RIFIUTI, IN
SICILIA UN DISORDINE ORGANIZZATO
di Nino Amadore 28
marzo 2015
Nel settore dei rifiuti
solidi urbani in Sicilia
c’è un disordine organizzato
con un «sistema ordinario della raccolta che
non va da anni, c’è
una situazione di emergenza non dichiarata e, dagli elementi raccolti dal 2010
a oggi non ci sono stati cambiamenti». È la conclusione cui sono arrivati i
componenti della commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo illecito dei
rifiuti guidata da Alessandro Bratti, al termine della quattro giorni di viste
e audizioni tra le province di Trapani
e Palermo. È
stata una seconda puntata di un lungo giro di visite programmate che continuerà
nei prossimi mesi con la provincia di Messina e con le aree di Siracusa
e Gela dove i parlamentari cercheranno di approfondire lo stato di avanzamento
e le criticità
nel settore delle bonifiche. Insomma un lavoro che punta ad andare in
profondità e che si dovrebbe concludere poco prima delle ferie estive con una
relazione dedicata alla situazione della Sicilia. Almeno queste le intenzioni
annunciate dal presidente della commissione. Per il momento il giudizio sul
sistema dei rifiuti siciliano è pessimo: l’isola di fatto è in di Nino Amadore
Per il momento il giudizio
sul sistema dei rifiuti siciliano è pessimo: l’isola di fatto è in emergenza e
i commissari hanno registrato un sostanziale immobilismo da parte della Regione
siciliana che negli ultimi anni è intervenuta più volte con riforme normative
che non hanno portato alcun risultato. Gli stessi commissari hanno dovuto
constatare come a fronte della liquidazione degli Ato (gli
Ambiti territoriali ottimali oggi in liquidazione e indebitati per circa
cinquecento milioni) non siano affatto decollate le cosiddette Srr (previsti
nella legge regionale del 2009) e che a tutt’oggi gli Aro
( Aree di raccolta ottimale previste in una nuova legge approvata nel 2013) non
sono stati costituiti con quella celerità che il legislatore si aspettava. I
tentativi di dotare la Sicilia di un nuovo piano rifiuti sono andati a vuoto:
il piano varato dall’allora governatore Raffaele Lombardo che era anche
commissario delegato per l’emergenza, ha ricevuto un primo via libera dal
ministero per l’Ambiente ma ha ricevuto la Via-Vas solo a dicembre 2014 con un
a cinquantina di prescrizioni e ora i parlamentari della commissione hanno
certificato che quel piano è scaduto nel 2014 e che il nuovo assessore Vania
Contraffatto «sta lavorando alla stesura di un nuovo piano di emergenza» ha
spiegato Bratti. Di
fatto però il piano Lombardo
non è mai entrato in vigore anche se sulla base delle sue previsioni, spiega il
docente universitario Aurelio Angelini,
sono state fatte gare d’appalto e sono stati realizzati impianti. Con
la sapiente regia di Marco Lupo,
allora direttore generale dell’assessorato e per un periodo delegato dal
presidente Crocetta a gestire l’emergenza.
Resta il fatto che un
piano di gestione (ordinaria) del sistema della raccolta e smaltimento dei
rifiuti solidi urbani in Sicilia
è urgente anche per poter spendere i fondi della programmazione 2014-2020
destinati al settore visto che si tratta di una condizionalità ex ante
richiesta dalla Commissione europea. La Sicilia è l’unica regione italiana
a non averlo.
Un piano che, se fatto a regola d’arte, potrebbe aiutare a colmare quelle
lacune che i parlamentari hanno riscontrato: «Permane l’utilizzo delle
discariche come unico sistema mentre la raccolta differenziata non raggiunge il
10 per cento. Senza
tralasciare la situazione debitoria degli Ato che perdura nonostante la presenza
di commissari liquidatori e continua a gravare sulle spalle dei cittadini che,
a loro volta, non pagano, alimentando un loop che prosegue da anni. In Sicilia
la mala gestione del ciclo dei
rifiuti ha delle connotazioni particolari: la Campania ha attraversato momenti
di grande crisi ma oggi si muove sul 40% di raccolta differenziata, la stessa
cosa non si può dire della Sicilia».
Qual è dunque la
situazione oggi? Secondo alcuni, in assenza di altri piani di emergenza sono
rimasti in vigore il Pier
(Piano degli interventi per l’emergenza rifiuti) varato nel 2000 elaborato da
una commissione a suo tempo guidata da Angelini e il piano di gestione varato
nel 2002 dall’allora presidente Salvatore Cuffaro, commissario delegato per l’emergenza
rifiuti. Quest’ultimo
prevedeva la costruzione di quattro termovalorizzatori e siccome resta
vigente,a determinate condizioni, quegli impianti potrebbero essere persino
costruiti: «Dimensionandoli per il 35% dei rifiuti prodotti, considerato che il
resto deve essere destinato a raccolta differenziata - spiega Angelini -
potrebbe essere rifatto il bando. Lo dico ribadendo che sono contrario a questo
sistema». Ipotesi campata in aria? Il presidente della commissione ha spiegato
che «nessuno ha paventato il ritorno dei termovalorizzatori nell’isola» ma in
passato, considerando inopinatamente vigente il piano Lombardo,
c’è chi si era spinto a ipotizzare la costruzione di impianti per bruciare il
cosiddetto css (combustibbile solido secondario ricavato dalla frazione secca dei
rifiuti). La costruzione di termovalorizzatori rappresenterebbe una bella
opportunità di business per i player del settore (uscita di scena la Falck che
doveva costruirli ai tempi di Cuffaro
si registra negli ultimi tempi un movimento che fa pensare a nuovi
interessamenti).
L’affare di certo c’è: secondo i tecnici del settore un impianto da 65 Mw
potrebbe portare nelle casse di chi lo costruisce 130 milioni l’anno grazie
alle convenzioni con il Gse che dà le somme a titolo di incentivo. «In linea
teorica - spiega ancora Angelini - grazie al sistema degli Aro
ognuna di queste Aree ottimali potrebbe costruirsi il proprio piccolo impianto
per bruciare rifiuti».
Intanto, per rimanere
all’oggi, si registra un fallimento su tutti i fronti cui la dichiarazione
dello stato di emergenza e dunque la nomina di un commissario da parte del
governo centrale non sarebbe la giusta risposta. Almeno secondo lo stesso Bratti che
ieri, nell’incontro con i giornalisti nei locali della Prefettura di Palermo, è
stato chiaro: «La gestione dell’emergenza con commissariamenti non ha mai
risolto un problema. Questo
ci dice la nostra esperienza - ha detto il presidente della commissione -. La
Sicilia, la Campania e la Calabria hanno speso molti soldi con commissariamenti
senza risolvere tutto. Un conto è il commissariamento su questioni specifiche,
come un singolo impianto, un conto è commissariare l’intera gestione
regionale». Una risposta chiara a chi come il presidente della regione Crocetta
e prima ancora l’ex assessore Nicolò Marino avevano fatto della richiesta
di commissariamento e di emergenza (che prevede deroghe importanti anche nelle
gare d’appalto con affidamenti diretti che lo stesso presidente dell’Anticorruzione
Raffaele Cantone ha bocciato più volte) un punto qualificante della loro
azione.
In questo quadro
disarmante sul piano della sostenibilità ambientale i parlamentari hanno anche
riscontrato ancora una forte presenza della criminalità organizzata e non. E
soprattutto una grave questione morale che investe le procedure autorizzative:
«Le infiltrazioni della criminalità ci sono e si manifestano, per esempio nel
sistema della raccolta, con l’imposizione di operai e la presenza in funzioni
non apicali di soggetti legati alla criminalità organizzata». Ma c’è anche un
problema di controllo delle imprese aggiudicatarie di lavori e in particolare,
ha sottolineato la senatrice dei Cinque Stelle Paola Nugnes, le white
list: «Un sistema che per quanto riguarda questo settore non funziona: in una
situazione di emergenza le prefetture non hanno il tempo di fare i controlli
necessari e dunque capita che si scopra la presenza di un’impresa mafiosa
quando i lavori sono stati appaltati se non addirittura realizzati». Storture
cui la Confindustria siciliana ha provato a porre rimedio: è del 2 aprile 2013
la lettera inviata dal vicepresidente Giuseppe Catanzaro all’allora assessore
Nicolò Marino in cui si propone di snellire il sistema dei controlli in
collaborazione con le prefetture. Una lettera che non ha mai ricevuto
risposta.
CORRUZIONE E RIFIUTI,
RIPARTE IL PROCESSO TERRA MIA
SOLDI E VIAGGI IN CAMBIO DEL VIA ALLE DISCARICHE
SOLDI E VIAGGI IN CAMBIO DEL VIA ALLE DISCARICHE
CRONACA – Riprende oggi a PALERMO il procedimento nei
confronti dell'EX funzionario
regionale Gianfranco Cannova e dei proprietari degli impianti nel Catanese, in
provincia di Messina e ad Agrigento. In cambio di soggiorni in HOTEL, auto e party con prostitute l'ex
dirigente avrebbe agevolato gli imprenditori AMICI
Richieste di favori e CORSIE preferenziali
negli iter autorizzativi. In cambio di pagamenti in contanti, viaggi
e auto. Tutti episodi legati da un filo rosso: il denaro sarebbe
arrivato dai gestori di tre discariche private siciliane. È il quadro
delineato dalla procura di Palermo, che - in
collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia di Agrigento - lo scorso
luglio ha portato all'inchiestaTerra mia. Il processo, celebrato
davanti la terza sezione del tribunale palermitano, riparte oggi con un fitto CALENDARIO di
udienze. Ma senza la costituzione di parte civile della Regione siciliana.
Sono cinque gli imputati,
tutti accusati di corruzione.
Gianfranco Cannova, architetto, ex funzionario dell'ufficio dell'assessorato
regionale al Territorio e ambiente. Il suo ruolo era il rilascio e il rinnovo
delle Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per gli impianti di smaltimento
dei rifiuti. Coinvolti insieme a lui Domenico Proto (titolare
della Oikos spa, società proprietaria del mega-impianto di contrada
Tiritì-Valanghe d'inverno a Motta Sant'Anastasia, nel Catanese), i fratelli Calogero e Nicolò Sodano (responsabili
della Soambiente di Agrigento), e Giuseppe
Antonioli (amministratore
della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, in provincia di Messina).
L'inchiesta è partita nel 2011 e la procura ha avviato un
complesso sistema diintercettazioni ambientali, telefoniche e di
sms. Il RUOLO centrale
è quello rivestito da Cannova, accusato di fare da mediatore nei rapporti tra la macchina
regionale e gli imprenditori
legati al SETTORE dei rifiuti. Ma il suo compito si
sarebbe esteso a quello di sentinella, avvisando i
responsabili degli impianti in OCCASIONE dei
controlli delle autorità, e di consigliere per eventuali procedure da
seguire o ricorsi da presentare. Una consulenza che sarebbe stata elargita in
cambio di mazzette, viaggi, soggiorni in ALBERGHI di
lusso, impianti stereo e un'automobile.
Il legame più stretto sembrerebbe quello stabilito da
Cannova con Mimmo Proto, presidente della catanese Oikos. Una
confidenza tale da far chiamare rispettivamente i due «Mimmuzzo» e «Amore
mio». Secondo la ricostruzione dell'accusa, i favori dell'ex funzionario
avrebbero permesso l'allargamento della discarica ormai esaurita di contrada
Tirtì nella
contigua contrada Valanghe d'inverno.
In alcune occasioni, Gianfranco Cannova avrebbe anche consigliato a Domenico
Proto come agire, sia in occasione dei controlli dell'Arpa che nella GESTIONE dei
cosiddetti fermo impianto.
Situazioni nelle quali la procedura prevederebbe l'allerta delle autorità
competenti e il blocco dello stoccaggio dei rifiuti, ma che non sarebbe stata
messa in atto producendo - nelle due occasioni registrate dai magistrati -
utili stimati in OLTRE 700mila euro.
In cambio dei suoi servigi, il funzionario avrebbe ricevuto
mazzette in contanti. «Se ne fotte lui dei soldi», sbotta Cannova
riferendosi al proprietario della Oikos. Molti gli scambi di denaro
finiti NELLEintercettazioni: «Gianfranco,
dico, ci sono cinquemila euro qua, te li stoammucciando qua dentro», afferma Mimmo
Proto ignaro delle cimici. In un'occasione sarebbe stato organizzato un festino con delle prostitute a Roma;
inoltre risulterebbe un PAGAMENTO per
l'acquisto di un impianto stereo o un televisore da 16mila euro. «Se io lavoro mi dà...
mi dà soldi pe... non regala nessuno niente. Se tu li meriti perché sei bravo e
lavori, te li danno», spiega Cannova al figlio. E poi ci
sarebbero una ventina di soggiorni all'HOTEL
BAIA VERDE di Aci Castello, vacanze
delle quali molte volte l'architetto avrebbe usufruito con l'intera
famiglia. Gli importi - per un ammontare di oltre 31mila
euro - sarebbero
stati pagati dalla Oikos, ma in due OCCASIONI anche da Salvatore Chicco Sudano - avvocato dei Proto,
non indagato -, figlio dell'ex senatore Mimmo Sudano e fratello di Valeria, deputata regionale in quota ad
Articolo 4, oggi Partito democratico.
La confidenza tra Proto e Cannova sarebbe stata tale da spingere
il dipendente regionale a consigliare di aumentare i costi del conferimento
in discarica, suggerendo di addurre come causa il COSTO maggiore
del carburante. Ma anche ostacolare la potenziale concorrenza,
come quella creata da un nuovo impianto nel territorio di Ramacca. Un iter che
sarebbe stato stoppato da Cannova in persona con un provvedimento Aia
negativo.
Meno amichevole sembrerebbe il rapporto tra Gianfranco Cannova e
i fratelli Nicolò (detto Giovanni) e Calogero Sudano. I due sono rappresentanti
dellaSicedil srl e
della Soambiente srl, società con interessi nell'ambito DELLOsmaltimento dei rifiuti
nell'Agrigentino e non solo. I fratelli, infatti, avrebbero chiesto
l'intercessione del funzionario per le autorizzazioni degli impianti diPachino e Noto (in provincia di Siracusa) e di Sciacca e Siculiana,
ad Agrigento. Sul fronte di Pachino sarebbero state numerose le pressioni
- giunte perfino dall'EX governatore Raffaele Lombardo - per impedire la creazione di
un nuovo impianto, facendo registrate i malumori dei due imprenditori.
Nonostante tutto, i fratelli avrebbero pagato mazzette per almeno centomila
euro e un
cesto con PRODOTTI natalizi, oltre alla promessa di
una villetta nei
dintorni della Scala dei Turchi.
Una macchina, un'Audi,
acquistata da una concessionaria della provincia di Novara sarebbe stato uno
dei doni ricevuti da Cannova da parte di Giuseppe Antonioli. L'imprenditore è
amministratore delegato della novarese Osmon spa, società
titolare di un impianto per la produzione di biogas all'interno della discarica
di Mazzarrà Sant'Andrea in provincia di Messina. La struttura, gestita dalla Tirreno Ambiente per mezzo di Antonioli, è oggi chiusa dalla magistraturae
sull'iter seguito da Cannova pendono due sentenze del Tar che hanno
annullato le due Aia rilasciate dall'architetto. Anche in questo caso non
sarebbe mancato il passaggio di denaro contante e le promesse: l'ex dipendente
regionale avrebbe avanzato l'ipotesi di una PARTECIPAZIONE della
Tirreno ambiente ad altre gare per impianti nel resto della regione.
Il quadro a carico degli imputati, soprattutto nei confronti di
Cannova, ha spinto il tribunale a non accettare la RICHIESTA di patteggiamento proposta dai legali dell'ormai ex
funzionario a quattro anni di carcere. Secondo fonti giudiziarie,
l'intenzione è di concludere il procedimento con la massima velocità,
probabilmente entro l'anno.
Ma nonostante la gravità delle accuse, l'avvocatura dello Stato
ha consigliato allaRegione di non
costituirsi parte civile, contro la ferma intenzione di
procedere espressa dal governatore Rosario Crocetta. Le mazzette «non
sono un fattore di particolare allarme sociale» è il parere espresso. In un
primo MOMENTOCrocetta aveva provato ad addurre
come scusa per la mancata costituzione a un difetto di notifica. A costituirsi, invece, è stata
l'amministrazione di Motta, per tutelare «gli interessi e
l'immagine del Comune». Il vicino centro di Misterbianco, invece, non è
rientrato per problemi nella ricezione delle notifiche e non aver
rispettato i tempi stabiliti.
CANNOVA GIANFRANCO ASCESA
E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la
dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici
antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi
"comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla
mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo
dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La
magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse
Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di
‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta
su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta
dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa
nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma
il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola,
stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio,
esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del
Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della
‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico
tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa
riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di
Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra
tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso
dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna
a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore,
Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado
sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo
grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si
sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto
politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante.
Proviamo a illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale
sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il
presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui,
neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è
costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un
funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni,
potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova,
era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti
autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di
autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un
funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato
lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in
questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da
parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato
di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di
proteggere non costituendosi parte civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta
succedendo è veramente strano.
In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio
che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della
cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si
dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari.
La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra
il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo
Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo
politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale
dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque,
come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che
il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole
sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non
sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni
confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla
politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non
avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si
occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che
chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti
nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire
aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si
capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una
politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro
che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati
la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra
mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma,
puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro
eventuali prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti
in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati
alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non
coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del
nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del
‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo
potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi
dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo
contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito
questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto
ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende
confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai
commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma
questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile
Agenzia controllata dalla politica!
Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si
respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più
profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da
qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi
scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e
rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss
Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire
messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di
cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia
molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il
politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i
personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del
proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la
magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o
meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la
magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar,
sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte
dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi
e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo
ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare -
arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la
Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on
line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della
presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione
siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere
assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata
correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio
Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito
presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che
forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per
matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio
pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti.
Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della
Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta
insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione
politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi
giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza
della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al
pagamento di oltre un milione di euro (€
1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione
professionale. ( Sent. n. 401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia -
la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello
- è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un
atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di
accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato
dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore
regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia
potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto
nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico
dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia
svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto
finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale
governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi
su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati
irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato
a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione
di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente.
Ma c’è, nella gestione della formazione professionale
siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più
grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione,
sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali.
La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli
totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso
una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana
contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo
regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto
con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe
fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando
leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto
quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il
‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia
riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si
è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani.
Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la
Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest,
che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’
queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza,
potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia
questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti
il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è
perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso
Pd di Renzi dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di
Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a
caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro
esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo
della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di
Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive
e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione
dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta
l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e
Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare -
gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato,
gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo
come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di
Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani,
per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il
restante 49 per cento a un gruppo di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che
presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente
dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E
le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle
società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale
per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione,
cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare
per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna
utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli
affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due
di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande
discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto
scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la
gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia
tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non
sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui
organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in
quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano,
scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E
invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia
sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di
fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno
alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro
l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco
Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i
proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione
europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la
politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come
insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega
perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a
bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse
dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante,
Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari,
dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia,
dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro
non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una
parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando
in Sicilia nuovi scenari.
MONTANTE, CONFINDUSTRIA E
LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE
17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale
pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti,
consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate
addosso alla nostra categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la
verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono
di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che
si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più
mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte
di classe dirigente marcia che governa questo Paese.
Non ho mai creduto alle verità come
appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio
Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte
da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile
non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della
stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello
Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o
verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di
scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di
Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare
cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di
sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così
come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come
l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20
anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che
corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di
Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc)
mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà
alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso
mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le
indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a
disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola
girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono,
scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle
dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me
difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e
sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente
articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola:
delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della
provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente
secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla
di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca
l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero
Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola
(rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma,
«quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto
vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo
l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta
(proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria,
nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e
fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita,
proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili
dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a
profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal
colletto bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho
dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a
quella potenziale fonte che è Internet – che in questi anni, ogni qual
volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e
imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale
amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro
a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà
mafiosa (il primo
nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti),
c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere
in questi giorni. Pare: come vedete dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi
per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso
condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti
raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel
momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura
sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si
saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa
nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a
protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno
utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la
scia lunghissima e distillata della delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e
delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore
dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria
Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro –
si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre
che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis – si ripropose
con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di
Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che
gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista
al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree
industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A Palermo ci
furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il
quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le
chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una
frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella
nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto
a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro
dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi
sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito
per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della
Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente
e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di
Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e
camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale».
Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su
questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti)
sia la culla
della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado
di uccidere, perché
colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver
usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel
proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte.
Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia
e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei
soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente
della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore
Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare:
«…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli
attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso
aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito
mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo
contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una
strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale
linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a
Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero,
ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello,
braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o
fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi
prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia
rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare
un popolo.
ANTONELLO
MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI
E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI
13
FEBBRAIO 2015
Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di
Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello
Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino
a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e
Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto
di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il
lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei
pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando
ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero
tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è
specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che
non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti
non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che
fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e
informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in
faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog,
un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della
magistratura.
1) Complimenti vivissimi alle menti
raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie
sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti
di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza
scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla
Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione
(avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno
liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece
rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a
orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una
bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente
rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un
filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e
antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali
blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state
studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di
voci e sussurri su Montante.
2) Un risultato immediato, le menti
raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo
durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei
fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito
in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie
continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa
Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi
anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la
mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma,
soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è
sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e
Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3) Ricordo che Francesco
Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando
Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da
immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione
televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella
prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70,
firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel
1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio),
celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti
salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si
mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva
mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di
giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero
nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un
elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è
diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti
gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e
nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività
amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel
presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io
personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei
valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità,
rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di
passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi
si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono
anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la
battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima
proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e
il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura
opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi
nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta.
Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio
la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti
sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i
commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you
remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per
renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di
rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle
frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le
zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e
nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di
legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il
sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il
lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di
Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei
processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei
centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo
industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare
le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo
testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da
incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà
poi suicida in carcere nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo
testimone.
4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando
per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da
riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1,
5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo
nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’
perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque
è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi
troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a
Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre
si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo
della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti
i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno
dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale,
quando non sono d’accordo). Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente,
riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe
tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di
Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche
(e sottolineo anche) in Commissione parlamentare
antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente
nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci
troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio
portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di
sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di
presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha
riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap,
è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento
della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti
soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della
Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione
antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale,
tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e
sistema mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo
che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i
presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati
per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio
Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano
oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne
dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra,
tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio
industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza,
chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia,
ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era
così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere
l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la
commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non
finiva lì.
Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente
appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del
consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e
una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma
lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in
una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei
consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione
dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un
totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il
problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha
fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente
non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e
800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.
Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree
industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre
un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione
solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio
esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i
luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si
incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì
ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.
Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il
terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a
Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della
Sicilia.
L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica,
di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di
esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o
questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte
fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo.
Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato
tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono
le cose più grosse, poi ce sono si minori.
È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e
anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è
spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi
quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi
chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo
un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non
gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi
si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per
cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o
la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci
siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge,
ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse
aspettare» (Montante).
5) Il 24 gennaio 2015 il presidente
della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura
di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal
carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il
periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce,
insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici
e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo
dell’antimafia e della lotta all’illegalità.
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale
cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a
favore della scelta di una maggiore visibilità anche mediatica
dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora
è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di
un’imprenditoria libera e illuminata.
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati
interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e
nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del
discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a
tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a
riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni
eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei
quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente
dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore
generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni,
minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici»
in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani
oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle
presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda
me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria,
il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del
Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di nuovi
attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti
raffinatissime hanno sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte
sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima
e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non
denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore
nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda,
al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a
chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non
possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della
mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a
cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al
racket».
7) Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17
settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito
istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che
si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto
drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio
della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso
una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti –
dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio
Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti
malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le
organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog,
social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi
l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di
delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad
arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8) Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari,
vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe
indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che
ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo
possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese
dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine
pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di
coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha
fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche
settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli
avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache
locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un
annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti
raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno – si.
Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome
dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere
prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno
rafforzati.
A CURA DEL COMITATO CITTADINO
ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
CANNOVA GIANFRANCO ASCESA
E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la
dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici
antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi
"comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti
d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei,
privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo
in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse
Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di
‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta
su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta
dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa
nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma
il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno
cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio,
esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del
Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della
‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico
tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa
riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di
Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra
tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso
dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna
a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore,
Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado
sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo
grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si
sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto
politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante.
Proviamo a illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale
sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il
presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui,
neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è
costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un
funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni,
potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova,
era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti
autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di
autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un
funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato
lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in
questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da
parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato
di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di
proteggere non costituendosi parte civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta
succedendo è veramente strano.
In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio
che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della
cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si
dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari.
La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra
il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo
Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo
politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale
dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque,
come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che
il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole
sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non
sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni
confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla
politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non
avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si
occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che
chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti
nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire
aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si
capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una
politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro
che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati
la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra
mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma,
puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali
prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti
in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati
alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non
coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del
nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del
‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo
potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi
dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo
contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito
questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto
ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende
confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai
commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma
questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile
Agenzia controllata dalla politica!
Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si
respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi.
Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque
controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive
ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e
rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss
Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire
messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di
cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia
molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il
politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i
personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del
proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la
magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o
meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura
nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta
per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti
stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’
con un solo linguaggio: quello della legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo
ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare -
arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la
Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on
line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della
presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione
siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere
assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata
correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio
Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito
presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che
forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per
matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio
pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti.
Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della
Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta
insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione
politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi
giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza
della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al
pagamento di oltre un milione di euro (€
1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione
professionale. ( Sent. n. 401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia -
la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello
- è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un
atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di
accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato
dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore
regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia
potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto
nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico
dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia
svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto
finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale
governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi
su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati
irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato
a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione
di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente.
Ma c’è, nella gestione della formazione professionale
siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più
grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione,
sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali.
La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli
totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso
una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana
contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo
regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto
con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe
fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando
leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto
quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il
‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia
riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si
è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani.
Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la
Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest,
che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’
queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza,
potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia
questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti
il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è
perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso
Pd di Renzi dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di
Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a
caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro
esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo
della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di
Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive
e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione
dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta
l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e
Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare -
gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato,
gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo
come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di
Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani,
per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il
restante 49 per cento a un gruppo di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che
presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente
dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E
le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle
società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale
per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione,
cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare
per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna
utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli
affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due
di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande
discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto
scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la
gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia
tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non
sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui
organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in
quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano,
scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E
invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia
sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di
fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno
alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro
l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco
Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i
proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione
europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la
politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come
insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega
perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a
bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse
dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante,
Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari,
dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia,
dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro
non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una
parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando
in Sicilia nuovi scenari.
BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA DECRETO-ACCREDITAMENTI
ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 -
17:27 di Accursio
Sabella
I giudici amministrativi hanno
accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto
dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti
pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal
governatore.
PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta.
Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I
giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e
associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina
gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei
confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso
di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un
provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del
buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto,
l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e
sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco:
quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo
Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone
clamoroso.
Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva
avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe
Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che,
come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale
del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti
per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione
dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.
In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le
altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso
"liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e
più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni,
infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità,
introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed
astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti
l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo
status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e
proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e
propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere
deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto
Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di
proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel
caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta
adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente
lo stesso decreto risulta illegittimo”.
I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni
che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé.
"L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato
annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta
da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente
della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga".
L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti
(tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli
avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.
Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul
soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici
entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od
anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé
indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore
della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge
nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla
selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame
individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle
passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche
inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa:
“Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul
terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente
ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto
di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di
cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo
rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in
relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a
quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno
della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato
garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza
sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici.
Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e
clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.
L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI
MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
10 OTTOBRE 2014
FORMAZIONE
E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei
dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio
della procura della repubblica di palermo
Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei
tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day
dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai
magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti
gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i
tirocini formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del
Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno
focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa
Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia
documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta
di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e
Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione
regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di
Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i
problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo
scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende
decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli
affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le
adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e
che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A
tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato
oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è
destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo
di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a
500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso
di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a
tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora
assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo
per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione
professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da
parte dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività
amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il
click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire
l'accesso ai giovani.
Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte'
assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi
al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono
riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in
redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa
Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di
assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse
specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie
e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici
che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da
magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima
stima e fiducia farà il proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me
richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al
giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna
della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti
per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti
la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice
l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e
non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti
che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di
verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei
dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure
amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi
rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta
attenzione".
L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
24 SETTEMBRE 2013
POLITICA –
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di
giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio?
il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da
beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in
sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei
"professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso
della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di
palermo.
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani?
Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi,
prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso. A
generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a
Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo
Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di
Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in
corso al San Paolo Palace di Palermo.
Il Senatore, con la
sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo:
Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il
mondo come volontà e rappresentazione". Di che si
tratta? Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli
esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il filosofo
tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E, in
effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente, percepisce
solo lui:
"Questo e' un partito che si
isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente
per la prima volta davvero in grado di rompere col passato. I
cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente
nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande
risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il
documento del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone
l'abbandono della Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di
quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto ci
risulta, si parla di un Governo che si era presentato
come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro affaristi,
peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli apparati
ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro che
popolo Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio
partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove
spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo
ma che tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno
schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di
Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il 21 Settembre scorso,
ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860.
Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni
nell'Universo, e che magari, si è fermato anche al San
Paolo Palace hotel. Ma solo per pochi secondi.
12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che
domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a
Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona
industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella
giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad
accettare l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha
differenze di vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro
di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i
prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi
obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie
al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di
un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola,
di Marco Benanti
PENTITI
CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA: MONTANTE INDAGATO PER MAFIA
A suo
carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della
procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario
di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette
fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di
Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del
ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni
confiscati
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli
imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa
Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di
Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello
Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo
l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe
sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta
top secret quella su Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come
componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà
immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio
Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore
Dario Di Francesco, mafioso di
Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla Squadra
Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona e
in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al
2004. Di Francesco è stato definito ‘’il collettore tra
esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della provincia’’. Il pentito è
“compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone
(il padre di quest’ultimo, Paolino
Arnone era un boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere
nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è stato compare di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I
Siciliani Giovani: in rete venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di
Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma
anche il certificato di nozze di un giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai
quattro testimoni. Due erano proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono
confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del
pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue
frequentazioni con Arnone, altro non erano che legami dovuti alla comune
origine paesana legata a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che
parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con
una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello
Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con
sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche
in Confindustria: nel 2008, insieme al suo
predecessore Ivan Lo Bello, è stato tra gli artefici del
codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un “nuovo
corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola,
dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali
emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati vicini ai clan:
primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via definitiva a nove anni
per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è
limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio
Lari, interpellato sull’inchiesta per
mafia a carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello
Montante. L’industriale sotto indagine è considerato vicino a molti
magistrati delle procure siciliane che in questi ultimi anni hanno creduto alla
‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario
Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un
notevole scalpore negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che
alcuni pentiti parlano delle sue ‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La
Repubblica, i casi sono due:
o qualcuno ha voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia
che vuole cambiare, oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.
NICOLÒ
MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”
Praticamente Montante, siccome avevo
scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende
posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello
sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con
Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E
Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè l’ha nominata assessore? “Sono convinto
che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando
era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse
controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014
Dopo sette mesi dal suo
siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i
vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe
Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice
presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore
del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero
“firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle
autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle
piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella
di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di
Confindustria Sicilia”.
Detto e sottoscritto
da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega
ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14
aprile scorso.
Oggi Marino rompe un
lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo
scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre
discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti
pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle
Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la
criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato
l’immondizia della Campania”.
È un fiume in piena l’ex
magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha
cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio
mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di
Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni
scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche
questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al
mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e
della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire spazzatura”
stanno venendo al pettine.
“La verità –
dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del
ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene
comune”.
A difendere l’ex assessore
scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino
Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di
Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore
Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.
“Va ricordato al presidente
Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni
rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a
favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”.
E poi: “Catanzaro è il primo
imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta.
Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza
rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di
vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione
ambiente del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in
legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in
quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata
la breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è
che Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito
nella gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza
rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un
attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con
dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”.
Perché Crocetta difende Catanzaro
e attacca Marino?
“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.
Perché, dottor Marino, lei accusa
anche il presidente di Confindustria?
“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo
vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non
posso’.
‘Allora
veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel
Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi
di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando
Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato,
nonché appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul
mio conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente fuori
di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su di
te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni di
questo tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti
di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione
contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto.
Alla fine si calmano le acque,
l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una
cosa del genere”.
E Crocetta?
“Cambiò discorso”.
Cosa avvenne a seguito della sua
inchiesta?
“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.
Qual è il ruolo del senatore
Lumia?
“Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”.
Perché Crocetta la nomina
assessore?
“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”.
Un’operazione di facciata?
“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.
12 novembre 2014
RIFIUTI,
MONTANTE E LO BELLO QUERELANO NICOLÒ MARINO
Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione
industriale “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dottor Marino,
in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La
Sicilia
di Luciano Mirone
È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex
assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò
Marino. Il vicepresidente nazionale e il
presidente regionale dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan
Lo Bello e Antonello Montante,
“hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse
sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia, “rinvenendosi nelle stesse
contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che riferimenti a fatti e
circostanze fantasiosamente ricostruite e completamente destituite di ogni
fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria
Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa nei due quotidiani,
in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia accusava
soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe
Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una
serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di
metri cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino,
sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la
realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista
tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario
Crocetta, “protettore di Catanzaro”,
ma anche il senatore del Pd Beppe
Lumia (“ha sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di
Confindustria Lo Bello e Montante,
sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di
Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente
della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra fredda” fra lui e il
presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex magistrato da uno
degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere l’operato
dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino
Di Guardo, e di Furnari, Mario
Foti, che da anni lottano per la chiusura
delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta
ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria
azione di rinnovamento e di trasparenza”.
La replica dei vertici di Confindustria Lo
Bello e Montante non si è fatta attendere. Silenzio, Sul caso è intervenuto
anche il senatore Lumia:
“È singolare che l’ex assessore all’Energia e ai Rifiuti della Regione
Siciliana Nicolò Marino dedicava e continua a dedicare gran parte del suo tempo
ad attaccare pubblicamente quegli imprenditori del settore che hanno denunciato
Cosa nostra. Contro la mafia dei rifiuti, invece, Marino non ha mai detto
nulla. Nessuna valutazione, nessun giudizio”, ha dichiarato Lumia. “Per quanto mi riguarda – aggiunge – mi sono sempre
schierato dalla parte di quegli imprenditori che rischiano la vita e che con
Confindustria Sicilia hanno fatto una scelta storica e senza precedenti contro
Cosa nostra. Con questa Confindustria si dialoga e ci si confronta, con la
mafia dei rifiuti no, anzi la si aggredisce”. “Col presidente Crocetta – spiega
– non siamo mai entrati nel merito delle scelte amministrative e di gestione
dei rifiuti fatte da Marino, ma non potevamo stare zitti e fermi di fronte a
questo suo modo scellerato di attaccare l’impresa sana. Semmai sono note le
nostre opinioni a favore delle discariche pubbliche e contro il proliferare di
quelle private”. “Quindi – conclude Lumia – Marino dovrà dar conto delle sue affermazioni, non solo
sul piano giudiziario ma anche dell’etica pubblica”.
MONTANTE INDAGATO PER MAFIA. E IVAN LO BELLO RESTA
SOLO?
La notizia è “il Presidente di Confindustria Sicilia
Antonello Montante indagato per mafia”. Sarà la magistratura a stabilire la
verità, ma è tutto come un “deja vu”.
Su “L’Ora Quotidiano” del 9 Febbraio 2015: “Pentiti contro leader di Confindustria: Montante indagato per
mafia“.
Una notizia bomba. Antonello Montante, infatti, oltre ad
essere il Presidente di Confindustria Sicilia, è:
Delegato nazionale di Confindustria per i problemi della
legalità;
Componente dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla
mafia (su designazione del Ministero dell’Interno);
Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta;
Presidente di Unioncamere Sicilia
È del novembre 2014 l’altra accusa. Quella che il magistrato Nicolò Marino mosse ai vertici di Confindustria
siciliana. La questione era legata alla gestione dei rifiuti e il dito era
puntato sul vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, ma
non solo.
Marino ha indicando ciò che a suo parere
costituisce un sistema di potere e di collusioni formato
da Montante, Lo Bello, Lumia (senatore PD. Poteva mancare il PD?),
Catanzaro e lo stesso Presidente della Regione Siciliana Crocetta.
Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come
sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione
siciliana.
Montante e Lo Bello hanno prontamente querelato
Nicolò Marino che, però, pare non essersi affatto intimidito.
Anzi, ha rincarato la dose.
Questa Amministrazione – scrive Marino – è ben a conoscenza
che nel lontano 1995 la Catanzaro Costruzioni s.r.l. ebbe ad
aggiudicarsi il servizio per la gestione della discarica di Siculiana in ATI
con la FORNI ed Impianti industriali Ing. De Bartolomeis S.p.a. di
Milano (l’unica in possesso dei requisiti per la partecipazione alla
gara), questa ultima coinvolta successivamente nell’inchiesta “TRASH” della DDA
di Palermo, per vicende connesse alla turbativa d’asta in gare per discariche,
depuratori ed altri impianti di smaltimento, inchiesta culminata finanche
nell’arresto del suo direttore generale, Massimo Tronci, per il reato di
associazione per delinquere di stampo mafioso, risultato in rapporti di affari con RIINA
Salvatore, BUSCEMI Antonio, LIPARI Giuseppe, VIRGA Vincenzo, NANIA Filippo,
BRUSCA Giovanni e SIINO Angelo1
Per inciso, Siculiana è in provincia di Agrigento. Provincia
di Giuseppe Catanzaro, ma anche del Ministro dell’Interno Angelino Alfano,
lo stesso che ha nominato Montante all’Agenzia Nazionale dei beni confiscati
alla mafia.
Montante indagato per mafia. Mah!
A proposito dell’incarico conferito da Angeli Alfano, ci
sarebbe pure quel piccolo problema sul conflitto di interessi:
È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo
dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più
influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni
confiscati a Cosa Nostra?
Strano destino, quello di Confindustria Sicilia.
Oggi abbiamo Montante indagato per mafia, ma dei vertici di
Confindustria Sicilia ebbe già ad interessarsi la Commissione nazionale
Antimafia degli anni ’70 che, in diverse pagine, menziona l’ing. Domenico
(Mimì) La Cavera, l’allora Presidente di Confindustria Sicilia.
I suoi rapporti con l’ineffabile avvocato Vito
Guarrasi di Palermo2 .
Strano tipo, Vito Guarrasi. Imparentato con Enrico Cuccia(Mediobanca).
Definito “il vero boss”, “l’avvocato dei misteri”.
Per il giudice Calia presenziò perfino alla sottoscrizione
del trattato di Cassibile, rappresentando gli interessi della mafia.
Amici inseparabili, lui e La Cavera. Insieme e con il
deputato comunista Emanuele Macaluso furono i fautori e i sostenitori
della “stagione del milazzismo” in Sicilia3
Silvio Milazzo, dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 formò un
secondo governo, dove però non entrò più il MSI. Questo secondo governo ebbe
allora un sostegno variegato, dalle sinistre, ai monarchici, ai vertici
di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera che già
aveva rotto con Confindustria, fino ad esponenti vicini alla mafia.
La Cavera ebbe relazioni anche con l’altro (oltre lo stesso
Guarrasi) grande attore del “Caso Mattei”, Graziano Verzotto, e con lo
stesso Enrico Mattei.
È stato uno dei promotori insieme a Vito Guarrasi e Graziano
Verzotto della Sofis (ente pubblico siciliano nato nel 1957) di cui fu nominato
direttore. Il suo nome compare nelle relazioni compiute dalla Commissione
parlamentare antimafia negli anni ’70.
Ma i suoi affari in contiguità con la mafia andavano oltre:
Fu amministratore delegato della SIRAP, (società controllata
dall’ESPI), coinvolta nell’indagine su Angelo Siino, il gestore degli
affari economici di Cosa Nostra
Antonello Montante e Ivan Lo Bello per Domenico La Cavera
erano “i ragazzi”.
Montante e Lo Bello (e Catanzaro)
son sempre andati d’amore e d’accordo. Sicilia ovest al primo e Sicilia
est al secondo.
Presidenza della Camera di Commercio di Caltanissetta al
primo, quella di Siracusa al secondo.
Altre grandi Camere di Commercio siciliane (Catania e
Messina) – ma anche Enna, ad esempio – sono tenute dal Governo Crocetta in
condizione di commissariamento di dubbia legittimità.
Antonello Montante indagato per mafia. Si stenta a crederlo!
Dice il deputato regionale siciliano Leanza4
Lo Bello e Montante? Sono i padroni
della Sicilia
Solo ultimamente, secondo alcune voci, si sarebbero creati
dissapori tra loro, ma lingue ancor più malevole sostengono che sia tutto
“teatro”. In ballo ci sono gli accorpamenti delle Camere di Commercio
siciliane e con essi la gestione delle (s)vendite degli aeroporti siciliani.
E adesso ci si ritrova Antonello Montante indagato per
mafia.
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE
FEMMINE
BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA DECRETO-ACCREDITAMENTI
ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 -
17:27 di Accursio
Sabella
I giudici amministrativi hanno
accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto
dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti
pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal
governatore.
PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta.
Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I
giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e
associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina
gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei
confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso
di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un
provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del
buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto,
l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e
sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco:
quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo
Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone
clamoroso.
Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva
avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe
Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che,
come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale
del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti
per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione
dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.
In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le
altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso
"liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e
più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle
disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della
novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed
astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti
l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo
status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e
proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e
propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere
deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto
Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di
proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel
caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato
in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso
decreto risulta illegittimo”.
I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni
che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé.
"L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato
annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta
da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente
della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga".
L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti
(tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli
avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.
Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul
soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici
entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od
anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé
indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore
della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge
nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla
selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame
individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle
passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile.
Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa: “Una
simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul terreno
dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed
univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di
difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui
all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo
rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in
relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a
quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno
della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato
garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza
sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici.
Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e
clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.
L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI
MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
10 OTTOBRE 2014
FORMAZIONE
E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei
dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio
della procura della repubblica di palermo
Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei
tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day
dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai
magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti
gli aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i
tirocini formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del
Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno
focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa
Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia
documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta
di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e
Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione
regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di
Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i
problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo
scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende
decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli
affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le
adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e
che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A
tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato
oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è
destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo
di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a
500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso
di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a
tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora
assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo
per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione
professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da parte
dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività
amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il
click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire
l'accesso ai giovani.
Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte'
assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi
al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono
riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in
redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa
Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di
assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse
specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie
e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici
che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da
magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima
stima e fiducia farà il proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me
richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al
giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna
della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti
per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti
la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice
l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e
non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti
che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di
verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei
dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure
amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi
rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta
attenzione".
L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
24 SETTEMBRE 2013
POLITICA –
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di
giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio?
il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da
beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in
sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei
"professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso
della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di
palermo.
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani?
Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi,
prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso. A
generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a
Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo
Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di
Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in
corso al San Paolo Palace di Palermo.
Il Senatore, con la
sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo:
Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il
mondo come volontà e rappresentazione". Di che si
tratta? Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli
esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il
filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E,
in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente,
percepisce solo lui:
"Questo e' un partito che si
isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente
per la prima volta davvero in grado di rompere col passato. I
cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente
nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande
risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il documento
del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone l'abbandono della
Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di
quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto
ci risulta, si parla di un Governo che si era
presentato come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro
affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli
apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro
che popolo Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio
partito, non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove
spiega che vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo
ma che tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno
schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di
Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il 21 Settembre scorso,
ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860.
Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni
nell'Universo, e che magari, si è fermato anche al San
Paolo Palace hotel. Ma solo per pochi secondi.
12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che
domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a
Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona
industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella
giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad accettare
l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha differenze di
vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro
di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i
prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi
obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie
al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di
un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola,
di Marco Benanti
PENTITI
CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA: MONTANTE INDAGATO PER MAFIA
A suo
carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della
procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario
di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette
fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di
Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del
ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni
confiscati
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli
imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa
Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di
Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello
Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo
l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe
sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta
top secret quella su Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come
componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà
immobiliari confiscati ai boss di Cosa Nostra.
A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio
Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore
Dario Di Francesco, mafioso di
Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla Squadra
Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona e
in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale, dal ’99 al
2004. Di Francesco è stato definito ‘’il collettore tra
esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della provincia’’. Il pentito è
“compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone
(il padre di quest’ultimo, Paolino
Arnone era un boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere
nisseno di Malaspina nell’autunno del ’92 dopo una retata), che è stato compare di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I
Siciliani Giovani: in rete venne diffusa una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede di Assindustria
nissena, scattata negli anni Ottanta, ma
anche il certificato di nozze di un giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai
quattro testimoni. Due erano proprio Paolino e Vincenzo Arnone. Anche queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono
confluite nell’indagine, rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del
pentito Di Francesco. Il leader di Confindustria ha spiegato che le sue
frequentazioni con Arnone, altro non erano che legami dovuti alla comune
origine paesana legata a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che
parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con
una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello
Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr Shock Absorbers spa, un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con
sedi in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche
in Confindustria: nel 2008, insieme al suo
predecessore Ivan Lo Bello, è stato tra gli artefici del
codice etico e della svolta anti racket degli industriali siciliani. Un “nuovo
corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione antimafia” dell’Isola,
dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo, gli industriali
emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati vicini ai clan:
primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via definitiva a nove anni
per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è
limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio
Lari, interpellato sull’inchiesta per
mafia a carico del Presidente di Confindustria Sicilia Antonello
Montante. L’industriale sotto indagine è considerato vicino a molti
magistrati delle procure siciliane che in questi ultimi anni hanno creduto alla
‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario
Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio per questo l’indagine a suo carico suscita un
notevole scalpore negli ambienti politici e finanziari dell’Isola. Ora che
alcuni pentiti parlano delle sue ‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La
Repubblica, i casi sono due:
o qualcuno ha voluto ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia
che vuole cambiare, oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.
NICOLÒ
MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”
Praticamente Montante, siccome avevo
scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende
posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello
sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con
Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E
Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè l’ha nominata assessore? “Sono convinto
che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando
era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse
controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014
Dopo sette mesi dal suo
siluramento punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i
vertici di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe
Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice
presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore
del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero
“firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle
autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle
piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella
di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di
Confindustria Sicilia”.
Detto e sottoscritto
da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega
ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14
aprile scorso.
Oggi Marino rompe un
lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo
scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre
discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti
pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle
Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la
criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato
l’immondizia della Campania”.
È un fiume in piena l’ex
magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha
cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio
mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di
Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni
scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche
questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al
mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e
della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire
spazzatura” stanno venendo al pettine.
“La verità –
dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del
ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene
comune”.
A difendere l’ex assessore
scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino
Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di
Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore
Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di
trasparenza”.
“Va ricordato al presidente
Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni
rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a
favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”.
E poi: “Catanzaro è il primo
imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta.
Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza
rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di
vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione
ambiente del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in
legge la parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in
quanto le esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata
la breccia tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è
che Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito
nella gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza
rifiuti che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un
attacco al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con
dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”.
Perché Crocetta difende Catanzaro
e attacca Marino?
“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.
Perché, dottor Marino, lei accusa
anche il presidente di Confindustria?
“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo
vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non
posso’.
‘Allora
veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel
Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi
di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando Buceti
(mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato, nonché
appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul mio
conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente
fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su
di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni
di questo tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti
di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione
contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto.
Alla fine si calmano le acque,
l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una
cosa del genere”.
E Crocetta?
“Cambiò discorso”.
Cosa avvenne a seguito della sua
inchiesta?
“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.
Qual è il ruolo del senatore
Lumia?
“Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”.
Perché Crocetta la nomina
assessore?
“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”.
Un’operazione di facciata?
“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.
12 novembre 2014
RIFIUTI,
MONTANTE E LO BELLO QUERELANO NICOLÒ MARINO
Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale
dell’organizzazione industriale “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare
il dottor Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e
sul quotidiano La Sicilia
di Luciano Mirone
È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex
assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò
Marino. Il vicepresidente nazionale e il
presidente regionale dell’organizzazione industriale, rispettivamente Ivan
Lo Bello e Antonello Montante,
“hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse
sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia, “rinvenendosi nelle stesse
contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre che riferimenti a fatti e circostanze
fantasiosamente ricostruite e completamente destituite di ogni fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria
Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa nei due quotidiani,
in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia accusava
soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe
Catanzaro di essere stato destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una
serie di autorizzazioni illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di
metri cubi di volume), che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino,
sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la
realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista
tira in ballo il governatore della Sicilia Rosario
Crocetta, “protettore di Catanzaro”,
ma anche il senatore del Pd Beppe
Lumia (“ha sempre sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di
Confindustria Lo Bello e Montante,
sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di
Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente
della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra fredda” fra lui e il
presidente della Regione, dopo il siluramento subito dall’ex magistrato da uno
degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans. A difendere l’operato
dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino
Di Guardo, e di Furnari, Mario
Foti, che da anni lottano per la chiusura
delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea: “Crocetta
ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una seria
azione di rinnovamento e di trasparenza”.
La replica dei vertici di Confindustria Lo
Bello e Montante non si è fatta attendere. Silenzio, Sul caso è intervenuto
anche il senatore Lumia:
“È singolare che l’ex assessore all’Energia e ai Rifiuti della Regione
Siciliana Nicolò Marino dedicava e continua a dedicare gran parte del suo tempo
ad attaccare pubblicamente quegli imprenditori del settore che hanno denunciato
Cosa nostra. Contro la mafia dei rifiuti, invece, Marino non ha mai detto
nulla. Nessuna valutazione, nessun giudizio”, ha dichiarato Lumia. “Per quanto mi riguarda – aggiunge – mi sono sempre
schierato dalla parte di quegli imprenditori che rischiano la vita e che con
Confindustria Sicilia hanno fatto una scelta storica e senza precedenti contro
Cosa nostra. Con questa Confindustria si dialoga e ci si confronta, con la
mafia dei rifiuti no, anzi la si aggredisce”. “Col presidente Crocetta – spiega
– non siamo mai entrati nel merito delle scelte amministrative e di gestione
dei rifiuti fatte da Marino, ma non potevamo stare zitti e fermi di fronte a
questo suo modo scellerato di attaccare l’impresa sana. Semmai sono note le
nostre opinioni a favore delle discariche pubbliche e contro il proliferare di
quelle private”. “Quindi – conclude Lumia – Marino dovrà dar conto delle sue affermazioni, non solo
sul piano giudiziario ma anche dell’etica pubblica”.
MONTANTE INDAGATO PER MAFIA. E IVAN LO BELLO RESTA
SOLO?
La notizia è “il Presidente di Confindustria Sicilia
Antonello Montante indagato per mafia”. Sarà la magistratura a stabilire la
verità, ma è tutto come un “deja vu”.
Su “L’Ora Quotidiano” del 9 Febbraio 2015: “Pentiti contro leader di Confindustria: Montante indagato per
mafia“.
Una notizia bomba. Antonello Montante, infatti, oltre ad
essere il Presidente di Confindustria Sicilia, è:
Delegato nazionale di Confindustria per i problemi della
legalità;
Componente dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla
mafia (su designazione del Ministero dell’Interno);
Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta;
Presidente di Unioncamere Sicilia
È del novembre 2014 l’altra accusa. Quella che il magistrato Nicolò Marino mosse ai vertici di Confindustria
siciliana. La questione era legata alla gestione dei rifiuti e il dito era
puntato sul vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, ma
non solo.
Marino ha indicando ciò che a suo parere
costituisce un sistema di potere e di collusioni formato
da Montante, Lo Bello, Lumia (senatore PD. Poteva mancare il PD?),
Catanzaro e lo stesso Presidente della Regione Siciliana Crocetta.
Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come
sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione
siciliana.
Montante e Lo Bello hanno prontamente querelato
Nicolò Marino che, però, pare non essersi affatto intimidito.
Anzi, ha rincarato la dose.
Questa Amministrazione – scrive Marino – è ben a conoscenza
che nel lontano 1995 la Catanzaro Costruzioni s.r.l. ebbe ad
aggiudicarsi il servizio per la gestione della discarica di Siculiana in ATI
con la FORNI ed Impianti industriali Ing. De Bartolomeis S.p.a. di
Milano (l’unica in possesso dei requisiti per la partecipazione alla
gara), questa ultima coinvolta successivamente nell’inchiesta “TRASH” della DDA
di Palermo, per vicende connesse alla turbativa d’asta in gare per discariche,
depuratori ed altri impianti di smaltimento, inchiesta culminata finanche
nell’arresto del suo direttore generale, Massimo Tronci, per il reato di
associazione per delinquere di stampo mafioso, risultato in rapporti di affari
con RIINA Salvatore, BUSCEMI Antonio, LIPARI Giuseppe, VIRGA Vincenzo,
NANIA Filippo, BRUSCA Giovanni e SIINO Angelo1
Per inciso, Siculiana è in provincia di Agrigento. Provincia
di Giuseppe Catanzaro, ma anche del Ministro dell’Interno Angelino Alfano,
lo stesso che ha nominato Montante all’Agenzia Nazionale dei beni confiscati
alla mafia.
Montante indagato per mafia. Mah!
A proposito dell’incarico conferito da Angeli Alfano, ci
sarebbe pure quel piccolo problema sul conflitto di interessi:
È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo
dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più
influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni
confiscati a Cosa Nostra?
Strano destino, quello di Confindustria Sicilia.
Oggi abbiamo Montante indagato per mafia, ma dei vertici di
Confindustria Sicilia ebbe già ad interessarsi la Commissione nazionale
Antimafia degli anni ’70 che, in diverse pagine, menziona l’ing. Domenico
(Mimì) La Cavera, l’allora Presidente di Confindustria Sicilia.
I suoi rapporti con l’ineffabile avvocato Vito
Guarrasi di Palermo2 .
Strano tipo, Vito Guarrasi. Imparentato con Enrico Cuccia(Mediobanca).
Definito “il vero boss”, “l’avvocato dei misteri”.
Per il giudice Calia presenziò perfino alla sottoscrizione
del trattato di Cassibile, rappresentando gli interessi della mafia.
Amici inseparabili, lui e La Cavera. Insieme e con il
deputato comunista Emanuele Macaluso furono i fautori e i sostenitori
della “stagione del milazzismo” in Sicilia3
Silvio Milazzo, dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 formò un
secondo governo, dove però non entrò più il MSI. Questo secondo governo ebbe
allora un sostegno variegato, dalle sinistre, ai monarchici, ai vertici
di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera che già
aveva rotto con Confindustria, fino ad esponenti vicini alla mafia.
La Cavera ebbe relazioni anche con l’altro (oltre lo stesso
Guarrasi) grande attore del “Caso Mattei”, Graziano Verzotto, e con lo
stesso Enrico Mattei.
È stato uno dei promotori insieme a Vito Guarrasi e Graziano
Verzotto della Sofis (ente pubblico siciliano nato nel 1957) di cui fu nominato
direttore. Il suo nome compare nelle relazioni compiute dalla Commissione
parlamentare antimafia negli anni ’70.
Ma i suoi affari in contiguità con la mafia andavano oltre:
Fu amministratore delegato della SIRAP, (società controllata
dall’ESPI), coinvolta nell’indagine su Angelo Siino, il gestore degli
affari economici di Cosa Nostra
Antonello Montante e Ivan Lo Bello per Domenico La Cavera
erano “i ragazzi”.
Montante e Lo Bello (e Catanzaro)
son sempre andati d’amore e d’accordo. Sicilia ovest al primo e Sicilia
est al secondo.
Presidenza della Camera di Commercio di Caltanissetta al
primo, quella di Siracusa al secondo.
Altre grandi Camere di Commercio siciliane (Catania e
Messina) – ma anche Enna, ad esempio – sono tenute dal Governo Crocetta in
condizione di commissariamento di dubbia legittimità.
Antonello Montante indagato per mafia. Si stenta a crederlo!
Dice il deputato regionale siciliano Leanza4
Lo Bello e Montante? Sono i padroni
della Sicilia
Solo ultimamente, secondo alcune voci, si sarebbero creati
dissapori tra loro, ma lingue ancor più malevole sostengono che sia tutto
“teatro”. In ballo ci sono gli accorpamenti delle Camere di Commercio
siciliane e con essi la gestione delle (s)vendite degli aeroporti siciliani.
E adesso ci si ritrova Antonello Montante indagato per
mafia.
CASO CANNOVA I 5 STELLE: "CROCETTA CAMPIONE DI ARRAMPICATA
SUGLI SPECCHI"
GIOVEDÌ 26 FEBBRAIO 2015 -
17:31 ARTICOLO LETTO 468 VOLTE
GRILLINI
ALL'ATTACCO ANCHE SULLA GESTIONE DEL CICLO DEI RIFIUTI
PALERMO - “Sulla mancata
costituzione della Regione nel processo Cannova il governo è stato
ridicolo. Il campione mondiale di arrampicata sugli specchi perde colpi. Ora
viene smascherato sempre più spesso”.
E' durissimo il commento dei deputati all'Ars del Movimento 5 Stelle alla notizia che la Regione resta fuori dal processo contro il suo dipendente infedele perché non costituitasi per tempo come parte civile, "salvo un tardivo e goffo tentativo di marcia indietro, smascherato ora dai giudici del tribunale”.
“Crocetta – dicono i parlamentari - ha cambiato idea perché travolto dalle inevitabili e doverose polemiche. La costituzione come parte civile andava fatta in automatico senza bisogno di ricorrere ad un parere dell'Avvocatura di Stato, rivelatosi tra l'altro ridicolo”.
Intanto il Movimento ha presentato una lunga interrogazione sulla gestione del ciclo rifiuti per sondare le reali intenzioni del governo Crocetta, più che mai nebulose. “A sentire – le ultime dichiarazioni rese in commissione Ambiente dal dirigente generale del dipartimento Energia, Lo Monaco – dice Valentina Palmeri, prima firmataria dell’atto – sembra che la linea politica sia quella di non puntare sulla differenziata, come prevede la legge, per raggiungere il target del 65 per cento (oggi si è al 7) ma quella di consentire ed agevolare gli INVESTIMENTI privati, ricorrendo all’incenerimento e alla gassificazione”.
“Il ricorso all’incenerimento dei rifiuti – prosegue la Palmeri – rappresenta una strada da escludere perché concluderebbe il processo di distruzione dell’ecosistema del Mediterraneo già in corso con le trivellazioni a mare e sulla terra per le ricerche petrolifere tanto care a Crocetta”.
Con l’atto parlamentare il Movimento chiede notizie anche sulle intenzioni del governo sulla mozione del M5S (prima firmataria Angela Foti) approvata all’unanimità dall’Ars il 25 giugno (che indica precise direttive per la redazione del piano rifiuti in direzione del recupero della materia e non dell’incenerimento) e sulla legge regionale 9 del 2010 che prevede la riduzione, il riuso e il riciclo dei rifiuti. Informazioni sono richieste anche sui 200 milioni di euro assegnati al commissario straordinario per i rifiuti per la Sicilia e sui 90 milioni destinati al compostaggio, i cui bandi di gara sono andati deserti
“Vogliamo sapere infine - conclude la Palmeri – quali sono i soggetti che prenderanno parte al tavolo tecnico recentemente costituito presso l’assessorato regionale dell’Energia per coadiuvare l’assessore alla stesura del nuovo piano rifiuti regionale e chi siederà al tavolo del ministero dell’Ambiente per la Sicilia”. Per Angela Foti la gestione dei rifiuti deve essere fatta in maniera tale da tramutarli in enorme risorsa. “L'opportunità di cambiamento – dice - sta nel decidere se questo affare da 250 milioni di euro deve continuare a finire nelle tasche di pochi tramite le discariche e l'orrore dell'incenerimento o deve divenire ricchezza distribuita attraverso la filiera produttiva del riciclo, che in Sicilia sulle oltre 220 mila tonnellate di rifiuti prodotte ogni anno può esprimere oltre 5000 posti di lavoro reali e grandi risparmi per i Comuni, dovuti al mancato conferimento in discarica”.
I GIUDICI SMENTISCONO CROCETTA LA REGIONE FUORI DAL PROCESSO
Giovedì 26 Febbraio 2015 - 14:49 di Riccardo Lo VersoRiccardo
Lo Verso
Articolo letto 6.904 volte
Il caso Cannova. Dopo le
polemiche sulla mancata costituzione di parte civile, il governatore, Rosario
Crocetta, aveva respinto accuse e polemiche: "Tutta colpa di un difetto di
notifica". Oggi viene smentito dal tribunale
PALERMO - La Regione è fuori dal
processo Cannova.
Definitivamente tagliata fuori dalla possibilità di ottenere un risarcimento
danni, almeno in sede penale, da un suo presunto dipendente infedele che avrebbe intascato
mazzette in cambio di agevolazioni nel rilascio di autorizzazioni per lo
smaltimento dei rifiuti. Il Tribunale ha respinto la costituzione di
parte civile della Presidenza della Regione nonostante il tentativo, maldestro,
del governatore Rosario Crocetta di giustificare un governo, il suo, e una
pubblica AMMINISTRAZIONE troppo distratti per accorgersi di
essere stati citati come parte offesa nel processo.
Ci costituiamo parte civile. Lo
facciamo ora perché c'è stato un difetto di notifica. Confidiamo che il
Tribunale ci ammetta alla LUCE di quanto accaduto" disse il
18 febbraio scorso Crocetta cercando di archiviare il caso. Ed invece il
Tribunale, presieduto da Vincenzina Massa, ha
respinto la sua richiesta al termine di una fulminea camera di consiglio.
Troppo evidente la distrazione smascherata dagli avvocati di Cannova, Massimo Motisi e Lorenzo
Bonaventura.
Lo schiaffo alla credibilità della Regione siciliana si concretizza nella notifica che un ufficiale giudiziario ha consegnato a Palazzo d'Orleans il 5 novembre scorso. Una notifica che i due legali hanno trovato dove era normale che venisse conservata, nel fascicolo del processo in mano ai pubblici ministeri Daniela Varone e Alessandro Picchi. E stamani l'hanno sventolata sotto il naso del rappresentante dell'Avvocatura dello Stato. È la stessa Avvocatura che motivò la scelta di non costituirsi parte civile, sostenendo che la corruzione "non costituisce allarme sociale", e il danno all'erario era esiguo. Poi, il governatore cercò di correre ai ripari e con un delibera di giunta allontanò il sospetto della distrazione. La notifica - disse - non era arrivata.
Secondo l'accusa, Cannova avrebbe intascato mazzette. Oltre a lui sotto processo ci sono Giuseppe Antonioli, AMMINISTRATORE DELEGATO della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, nel Messinese, Domenico Proto, titolare della discarica, i fratelli Calogero e Nicolò Sodano, proprietari della Soambiente di Agrigento. Il funzionario palermitano, nel corso di un interrogatorio, ammise di avere intascato tangenti per facilitare le pratiche degli imprenditori. Bastava pagare per evitare i controlli nelle discariche e le possibili chiusure. Il prezzo della corruzione sarebbero stati migliaia di euro in contanti - diecimila euro o forse più - televisori ultramoderni e soggiorni in alberghi di lusso. Fatti gravi tanto che, alla scorsa udienza, il Tribunale respinse la proposta di Cannova di patteggiare quattro anni di carcere.
Una gravità che Crocetta non perse tempo a sottolineare durante una conferenza stampa,subito dopo il blitz: "Il caso Cannova? Potrebbe essere solo l'inizio. Stiamo vagliando l'ipotesi della confisca o dell'esproprio per pubblica utilità delle discariche private". Ed ancora: “Da quando c'è questa AMMINISTRAZIONE non ci sono più coperchi. Forse, quando siamo intervenuti con le rotazioni, dovevamo essere più incisivi ancora. La frequenza di queste inchieste mi fanno pensare: altro che tangentopoli... . Dopo la Formazione, il Ciapi, i Beni culturali, la sanità...". Sono tutti temi caldissimi, diventati materia dei dossier consegnati in questi mesi da Crocetta in Procura per denunciare il malaffare che si annida nella pubblica amministrazione regionale. Un via vai negli uffici giudiziari, quello del governatore.
C'è un tempo per le conferenze stampa e gli annunci. E c'è un tempo in cui alle parole possono seguire i fatti. Così avevamo scritto quando per primi rilevammo la pesante assenza della Regione al processo. Oggi Crocetta ha perso un'occasione per concretizzare, con un piccolo grande gesto, la sua smania di legalità.
CANNOVA,ZUCCARELLO,TOLOMEO,SANSONE,ANTONIOLI,AUDI,GULLO,CROCETTA,PROTO,SODANO,SOAMBIENTE,OIKOS,MARINO,
MASSIMO MOTISI, LORENZO BONAVENTURA,MASSA,MAZZARA
SANT’ANDREA, DANIELA VARONE, ALESSANDRO
PICCHI.
A CURA DEL COMITATO CITTADINO
ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE
FEMMINE
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