la
Relazione della Sezione centrale di controllo della Corte dei Conti del 2007, i
soggetti già presenti sul territorio e a conoscenza della prossima emanazione
del bando (a tal proposito vengono citate alcune operazioni di compravendita o
affitto di terreni tra società facenti parte dell’uno o dell’altro
raggruppamento).
Pertanto, ritenendo detti elementi decisivi
ai fini della assenza di un confronto concorrenziale, con l’art. 1 del Decreto
impugnato la Regione:
- ha escluso le offerte presentate dai
quattro raggruppamenti e ha dichiarato deserta la gara indetta con ordinanza 5
agosto 2002 n. 670 (gara che comunque, alla stregua del successivo art. 3, è
stata dichiarata nulla o, in subordine, annullata, sotto il diverso profilo del
contrasto con la normativa comunitaria relativa agli appalti di servizi);
- e, per l’effetto, ha annullato in
autotutela tutti i successivi atti e provvedimenti adottati in esecuzione delle
procedure indette con l’ordinanza sopra citata, ivi comprese l’ordinanza
commissariale n. 333/2002 e le Convenzioni stipulate (per quanto riguarda il
presente ricorso, con la Palermo Energia e Ambiente) il 17 giugno 2003.
Le Ricorrenti hanno replicato con l’art. 3
dei Motivi aggiunti.
In sintesi, esse:
- affermano che la composizione soggettiva
delle ATI era nota all’Amministrazione regionale;
- attribuiscono al bando del 2002, e ai
criteri elaborati dal Commissario Delegato, l’esito della formulazione finale
delle offerte;
- e negano che la normativa sul divieto di
collegamento sostanziale sia applicabile nel caso concreto.
A parere del Collegio, tale censura non può
essere accolta in nessuno dei suoi tre aspetti.
In primo luogo, e preliminarmente, va
rilevato che le Ricorrenti non hanno in alcun modo replicato o anche solo
provato a confutare gli indici di collegamento che sopra sono stati indicati
sub 2), 3), 4), 5), 6) ed 8).
Nulla è detto, infatti, sia nei motivi
aggiunti che nelle successive memorie difensive, in ordine ad elementi che
l’Amministrazione ha ritenuto essere sintomatici di un collegamento sostanziale
tra le imprese ab origine partecipanti alla procedura di affidamento indetta dal
Commissario Delegato nel 2002.
In particolare, non si replica alla
circostanza che ben tre raggruppamenti su quattro abbiano visto la luce lo
stesso giorno, presso lo stesso Notaio, prestando identico deposito cauzionale
presso la medesima banca, e che anche tutti gli atti redatti per regolamentare
i rapporti interni (mandati collettivi, etc) siano uguali; inoltre, che anche
nei rapporti verso l’esterno tenuti nel corso della procedura e finanche nella
rappresentanza nel corso delle operazioni di gara, esse si siano affidate ad un
medesimo soggetto (AMIA) e abbiano redatto, in alcune occasioni, documenti
identici (vedi deduzioni alla nota del RTI Panda, identiche persino nella
tecnica redazionale).
Pertanto, fermo restando che il collegio
intende soffermarsi infra sulla riconducibilità in concreto di dette
circostanze alla nozione di “ collegamento sostanziale” tra imprese, va
rilevato che la maggior parte degli indici di collegamento messi in evidenza
dalla Regione, sono, di fatto, incontestati.
In secondo luogo, anche le giustificazioni
addotte dalle Ricorrenti, nei motivi aggiunti e nella successiva memoria del 26
aprile 2013, per confutare in fatto gli indici di collegamento sub 1) e 7), non
sono in alcun modo accettabili.
Infatti, di fronte all’evidenza di un
collegamento incrociato tra tutti e quattro i raggruppamenti (di cui si è dato
conto supra, e che non occorre ripetere, salvo sottolineare che il suddetto
collegamento tra mandanti e mandatarie consentiva a tutte le ATI di avere tra
loro uno o più punti di contatto), le Ricorrenti si sono limitate ad affermare
che si trattava di una situazione nota sin dal 2002 e, quindi, non suscettibile
di legittimare, a distanza di diversi anni, una decisione quale quella
adottata.
Tale ragionamento non è condivisibile per
due ordini di motivi:
a) il primo è che il soggetto che ha
adottato il provvedimento impugnato, che è l’Assessorato Regionale, è un
soggetto diverso da quello che ha adottato l’avviso di affidamento del 2002, ha
stipulato la Convenzione nel 2003 e ha gestito la procedura fino al 2005, che
era il Commissario Delegato all’emergenza rifiuti, il quale, se pur coincidente
con la persona del Presidente della Regione, è, come noto, organo dello Stato a
tutti gli effetti;
b) il secondo è che l’ARRA (Agenzia
Regionale per i rifiuti e le acque), che ha seguito la procedura dopo la
stipula delle Convenzioni, essendo stata istituita nel 2005, prima di essere
soppressa dal 1 gennaio 2010, era, a tutti gli effetti, una autorità
indipendente di tipo regionale, dotata di ampia autonomia.
Sul punto basti leggere l’art. 7 della l.r.
22 dicembre 2005 n. 19, ed in particolare i commi 2 e 3, ove si afferma che “
l’Agenzia è dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia tecnica,
organizzativa, gestionale, amministrativa e contabile. Il Presidente della
Regione fissa con proprie direttive gli indirizzi programmatici dell’attività
dell’Agenzia avvalendosi del dipartimento regionale del bilancio e tesoro,
Ragioneria generale della Regione, che verifica in via successiva il rispetto
di detti indirizzi da parte dell’Agenzia nell’esercizio della propria
attività”.
“ L’Agenzia, quale autorità di regolazione
dei servizi idrici, dei servizi di gestione integrata dei rifiuti e di bonifica
dei siti inquinati deve assolvere a funzioni di indirizzo e coordinamento
dell’attività di tutti gli Enti che operano nel settore delle acque esercitando
altresì forme di controllo efficienti ed efficaci.”
Soprattutto, per ciò che interessa ai fini
della presente decisione, è fondamentale evidenziare che in base al comma 4 “al
fine di assicurare la qualità dei servizi in materia di rifiuti e di bonifica
dei siti inquinati, nonché la prevenzione della produzione della quantità e
della pericolosità dei rifiuti e l’efficacia, l’efficienza e l’economicità
della gestione dei rifiuti da imballaggio, l’Agenzia svolge, altresì, i compiti
di cui all’art. 19, comma, 1 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”,
vale a dire: “d) l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione
dei rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti
esistenti;” “g) la delimitazione in deroga all’ambito provinciale, degli ambiti
ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati; “ “ i) la promozione
della gestione integrata dei rifiuti, intesa come il complesso delle attività
volte ad ottimizzare il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo
smaltimento dei rifiuti”.
A fronte di queste amplissime competenze, e
dell’autonomia che ne caratterizzava l’esercizio, l’influenza che
l’Amministrazione regionale poteva avere era minima.
Infatti, in base al comma 7 del citato art.
7 della l.r. 19/05, l’ARRA ha visto trasferite intere materie di competenza
regionale (“per l’esercizio delle attività di cui al presente articolo sono trasferite
all’Agenzia le competenze nelle materie indicate ai commi 3 e 4, attribuite da
disposizioni normative a singoli rami dell’Amministrazione regionale e ad enti
sottoposti a tutela e vigilanza della Regione.”).
Inoltre, non esisteva alcun punto della legge
che legittimasse la Regione ad esercitare funzioni di vigilanza e controllo
sull’Agenzia, al di là della nomina degli organi di vertice (art. 9) quali il
Presidente e il consiglio di amministrazione, circostanza più che normale in
tutte le Autorità indipendenti (senza che con ciò esse si determini una perdita
di indipendenza).
La circostanza che il Presidente della
Regione, in base al comma 2, potesse impartire direttive per fissare gli
indirizzi programmatici dell’attività dell’Agenzia e ne verificasse il
rispetto, dimostra che tra i due soggetti non esisteva un rapporto di tipo
gerarchico, ma semplicemente un rapporto di direzione, in cui, date dalla
Regione le linee programmatiche dell’azione amministrativa, l’ARRA era
l’organismo deputato a svilupparle sotto un profilo organizzativo, gestionale,
amministrativo e contabile, quindi non meramente esecutivo.
Ne consegue che è impensabile ritenere che
la Regione fosse nella condizione di intervenire nella concreta gestione della
procedura di affidamento del servizio pubblico di gestione e trattamento dei
RSU, e tantomeno che potesse prendere contezza degli aspetti prettamente
tecnici della stessa, ivi comprese le informazioni circa la composizione
soggettiva dei raggruppamenti che nel 2002 (ossia, quando la procedura era
gestita da un organo dello Stato, nella persona del Commissario Delegato)
avevano risposto all’Avviso pubblico per la “gara” (non comunitaria) dei
termovalorizzatori.
Che le cose stiano così lo confermano anche
i documenti versati in atti, dai quali è possibile evincere che, a fronte di
delibere di Giunta di un certo tenore ed emesse nell’ambito della funzione di
indirizzo, l’ARRA ha successivamente adottato decisioni in piena autonomia.
Valga per tutti, la circostanza che con la
delibera dell’11 settembre 2009 n. 348, la Giunta regionale aveva espresso una
posizione di massima favorevole alla rinnovazione della procedura di
affidamento, alla luce della nullità sancita dalla sentenza della Corte di
Giustizia del 18 luglio 2007, laddove in pari data l’ARRA, con il provvedimento
n. 339/2009, oggetto dell’impugnativa con il ricorso principale, aveva optato
in piena autonomia per la “ risoluzione per inadempimento” della Convezione del
2003 e dell’Accordo dell’aprile 2009; soluzione, quest’ultima, non condivisa
dalla Giunta regionale che nel 2010, non appena entrata (a seguito della
soppressione dell’ARRA) nel pieno delle funzioni circa la gestione del settore
di attività in questione, ha emesso il provvedimento oggetto delle successive
doglianze delle Ricorrenti, basato, come più volte ricordato, non più sulla
contestazione dell’inadempimento agli accordi presi quanto, tra le altre cose,
sulla nullità dell’intera procedura (cfr. parr. 6 – 11 Decreto 548/2010).
Quanto alla mancata sovrapposizione territoriale
delle offerte presentate dai quattro RTI dopo l’avviso del 9 agosto 2002, anche
in questo caso il Collegio deve rilevare l’infondatezza delle giustificazioni
delle imprese Ricorrenti, avuto riguardo alla concreta disciplina della
procedura di affidamento in questione.
Come risulta da detto avviso (doc. 00 prod.
Regione del 5.12.2012), pubblicato sulla GURI 9 agosto 2002, pp. 161-164, la
procedura non era divisa in lotti e quindi non era prevista una delimitazione
territoriale delle offerte in base ai 25 ATO presenti in Regione, stabilendosi
solo che le stesse avessero:
- “ un comprensorio territoriale di
competenza “ “ geograficamente corrispondente ad uno o più ambiti territoriali
ottimali con popolazione residente preferibilmente non inferiore al 20% della
popolazione dell’intera regione siciliana” (secondo paragrafo n. 2);
- un “ sistema proporzionato alle esigenze
del territorio che sia dimensionato e che tenga conto delle migliori condizioni
di protezione ambientale” (secondo paragrafo, n. 1)
In sostanza, ogni offerente, sotto il
profilo dell’ambito territoriale in cui operare, poteva fare come meglio avesse
ritenuto in base alle proprie capacità, cercando (“preferibilmente”, non
obbligatoriamente) di coprire uno o più ATO corrispondenti, demograficamente
parlando, a un quinto della popolazione, con le uniche condizioni: di non
frammentare gli ATO al loro interno; che ciascun concorrente presentasse, a
pena di esclusione, una sola proposta per ciascun ATO o gruppo di ATO; e che
non venissero presentate dalla medesima impresa, sia in forma singola che
associata, due proposte per il medesimo ATO, a pena di esclusione (il che
significava che singole imprese potevano anche partecipare alla gara con due o
più offerte, anche facendo parte di raggruppamenti diversi o persino in forma
singola, alla condizione che dette offerte non si sovrapponessero tra loro).
Non v’è chi non veda che, a queste
condizioni, era altissima sia la possibilità di intersezione tra le offerte,
sia la circostanza che alcuni ATO rimanessero scoperti e altri no, sia, infine,
che vi potesse essere sovrapposizione territoriale delle offerte presentate
dagli RTI nei quali erano presenti le medesime imprese (Elettroambiente S.p.A.,
Enel produzione S.p.A., AMIA S.p.A., Emit S.p.A., e Altecoen Tecnoservizi
Ambientali s.r.l.), che, come sopra illustrato, erano presenti a coppie in
tutti e quattro i raggruppamenti.
Orbene, come lucidamente evidenziato nel
provvedimento impugnato (parr. 33-35) e, successivamente, nelle memorie della
Regione (che si è servita anche di un apposito meccanismo “ fattoriale”
utilizzato nei calcoli delle probabilità in ambito matematico-statistico, cfr.
pag. 46 della memoria del 20 aprile 2013), la probabilità che quanto sopra
ipotizzato potesse accadere, se le offerte fossero state reciprocamente ignote,
era altissima. Per contro, la circostanza che ciò potesse non verificarsi era
talmente improbabile da rasentare l’impossibilità.
Invece, dai verbali relativi alla procedura
in questione (verbali 21 e 22 novembre 2002) nonché dai contenuti delle
Convenzioni successivamente stipulate, si evince che i quattro RTI
aggiudicatari avevano presentato quattro offerte diverse, che non solo non si
intersecavano e sovrapponevano tra loro, ma coprivano addirittura tutti gli ATO,
senza lasciarne scoperto neanche uno.
Al di là dell’utilizzo di formule
matematiche, è palese che una tale evenienza non avrebbe plausibilmente potuto
mai verificarsi in assenza di un preventivo scambio di informazioni tra gli
RTI, o meglio ancora, in assenza di un quanto mai probabile “
preconfezionamento” delle offerte a tavolino, in considerazione dei già
illustrati elementi di collegamento tra i vari raggruppamenti.
4.10.2. Sul punto, le giustificazioni
fornite dalle Ricorrenti nei motivi aggiunti (pag. 25 e ss.) nonché nella
memoria difensiva in vista dell’udienza pubblica, che attribuiscono al
contenuto del bando l’effetto distorsivo evidenziato dalla Regione, non sono in
alcun modo condivisibili.
Infatti, dal contenuto del bando, sopra
illustrato, risulta chiarissimo che l’evenienza della sovrapposizione sarebbe
stata quanto mai sicura, e che, proprio al fine di evitarla, il bando stesso
imponeva, a pena di esclusione, il divieto di sovrapposizione di due offerte
della medesima impresa (singola o associata) nel medesimo ATO.
La circostanza, invece, che ben cinque
società abbiamo presentato ciascuna due offerte (essendosi associate in due RTI
diversi, che astrattamente non avrebbero dovuto essere a conoscenza
dell’offerta dell’altro) e che queste offerte coprano ATO diversi, non può che
spiegarsi come il frutto di una ponderata e concordata strategia palesemente
anticoncorrenziale, volta alla ripartizione del territorio siciliano secondo
quattro “macro-ambiti” tra loro omogenei, uno per ciascun RTI, e a condizioni
economiche anch’esse omogenee (il che, però, non equivale affatto a garantirne
la convenienza in termini economico-finanziari).
Pertanto, il principio di unicità delle
offerte, invocato dalle Ricorrenti come presupposto giustificativo della situazione
concretamente verificatasi, non è assolutamente in grado di spiegare la
singolarissima situazione venutasi a creare nel momento in cui, presentate le
offerte, solo quelle dei quattro RTI poi divenuti concessionari consentivano
una complementarità assoluta, tale da imporre, in modo pressoché ineluttabile,
l’affidamento del servizio.
Parimenti, nessuna utilità presenta il
fatto che nelle Linee Guida alla redazione delle offerte (All. A all’avviso)
tali criteri venissero ulteriormente specificati, né tantomeno che il bando
avesse previsto (v. p. 164 della GURI) che in caso di parziali sovrapposizioni
delle proposte nei gruppi di ATO, sarebbe stato il Commissario Delegato a
definire la modifica delle suddivisioni “ al fine di evitare la sovrapposizione
territoriale verificatasi”: infatti, questo potere residuale del Commissario
non era certamente posto a garanzia di un’esigenza di “collegamento” (che le
Ricorrenti definiscono “ coordinamento”) tra le proposte, ma era, per
l’appunto, un potere da esercitare a posteriori, una volta che le proposte
fossero state presentate e valutate, al fine di consentire la necessaria
copertura del territorio, anche a costo di costringere le imprese ad accettare
soluzioni diverse ob torto collo, pena, altrimenti, la mancata stipula della
convenzione.
In sostanza, la previsione del potere
commissariale, lungi dal legittimare e suggerire un previo coordinamento tra le
imprese, come le Ricorrenti intendono prospettare (pag. 27 motivi aggiunti),
dimostra esattamente il contrario, ossia che la necessità, a posteriori, di un
intervento decisorio di un organo super partes e dotato della visione
complessiva del sistema per risolvere eventuali situazioni problematiche una
volta che le offerte fossero state presentate e fossero conosciute, è la
conseguenza dell’assenza, a priori, di un “coordinamento” tra i soggetti
proponenti, in ragione della garanzia dei principi di segretezza delle offerte,
trasparenza, par condicio e, in generale, di concorrenza.
Nessun coordinamento ex post sarebbe
infatti stato necessario laddove, come sostenuto dalle Ricorrenti, fosse
proprio la “ conformazione stessa del bando” a consentire l’omogeneizzazione
delle proposte, al fine di renderle territorialmente complementari.
A ciò si aggiunga, infine, che, come fatto
rilevare dalla difesa della Regione (pag. 54 della memoria del 20 aprile), le
previsioni del bando (ivi compresa la necessità di garantire il trasporto dei
RSU e di gestire la frazione secca al netto della raccolta differenziata)
avrebbero giustificato una situazione esattamente opposta a quella
verificatasi, in quanto, razionalmente, più offerte si sarebbero indirizzate
verso i Comuni dotati di una migliore infrastrutturazione, una maggior
percentuale di raccolta differenziata, un maggior livello di esazione di TARSU,
mentre, al contrario, non sarebbero stati scelti i Comuni che presentavano
condizioni operative opposte.
Da ultimo, ma può considerarsi un passaggio
cruciale delle prospettazioni delle Ricorrenti, esse negano che la normativa
sul divieto di collegamento sostanziale sia applicabile nel caso concreto
ratione temporis, per tre ordini di motivi:
a) al tempo della celebrazione della gara,
la fattispecie era considerata una concessione e non un appalto di servizi;
b) quand’anche la si inquadrasse come
appalto di servizi (come ha stabilito la sentenza della Corte di Giustizia del
18 luglio 2007), si applicherebbe l’art. 12 dell’allora vigente d.lgs.
157/1995, che non prevedeva alcun meccanismo di esclusione delle imprese “
collegate”, a differenza di quanto previsto dall’art. 10, co. 1 bis della l.
109/1994, come interpretato dalla costante giurisprudenza.
c) anche qualora si ritenesse possibile
estendere tale meccanismo di esclusione anche agli appalti di servizi, la
Regione avrebbe errato nell’applicarlo automaticamente alle imprese coinvolte
nella procedura in questione, posto che un meccanismo di esclusione automatico
è contrario al diritto comunitario, come ha dimostrato, nel tempo, la
disapplicazione prima, e l’abrogazione dopo, ad opera del d.l. 135/2009, del
comma 2 dell’art. 34 d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), in quanto
detta disposizione non consentiva alle imprese di dimostrare in concreto che,
nell’ipotesi di un collegamento sostanziale tra soggetti partecipanti a una gara,
detto collegamento non determinasse nel singolo caso alcuna distorsione della
concorrenza.
Sul primo aspetto, il Collegio non può che
riportarsi a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea che, nella ormai
più volte citata decisione del 18 luglio 2007, in C-382/2005 (Commissione
contro Repubblica italiana) ha qualificato come “appalti di servizi”, come tali
soggetti alla direttiva 92/50, le convenzioni pubbliche relative al trattamento
di rifiuti urbani e stipulate tra le imprese aggiudicatrici e il Commissario
governativo Straordinario per l’emergenza rifiuti in Sicilia. Ciò in quanto le
modalità di remunerazione previste dalle convenzioni controverse non rientrano
nel diritto di gestire i servizi, né implicano l’assunzione, da parte
dell’operatore, del rischio legato a tale gestione. Sulla base della disciplina
negoziale, l’operatore risulta infatti remunerato mediante una tariffa fissa
conferitagli per tonnellata di rifiuti; i rifiuti vengono obbligatoriamente
conferiti alle imprese previo preciso impegno del Commissario delegato, in modo
da assicurare un quantitativo annuo minimo di rifiuti; le convenzioni prevedono
inoltre l’adeguamento dell’importo della tariffa nell’ipotesi in cui la
quantità annua effettiva di rifiuti conferiti sia minore del 95% o maggiore del
115% rispetto alla quantità minima garantita.
Poiché le decisioni del giudice
comunitario, ed in particolar modo quelle che sanzionano un inadempimento alle
disposizioni del Trattato e della legislazione dotata di efficacia diretta negli
ordinamenti nazionali, sono direttamente applicabili nell’ordinamento italiano
(vedi art. 11 e 117 Cost.) e sono considerate a tutti gli effetti parte
integrante del diritto dell’Unione Europea, dovendo il giudice nazionale, e
prima ancora l’Amministrazione, dar loro applicazione immediata, con i soli
limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello
Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma
la possibilità del controllo di costituzionalità, (cfr., ex multis Corte cost.
sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè,
da ultimo, sentenze n. 284 del 2007 n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del
2011), ne consegue che la qualificazione della procedura come “appalto di
servizi”, dopo la sentenza del 2007, è divenuta obbligatoria per
l’Amministrazione regionale: ne discende che nessuna fondatezza può
riconoscersi, sul punto, alla prospettazione delle Ricorrenti circa la
qualificabilità della procedura de quo come concessione di servizi anziché come
appalto di servizi.
Se dunque la procedura in oggetto
costituisce appalto di servizi, deve esaminarsi la successiva questione, ovvero
se, in base alla normativa applicabile ratione temporis, sia possibile
escludere alcune imprese partecipanti a una gara in ragione del collegamento
sostanziale asseritamente esistente tra di loro.
In ordine al suddetto aspetto, è necessario
che il Collegio delinei brevemente e sinteticamente l’ambito normativo di
riferimento nel quale la contestazione va inquadrata.
Per “ collegamento sostanziale” si intende
l’esistenza di una relazione tra due o più imprese, “ imputabile a un unico
centro decisionale”.
Tale nozione, ispirata al disposto del
comma 3 dell’art. 2359 c.c., che considera “ collegate” le società in base al
concetto di “influenza notevole”che l’una eserciti sull’altra, fu dapprima
elaborata in via giurisprudenziale a tutela dei principi di segretezza, serietà
delle offerte e par condicio tra i concorrenti, in quanto non espressamente
contemplata nel comma 1-bis dell’art. 10 della l. 109/94 (legge Merloni),
introdotto dalla l. 415 del 1998, in base al quale, nelle procedure di
affidamento di lavori pubblici, non potevano partecipare alla medesima gara
imprese che si trovassero fra di loro “in una delle situazioni di controllo di
cui all’articolo 2359 del Codice civile”.
Anche se la disposizione citata taceva sul
punto, l’approdo cui era pervenuta la giurisprudenza era di ricomprendervi lo
stesso anche i casi di collegamento sostanziale.
Con l’entrata in vigore, dal 2006, del
d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), la disposizione de quo è
confluita nel comma 2 dell’art. 34, che, recependo gli esiti del dibattito
giurisprudenziale, ha vietato la partecipazione alla medesima gara dei soggetti
che si trovassero tra loro “ in una situazione di controllo di cui all’art.
2359 del Codice civile” nonché dei soggetti per i quali le stazioni appaltanti
accertassero “ che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro
decisionale, sulla base di univoci elementi”.
È opportuno ricordare sin d’ora che la
disposizione sopra citata è stata abrogata dal comma 3 dell’art. 3 del d.l.
135/2009, conv. L. 166/2009, per effetto della sentenza della Corte di
Giustizia del 19 maggio 2009 C-538/07 (sulla quale v. infra), e trasposta, con
gli opportuni accorgimenti resi necessari dal diritto comunitario, nella lett.
m-quater del comma 1 dell’art. 38 del Codice dei contratti, applicabile solo
agli appalti banditi successivamente al 26 settembre 2009.
Detti accorgimenti, relativi, come si
vedrà, alla modifica del meccanismo automatico di esclusione dell’offerta
presentata da parte di società controllate o collegate, non hanno fatto venir
meno la nozione di collegamento sostanziale elaborata dalla giurisprudenza in
relazione all’esistenza di un “ unico centro decisionale” che condizioni i
contenuti delle offerte (Tar Catania, sez. I, 5 marzo 2013, n. 719) e, quindi,
la loro anticipata “ reciproca conoscibilità, e che va, di volta in volta,
desunto necessariamente dalla presenza di elementi plurimi, precisi e
concordanti, idonei a sorreggere in via inferenziale la valutazione in fatto
circa la sussistenza in concreto di tale collegamento tra imprese partecipanti
alla gara, distorsivo delle regole di gara (ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 27
luglio 2011, n. 4477; id. sez. V, 17 settembre 2009, n. 5578; id., sez. VI, 24
novembre 2009, n. 7377; id., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5289; id., sez. IV, 17
settembre 2007 n. 4839; id., sez. VI, 30 ottobre 2006, n. 6449; id., 14 giugno
2006, n. 3500; id., sez. VI 14 marzo 2005, n. 1047; da ultimo, T.A.R. Milano,
sez. III, 01 marzo 2013, n. 558; Tar Lazio sez. I, 01 ottobre 2010, n. 32650;
id., sez. III, 13 novembre 2009, n. 11111; Tar Palermo, sez. III, 19 gennaio
2006, n. 134), tra i quali: gli intrecci personali tra gli assetti societari
delle imprese; la comunanza degli amministratori o la residenza degli
amministratori nel medesimo indirizzo; i rappresentanti legali con il medesimo
cognome; la presenza, in una società di un amministratore che è anche
procuratore, con potere di rappresentanza e di gestione, proprio per quanto
concerne le gare dell’altra; la medesima sede operativa; la predisposizione di
buste scritte o sigillate in modo identico; i timbri apposti sulle buste e
sulle documentazioni aventi la stessa impostazione e recanti lo stesso numero
telefonico; la presentazione congiunta delle offerte a mano, lo stesso giorno e
alla stessa ora, o con lo stesso corriere; la spedizione dei plichi dallo
stesso ufficio Postale che avviene lo stesso giorno e sostanzialmente alla
stessa ora; l’identità dell’estensore delle offerte o delle dichiarazioni di
subappalto; l’identità delle diciture utilizzate per la dichiarazione di
conformità delle copie prodotte e l’identica impostazione grafica delle stesse;
il contestuale rilascio delle attestazioni SOA oppure delle fideiussioni da
parte dello stesso Istituto di Credito e/o autenticate con numero progressivo
dallo stesso notaio; le certificazioni ottenute il medesimo giorno; l’identità
di oggetto sociale per le imprese, risultante dai certificati di iscrizione
alla c.c.i.a.a.; la detenzione del 50% di due imprese dallo stesso soggetto
(peggio ancora se parenti), amministratore unico di una di esse; la coincidenza
dei soci e degli amministratori prima della gara (a nulla rilevando gli
spostamenti a ridosso della stessa); i frequenti interscambi nelle cariche
sociali e nei ruoli di procuratore e direttore tecnico dei medesimi soggetti;
il rinvenimento della fotocopia della carta di identità del legale
rappresentante di un’impresa esclusa nella busta contenete i documenti di altra
impresa; i versamenti in denaro per la partecipazione alla gara eseguiti in
successione presso lo stesso sportello postale (ex plurimis, da ultimo Cons. St.,
2 maggio 2013 n. 2397; id., sez. VI, 08 maggio 2012, n. 2657; id., sez. V, 10
febbraio 2010 n. 690; id., sez.. V, 7 settembre 2007 n. 4721; Tar Brescia, sez.
II, 28 gennaio 2013, n. 94; Tar Palermo, sez. I, 29 giugno 2011, n. 1242; Tar
Napoli, sez. I, 20 luglio 2010, n. 16858; Tar Abruzzo, 06 marzo 2010, n. 167;
Tar Milano, sez. III, 10 dicembre 2009, n. 5304; Tar Sardegna, sez. I, 25
novembre 2009, n. 1953; Tar Lazio, sez. III, 25 marzo 2008 n. 2567), e comunque
qualsiasi elemento che faccia presumere fondatamente che le offerte siano state
predisposte contestualmente, purchè si superi, nel complesso, una “ soglia di
rilevanza minima” (Tar Lecce, sez. III, 23 febbraio 2008 n. 593; Tar Lazio, sez
III, 8 maggio 2007 n. 4096).
In sostanza, con riferimento alla normativa
in vigore, in materia di lavori pubblici, all’epoca in cui le procedure di
affidamento oggetto di questo giudizio sono state avviate (2002), la
giurisprudenza aveva elaborato una causa di esclusione “ non scritta”,
ulteriore rispetto alla fattispecie del “ controllo” ex art. 2359, co. 1, c.c.,
valida anche se non espressamente prevista dal bando (ex multis, Cons. St.,
sez. VI , 5 febbraio 2010 n. 530; id., sez. V, 8 settembre 2008, n. 4285; id.,
sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4835; id., 19 ottobre 2006, n. 6212; id., sez.
V, 4 maggio 2004, n. 2729).
Sulla stessa linea, dopo un’iniziale
ritrosia, si era posta anche l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici,
secondo cui, in questi casi, sia ha lesione dei principi posti dall’art. 1
della l. 109/94, i quali sono direttamente correlati ai valori costituzionali
di cui all’art. 97 Cost., e riguardanti la trasparenza, la buona fede, la
correttezza nell’azione dell’amministrazione, e la libera concorrenza tra gli
operatori quale massima espressione del mercato e valore cardine del diritto
comunitario (Delib. N. 63 del 27 luglio 2006; delib. N. 123 del 7 luglio 2004).
Di tali principi, che secondo la
giurisprudenza valgono a prescindere dal diminuito rischio di alterazione dei
risultati di gara in ragione dell’elevato numero di concorrenti, che è
situazione di mero fatto (Tar Molise, 26 novembre 2010, n. 1516), deve farsi a
maggior ragione applicazione nei casi, come quello oggetto di questo giudizio,
in cui il non alto numero dei partecipanti (solo sette) in relazione alla
natura dell’appalto, renda concretamente più semplice la possibilità di accordi
preventivi al fine di un’ottimale suddivisione del territorio e, in finale, di
contenuti delle offerte.
Ne discendeva l’esclusione delle offerte
che provenissero da un unico centro decisionale a condizione che
l’Amministrazione provasse la turbativa, in concreto, della procedura di gara;
infatti, mentre nel caso di controllo ex 2359, co. 1 c.c., operava un
meccanismo di presunzione assoluta (iuris et de iure) circa la sussistenza di
turbativa del corretto svolgimento della procedura concorsuale (e quindi dei
principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i
concorrenti), nel caso di sussistenza del c.d. “collegamento sostanziale”
doveva essere provata in concreto, da parte dell’amministrazione, l’esistenza
di elementi oggettivi e concordanti, tali da ingenerare pericolo per il
rispetto dei succitati principi; di conseguenza era consentito alla stazione
appaltante prevedere l’esclusione delle offerte quando specifici elementi
oggettivi e concordanti inducessero a ritenere la sussistenza di situazioni
(ulteriori rispetto alle forme di collegamento societario di cui all’art. 2359
c.c.) capaci di alterare la segretezza, la serietà e l’indipendenza delle
offerte, purché l’individuazione non oltrepassasse il limite della
ragionevolezza e della logicità rispetto alla tutela avuta di mira e
consistente nell’autentica concorrenza tra le offerte (così, ex plurimis, Cons.
St., sez. V, 17 settembre 2009, n. 5578; ex multis, id., sez. VI, 08 maggio
2012, n. 2657; 17 febbraio 2012, n. 8446; id., sez. VI, 07 maggio 2010, n.
2664; id., sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6212; Tar Marche, 24 gennaio 2013, n.
70; Tar Lazio, sez. III, 27 marzo 2012, n. 2904; Tar Umbria,14 marzo 2012, n.
96; Tar Milano, sez. III, 09 marzo 2011, n. 674-675; id., 7 maggio 2010, n.
1386; id., sez. III, 4 febbraio 2009, n 1100; Tar Toscana, sez. II, 07 luglio
2010, n. 2344; Tar Catania 6 febbraio 2007, n. 209).
Questo perché, come lucidamente chiarito da
Cons. St., sez. VI, 06 settembre 2010, n. 6469, sul piano del diritto positivo,
è vero che il collegamento (così come il controllo) tra imprese è di per sé
legittimo, tuttavia è altrettanto incontestabile che ben può e deve
l’Amministrazione, a tutela della regolarità ed effettività della competizione,
evitare situazioni distorsive del confronto mediante l’esclusione dalla gara
delle offerte che risultino frutto di accordi tesi ad influenzarne il risultato
(e ciò anche a prescindere da una espressa previsione in tal senso del bando).
In altre parole, l’ordinamento, che consente e prevede il controllo tra imprese
quale espressione della libertà di iniziativa economica, vieta espressamente
alle società controllate di partecipare alle gare; ciò significa che diversi
sono i piani sui quali agiscono le diverse norme, e diverse sono le sfere di
interessi dei quali sono posti a presidio, rimanendo fermo che, nel campo delle
pubbliche gare, la segretezza e la serietà delle offerte sono la traduzione e
la garanzia del perseguimento dell’interesse pubblico.
Questo essendo il portato della
giurisprudenza sul “ collegamento sostanziale” relativa al periodo in cui la
gara dei termovalorizzatori si è svolta, si è già ricordato che le difese delle
Ricorrenti, sul punto, hanno fermamente escluso l’applicabilità ratione
temporis della normativa sopra illustrata agli appalti di servizi.
L’art. 12 del d.lgs. 157/1995, che recepiva
l’art. 29 della Direttiva 92/50, non contemplava tale ipotesi, in ciò
differenziandosi dalla corrispondente norma in materia di affidamento di lavori
pubblici, che era, appunto, il comma 1 bis dell’art. 10 (e che, come detto,
aveva riguardo alle sole situazioni di “ controllo” formale, e il cui contenuto
era stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza sopra richiamata).
Prova di ciò ne è il fatto che l’art. 34,
co. 2, Codice dei contratti, estendendo espressamente il divieto di presentare
offerte nella medesima gara anche alle imprese in situazione di collegamento
accertato in concreto (e non solo alle società formalmente “ controllate” ex
art. 2359, co. 1 c.c.), arricchiva il contenuto del comma 1 bis dell’art. 10
della L. 109/94, e, contestualmente, lo estendeva anche agli appalti di servizi
e forniture, per la partecipazione ai quali la normativa nazionale in vigore
ante 2006 non prevedeva ipotesi di esclusione per ragioni di controllo
formale,e, tantomeno, di “collegamento sostanziale”.
Pertanto, prima dell’entrata in vigore del
Codice dei contratti, essendosi ripetutamente posto il problema
dell’applicazione analogica della disposizione sopra citata (art. 10, comma 1
bis) anche agli appalti di servizi, la giurisprudenza ha inizialmente negato
tale estensione (Cons. St., sez. VI, 09 febbraio 2006, n. 518; Tar Catania,
sez. II, 18 gennaio 2005 n. 31), salvo poi ammetterla, sia in considerazione
della circostanza che il legislatore del 2006 l’aveva opportunamente
considerata, sia in ragione dell’applicazione dei principi di legalità, buon
andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa nonché di libera
concorrenza fra i partecipanti alla gara.
In particolare, Tar Catania 6 febbraio
2007, n. 209, richiamandosi ad un proprio precedente (sez. III, 16 febbraio
2006 n. 234) aveva affermato che i principi sopra citati “ impongono la
serietà, l’indipendenza e la segretezza delle offerte allo scopo di attuare una
reale par condicio tra i partecipanti e rispettare il canone, anche di
derivazione comunitaria, della libera ed effettiva concorrenza. La ratio
dell’art. 10, comma 1 bis, l. 109/94, dunque, è proprio quella di tutelare il
libero confronto tra le offerte perché, per un verso, è evidente che il sistema
delle procedure di evidenza pubblica può funzionare solo se le imprese
partecipanti si trovino in posizione di reciproca ed effettiva concorrenza e,
per altro verso, appare comprensibile che, in presenza di accordi interni ai
concorrenti, risulta impossibile evitare la produzione di effetti distorsivi
sulla regolarità della procedura di affidamento (si pensi, ad esempio, al
meccanismo di individuazione della soglia di anomalia delle offerte). Così
ricostruito il sistema, non v’è ragione per escludere che altri fatti o
situazioni rispetto a quelli espressamente considerati dalla legge all’art. 10,
comma 1 bis, l. 109/94 – siano capaci di alterare la segretezza, la serietà e
l’indipendenza delle offerte. Qualora dovessero verificarsi circostanze di tal
genere, l’amministrazione appaltante deve procedere all’esclusione delle
relative offerte perché sarebbero comunque violati i principi posti a tutela
della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio
dei concorrenti.”
A supporto di questa tesi, soccorre, a
parere del collegio, la più volte citata sentenza della Corte di Giustizia
sezione IV, 19 maggio 2009, causa C-538/2007, avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale
Amministrativo Regionale per la Lombardia con ordinanza del 14 novembre 2007 n.
154.
Il T.A.R. Lombardia aveva posto due
questioni relative all’interpretazione dell’art. 10, comma 1 bis, della legge
n. 109/1994.
La prima riguardava il fatto che la norma
in questione stabiliva una presunzione assoluta di conoscibilità dell’offerta
della impresa controllata da parte della impresa controllante, vietando,
dunque, alle imprese aventi rapporti siffatti, di partecipare in modo
concorrente ad una medesima gara e, nel caso in cui si fosse accertata una
simile partecipazione, imponendone obbligatoriamente l’esclusione, senza la
possibilità di formulare offerte tali da dimostrare l’indipendenza, la serietà
e l’affidabilità necessarie. Il tutto aggravato dal fatto che la nozione di
«impresa controllata» nel diritto italiano è analoga a quella di «impresa
collegata» quale definita all’art. 3, n. 4, della direttiva 93/37.
La seconda questione riguardava il valore
da attribuire ad una statuizione come quella enunciata all’art. 10, co. 1 bis,
della legge n. 109/1994, generalmente interpretata quale norma di ordine
pubblico, applicabile in via generale, in quanto espressione di un principio
generale che trascende la materia dei lavori pubblici proiettandosi altresì
alle procedure di aggiudicazione nei settori dei servizi e delle forniture,
nonostante il fatto che, in questi ultimi, non esista una siffatta specifica
disposizione. Il legislatore avrebbe confermato tale approccio
giurisprudenziale con l’adozione dell’art. 34, ultimo comma, del decreto
legislativo n. 163/2006, che disciplina l’intera materia degli appalti pubblici
a partire dal 2006.
Pertanto, il Tar Milano si chiedeva se
l’art. 10, co. 1 bis della l. Merloni fosse applicabile anche agli appalti di
servizi e forniture e se il sistema, come delineato nel suo complesso, fosse
compatibile con l’ordinamento giuridico comunitario e, in particolare, con l’art.
29 della direttiva 92/50, come interpretato dalla Corte nella sentenza 9
febbraio 2006, cause riunite C 226/04 e C 228/04, in quanto detta disposizione
– che costituisce l’espressione del principio del «favor participationis», vale
a dire dell’interesse a che il maggior numero possibile di imprese partecipi ad
una gara d’appalto – conterrebbe, secondo detta pronuncia, un elenco tassativo
delle cause di esclusione dalla partecipazione ad un appalto di servizi. Tra
queste cause non rientrerebbe il caso di società legate fra loro da un rapporto
di controllo o d’influenza notevole.
La Corte si è pronunciata espressamente
sulla prima delle due questioni, affermando (p. 28) che è contraria ad
un’efficace applicazione del diritto comunitario (basato sul principio della
massima partecipazione possibile alle gara di appalto, in funzione della
realizzazione di una concorrenza effettiva) l’esclusione sistematica delle
imprese, tra loro collegate, dal diritto di partecipare ad una medesima
procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Pertanto, la Corte ha sancito
la contrarietà al diritto comunitario di una normativa nazionale che estende il
divieto di partecipazione ad una medesima procedura di aggiudicazione alle
situazioni in cui il rapporto di controllo tra le imprese interessate rimane
ininfluente sul comportamento di queste ultime nell’ambito di siffatte
procedure, in quanto ciò eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di
garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
Secondo la Corte “ una tale normativa,
basata su una presunzione assoluta secondo cui le diverse offerte presentate
per un medesimo appalto da imprese collegate si sarebbero necessariamente
influenzate l’una con l’altra, viola il principio di proporzionalità, in quanto
non lascia a tali imprese la possibilità di dimostrare che, nel loro caso, non
sussistono reali rischi di insorgenza di pratiche atte a minacciare la
trasparenza e a falsare la concorrenza tra gli offerenti “.
Sulla base di detta pronuncia, l’art. 34,
co. 2 del Codice, che riproduceva – sotto questo profilo – il comma 1 bis
dell’art. 10 della l. Merloni, era stato dapprima disapplicato, poi
definitivamente abrogato dal d.l. 135/2009 e sostituito dalla già citata lett.
m-quater del comma 1 dell’art. 38 del Codice dei contratti, che, come detto,
non consente l’automatica esclusione delle offerte presentate da imprese
controllate, ma, al pari del caso di collegamento, impone alla stazione
appaltante l’accertamento “ in concreto” della distorsione delle concorrenza.
La Corte, tuttavia, non ha preso
espressamente posizione sulla seconda delle due questioni prospettate dal
T.a.r. Lombardia, ossia sull’estensione analogica della normativa dell’art. 10,
comma 1 bis, anche agli appalti di servizi. In realtà, il silenzio della Corte
è comprensibile se si considera che essa, nella decisione citata, ha dichiarato
la non conformità al diritto comunitario della disposizione posta al suo
vaglio.
Tuttavia, ben lungi dalle conclusioni cui
le imprese Ricorrenti vorrebbero pervenire nel presente giudizio (pag. 28
motivi aggiunti), la sentenza della Corte di fatto conferma quanto era stato
elaborato dalla giurisprudenza nazionale in ordine all’estensione dell’art. 10,
co. 1 bis, anche alle gare di servizi e forniture.
Infatti, nel ribadire (punto 19 dec. Corte
) che l’elenco tassativo delle ipotesi di esclusione dalla partecipazione ad un
appalto pubblico, di cui all’art. 29 della Dir 92/50 (corrispondete all’art. 12
del d.lgs. 157/1995) si riferisce a qualità professionali dell’imprenditore, ha
sottolineato che la volontà del legislatore comunitario è stata quella di
prendere in considerazione in tale disposizione soltanto cause di esclusione
riguardanti unicamente detti requisiti soggettivi.
Pertanto, nella misura in cui la
disposizione ribadisce siffatte cause di esclusione, tale elenco è stato
considerato tassativo dalla Corte (p. 20), ma essa ha aggiunto (p. 21) che
tuttavia esso “non esclude la facoltà degli Stati membri di mantenere o di
stabilire, in aggiunta a tali cause di esclusione, norme sostanziali dirette,
in particolare, a garantire, in materia di appalti pubblici, il rispetto dei
principi di parità di trattamento di tutti gli offerenti e di trasparenza, che
costituiscono la base delle direttive comunitarie relative alle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici, a condizione però che venga rispettato
il principio di proporzionalità”. Ed ancora, che “ è palese che una misura
legislativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale è
intesa a scongiurare ogni possibile forma di collusione tra i partecipanti ad
una medesima procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico nonché a
tutelare la parità di trattamento dei candidati e la trasparenza della
procedura. Si deve dunque affermare che l’art. 29, primo comma, della direttiva
92/50 non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione
contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione
finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di
trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per
conseguire la suddetta finalità.” (p. 22-23).
Le affermazioni della Corte di Giustizia
non lasciano, pertanto, alcun dubbio in ordine alla circostanza che, anche
prima dell’entrata in vigore del Codice dei contratti, la normativa sul divieto
di collegamento sostanziale (art. 10, co. 1 bis l. 109/94), come interpretata
dalla giurisprudenza amministrava, fosse per analogia estensibile dai lavori
pubblici anche agli appalti di servizi, trattandosi, come affermato dal Tar
Lombardia, di norma di ordine pubblico, applicabile in via generale ed
espressione di un principio generale che trascende la materia dei lavori
pubblici, in cui “l’oggetto giuridico tutelato è quello del corretto e
trasparente svolgimento delle gare per l’appalto dei lavori pubblici (ma anche
degli altri appalti pubblici) nelle quali il libero gioco della concorrenza e
del libero confronto, finalizzati alla scelta del giusto contraente, risulterebbero
irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur
provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, sono
sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi, tale essendo
quello che – secondo la previsione del legislatore – si realizza concretamente
nelle ipotesi di controllo o collegamento societario indicato dall’articolo
2359 del codice civile.” (così, TAR Milano sez. I, 30 aprile 2010, n. 1201).
“ In tal modo – continua il TAR – il Legislatore
ha voluto assicurare all’amministrazione appaltante una specifica (e
preventiva) tutela volta a garantire effettivamente l’interesse pubblico alla
scelta del miglior contraente possibile, evitando che, pur in presenza di
procedimenti di gara formalmente corretti, la legittimità e la correttezza
della serie procedimentale fossero sostanzialmente alterati dai suindicati
fenomeni”.
La ratio e la natura della norma sopra
esaminata consente di ritenere che con essa il legislatore non ha inteso per
contro sterilizzare il potere dell’amministrazione di governare effettivamente
la serie procedimentale delle gare per l’appalto pubblico, inibendole di
introdurre nella lex specialis della gara previsioni di fatti e situazioni che,
pur non integrando gli estremi del collegamento o del controllo societario
civilistico, siano capaci ed idonei di alterare la serietà, indipendenza,
compiutezza e completezza delle offerte presentate da imprese diverse, oltre
che la loro segretezza, e che ne determinano l’esclusione dalla partecipazione
alla gara.
Infine, quanto all’ultima prospettazione
sollevata dalle Ricorrenti (pag. 29-30 motivi aggiunti; pag. 34 memoria
Ricorrenti del 26 aprile 2013) avverso la decisione dell’Amministrazione
regionale (4.11.c), ossia che quand’anche si ritenesse possibile estendere tale
meccanismo di esclusione anche agli appalti di servizi (come il collegio ha
fatto), la Regione avrebbe errato nell’applicarlo automaticamente alle imprese
coinvolte nella procedura in questione, alla luce della sentenza della Corte
sopra illustrata (che ha ritenuto contrario al diritto comunitario un
meccanismo di esclusione automatico), anche in questo caso il collegio non può
che respingere la contestazione.
Lungi dall’interpretare diversamente il
chiarissimo contenuto della sentenza comunitaria e della giurisprudenza
nazionale, in parte anche citata dalle Ricorrenti, che ne ha fatto puntuale
applicazione (si veda, anche, di recente, Tar Latina, 30 gennaio 2012, n. 56;
Tar Sardegna, sez. I, 24 febbraio 2011, n. 161; id., 25 novembre 2009, n. 1953;
Tar Trento, 14 settembre 2009, n. 239), il collegio trae spunto dalla stessa
decisione sopra citata per evidenziare che il diritto comunitario, se non può
consentire forme di esclusione automatica in linea con il favor partecipationis
e con il rispetto dell’autonomia imprenditoriale dei soggetti partecipanti alle
gare (cfr. p. 31 della motivazione della decisione della Corte), neppure
consente distorsioni della concorrenza legati a fenomeni di consociativismo e
connivenza, orientati alla massimizzazione del profitto a discapito dei
principi di concorrenza, trasparenza, par condicio, etc.
Pertanto, la soluzione fatta propria dai
giudici comunitari, impone l’inversione dell’onere della prova tra imprese e
amministrazioni, scaricando su queste ultime “ il compito di accertare se il
rapporto di controllo in questione abbia esercitato un’influenza sul contenuto
delle rispettive offerte depositate dalle imprese interessate nell’ambito di
una stessa procedura di aggiudicazione pubblica”, e “ richiede un esame e una
valutazione dei fatti che spetta alle amministrazioni aggiudicatrici
effettuare.”
“La constatazione di un’influenza siffatta,
in qualunque forma, è sufficiente per escludere tali imprese dalla procedura di
cui trattasi. Per contro, la semplice constatazione dell’esistenza di un
rapporto di controllo tra le imprese considerate, risultante dall’assetto
proprietario o dal numero dei diritti di voto che possono esercitarsi nelle
assemblee ordinarie, non è sufficiente affinché l’amministrazione
aggiudicatrice possa escludere automaticamente tali imprese dalla procedura di
aggiudicazione dell’appalto, senza verificare se un tale rapporto abbia avuto
un impatto concreto sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di questa
procedura.”
In sostanza, la circostanza che “ i
rapporti tra imprese di un medesimo gruppo possono essere disciplinati da
disposizioni particolari, ad esempio di tipo contrattuale, atte a garantire
tanto l’indipendenza quanto la segretezza in sede di elaborazione di offerte
che vengano poi presentate contemporaneamente dalle imprese in questione
nell’ambito di una medesima gara d’appalto”, impone, una volta accertata la
violazione di tali regole, che le imprese coinvolte non possano più partecipare
alla procedura di gara.
Applicando alla fattispecie oggetto del
presente giudizio tutto quanto sopra esposto in ordine alla nozione di
collegamento sostanziale, alla sua applicabilità, nel 2002, anche agli appalti
di servizi, nonché, infine, alla necessità di una sua previa contestazione al
fine di impedire un meccanismo automatico di esclusione delle imprese
coinvolte, il Collegio non può che constatare che, nel caso concreto, tutti gli
indici di collegamento individuati dall’Amministrazione depongono univocamente
per far ritenere l’esistenza di un unico centro decisionale che ha organizzato
sia la costituzione degli RTI (poi risultati affidatari), sia i contenuti delle
offerte, in funzione della realizzazione di un sicuro esito positivo della
gara.
Vi sono, infatti, una serie di elementi che
convergono, univocamente, verso l’esistenza di stretti collegamenti tra i RTI
sotto un profilo soggettivo (in primo luogo i collegamenti incrociati tra gli
RTI, che garantivano un rapporto di potenziale costante scambio di informazioni;
inoltre, la costituzione simultanea lo stesso giorno e presso lo stesso Notaio;
l’identità di importo e di costituzione del deposito cauzionale; l’identità di
soggetti presenti durante le fasi di gara, in rappresentanza di più società
anche non facenti parte del medesimo RTI; l’identità nei mandati collettivi e
nelle convenzioni-regolamento).
Ma, soprattutto, elementi gravi, precisi e
concordanti si rilevano anche sotto un profilo oggettivo, essendosi riscontrata
l’identità – grafica e contenutistica – delle deduzioni alle osservazioni di un
altro RTI (non aggiudicatario), e, infine, essendosi constatata l’anomalia
dell’assenza di sovrapposizione territoriale delle offerte presentate in
relazione alla spartizione territoriale dell’ambito di operatività dei singoli
RTI.
Quest’ultima circostanza è, con tutta
evidenza, il frutto non solo di un sicuro scambio di informazioni, ma
addirittura di una preparazione “ a tavolino” del concreto contenuto delle
singole offerte, limato al punto tale da non lasciare scoperto neanche uno dei
25 ATO presenti sul territorio, evitando, al contempo, l’intersezione delle
offerte medesime.
Ne è la riprova il fatto che le altre
offerte presentate dai tre RTI esclusi, inevitabilmente avevano punti di
intersezione tra di loro nonché con le offerte delle Ricorrenti.
Non può, inoltre, contestarsi
all’Assessorato regionale alcuna applicazione unilaterale dei suddetti indici
al caso concreto, tale da determinare l’esclusione, senza contraddittorio ed in
via automatica, delle offerte in questione e, di conseguenza, l’annullamento in
autotutela della gara.
Come già illustrato nel “ Fatto”
introduttivo della presente decisione, a pag. 3 e 4 del Decreto 548/2010 (par.
11) si dà conto (e la circostanza è assolutamente incontestata) che con nota del
7 maggio 2010, n. 15766, l’Assessorato comunicava l’avvio del procedimento per
la declaratoria di nullità della procedura di affidamento indetta con ordinanza
del 5 agosto 2002, n. 670 e, in ogni caso, di annullamento “in relazione al
collegamento sostanziale emergente tra i raggruppamenti” , senza che, nelle
note a difesa successivamente depositate dai quattro RTI tra il 16 e il 17
giugno 2010, si riscontrassero deduzioni relativamente alla contestazione sul
collegamento sostanziale tre le imprese (par. 13).
La circostanza, dunque, è tombale in ordine
a quanto ribadito in più occasioni dalla difesa dell’Amministrazione regionale,
ossia che a fronte di puntuali contestazioni circa la palese illegittimità
della procedura di affidamento del 2002, le imprese concessionarie non abbiano
fornito alcun elemento utile a difesa delle proprie posizioni, scaricando
costantemente sulla Regione, subentrata, come visto, ai due soggetti
originariamente gestori della procedura de quo, la responsabilità in ordine
all’annullamento in autotutela di una gara che, in ragione della sua
contrarietà alla normativa nazionale e comunitaria vigente all’epoca, non
avrebbe mai dovuto consentire loro l’affidamento della importantissima
commessa.
In casi di tal fatta, anche la giurisprudenza
nazionale (Cons. St., sez. VI, 06 settembre 2010, n. 6469; id., 27 luglio 2010,
n. 4888; id., sez. VI, 26 febbraio 2010, n. 1120; id., sez. VI, 25 gennaio
2010, n. 247; Tar Lazio sez. III, 04 novembre 2010, n. 33167; Tar Toscana, sez.
II, 07 luglio 2010, n. 2344) che ha fatto immediata applicazione della
interpretazione di cui alla citata pronuncia della Corte di Giustizia (ma si
segnalano anche precedenti anteriori, come Tar napoli, sez. VIII, 14 gennaio
2009 n. 99), affermando che non è più possibile sanzionare il collegamento tra
più imprese mediante l’automatica esclusione dalla procedura selettiva – sulla
scorta di una presunzione di “inquinamento” del confronto concorrenziale
concretatasi in un’anticipazione della soglia di tutela – ha ritenuto necessario
accertare in concreto se tale situazione abbia influito sul comportamento delle
imprese nell’ambito della gara.
Pertanto, la disciplina nazionale va intesa
nel senso che il rapporto tra le imprese può giustificare l’esclusione quando e
soltanto se la stazione appaltante accerti che tale rapporto abbia influenzato
la formulazione delle offerte, e purchè dette imprese siano messe in grado di
dimostrare l’insussistenza di rischi di turbative della selezione.
In particolare, non essendo più sufficienti
eventuali comunanze a livello strutturale o formale tra le imprese, essendo
necessario verificare se tale comunanza abbia avuto un impatto concreto sul
rispettivo comportamento nell’ambito della gara, con l’effetto di determinare
la presentazione di offerte riconducibili ad un unico centro decisionale, ciò
che va effettivamente accertato è la somiglianza del contenuto sostanziale
delle offerte, o una loro differenza voluta e studiata per turbare la gara
(Cons. St., sez. VI, 8 giugno 2010 n. 3637).
In caso di accertamento positivo,”le
imprese possono, o meglio devono, essere escluse dal procedimento di gara.”
(Cons. St., 4888/2010, cit.)
Proprio quello che è avvenuto nel caso di
specie, senza tuttavia, che la stimolazione del contraddittorio (vedi nota del 7
maggio 2010, n. 15766) abbia consentito alle parti private di produrre alcuna
giustificazione sul punto.
Del tutto a margine di queste
considerazioni, il Collegio rileva che non vi sono dubbi circa l’applicabilità,
nel caso di specie, dell’art. 21 nonies, co.1, della l. 241/90.
Fermo restando che la sua violazione non è
contemplata nell’unico motivo (n.3) del ricorso per motivi aggiunti che censura
l’operato dell’Amministrazione regionale sotto il profilo dell’annullamento
d’ufficio in ragione dell’illegittimo collegamento sostanziale tra le imprese,
e che è l’unico motivo esaminato dal Collegio per le ragioni che si
illustreranno infra, va aggiunto che l’Amministrazione, nel caso di specie, ne
ha fatto corretta applicazione.
Infatti, in base a detta disposizione, “il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può
essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico,
entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e
dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge.”
Orbene, nessun dubbio può sussistere che su
una gara d’appalto dal valore ingentissimo, e di rilevanza pressoché
internazionale, la Regione abbia tutto l’interesse ad assicurarsi che la stessa
venga aggiudicata nel rispetto di tutte la prescrizioni di legge, al fine di
assicurare il rispetto delle regole di libera concorrenza, l’ottimale
espletamento del servizio e, soprattutto, la corretta gestione delle immense
risorse pubbliche necessarie per la remunerazione degli Operatori
aggiudicatari.
Tutto ciò viene sicuramente meno laddove si
accerti, come nel caso concreto, che l’intera procedura è stata condizionata ab
origine, da un illegittimo accordo tra le imprese partecipanti per la
spartizione territoriale del servizio e per la formulazione di offerte dai
contenuti certamente “pilotati” e non frutto di libera valutazioni di carattere
imprenditoriale.
In un contesto del genere, qualsiasi
prospettiva di libera concorrenza è, di per sé, inesistente o fortemente
vanificata, con il risultato che l’amministrazione pubblica non può accollare
sulle sue spalle, e, giocoforza, su quelle dei contribuenti, la spesa
necessaria per lo svolgimento di un servizio di fondamentale importanza per la
collettività, senza alcuna certezza che detto servizio risponda a logiche e
canoni di realizzabilità e perfettibilità, posto che l’indebito accordo tra i
vari raggruppamenti rende di fatto impossibile garantire, a priori, la
provenienza dell’offerta da un soggetto che l’abbia formulata tenendo conto
esclusivamente delle proprie reali capacità imprenditoriali e nella prospettiva
di ottenere, dal corretto espletamento del servizio, l’utilità economica
prospettata all’Amministrazione pubblica e da questa accettata.
Nessun dubbio, inoltre, che l’annullamento
sia pervenuto entro un termine ragionevole, considerando che l’Assessorato ha
materialmente gestito la procedura in questione, e avuto contezza dei suoi
aspetti di illegittimità, solo dal 1 gennaio 2010, laddove, per le ragioni già
compiutamente esposte in motivazione, esso non poteva identificarsi né con il
Commissario delegato (che ha gestito la procedura fino al 2006), né con l’ARRA
(che l’ha gestita dal 2006 al 31 dicembre 2009).
Il provvedimento impugnato è datato 22
settembre 2010 e il preavviso di rigetto è del luglio del medesimo anno: si
tratta, quindi, di pochi mesi dalla data di insediamento dell’Assessorato
all’energia quale amministrazione procedente della gara in questione, tempo più
che congruo tenuto conto del tipo di gara, del suo valore economico e degli
interessi in gioco.
Infine, quanto alla necessità di
considerazione degli interessi delle imprese coinvolte (dando per scontata la
valutazione degli interessi pubblici), si è già dato conto del loro
coinvolgimento, peraltro senza esito alcuno, nel procedimento che ha condotto
all’emanazione del suddetto provvedimento, ma chiaramente, a fronte della
contestazione di un “ collegamento sostanziale” quale quello di cui si discute,
tale da inficiare in radice la legittimità dell’intero procedimento di gara,
non vi sono interessi privati che possano fare da reale contrappeso alla
decisione di massima tutela dell’interesse pubblico, consistente
nell’annullamento della gara.
Ogni asserita responsabilità della parte
pubblica sulla esatta natura della procedura concorsuale da avviare (appalto di
servizi in luogo della concessione di servizi, censurata dalla Corte di
Giustizia) appare in ogni caso recessiva rispetto alla circostanza che i soggetti
partecipanti, riuniti in raggruppamenti tra loro collegati, abbiano chiaramente
posto in essere accordi illeciti al fine di determinare i contenuti delle
offerte e così dividersi l’oggetto della (già) concessione (rectius:
dell’appalto di servizi), in funzione di una sicura assegnazione della stessa.
Ciò non è dipeso, infatti, né dal
comportamento dell’Amministrazione pubblica (all’epoca, del Commissario
delegato), né dalla conformazione del bando, ma esclusivamente da scelte delle
imprese partecipanti che, attraverso il preventivo accordo, tenuto conto dei
contenuti del bando e alla luce di un’ottima conoscenza del territorio (anche
in ragione della presenza di molte società siciliane all’interno dei vari RTI),
hanno posto in essere un meccanismo anticoncorrenziale, nella piena
consapevolezza della illegittimità del loro operato e con il chiaro intento di
aggiudicarsi la gara al di fuori dei legittimi sistemi di aggiudicazione
previsti dalla normativa nazionale e comunitaria, assolutamente contraria, come
noto, a qualsiasi forma di intesa o cartello distorsivo della concorrenza.
Alle imprese partecipanti, e solo a loro,
devono quindi imputarsi le decisioni assunte dall’Amministrazione regionale
alla luce della doverosa rivalutazione della procedura espletata, in forza del
potere di autotutela di cui ogni Amministrazione è, per legge dotata.
Potere di autotutela correttamente
espletato, nel caso concreto, alla luce di quanto esposto nella presente
sentenza.
La caducazione della procedura di
affidamento del servizio, indetta con l’ordinanza 670/2002, in ragione del
motivo suesposto, che ha retto, in tutti i sui aspetti, alle censure di
illegittimità prospettate dalle Ricorrenti, consente al collegio di non
prendere in considerazione, perché del tutto irrilevanti in base ai principi
sulla motivazione plurima esposti sub 4.4., gli altri motivi posti alla base
del Decreto impugnato, e, di conseguenza, le censure prospettate dalle
Ricorrenti e a questi riconnesse.
Infatti, come già ricordato, quando un atto
è fondato su una pluralità di motivi, la legittimità di almeno uno di essi ha
carattere preclusivo all’annullamento ove quest’ultimo sia sufficiente, come
nella fattispecie, a giustificare la decisione amministrativa adottata (ex
plurimis, TAR Lazio, I^, 5.12.2012, n.10141).
Preso atto della legittimità di una delle
ragioni addotte (rectius: l’esistenza di un collegamento sostanziale tra le
imprese aggiudicatarie ab origine della procedura de quo) e dell’idoneità di
quest’ultima a supportare la decisione negativa assunta dall’Amministrazione
(anche sotto i profili riguardanti tutte le successive fasi), non può
procedersi all’annullamento invocato, con la conseguenza che la disamina delle
ulteriori ragioni opposte nel provvedimento impugnato diviene ininfluente e/o irrilevante.
L’accoglimento di tale impostazione,
inoltre, determinando la caducazione della gara ab origine e per ragioni in
alcun modo riconducibili all’operato dell’amministrazione pubblica, comporta
anche la reiezione di tutte le domande risarcitorie spiegate, a vario titolo,
dalle parti.
2. In considerazione delle superiori
osservazioni, il ricorso per regolamento di giurisdizione va dichiarato
manifestamente infondatoe va pertanto respinta la domanda di sospensione del
giudizio; il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile ed il ricorso per
motivi aggiunti va respinto. Considerata la natura del contenzioso in questione
e la vastità degli interessi coinvolti dall’una e dall’altra parte, nonché la
novità delle questioni trattate, implicanti anche l’applicazione della
normativa comunitaria, si ravvisano gli eccezionali motivi previsti dalla legge
per la integralecompensazione delle spese processuali tra tutte le parti
costituite.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sez. II^, definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
-
dichiara manifestamente infondato il ricorso per regolamento di giurisdizione
proposto dalle parti ricorrenti;
-
dichiara improcedibile il ricorso introduttivo;
-
respinge il ricorso per motivi aggiunti;
compensa
integralmente tra le parti costituite le spese processuali.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così
deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2013 con
l’intervento dei Signori Magistrati:
Filippo
Giamportone, Presidente
Carlo
Modica de Mohac, Consigliere, Estensore
Sebastiano
Zafarana, Referendario
L’ESTENSORE
IL
PRESIDENTE
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
30/05/2013
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
A
CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
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