Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

lunedì 30 marzo 2015

RIFIUTI, IN SICILIA UN DISORDINE ORGANIZZATO

RIFIUTI, IN SICILIA UN DISORDINE ORGANIZZATO

di Nino Amadore 28 marzo 2015

Nel settore dei rifiuti solidi urbani inSicilia c’è un disordine organizzato con un «sistema ordinario della raccolta che non va da anni, c’è una situazione di emergenza non dichiarata e, dagli elementi raccolti dal 2010 a oggi non ci sono stati cambiamenti». È la conclusione cui sono arrivati i componenti della commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti guidata da Alessandro Bratti, al termine della quattro giorni di viste e audizioni tra le province diTrapani e Palermo. È stata una seconda puntata di un lungo giro di visite programmate che continuerà nei prossimi mesi con la provincia diMessina e con le aree diSiracusa e Gela dove i parlamentari cercheranno di approfondire lo stato di avanzamento e le criticità nel settore delle bonifiche. Insomma un lavoro che punta ad andare in profondità e che si dovrebbe concludere poco prima delle ferie estive con una relazione dedicata alla situazione della Sicilia. Almeno queste le intenzioni annunciate dal presidente della commissione. Per il momento il giudizio sul sistema dei rifiuti siciliano è pessimo: l’isola di fatto è in di Nino Amadore  
Per il momento il giudizio sul sistema dei rifiuti siciliano è pessimo: l’isola di fatto è in emergenza e i commissari hanno registrato un sostanziale immobilismo da parte della Regione siciliana che negli ultimi anni è intervenuta più volte con riforme normative che non hanno portato alcun risultato. Gli stessi commissari hanno dovuto constatare come a fronte della liquidazione degli Ato(gli Ambiti territoriali ottimali oggi in liquidazione e indebitati per circa cinquecento milioni) non siano affatto decollate le cosiddette Srr (previsti nella legge regionale del 2009) e che a tutt’oggi gliAro ( Aree di raccolta ottimale previste in una nuova legge approvata nel 2013) non sono stati costituiti con quella celerità che il legislatore si aspettava. I tentativi di dotare la Sicilia di un nuovo piano rifiuti sono andati a vuoto: il piano varato dall’allora governatore Raffaele Lombardo che era anche commissario delegato per l’emergenza, ha ricevuto un primo via libera dal ministero per l’Ambiente ma ha ricevuto la Via-Vas solo a dicembre 2014 con un a cinquantina di prescrizioni e ora i parlamentari della commissione hanno certificato che quel piano è scaduto nel 2014 e che il nuovo assessore Vania Contraffatto «sta lavorando alla stesura di un nuovo piano di emergenza» ha spiegato Bratti. Di fatto però il pianoLombardo non è mai entrato in vigore anche se sulla base delle sue previsioni, spiega il docente universitario AurelioAngelini, sono state fatte gare d’appalto e sono stati realizzati impianti.Con la sapiente regia diMarcoLupo, allora direttore generale dell’assessorato e per un periodo delegato dal presidente Crocetta a gestire l’emergenza.
Resta il fatto che un piano di gestione (ordinaria) del sistema della raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani inSicilia è urgente anche per poter spendere i fondi della programmazione 2014-2020 destinati al settore visto che si tratta di una condizionalità ex ante richiesta dalla Commissione europea.La Sicilia è l’unica regione italiana a non averlo. Un piano che, se fatto a regola d’arte, potrebbe aiutare a colmare quelle lacune che i parlamentari hanno riscontrato: «Permane l’utilizzo delle discariche come unico sistema mentre la raccolta differenziata non raggiunge il 10 per cento.Senza tralasciare la situazione debitoria degliAto che perdura nonostante la presenza di commissari liquidatori e continua a gravare sulle spalle dei cittadini che, a loro volta, non pagano, alimentando un loop che prosegue da anni.InSicilia la mala gestione del ciclo dei rifiuti ha delle connotazioni particolari: la Campania ha attraversato momenti di grande crisi ma oggi si muove sul 40% di raccolta differenziata, la stessa cosa non si può dire della Sicilia».
Qual è dunque la situazione oggi? Secondo alcuni, in assenza di altri piani di emergenza sono rimasti in vigore ilPier (Piano degli interventi per l’emergenza rifiuti) varato nel 2000 elaborato da una commissione a suo tempo guidata da Angelini e il piano di gestione varato nel 2002 dall’allora presidente SalvatoreCuffaro, commissario delegato per l’emergenza rifiuti.Quest’ultimo prevedeva la costruzione di quattro termovalorizzatori e siccome resta vigente,a determinate condizioni, quegli impianti potrebbero essere persino costruiti: «Dimensionandoli per il 35% dei rifiuti prodotti, considerato che il resto deve essere destinato a raccolta differenziata - spiega Angelini - potrebbe essere rifatto il bando. Lo dico ribadendo che sono contrario a questo sistema». Ipotesi campata in aria? Il presidente della commissione ha spiegato che «nessuno ha paventato il ritorno dei termovalorizzatori nell’isola» ma in passato, considerando inopinatamente vigente il pianoLombardo, c’è chi si era spinto a ipotizzare la costruzione di impianti per bruciare il cosiddetto css (combustibbile solido secondario ricavato dalla frazione secca dei rifiuti). La costruzione di termovalorizzatori rappresenterebbe una bella opportunità di business per i player del settore (uscita di scena la Falck che doveva costruirli ai tempi diCuffaro si registra negli ultimi tempi un movimento che fa pensare a nuovi interessamenti). L’affare di certo c’è: secondo i tecnici del settore un impianto da 65 Mw potrebbe portare nelle casse di chi lo costruisce 130 milioni l’anno grazie alle convenzioni con il Gse che dà le somme a titolo di incentivo. «In linea teorica - spiega ancora Angelini - grazie al sistema degliAro ognuna di queste Aree ottimali potrebbe costruirsi il proprio piccolo impianto per bruciare rifiuti».
Intanto, per rimanere all’oggi, si registra un fallimento su tutti i fronti cui la dichiarazione dello stato di emergenza e dunque la nomina di un commissario da parte del governo centrale non sarebbe la giusta risposta.Almeno secondo lo stesso Bratti che ieri, nell’incontro con i giornalisti nei locali della Prefettura di Palermo, è stato chiaro: «La gestione dell’emergenza con commissariamenti non ha mai risolto un problema.Questo ci dice la nostra esperienza - ha detto il presidente della commissione -. La Sicilia, la Campania e la Calabria hanno speso molti soldi con commissariamenti senza risolvere tutto. Un conto è il commissariamento su questioni specifiche, come un singolo impianto, un conto è commissariare l’intera gestione regionale». Una risposta chiara a chi come il presidente della regione Crocetta e prima ancora l’ex assessore NicolòMarino avevano fatto della richiesta di commissariamento e di emergenza (che prevede deroghe importanti anche nelle gare d’appalto con affidamenti diretti che lo stesso presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone ha bocciato più volte) un punto qualificante della loro azione.
In questo quadro disarmante sul piano della sostenibilità ambientale i parlamentari hanno anche riscontrato ancora una forte presenza della criminalità organizzata e non. E soprattutto una grave questione morale che investe le procedure autorizzative: «Le infiltrazioni della criminalità ci sono e si manifestano, per esempio nel sistema della raccolta, con l’imposizione di operai e la presenza in funzioni non apicali di soggetti legati alla criminalità organizzata». Ma c’è anche un problema di controllo delle imprese aggiudicatarie di lavori e in particolare, ha sottolineato la senatrice deiCinque Stelle Paola Nugnes, le white list: «Un sistema che per quanto riguarda questo settore non funziona: in una situazione di emergenza le prefetture non hanno il tempo di fare i controlli necessari e dunque capita che si scopra la presenza di un’impresa mafiosa quando i lavori sono stati appaltati se non addirittura realizzati». Storture cui la Confindustria siciliana ha provato a porre rimedio: è del 2 aprile 2013 la lettera inviata dal vicepresidente Giuseppe Catanzaro all’allora assessore Nicolò Marino in cui si propone di snellire il sistema dei controlli in collaborazione con le prefetture.Una lettera che non ha mai ricevuto risposta.




CORRUZIONE E RIFIUTI, RIPARTE IL PROCESSO TERRA MIA
SOLDI E VIAGGI IN CAMBIO DEL VIA ALLE DISCARICHE

CARMEN VALISANO 23 MARZO 2015
CRONACA – Riprende oggi a PALERMO il procedimento nei confronti dell'EX funzionario regionale Gianfranco Cannova e dei proprietari degli impianti nel Catanese, in provincia di Messina e ad Agrigento. In cambio di soggiorni in HOTEL, auto e party con prostitute l'ex dirigente avrebbe agevolato gli imprenditori AMICI
Richieste di favori e CORSIE preferenziali negli iter autorizzativi. In cambio di pagamenti in contanti, viaggi e auto. Tutti episodi legati da un filo rosso: il denaro sarebbe arrivato dai gestori di tre discariche private siciliane. È il quadro delineato dalla procura di Palermo, che - in collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia di Agrigento - lo scorso luglio ha portato all'inchiestaTerra mia. Il processo, celebrato davanti la terza sezione del tribunale palermitano, riparte oggi con un fitto CALENDARIO di udienze. Ma senza la costituzione di parte civile della Regione siciliana.
Sono cinque gli imputati, tutti accusati di corruzione
Gianfranco Cannova, architetto, ex funzionario dell'ufficio dell'assessorato regionale al Territorio e ambiente. Il suo ruolo era il rilascio e il rinnovo delle Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per gli impianti di smaltimento dei rifiuti. Coinvolti insieme a lui Domenico Proto (titolare della Oikos spa, società proprietaria del mega-impianto di contrada Tiritì-Valanghe d'inverno a Motta Sant'Anastasia, nel Catanese), i fratelli Calogero e Nicolò Sodano (responsabili della Soambiente di Agrigento), e Giuseppe Antonioli (amministratore della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, in provincia di Messina). 
L'inchiesta è partita nel 2011 e la procura ha avviato un complesso sistema diintercettazioni ambientali, telefoniche e di sms. Il RUOLO centrale è quello rivestito da Cannova, accusato di fare da mediatore nei rapporti tra la macchina regionale e gli imprenditori legati al SETTORE dei rifiuti. Ma il suo compito si sarebbe esteso a quello di sentinella, avvisando i responsabili degli impianti in OCCASIONE dei controlli delle autorità, e di consigliere per eventuali procedure da seguire o ricorsi da presentare. Una consulenza che sarebbe stata elargita in cambio di mazzette, viaggi, soggiorni in ALBERGHI di lusso, impianti stereo e un'automobile. 
Il legame più stretto sembrerebbe quello stabilito da Cannova con Mimmo Proto, presidente della catanese Oikos. Una confidenza tale da far chiamare rispettivamente i due «Mimmuzzo» e «Amore mio». Secondo la ricostruzione dell'accusa, i favori dell'ex funzionario avrebbero permesso l'allargamento della discarica ormai esaurita di contrada Tirtì nella contigua contrada Valanghe d'inverno. In alcune occasioni, Gianfranco Cannova avrebbe anche consigliato a Domenico Proto come agire, sia in occasione dei controlli dell'Arpa che nella GESTIONE dei cosiddetti fermo impianto. Situazioni nelle quali la procedura prevederebbe l'allerta delle autorità competenti e il blocco dello stoccaggio dei rifiuti, ma che non sarebbe stata messa in atto producendo - nelle due occasioni registrate dai magistrati - utili stimati in OLTRE 700mila euro
In cambio dei suoi servigi, il funzionario avrebbe ricevuto mazzette in contanti. «Se ne fotte lui dei soldi», sbotta Cannova riferendosi al proprietario della Oikos. Molti gli scambi di denaro finiti NELLEintercettazioni: «Gianfranco, dico, ci sono cinquemila euro qua, te li stoammucciando qua dentro», afferma Mimmo Proto ignaro delle cimici. In un'occasione sarebbe stato organizzato un festino con delle prostitute a Roma; inoltre risulterebbe un PAGAMENTO per l'acquisto di un impianto stereo o un televisore da 16mila euro. «Se io lavoro mi dà... mi dà soldi pe... non regala nessuno niente. Se tu li meriti perché sei bravo e lavori, te li danno», spiega Cannova al figlio. E poi ci sarebbero una ventina di soggiorni all'HOTEL BAIA VERDE di Aci Castello, vacanze delle quali molte volte l'architetto avrebbe usufruito con l'intera famiglia. Gli importi - per un ammontare di oltre 31mila euro - sarebbero stati pagati dalla Oikos, ma in due OCCASIONI anche da Salvatore Chicco Sudano - avvocato dei Proto, non indagato -, figlio dell'ex senatore Mimmo Sudano e fratello di Valeriadeputata regionale in quota ad Articolo 4, oggi Partito democratico
La confidenza tra Proto e Cannova sarebbe stata tale da spingere il dipendente regionale a consigliare di aumentare i costi del conferimento in discarica, suggerendo di addurre come causa il COSTO maggiore del carburante. Ma anche ostacolare la potenziale concorrenza, come quella creata da un nuovo impianto nel territorio di Ramacca. Un iter che sarebbe stato stoppato da Cannova in persona con un provvedimento Aia negativo. 
Meno amichevole sembrerebbe il rapporto tra Gianfranco Cannova e i fratelli Nicolò (detto Giovanni) e Calogero Sudano. I due sono rappresentanti dellaSicedil srl e della Soambiente srl, società con interessi nell'ambito DELLOsmaltimento dei rifiuti nell'Agrigentino e non solo. I fratelli, infatti, avrebbero chiesto l'intercessione del funzionario per le autorizzazioni degli impianti diPachino e Noto (in provincia di Siracusa) e di Sciacca e Siculiana, ad Agrigento. Sul fronte di Pachino sarebbero state numerose le pressioni - giunte perfino dall'EX governatore Raffaele Lombardo - per impedire la creazione di un nuovo impianto, facendo registrate i malumori dei due imprenditori. Nonostante tutto, i fratelli avrebbero pagato mazzette per almeno centomila euro e un cesto con PRODOTTI natalizi, oltre alla promessa di una villetta nei dintorni della Scala dei Turchi
Una macchina, un'Audi, acquistata da una concessionaria della provincia di Novara sarebbe stato uno dei doni ricevuti da Cannova da parte di Giuseppe Antonioli. L'imprenditore è amministratore delegato della novarese Osmon spa, società titolare di un impianto per la produzione di biogas all'interno della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea in provincia di Messina. La struttura, gestita dalla Tirreno Ambiente per mezzo di Antonioli, è oggi chiusa dalla magistraturae sull'iter seguito da Cannova pendono due sentenze del Tar che hanno annullato le due Aia rilasciate dall'architetto. Anche in questo caso non sarebbe mancato il passaggio di denaro contante e le promesse: l'ex dipendente regionale avrebbe avanzato l'ipotesi di una PARTECIPAZIONE della Tirreno ambiente ad altre gare per impianti nel resto della regione. 
Il quadro a carico degli imputati, soprattutto nei confronti di Cannova, ha spinto il tribunale a non accettare la RICHIESTA di patteggiamento proposta dai legali dell'ormai ex funzionario a quattro anni di carcere. Secondo fonti giudiziarie, l'intenzione è di concludere il procedimento con la massima velocità, probabilmente entro l'anno. 
Ma nonostante la gravità delle accuse, l'avvocatura dello Stato ha consigliato allaRegione di non costituirsi parte civile, contro la ferma intenzione di procedere espressa dal governatore Rosario Crocetta. Le mazzette «non sono un fattore di particolare allarme sociale» è il parere espresso. In un primo MOMENTOCrocetta aveva provato ad addurre come scusa per la mancata costituzione a un difetto di notifica. A costituirsi, invece, è stata l'amministrazione di Motta, per tutelare «gli interessi e l'immagine del Comune». Il vicino centro di Misterbianco, invece, non è rientrato per problemi nella ricezione delle notifiche e non aver rispettato i tempi stabiliti. 



CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti


Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?


Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. 

E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado  sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. 

In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari.

E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile?

E’ Cannova non sa nulla di questa storia?

Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano. 

In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.   

Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. 

Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.

Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. 

Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!

Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.

Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. 

La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale!

Entrambi in palese conflitto di interessi.

Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.  

Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia  a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( Sent. n. 401/2014  http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html  )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). 
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.

Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente. 

Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. 
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. 
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. 
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. 
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. 
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…     
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.          



MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE

17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet  – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis  – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente e Montante controfirmò,  che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo.




ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI
13 FEBBRAIO 2015

Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti,  ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura.
1)   Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2)   Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3)   Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità, rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì,  da incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere nel 1992.  Chi è senza peccato, scagli il primo testimone.
4)   C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo).  Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.
Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.
Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.
Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia.
L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.
È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante).

 5)   Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità. 
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata. 
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria,  il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket».

7)   Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8)   Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno –  si.
Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.

Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno rafforzati.





A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE



CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti


Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?


Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. 

E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado  sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. 

In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari.

E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile?

E’ Cannova non sa nulla di questa storia?

Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano. 

In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.   

Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. 

Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.

Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. 

Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!

Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.

Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. 

La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale!

Entrambi in palese conflitto di interessi.

Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.  

Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia  a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( Sent. n. 401/2014  http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html  )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). 
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.

Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente. 

Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. 
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. 
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. 
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. 
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. 
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…     
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.          




BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA  DECRETO-ACCREDITAMENTI ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 - 17:27 di Accursio Sabella 

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal governatore.

PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta. Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto, l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone clamoroso.


Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.

In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso "liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.

I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé. "L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga". L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti (tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.

Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.





L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
GIUSEPPE MESSINA 10 OTTOBRE 2014

FORMAZIONE E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio della procura della repubblica di palermo

Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i tirocini formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a 500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da parte dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire l'accesso ai giovani.
Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte' assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima stima e fiducia farà il proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta attenzione".


L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
BRASIL 24 SETTEMBRE 2013

POLITICA – Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di palermo.

 Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso.  A generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in corso al San Paolo Palace di Palermo.

Il Senatore, con la sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo: Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il mondo come volontà e rappresentazione". Di che si tratta?  Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E, in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente, percepisce solo lui:

"Questo e' un partito che si isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente per la prima volta davvero in grado di rompere col passato.  I cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il documento del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone l'abbandono della Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto ci risulta, si parla di un Governo che si era presentato come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro che popolo Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo  ma  che  tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il  21 Settembre scorso, ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860.  Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni nell'Universo,  e che  magari, si è fermato anche al San Paolo Palace hotel.  Ma solo per pochi secondi.


12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad accettare l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha differenze di vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola, di Marco Benanti

PENTITI CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA:  MONTANTE INDAGATO PER MAFIA

A suo carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta top secret quella su  Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla Squadra Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona e in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al 2004. Di Francesco  è stato definito ‘’il collettore tra esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della provincia’’. Il pentito è “compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone  (il padre di quest’ultimo, Paolino Arnone era un boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è stato compare di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I Siciliani Giovani: in rete venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma anche il certificato di nozze di un giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai quattro testimoni. Due erano proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue frequentazioni con Arnone, altro non erano che  legami dovuti alla comune origine paesana legata a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in Confindustria: nel 2008, insieme al suo predecessore Ivan Lo Bello, è stato tra gli artefici del codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un “nuovo corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola, dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via definitiva a nove anni per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, interpellato sull’inchiesta per mafia a carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante. L’industriale sotto indagine è considerato vicino a molti magistrati delle procure siciliane che in questi ultimi anni hanno creduto alla ‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un notevole scalpore negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che alcuni pentiti parlano delle sue ‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La Repubblica, i casi sono due: o qualcuno ha voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia che vuole cambiare, oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.


NICOLÒ MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”

Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè l’ha nominata assessore? “Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014

Dopo sette mesi dal suo siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero “firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di Confindustria Sicilia”.

Detto e sottoscritto da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14 aprile scorso.

Oggi Marino rompe un lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato l’immondizia della Campania”.

È un fiume in piena l’ex magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire spazzatura” stanno venendo al pettine.

“La verità – dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene comune”.

A difendere l’ex assessore scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.

“Va ricordato al presidente Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”.

E poi: “Catanzaro è il primo imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta. Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione ambiente del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata la breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è che Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito nella gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”.

Perché Crocetta difende Catanzaro e attacca Marino?

“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.

Perché, dottor Marino, lei accusa anche il presidente di Confindustria?

“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non posso’.
‘Allora veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato, nonché appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul mio conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni di questo tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto.
Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”.
E Crocetta?

“Cambiò discorso”.

Cosa avvenne a seguito della sua inchiesta?

“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.

Qual è il ruolo del senatore Lumia?

Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”.

Perché Crocetta la nomina assessore?

“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”.

Un’operazione di facciata?

“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.

12 novembre 2014
RIFIUTI, MONTANTE E LO BELLO  QUERELANO NICOLÒ MARINO

Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dottor Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia
di Luciano Mirone

È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò Marino. Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan Lo Bello e Antonello Montante, “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia, “rinvenendosi nelle stesse contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che riferimenti a fatti e circostanze fantasiosamente ricostruite e completamente destituite di ogni fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa nei due quotidiani, in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia accusava soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di metri cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino, sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, “protettore di Catanzaro”, ma anche il senatore del Pd Beppe Lumia (“ha sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di Confindustria Lo Bello e Montante, sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra fredda” fra lui e il presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex magistrato da uno degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere l’operato dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, e di Furnari, Mario Foti, che da anni lottano per la chiusura delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.
La replica dei vertici di Confindustria Lo Bello e Montante non si è fatta attendere. Silenzio, Sul caso è intervenuto anche il senatore Lumia: “È singolare che l’ex assessore all’Energia e ai Rifiuti della Regione Siciliana Nicolò Marino dedicava e continua a dedicare gran parte del suo tempo ad attaccare pubblicamente quegli imprenditori del settore che hanno denunciato Cosa nostra. Contro la mafia dei rifiuti, invece, Marino non ha mai detto nulla. Nessuna valutazione, nessun giudizio”, ha dichiarato Lumia. “Per quanto mi riguarda – aggiunge – mi sono sempre schierato dalla parte di quegli imprenditori che rischiano la vita e che con Confindustria Sicilia hanno fatto una scelta storica e senza precedenti contro Cosa nostra. Con questa Confindustria si dialoga e ci si confronta, con la mafia dei rifiuti no, anzi la si aggredisce”. “Col presidente Crocetta – spiega – non siamo mai entrati nel merito delle scelte amministrative e di gestione dei rifiuti fatte da Marino, ma non potevamo stare zitti e fermi di fronte a questo suo modo scellerato di attaccare l’impresa sana. Semmai sono note le nostre opinioni a favore delle discariche pubbliche e contro il proliferare di quelle private”. “Quindi – conclude Lumia – Marino dovrà dar conto delle sue affermazioni, non solo sul piano giudiziario ma anche dell’etica pubblica”.

MONTANTE INDAGATO PER MAFIA. E IVAN LO BELLO RESTA SOLO? 

La notizia è “il Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante indagato per mafia”. Sarà la magistratura a stabilire la verità, ma è tutto come un “deja vu”.
Su “L’Ora Quotidiano” del 9 Febbraio 2015: “Pentiti contro leader di Confindustria: Montante indagato per mafia“.
Una notizia bomba. Antonello Montante, infatti, oltre ad essere il Presidente di Confindustria Sicilia, è:
Delegato nazionale di Confindustria per i problemi della legalità;
Componente dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla mafia (su designazione del Ministero dell’Interno);
Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta;
Presidente di Unioncamere Sicilia

È del novembre 2014 l’altra accusa. Quella che il magistrato Nicolò Marino mosse ai vertici di Confindustria siciliana. La questione era legata alla gestione dei rifiuti e il dito era puntato sul vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, ma non solo.

Marino ha indicando ciò che a suo parere costituisce un sistema di potere e di collusioni formato da Montante, Lo Bello, Lumia (senatore PD. Poteva mancare il PD?), Catanzaro e lo stesso Presidente della Regione Siciliana Crocetta.
Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana.

Montante e Lo Bello hanno prontamente querelato Nicolò Marino che, però, pare non essersi affatto intimidito. Anzi, ha rincarato la dose.

Questa Amministrazione – scrive Marino – è ben a conoscenza che nel lontano 1995 la Catanzaro Costruzioni s.r.l. ebbe ad aggiudicarsi il servizio per la gestione della discarica di Siculiana in ATI con la FORNI ed Impianti industriali Ing. De Bartolomeis S.p.a. di Milano (l’unica in possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara), questa ultima coinvolta successivamente nell’inchiesta “TRASH” della DDA di Palermo, per vicende connesse alla turbativa d’asta in gare per discariche, depuratori ed altri impianti di smaltimento, inchiesta culminata finanche nell’arresto del suo direttore generale, Massimo Tronci, per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, risultato in rapporti di affari con RIINA Salvatore, BUSCEMI Antonio, LIPARI Giuseppe, VIRGA Vincenzo, NANIA Filippo, BRUSCA Giovanni e SIINO Angelo1
Per inciso, Siculiana è in provincia di Agrigento. Provincia di Giuseppe Catanzaro, ma anche del Ministro dell’Interno Angelino Alfano, lo stesso che ha nominato Montante all’Agenzia Nazionale dei beni confiscati alla mafia.

Montante indagato per mafia. Mah!

A proposito dell’incarico conferito da Angeli Alfano, ci sarebbe pure quel piccolo problema sul conflitto di interessi:

È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni confiscati a Cosa Nostra?

Strano destino, quello di Confindustria Sicilia.

Oggi abbiamo Montante indagato per mafia, ma dei vertici di Confindustria Sicilia ebbe già ad interessarsi la Commissione nazionale Antimafia degli anni ’70 che, in diverse pagine, menziona l’ing. Domenico (Mimì) La Cavera, l’allora Presidente di Confindustria Sicilia.

I suoi rapporti con l’ineffabile avvocato Vito Guarrasi di Palermo2 . Strano tipo, Vito Guarrasi. Imparentato con Enrico Cuccia(Mediobanca).

Definito “il vero boss”, “l’avvocato dei misteri”.

Per il giudice Calia presenziò perfino alla sottoscrizione del trattato di Cassibile, rappresentando gli interessi della mafia.

Amici inseparabili, lui e La Cavera. Insieme e con il deputato comunista Emanuele Macaluso furono i fautori e i sostenitori della “stagione del milazzismo” in Sicilia3
Silvio Milazzo, dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 formò un secondo governo, dove però non entrò più il MSI. Questo secondo governo ebbe allora un sostegno variegato, dalle sinistre, ai monarchici, ai vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera che già aveva rotto con Confindustria, fino ad esponenti vicini alla mafia.

La Cavera ebbe relazioni anche con l’altro (oltre lo stesso Guarrasi) grande attore del “Caso Mattei”, Graziano Verzotto, e con lo stesso Enrico Mattei.

È stato uno dei promotori insieme a Vito Guarrasi e Graziano Verzotto della Sofis (ente pubblico siciliano nato nel 1957) di cui fu nominato direttore. Il suo nome compare nelle relazioni compiute dalla Commissione parlamentare antimafia negli anni ’70.

Ma i suoi affari in contiguità con la mafia andavano oltre:
Fu amministratore delegato della SIRAP, (società controllata dall’ESPI), coinvolta nell’indagine su Angelo Siino, il gestore degli affari economici di Cosa Nostra

Antonello Montante e Ivan Lo Bello per Domenico La Cavera erano “i ragazzi”.
Montante e Lo Bello (e Catanzaro) son sempre andati d’amore e d’accordo. Sicilia ovest al primo e Sicilia est al secondo.

Presidenza della Camera di Commercio di Caltanissetta al primo, quella di Siracusa al secondo.
Altre grandi Camere di Commercio siciliane (Catania e Messina) – ma anche Enna, ad esempio – sono tenute dal Governo Crocetta in condizione di commissariamento di dubbia legittimità.

Antonello Montante indagato per mafia. Si stenta a crederlo!

Dice il deputato regionale siciliano Leanza4

Lo Bello e Montante? Sono i padroni della Sicilia
Solo ultimamente, secondo alcune voci, si sarebbero creati dissapori tra loro, ma lingue ancor più malevole sostengono che sia tutto “teatro”. In ballo ci sono gli accorpamenti delle Camere di Commercio siciliane e con essi la gestione delle (s)vendite degli aeroporti siciliani.

E adesso ci si ritrova Antonello Montante indagato per mafia.


A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE



BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA  DECRETO-ACCREDITAMENTI ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 - 17:27 di Accursio Sabella 

I giudici amministrativi hanno accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal governatore.

PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta. Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto, l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco: quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone clamoroso.


Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.

In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso "liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.

I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé. "L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga". L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti (tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.

Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.





L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
GIUSEPPE MESSINA 10 OTTOBRE 2014

FORMAZIONE E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio della procura della repubblica di palermo

Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i tirocini formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a 500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da parte dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire l'accesso ai giovani.
Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte' assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima stima e fiducia farà il proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta attenzione".


L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
BRASIL 24 SETTEMBRE 2013

POLITICA – Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di palermo.

 Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso.  A generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in corso al San Paolo Palace di Palermo.

Il Senatore, con la sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo: Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il mondo come volontà e rappresentazione". Di che si tratta?  Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E, in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente, percepisce solo lui:

"Questo e' un partito che si isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente per la prima volta davvero in grado di rompere col passato.  I cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il documento del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone l'abbandono della Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto ci risulta, si parla di un Governo che si era presentato come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro che popolo Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo  ma  che  tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il  21 Settembre scorso, ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860.  Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni nell'Universo,  e che  magari, si è fermato anche al San Paolo Palace hotel.  Ma solo per pochi secondi.


12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad accettare l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha differenze di vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola, di Marco Benanti

PENTITI CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA:  MONTANTE INDAGATO PER MAFIA

A suo carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta top secret quella su  Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla Squadra Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona e in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al 2004. Di Francesco  è stato definito ‘’il collettore tra esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della provincia’’. Il pentito è “compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone  (il padre di quest’ultimo, Paolino Arnone era un boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è stato compare di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I Siciliani Giovani: in rete venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma anche il certificato di nozze di un giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai quattro testimoni. Due erano proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue frequentazioni con Arnone, altro non erano che  legami dovuti alla comune origine paesana legata a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in Confindustria: nel 2008, insieme al suo predecessore Ivan Lo Bello, è stato tra gli artefici del codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un “nuovo corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola, dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via definitiva a nove anni per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, interpellato sull’inchiesta per mafia a carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante. L’industriale sotto indagine è considerato vicino a molti magistrati delle procure siciliane che in questi ultimi anni hanno creduto alla ‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un notevole scalpore negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che alcuni pentiti parlano delle sue ‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La Repubblica, i casi sono due: o qualcuno ha voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia che vuole cambiare, oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.


NICOLÒ MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”

Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè l’ha nominata assessore? “Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014

Dopo sette mesi dal suo siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero “firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di Confindustria Sicilia”.

Detto e sottoscritto da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14 aprile scorso.

Oggi Marino rompe un lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato l’immondizia della Campania”.

È un fiume in piena l’ex magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire spazzatura” stanno venendo al pettine.

“La verità – dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene comune”.

A difendere l’ex assessore scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.

“Va ricordato al presidente Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”.

E poi: “Catanzaro è il primo imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta. Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione ambiente del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata la breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è che Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito nella gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”.

Perché Crocetta difende Catanzaro e attacca Marino?

“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.

Perché, dottor Marino, lei accusa anche il presidente di Confindustria?

“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non posso’.
‘Allora veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato, nonché appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul mio conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni di questo tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto.
Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”.
E Crocetta?

“Cambiò discorso”.

Cosa avvenne a seguito della sua inchiesta?

“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.

Qual è il ruolo del senatore Lumia?

Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”.

Perché Crocetta la nomina assessore?

“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”.

Un’operazione di facciata?

“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.

12 novembre 2014
RIFIUTI, MONTANTE E LO BELLO  QUERELANO NICOLÒ MARINO

Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dottor Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia
di Luciano Mirone

È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò Marino. Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan Lo Bello e Antonello Montante, “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia, “rinvenendosi nelle stesse contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che riferimenti a fatti e circostanze fantasiosamente ricostruite e completamente destituite di ogni fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa nei due quotidiani, in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia accusava soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di metri cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino, sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario Crocetta, “protettore di Catanzaro”, ma anche il senatore del Pd Beppe Lumia (“ha sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di Confindustria Lo Bello e Montante, sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra fredda” fra lui e il presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex magistrato da uno degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere l’operato dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, e di Furnari, Mario Foti, che da anni lottano per la chiusura delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.
La replica dei vertici di Confindustria Lo Bello e Montante non si è fatta attendere. Silenzio, Sul caso è intervenuto anche il senatore Lumia: “È singolare che l’ex assessore all’Energia e ai Rifiuti della Regione Siciliana Nicolò Marino dedicava e continua a dedicare gran parte del suo tempo ad attaccare pubblicamente quegli imprenditori del settore che hanno denunciato Cosa nostra. Contro la mafia dei rifiuti, invece, Marino non ha mai detto nulla. Nessuna valutazione, nessun giudizio”, ha dichiarato Lumia. “Per quanto mi riguarda – aggiunge – mi sono sempre schierato dalla parte di quegli imprenditori che rischiano la vita e che con Confindustria Sicilia hanno fatto una scelta storica e senza precedenti contro Cosa nostra. Con questa Confindustria si dialoga e ci si confronta, con la mafia dei rifiuti no, anzi la si aggredisce”. “Col presidente Crocetta – spiega – non siamo mai entrati nel merito delle scelte amministrative e di gestione dei rifiuti fatte da Marino, ma non potevamo stare zitti e fermi di fronte a questo suo modo scellerato di attaccare l’impresa sana. Semmai sono note le nostre opinioni a favore delle discariche pubbliche e contro il proliferare di quelle private”. “Quindi – conclude Lumia – Marino dovrà dar conto delle sue affermazioni, non solo sul piano giudiziario ma anche dell’etica pubblica”.

MONTANTE INDAGATO PER MAFIA. E IVAN LO BELLO RESTA SOLO? 

La notizia è “il Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante indagato per mafia”. Sarà la magistratura a stabilire la verità, ma è tutto come un “deja vu”.
Su “L’Ora Quotidiano” del 9 Febbraio 2015: “Pentiti contro leader di Confindustria: Montante indagato per mafia“.
Una notizia bomba. Antonello Montante, infatti, oltre ad essere il Presidente di Confindustria Sicilia, è:
Delegato nazionale di Confindustria per i problemi della legalità;
Componente dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla mafia (su designazione del Ministero dell’Interno);
Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta;
Presidente di Unioncamere Sicilia

È del novembre 2014 l’altra accusa. Quella che il magistrato Nicolò Marino mosse ai vertici di Confindustria siciliana. La questione era legata alla gestione dei rifiuti e il dito era puntato sul vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, ma non solo.

Marino ha indicando ciò che a suo parere costituisce un sistema di potere e di collusioni formato da Montante, Lo Bello, Lumia (senatore PD. Poteva mancare il PD?), Catanzaro e lo stesso Presidente della Regione Siciliana Crocetta.
Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana.

Montante e Lo Bello hanno prontamente querelato Nicolò Marino che, però, pare non essersi affatto intimidito. Anzi, ha rincarato la dose.

Questa Amministrazione – scrive Marino – è ben a conoscenza che nel lontano 1995 la Catanzaro Costruzioni s.r.l. ebbe ad aggiudicarsi il servizio per la gestione della discarica di Siculiana in ATI con la FORNI ed Impianti industriali Ing. De Bartolomeis S.p.a. di Milano (l’unica in possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara), questa ultima coinvolta successivamente nell’inchiesta “TRASH” della DDA di Palermo, per vicende connesse alla turbativa d’asta in gare per discariche, depuratori ed altri impianti di smaltimento, inchiesta culminata finanche nell’arresto del suo direttore generale, Massimo Tronci, per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, risultato in rapporti di affari con RIINA Salvatore, BUSCEMI Antonio, LIPARI Giuseppe, VIRGA Vincenzo, NANIA Filippo, BRUSCA Giovanni e SIINO Angelo1
Per inciso, Siculiana è in provincia di Agrigento. Provincia di Giuseppe Catanzaro, ma anche del Ministro dell’Interno Angelino Alfano, lo stesso che ha nominato Montante all’Agenzia Nazionale dei beni confiscati alla mafia.

Montante indagato per mafia. Mah!

A proposito dell’incarico conferito da Angeli Alfano, ci sarebbe pure quel piccolo problema sul conflitto di interessi:

È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni confiscati a Cosa Nostra?

Strano destino, quello di Confindustria Sicilia.

Oggi abbiamo Montante indagato per mafia, ma dei vertici di Confindustria Sicilia ebbe già ad interessarsi la Commissione nazionale Antimafia degli anni ’70 che, in diverse pagine, menziona l’ing. Domenico (Mimì) La Cavera, l’allora Presidente di Confindustria Sicilia.

I suoi rapporti con l’ineffabile avvocato Vito Guarrasi di Palermo2 . Strano tipo, Vito Guarrasi. Imparentato con Enrico Cuccia(Mediobanca).

Definito “il vero boss”, “l’avvocato dei misteri”.

Per il giudice Calia presenziò perfino alla sottoscrizione del trattato di Cassibile, rappresentando gli interessi della mafia.

Amici inseparabili, lui e La Cavera. Insieme e con il deputato comunista Emanuele Macaluso furono i fautori e i sostenitori della “stagione del milazzismo” in Sicilia3
Silvio Milazzo, dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 formò un secondo governo, dove però non entrò più il MSI. Questo secondo governo ebbe allora un sostegno variegato, dalle sinistre, ai monarchici, ai vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera che già aveva rotto con Confindustria, fino ad esponenti vicini alla mafia.

La Cavera ebbe relazioni anche con l’altro (oltre lo stesso Guarrasi) grande attore del “Caso Mattei”, Graziano Verzotto, e con lo stesso Enrico Mattei.

È stato uno dei promotori insieme a Vito Guarrasi e Graziano Verzotto della Sofis (ente pubblico siciliano nato nel 1957) di cui fu nominato direttore. Il suo nome compare nelle relazioni compiute dalla Commissione parlamentare antimafia negli anni ’70.

Ma i suoi affari in contiguità con la mafia andavano oltre:
Fu amministratore delegato della SIRAP, (società controllata dall’ESPI), coinvolta nell’indagine su Angelo Siino, il gestore degli affari economici di Cosa Nostra

Antonello Montante e Ivan Lo Bello per Domenico La Cavera erano “i ragazzi”.
Montante e Lo Bello (e Catanzaro) son sempre andati d’amore e d’accordo. Sicilia ovest al primo e Sicilia est al secondo.

Presidenza della Camera di Commercio di Caltanissetta al primo, quella di Siracusa al secondo.
Altre grandi Camere di Commercio siciliane (Catania e Messina) – ma anche Enna, ad esempio – sono tenute dal Governo Crocetta in condizione di commissariamento di dubbia legittimità.

Antonello Montante indagato per mafia. Si stenta a crederlo!

Dice il deputato regionale siciliano Leanza4

Lo Bello e Montante? Sono i padroni della Sicilia
Solo ultimamente, secondo alcune voci, si sarebbero creati dissapori tra loro, ma lingue ancor più malevole sostengono che sia tutto “teatro”. In ballo ci sono gli accorpamenti delle Camere di Commercio siciliane e con essi la gestione delle (s)vendite degli aeroporti siciliani.

E adesso ci si ritrova Antonello Montante indagato per mafia.


CASO CANNOVA I 5 STELLE: "CROCETTA CAMPIONE  DI ARRAMPICATA SUGLI SPECCHI"

GIOVEDÌ 26 FEBBRAIO 2015 - 17:31  ARTICOLO LETTO 468 VOLTE

GRILLINI ALL'ATTACCO ANCHE SULLA GESTIONE DEL CICLO DEI RIFIUTI

PALERMO - “Sulla mancata costituzione della Regione nel processo Cannova il governo è stato ridicolo. Il campione mondiale di arrampicata sugli specchi perde colpi. Ora viene smascherato sempre più spesso”.

E' durissimo il commento dei deputati all'Ars del Movimento 5 Stelle alla notizia che la Regione resta fuori dal processo contro il suo dipendente infedele perché non costituitasi per tempo come parte civile, "salvo un tardivo e goffo tentativo di marcia indietro, smascherato ora dai giudici del tribunale”.

“Crocetta – dicono i parlamentari - ha cambiato idea perché travolto dalle inevitabili e doverose polemiche. La costituzione come parte civile andava fatta in automatico senza bisogno di ricorrere ad un parere dell'Avvocatura di Stato, rivelatosi tra l'altro ridicolo”.

Intanto il Movimento ha presentato una lunga interrogazione sulla gestione del ciclo rifiuti per sondare le reali intenzioni del governo Crocetta, più che mai nebulose. “A sentire – le ultime dichiarazioni rese in commissione Ambiente dal dirigente generale del dipartimento Energia, Lo Monaco – dice Valentina Palmeri, prima firmataria dell’atto – sembra che la linea politica sia quella di non puntare sulla differenziata, come prevede la legge, per raggiungere il target del 65 per cento (oggi si è al 7) ma quella di consentire ed agevolare gli INVESTIMENTI privati, ricorrendo all’incenerimento e alla gassificazione”.

“Il ricorso all’incenerimento dei rifiuti – prosegue la Palmeri – rappresenta una strada da escludere perché concluderebbe il processo di distruzione dell’ecosistema del Mediterraneo già in corso con le trivellazioni a mare e sulla terra per le ricerche petrolifere tanto care a Crocetta”.

Con l’atto parlamentare il Movimento chiede notizie anche sulle intenzioni del governo sulla mozione del M5S (prima firmataria Angela Foti) approvata all’unanimità dall’Ars il 25 giugno (che indica precise direttive per la redazione del piano rifiuti in direzione del recupero della materia e non dell’incenerimento) e sulla legge regionale 9 del 2010 che prevede la riduzione, il riuso e il riciclo dei rifiuti. Informazioni sono richieste anche sui 200 milioni di euro assegnati al commissario straordinario per i rifiuti per la Sicilia e sui 90 milioni destinati al compostaggio, i cui bandi di gara sono andati deserti

“Vogliamo sapere infine - conclude la Palmeri – quali sono i soggetti che prenderanno parte al tavolo tecnico recentemente costituito presso l’assessorato regionale dell’Energia per coadiuvare l’assessore alla stesura del nuovo piano rifiuti regionale e chi siederà al tavolo del ministero dell’Ambiente per la Sicilia”. Per Angela Foti la gestione dei rifiuti deve essere fatta in maniera tale da tramutarli in enorme risorsa. “L'opportunità di cambiamento – dice - sta nel decidere se questo affare da 250 milioni di euro deve continuare a finire nelle tasche di pochi tramite le discariche e l'orrore dell'incenerimento o deve divenire ricchezza distribuita attraverso la filiera produttiva del riciclo, che in Sicilia sulle oltre 220 mila tonnellate di rifiuti prodotte ogni anno può esprimere oltre 5000 posti di lavoro reali e grandi risparmi per i Comuni, dovuti al mancato conferimento in discarica”.


I GIUDICI SMENTISCONO CROCETTA LA REGIONE FUORI DAL PROCESSO
Giovedì 26 Febbraio 2015 - 14:49 di Riccardo Lo VersoRiccardo Lo Verso 
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Il caso Cannova. Dopo le polemiche sulla mancata costituzione di parte civile, il governatore, Rosario Crocetta, aveva respinto accuse e polemiche: "Tutta colpa di un difetto di notifica". Oggi viene smentito dal tribunale

PALERMO - La Regione è fuori dal processo Cannova. Definitivamente tagliata fuori dalla possibilità di ottenere un risarcimento danni, almeno in sede penale, da un suo presunto dipendente infedele che avrebbe intascato mazzette in cambio di agevolazioni nel rilascio di autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti. Il Tribunale ha respinto la costituzione di parte civile della Presidenza della Regione nonostante il tentativo, maldestro, del governatore Rosario Crocetta di giustificare un governo, il suo, e una pubblica AMMINISTRAZIONE troppo distratti per accorgersi di essere stati citati come parte offesa nel processo.

Ci costituiamo parte civile. Lo facciamo ora perché c'è stato un difetto di notifica. Confidiamo che il Tribunale ci ammetta alla LUCE di quanto accaduto" disse il 18 febbraio scorso Crocetta cercando di archiviare il caso. Ed invece il Tribunale, presieduto da Vincenzina Massa, ha respinto la sua richiesta al termine di una fulminea camera di consiglio. Troppo evidente la distrazione smascherata dagli avvocati di Cannova, Massimo Motisi e Lorenzo Bonaventura.

Lo schiaffo alla credibilità della Regione siciliana si concretizza nella notifica che un ufficiale giudiziario ha consegnato a Palazzo d'Orleans il 5 novembre scorso. Una notifica che i due legali hanno trovato dove era normale che venisse conservata, nel fascicolo del processo in mano ai pubblici ministeri Daniela Varone e Alessandro Picchi. E stamani l'hanno sventolata sotto il naso del rappresentante dell'Avvocatura dello Stato. È la stessa Avvocatura che motivò la scelta di non costituirsi parte civile, sostenendo che la corruzione "non costituisce allarme sociale", e il danno all'erario era esiguo. Poi, il governatore cercò di correre ai ripari e con un delibera di giunta allontanò il sospetto della distrazione. La notifica - disse - non era arrivata.

Secondo l'accusa, Cannova avrebbe intascato mazzette. Oltre a lui sotto processo ci sono Giuseppe Antonioli, AMMINISTRATORE DELEGATO della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, nel Messinese, Domenico Proto, titolare della discarica, i fratelli Calogero e Nicolò Sodano, proprietari della Soambiente di Agrigento. Il funzionario palermitano, nel corso di un interrogatorio, ammise di avere intascato tangenti per facilitare le pratiche degli imprenditori. Bastava pagare per evitare i controlli nelle discariche e le possibili chiusure. Il prezzo della corruzione sarebbero stati migliaia di euro in contanti - diecimila euro o forse più - televisori ultramoderni e soggiorni in alberghi di lusso. Fatti gravi tanto che, alla scorsa udienza, il Tribunale respinse la proposta di Cannova di patteggiare quattro anni di carcere.

Una gravità che Crocetta non perse tempo a sottolineare durante una conferenza stampa,subito dopo il blitz: "Il caso Cannova? Potrebbe essere solo l'inizio. Stiamo vagliando l'ipotesi della confisca o dell'esproprio per pubblica utilità delle discariche private". Ed ancora: “Da quando c'è questa AMMINISTRAZIONE non ci sono più coperchi. Forse, quando siamo intervenuti con le rotazioni, dovevamo essere più incisivi ancora. La frequenza di queste inchieste mi fanno pensare: altro che tangentopoli... . Dopo la Formazione, il Ciapi, i Beni culturali, la sanità...". Sono tutti temi caldissimi, diventati materia dei dossier consegnati in questi mesi da Crocetta in Procura per denunciare il malaffare che si annida nella pubblica amministrazione regionale. Un via vai negli uffici giudiziari, quello del governatore.


C'è un tempo per le conferenze stampa e gli annunci. E c'è un tempo in cui alle parole possono seguire i fatti. Così avevamo scritto quando per primi rilevammo la pesante assenza della Regione al processo. Oggi Crocetta ha perso un'occasione per concretizzare, con un piccolo grande gesto, la sua smania di legalità.




CANNOVA,ZUCCARELLO,TOLOMEO,SANSONE,ANTONIOLI,AUDI,GULLO,CROCETTA,PROTO,SODANO,SOAMBIENTE,OIKOS,MARINO, MASSIMO MOTISI, LORENZO BONAVENTURA,MASSA,MAZZARA SANT’ANDREA, DANIELA VARONE, ALESSANDRO PICCHI.


A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE


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