Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

lunedì 30 marzo 2015

MAFIA OMICIDIO D'AGOSTINO VINCENZO LA DIA ARRESTA GIUSEPPE SENSALE

MAFIA: OMICIDIO D'AGOSTINO, DIA ARRESTA GIUSEPPE SENSALE



Palermo, 12 dic. 1998  -(Adnkronos)- Il centro operativo di Palermo della Direzione Investigativa Antimafia ha arrestato il cinquantanovenne Giuseppe Sensale, originario di Capaci (Pa). L'arresto e' avvenuto in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 5 dicembre scorso per l'omicidio e la distruzione del cadavere dell'imprenditore Vincenzo D'Agostino, scomparso a Palermo il 3 dicembre del 1991. Secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, D'Agostino sarebbe stato ucciso a Capaci nel deposito di carburante di Sensale. Il cadavere sarebbe stato poi sciolto nell'acido all'interno di una baracca.
Il provvedimento di custodia cautelare e' stato notificato in carcere ad altre cinque persone, attualmente detenute: Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Antonino Troia, Giovanni Battaglia e Simone Scalici, considerati elementi di spicco di alcune famiglie mafiose del palermitano.
Gia' indagato per associazione a delinquere di tipo mafioso ed arrestato nel 1993, Giuseppe Sensale era stato scarcerato il 9 luglio scorso in seguito ad una sentenza di assoluzione della Corte d'appello di Palermo.
(Sin/Gs/Adnkronos)


«La crisi consiste precisamente nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non può ancora nascere» (Antonio Gramsci)

Mafia, sequestro di beni a Capaci  “Quel costruttore è un prestanome”
I  beni di un imprenditore edile in  odor di mafia sono finiti sotto sequestro. Il  provvedimento dei giudici della sezione misure di prevenzione colpisce il patrimonio di Giuseppe Sensale, 60 anni di Capaci, noto alle forze dell'ordine per storie legate a Cosa nostra e sul quale adesso hanno indagato i finanzieri del  Gico. Il provvedimento della magistratura, sollecitato dalla Procura, colpisce le società «Angela » e «  Nafedil», quattro fabbricati e un magazzino che si trovano in via  Florio a Capaci. Roba del valore complessivo di un miliardo e 600 milioni  in base alle stime delle fiamme gialle, che Sensale avrebbe accumulato illecitamente.

Gli investigatori avrebbero accertato una sproporzione tra gli acquisti dell'imprenditore e i redditi dichiarati, arrivando alla conclusione, anche sulla base delle indicazioni di alcuni collaboratori dì giustizia, che l'uomo sarebbe un prestanome della «f ami glia» di  Partanna Mondello. A detta dei finanzieri, il  costruttore sarebbe legato «al clan dei  Carollo e avrebbe fatto da prestanome alle famiglie  Cusumano e  Riccobono».

I guai giudiziari per Giuseppe Sensale, che è detenuto, erano cominciati nel '93, quando era stato arrestato per associazione mafiosa. Un'accusa per la quale l'uomo era rimasto cinque anni in carcere ottenendo, poi, dopo un lungo iter giudiziario,  l'assoluzione. Uscito diprigione, l'imprenditore era finito di nuovo in manette nel dicembre del 98, nell'ambito di un blitz della Dia sul l'omicidio  dell'imprenditore Vincenzo D'Agostino, che il 3 dicembre del '91 venne strangolato e sciolto nel l'acido. Un'esecuzione che, secondo l'accusa, avvenne in un magazzino dì Capaci gestito proprio da  Gìuseppe Sensale. A parlare della vicenda furono i collaboranti Francesco Onorato e  Giovan  Battista Ferrante, secondo i quali sarebbe stato Sensale ad attirare l'imprenditore nella trappola preparata dai boss di Cosa nostra.

Già in passato altri beni dell'imprenditore di Capaci erano  fíniti  sotto sequestro, tra i quali una cava in territorio di  Cinisi. Ma Sensale, assistito dall'avvocato Maurizio Bellavista, si è sempre opposto contro i provvedimenti. Sostenendo di aver costruito il suo patrimonio grazie al lavoro e che, vista la sentenza di assoluzione dall'accusa di appartenere a Cosa nostra, non ci sono i presupposti di legge per colpire il patrimonio. « Il mio assistito è stato assolto dall'accusa di associazione mafiosa  - afferma l'avvocato Bellavista  - ma nonostante questa pronuncia è stato anche avviato il  procedimento di confisca dei beni. Un provvedimento contro il quale abbiamo presentato ricorso».

Virgilio Fagone
EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE ANTIUSURA ONLUS


UN SUCCOSO BUSINESS
SALVO LIMA PREMEVA SU SIINO PERCHÉ QUESTI APRISSE LA PORTA DEL CIRCUITO SICILIANO DEGLI APPALTI PUBBLICI AGLI IMPRENDITORI VICINI ALLA SINISTRA

La svolta con la partecipazione del PCI alla spartizione degli appalti in forma continua, a Milano come a Palermo, risale alla metà degli anni ‘80. La DC siciliana, nelle persone di Lima e Ciancimino, affidarono all’ex pilota di rally Angelo Siino il compito di orchestrare i cartelli delle imprese a cui assegnare gli appalti pubblici.  Siino era un borghese che di mafiosi ne conosceva tanti, fratello massone della loggia Orion di Palermo, imparentato con il boss Balduccio Di Maggio, amico dei Brusca di San Giovanni Jato. Il meccanismo in Sicilia prevedeva che, per ogni appalto assegnato, l’azienda versasse una imposta del 4,5 per cento così suddivisa: 2 per cento ciascuno a boss e politici e uno 0,5 destinato a lubrificare gli impiegati e funzionari della macchina burocratica. Una oliatina agli ingranaggi questa, perché imbarazzanti pratiche uscissero indenni ad ogni controllo.  L’organizzazione gestita da Siino e Lima divennne sempre più capillare, per assumere sul finire degli anni ‘80, il controllo dell’intera isola. Per avere una idea degli esiti di tale meccanismo, basti pensare che nel decennio ‘88-’98, 60 ditte rispondenti a 11 imprenditori, si accaparrarono il 40% degli appalti Anas, pari a una fetta di circa 350 miliardi di vecchie lire, su di una torta di 880. Il restante 60% del giro di affari era spartito da ben 500 imprese. Un imprenditore che protestava o sgarrava poteva se fortunato, subire intimidazioni o rimanere escluso dal susseguente giro di giostra, ma in taluni casi si arrivava alla sua eliminazione, come accadde nel 1991 al costruttore Vincenzo D’Agostino, invitato da amici in un casolare di campagna a trascorrere un weekend, strangolato e sciolto nell’acido.  Salvo Lima premeva su Siino perché questi aprisse la porta del circuito siciliano agli imprenditori vicini alla sinistra ed i primi a varcarla furono i fratelli Stefano ed Ignazio Potestio, costruttori legati da tempo a doppio filo con il Pci. L’ingresso anche delle cooperative rosse era imminente e Siino trattò, di li a poco, con Pietro Martino, rappresentante Conscoop in Sicilia. Fu il primo passo di una estensione del fenomeno in molti angoli dell’isola.  Nel mirino la costruzione di strade, super strade, tangenziali, ospedali, scuole, strutture sportive.
Queste nuove collaborazioni servirono per accrescere il giro di miliardi che sarebbe affluito verso
l’isola ma, soprattutto, per costruire una vera e propria copertura a sinistra, coinvolgendo nelle operazioni illecite forze politico economiche di riferimento alla maggiore opposizione antimafia. Una svolta di questa natura era destinata a suscitare acuti mal di pancia su entrambi i fronti.
     Molti dirigenti comunisti erano contrari ad avvicinarsi così pericolosamente a tali compromettenti soggetti ma, purtroppo, questi assennati consigli furono destinati a cadere nel vuoto. Dall’altra parte, a molti mafiosi l’umore si anneriva al pensiero di      accettare gli odiati rossi quali soci in affari: il Pci era il fresco artefice della poltrona saltata a Vito Ciancimino.
Tra questi, il rozzo e sanguinario Totò Riina sarebbe stato uno dei più ostici, e difatti nella sua Corleone la direttiva rimase praticamente inascoltata. Senza aver nulla da invidiare in fatto di crudeltà, molto diverso sarebbe stato l’atteggiamento di Bernardo Provenzano. Egli si rivelò un sottile politico, un abile stratega, un fine ragioniere. “Zio Binu” comprendeva quanto i soci comunisti sarebbero stati preziosi nel mascherare, con la loro presenza, le irregolarità sistematiche dell’impianto. Nella regione di Villabate-Bagheria, dove egli si sarebbe trasferito sul finire degli ‘80, Tommaso Orobello presidente della coop “La Sicilia”, divenne uno degli imprenditori intimi di Provenzano. Il Comune di Villabate (che vide vicesindaco Antonino Fontana), sarebbe stato a lungo retto da una amministrazione di sinistra.  Nella vicina Bagheria dove tutto era mafioso, le cooperative andavano a braccetto con imprese “chiacchierate”. Nella terra che coprì la lunga latitanza del boss, le coop rosse erano nei vertici delle strategie di assegnazione degli appalti.
Angelo Siino venne arrestato nel 1991 e scelse poi di convertirsi al pentitismo. Nel giro di un breve
tempo, seppur con sfumature e competenze più variegate, egli venne sostituito da Pino Lipari, colui
   che sarebbe divenuto una sorta di manager tuttofare e prestanome di Bernardo Provenzano. Dalla ricostruzione di Siino giunsero i dettagli di un sistema complesso e  minuzioso, e soprattutto nomi e circostanze che coinvolgevano imprenditori e ammini stratori locali con riferimenti nazionali, della maggioranza e anche dell’opposizione.
Il duo Simone Castello e Antonino Fontana proseguì la sua carriera sul fronte mafioso politico imprenditoriale con il fulcro operativo nella zona di Bagheria-Villabate, la stessa di Provenzano, condendo le loro attività di svariate truffe.
A Bagheria, il Consiglio comunale era stato sciolto ben 13 volte, le ultime nel 1993 e 1999. Poco prima dell’ultima intrusione degli ispettori della procura nelle sedi comunali, nel 1998, Simone Castello finì in manette e, nell’arco di qualche tempo, in successione, subirono la stessa sorte i fratelli Potestio, i due manager delle cooperative rosse Pietro Martino e Tommaso Orobello, il direttore della coop Cspa di Partinico, Raffaele Casarubia e nel 2003 lo stesso Antonino Fontana. Inutile sottolineare come la situazione fosse “politicamente imbarazzante” per una sinistra siciliana colta in diversi suoi esponenti con le mani nel sacco, anche se rare furono le ammissioni di colpa e le richieste di pulizia interna incondizionata.  Più spesso, dalla sede centrale di Roma, arrivavano le esternazioni scandalizzate di chi si scagliava verso la magistratura. Una reazione di lesa maestà non troppo lontana da quelle che conosciamo come rituali da parte di altre forze politiche, come quelle che al tempo rispondevano alla Casa delle Libertà.
Fontana non venne espulso dai DS ma ufficialmente si autosospese. Secondo la Procura egli aveva aiutato i Potestio (suoi lontani parenti) nel Comune di sinistra di Ficarazzi ma, soprattutto, come sostiene il pentito Salvatore Barbagallo, aveva protetto le famiglie mafiose di Bagheria e Villabate e quindi il boss Provenzano. Fontana, per la Cosa Nostra territoriale, prosegue Barbagallo, era un cavallo fidato su cui puntare, esponente di un partito, il Pds, in fase crescente e quindi in grado di assicurare le giuste coperture.
(38. – “Epilogo - Mafia: uno Stato nello Stato” 2012-2013)
Salvatore Musumeci

CAPACI NON ESISTE LA PAROLA MAFIA
il piano regolatore dei commissari ha accontentato i costruttori. 3 liste in gara per il consiglio comunale sciolto per mafia dopo la morte di Falcone

VOTO NEL PAESE DELLA STRAGE . Il piano regolatore dei commissari ha accontentato i costruttori. La macelleria di un candidato di sinistra chiusa per mancanza di clienti


A Capaci non esiste la parola mafia Nei programmi non si parla esplicitamente di lotta alle cosche Passato e futuro del piccolo centro legati alle lottizzazioni: uno stillicidio di attentati, bombe e incendi tra ' 91 e ' 92 Tre liste in gara per il consiglio comunale sciolto d' autorita' subito dopo la morte di Falcone

DAL NOSTRO INVIATO CAPACI (Palermo) . "Troppi giardini, troppe scuole, troppe strade, mi dicono. Che deve diventare, una citta' da fantascienza Capaci con questo piano regolatore? Parlo per le lamentele sentite in piazza, io le carte manco le ho viste". Capelli stirati e baffetti neri come la giacca, Giuseppe Tarallo, con il suo sguardo alla Mimi' Metallurgico, e' il candidato piu' comprensivo per le "vittime" del piano regolatore approvato dai commissari ad acta dopo lo scioglimento per mafia del Comune dove si vota oggi. Lui, tallonato dai "ragazzini" della Sinistra e dai "costruttori" della terza lista, va a caccia di quel 60 per cento di voti un tempo custodito nella cassaforte democristiana di Capaci, il paese a meta' strada fra Palermo e Punta Raisi, famoso in tutto il mondo perche' qui la storia si ferma e ricomincia il 23 maggio ' 92. Eppure non e' facile trovare la parola mafia nei programmi. In quello di Tarallo che ha ribattezzato "Amicizia" il suo partito si annuncia solo che "la lotta ai condizionamenti della criminalita' organizzata sara' prioritaria", pero' dopo l' acrobatico capitolo sulla "tutela del territorio": "A tal fine non sembra utile il permanere di un vincolo paesaggistico che rischia di ingessare il territorio". La comprensione per le "vittime" che si vedono negare la costruzione della villetta, del magazzino, del rustico, trapela anche nella lista "Insieme per Capaci" ma uno dei promotori, Giusto Baiamonte, corrispondente del Giornale di Sicilia, rifiuta sdegnato l' insinuazione di essere longa manus dei costruttori. Nel programma che lancia in pista come sindaco un geometra dell' ufficio tecnico della vicina Isola delle Femmine, Cosmo Rappa, hanno pero' dimenticato la parola mafia, promettendo piuttosto "eventuali necessarie modifiche al piano regolatore...". E per fortuna aleggia l' "eventualita' ", perche' in realta' quelle carte per dieci anni non si potranno affatto modificare, ne' interessa piu' di tanto i grandi costruttori della zona, paghi dell' inserimento nello strumento urbanistico di sei megalottizzazioni. Ed e' questo che evoca una manovra da Gattopardo perche' in queste lottizzazioni si giocano passato e futuro di Capaci, prima e dopo la strage. Lo stillicidio di attentati, bombe e incendi che fa scattare l' inchiesta della prefettura sei mesi prima dell' apocalisse si consuma, infatti, fra il ' 91 e il ' 92 proprio per convincere i consiglieri indecisi ad approvare le sei grandi speculazioni. Poi, il 23 maggio, si blocca tutto. Scotti e Martelli si ricordano dell' inchiesta e lo scioglimento sfratta tutti dal municipio. Si grida alla pulizia. Qualche articolo sui giornali, cortei, concerti, comizi antimafia e poi il venticello dell' oblio cancella Capaci dalle cronache lasciando ai tecnici, ufficialmente super partes, il compito di mettere a punto un piano regolatore in cui le sei lottizzazioni rientrano come se nulla fosse accaduto. Ecco il cavallo di battaglia della terza lista, quella dei "ragazzini" come Antonio Vassallo, figlio di un macellaio che ha dovuto chiudere la bottega sul corso perche' il "passa parola" ha azzerato i clienti di un negozio dove si trovavano costate e volantini della Rete. Adesso il bancone e' vuoto e nel retrobottega si fanno le riunioni con Pietro Puccio, tessera Pds, il candidato della lista "Per Capaci" in cui si ritrovano anche Rifondazione, Acli e soprattutto i volontari del "Gruppo giovanile 88", quelli del presepe antimafia, delle targhe in memoria di Falcone, di concerti e cortei scrutati con glaciale distacco da ominicchi muti, capaci di far parlare un bambino al posto loro dopo la strage: "Finalmente ci siamo tolti questo di davanti...". L' ombra del 23 maggio per molti pesa come un' ingiustizia. "Che c' entra Capaci?". Capaci c' entra perche' Nino Troia, spalla di Riina, il suo negozio di mobili ce l' ha in piazza. E Giovanni Battaglia, altro "soldato" in campo per la strage, lavorava nella cava di Giuseppe Sensale, l' uomo che ha protetto la latitanza di Toto' ' u Curtu, ora indicato come il grande amico di Giuseppe Tarallo, pronto a respingere l' infamia: "Io sono amico di tutti, conosco Sensale come persona perbene ma non mi corico ne' mangio con lui e se ha sbagliato paghi". Di "sciacallaggi sull' onda mafiosa" parla anche Baiamonte che ha lasciato i "ragazzini" del Gruppo giovanile "perche' il Pds l' ha colorato di rosso". Ma Vassallo replica con un sorriso ironico e resta l' unico a parlare di "decementificazione", ad evocare lo spettro delle ruspe, come Pietro Puccio che fra un comizio e l' altro entra nel bar piu' grande, ordina un caffe' e, alle spalle, ode la cantilena di un boss in liberta' : "Gia' pagato".
Cavallaro Felice
Pagina 12
(30 gennaio 1994) - Corriere della Sera



A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE


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