CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI PALERMO
SEZIONE PRIMA
* * * * * * * * * *
MEMORIA EX ART. 121 C.P.P.
Onorevole Presidente, Onorevole Giudice a latere
ed Onorevoli Giudici Popolari della Prima Sezione della Corte d'Assise
d'Appello di Palermo,
in qualità di difensore della
parte civile ritualmente costituita Sig. Pietro ENEA, nato a Isola delle Femmine (PA) il 2 gennaio 1961
e residente in New Rochelle – New York (USA) 6 Inwood Place, elettivamente
domiciliato presso lo studio dello scrivente difensore in La Spezia, Viale
Italia n. 94 Torre A, nel procedimento penale n. n. 4484/10 R.G.N.R. (N.
11191/10 R.G. G.I.P.), nei confronti di Francesco BRUNO, nato a
Isola delle Femmine (PA) il 27.05.1951 allo stato detenuto per altra causa
presso la Casa di Reclusione di Milano “Opera”, imputato:
“del delitto
p. e p. dagli artt. 110, 61 n. 6, 575, 577 n. 3, per avere, in concorso e
previo accordo con altri soggetti per i quali non sono stati raggiunti
sufficienti elementi di responsabilità, ciascuno consapevole dei contributi
rispettivamente apportati dagli altri convergenti verso il medesimo fine, con
premeditazione, cagionava la morte di ENEA Vincenzo, all'indirizzo del quale
erano esplosi diversi colpi arma da fuoco che lo attingevano in parti vitali
del corpo, determinandone l'immediato decesso.
Con l'aggravante di aver commesso il fatto durante il periodo di
latitanza in relazione al mandato di cattura n. 2/82 emesso dal Giudice
Istruttore.
Con la recidiva specifica,
In Isola delle
Femmine il 8.6.1982”
e condannato dal GUP presso il Tribunale di Palermo, a seguito di
ammissione a rito abbreviato, con sentenza n. 864/13 Reg. Sent. del 22 maggio
2013, depositata in cancelleria il 14.10.13 alla pena di ANNI TRENTA DI RECLUSIONE oltre al pagamento delle spese
processuali, per il delitto di cui al capo imputazione;
la
citata sentenza ha condannato il BRUNO alla pena accessoria dell'interdizione
perpetua dai pubblici uffici, dichiarandolo in stato di interdizione legale;
lo
ha condannato, altresì, al risarcimento del danno in favore delle parti civili
costituite da liquidarsi in separato giudizio civile, nonché al pagamento delle
spese legali nei confronti delle parti civili.
Ai
sensi dell'art. 539 c.p.p. ha condannato BRUNO Francesco al pagamento della
somma di € 100.000,00 per ciascuna delle parti civili costituite a titolo di
provvisionale, immediatamente esecutiva;
-
letti i motivi
d'appello presentati dalla difesa avverso la predetta sentenza, mi pregio
significare quanto segue.
L'appello
é infondato in fatto e diritto e deve essere rigettato per i seguenti motivi.
1)
Il fondamentale contributo di ENEA
Pietro ai primi accertamenti, allo sviluppo delle indagini ed alla
individuazione certa di uno dei responsabili dell'omicidio di suo padre,
evidenziato nella sentenza di condanna. Gli apporti conoscitivi degli altri
familiari indispensabili per il consolidamento dei dati emersi.
Il
provvedimento giudiziale del GUP di Palermo, che ha condannato il BRUNO
Francesco per il delitto di cui al capo di imputazione, é un coerente , raffinato ed approfondito
compendio logico-argomentativo, perfettamente motivato secondo i princìpi
sanciti dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, e ricostruente in
modo certo ed indiscutibile la dinamica dell'omicidio del povero Vincenzo Enea,
maturato nel più ampio contesto storico-sociale dell'organizzazione criminale
denominata “Cosa Nostra”, agli inizi degli anni '80.
Il
Giudice di prime cure, a seguito della richiesta dell'imputato di procedere a
rito abbreviato ed alla conseguente ammissione del medesimo a tale rito, ha
avuto modo di analizzare
sistematicamente tutti i documenti presenti nel fascicolo del PM per addivenire
alla sentenza di condanna dell'imputato.
L'iter
logico-giuridico seguìto dal giudice di primo grado é consistito nella raccolta
degli elementi di responsabilità emersi a carico del condannato e nella
valutazione degli stessi nei limiti e con i criteri vergati dalla
giurisprudenza della Suprema Corte in
tema di: dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia; circa la valenza della prova de relato;
sugli interessi che potessero avere i collaboratori di giustizia nella
fattispecie per cui é processo; sulla persistenza, attendibilità e costanza
delle loro propalazioni; sull'attendibilità delle fonti da cui avevano appreso
la notizia.
Il
GUP, in seguito, ha passato in rassegna le dichiarazioni di ENEA Pietro, figlio
della vittima, testimone degli avvenimenti prossimi e successivi alla morte del
padre, unitamente a quelle degli altri familiari, anch'essi vittime del
gravissimo fatto di sangue, che hanno narrato sulle circostanze inerenti
l'omicidio del loro congiunto.
Inoltre,
nella motivazioni della sentenza, é stato anche analizzato il contesto
storico-sociale e criminale in cui é maturato il delitto: infatti proprio in
quegli anni si era verificato un salto di qualità dell'organizzazione
denominata “Cosa Nostra” con il
passaggio dalla “mafia tradizionale” alla “nuova mafia”, con l'espansione degli
interessi dal mondo agricolo, ormai in decadenza, verso il settore edilizio
legato al fenomeno dell'urbanizzazione, in forte crescita.
L'omicidio
di Vincenzo ENEA si colloca perfettamente in tale contesto, poiché conseguenza
della condotta riottosa del coraggioso imprenditore edile, contrario alla logica prevaricatrice della IMMOBILIARE
BBP (impresa mafiosa confinante, tra i cui soci vi era POMIERO Giuseppe, le cui
indagini della DDA hanno confermato appartenere al contesto del crimine
organizzato) ed alla circostanza che tale ritrosìa non poteva essere tollerata
dal capo-mafia della zona RICCOBONO Rosario, interessato ad imporre la sua
supremazia sul territorio.
Già
nel rapporto giudiziario del 26 ottobre 1982 (richiamato in sentenza come
facente parte dei primi accertamenti sull'omicidio di ENEA Vincenzo) i
Carabinieri della Compagnia di Partinìco bollavano il delitto come omicidio di
mafia, benché il costruttore Vincenzo ENEA non fosse appartenente ad ambienti
mafiosi, poiché le indagini avevano evidenziato un muro di omertà da parte di
tutti i testimoni escussi a sommarie informazioni, compreso il figlio della
vittima ENEA Pietro, nei cui confronti il giudizio dei militari dell'Arma era
di certa conoscenza della verità, ma della scelta del silenzio per
proteggere i familiari.
Nello
stesso rapporto si arrivava a preconizzare che “L'unico che potrebbe dare
un valido contributo alle investigazioni é il figlio Pietro, infatti
é lui che collabora il padre in tutte le sue attività e con lui passava anche
il tempo libero nel comune hobby della pesca. Sicuramente Pietro ha
riconosciuto qualcuno a bordo della Fiat 124 bianca, ma ora ha paura di
parlare. A caldo, anche se rifiutò di verbalizzare quanto dichiarato,
diede una chiara e completa descrizione di uno degli individui che prendevano
posto sull'auto in quella tragica mattina di giugno e sicuramente coinvolti
nella tragica fine del padre... Poi meditando forse su quanto aveva
dichiarato, ritrattava tutto... ENEA Pietro è sicuramente straziato dal dolore
per la perdita del padre, ma é sorretto dalla speranza di non nuocere agli
altri componenti la sua famiglia, che sa indifesi ed in balìa di chi
potrebbe in ogni momento colpirli. Forse questo timore più di ogni altra
cosa lo ha fatto chiudere nel suo riserbo, facendogli chinare la testa ed
abbandonare la lotta” (fogli 11° e 12° del rapporto citato).
Le considerazioni espresse nel
verbale dei Carabinieri di Partinico, a seguito della scelta del rito
abbreviato, sono state acquisite al fascicolo
processuale e sono state correttamente utilizzate dal GUP di Palermo per
la decisione.
Pietro
ENEA, subito dopo la morte del padre, rilasciò agli inquirenti dichiarazioni
contrastanti circa l'esatta identificazione degli autori dell'omicidio,
giustificate dal timore per sé e per i propri familiari, di essere vittima di
ritorsioni e/o vendette.
In
sostanza, egli avrebbe voluto rivelare
l'esatta identità di uno degli assassini del padre, da lui perfettamente
riconosciuto in quanto facente parte degli occupanti l'autovettura che pochi
minuti prima dell'omicidio si trovava nei pressi del “Village Bungalow”, ma poi
sviava le indagini per la paura fondata di ritorsioni contro i familiari.
Pietro
ENEA, però, intraprese subito ricerche
ed indagini personali per arrivare a scoprire tutti gli autori del misfatto ma,
man mano che si avvicinava alla verità, le persone con cui aveva contatti o
sparivano (come i fratelli LO CICERO Giovanni e Salvatore, effettivamente
vittime di “lupara bianca” e dichiarati scomparsi con denuncia sporta il
3.8.1984) o si sottraevano impauriti alle domande, alimentando quel muro di omertà
già descritto dai Carabinieri.
Dopo
aver resistito qualche tempo e dopo una telefonata anonima ricevuta dalla
sorella Maria Teresa e diretta alla madre CATALDO Giuseppa, contenente una
esplicita minaccia di morte (“Pronto c'é la mamma?...signora ci dica a
suo figlio Pietro che finisca di scavare altrimenti gli facciamo fare la stessa
fine di suo padre”), ENEA Pietro si allontanava da Isola delle Femmine
alla volta degli U.S.A., dove tuttora risiede.
Quest'ultimo
invero dopo svariati anni, in uno degli sporadici rientri in Italia, nel
verbale di sommarie informazioni testimoniali del 9 maggio 2000 presso gli
Uffici della Polizia di Roma (in una località protetta), affermava di essersi deciso a raccontare quanto a sua
conoscenza circa l'omicidio del padre “in considerazione della buona
situazione giudiziaria che c'é oggi in Italia” (intendendo con tale
affermazione che gli equilibri mafiosi nel frattempo erano radicalmente mutati
ed i capi delle cosche sanguinarie dei primi anni '80 erano stati quasi tutti
individuati ed incarcerati, quindi si sentiva più sicuro), e ricostruiva
ciò che aveva visto personalmente la mattina dell'omicidio del padre, indicando
senza ombra di dubbio come occupante l'autovettura Fiat 124 beige ferma alle
7.30 del mattino dell'8 giugno 1982 davanti al “Village Bungalow,”
BRUNO Francesco, perché lo conosceva personalmente in quanto suo vicino di casa
e fratello di un suo amico.
Specificava
in tale occasione Pietro ENEA di non aver riferito prima ai carabinieri della
presenza di BRUNO nel commando omicida per timore di subire ritorsioni in
considerazione del fatto che costui era latitante e già ricercato per altri
omicidi.
Inoltre,
nello stesso verbale delle dichiarazioni reso il 9 maggio 2000, ENEA Pietro si
intratteneva a parlare diffusamente del movente dell'omicidio del padre,
fondato sui contrasti emersi tra la posizione di imprenditore edile del
genitore e la IMMOBILIARE BBP facente capo ad alcuni parenti dell'odierno
appellante (BRUNO Giovanni e BRUNO Pietro) ed, inoltre, a POMIERO Giuseppe che
aveva costruito un grosso compendio immobiliare denominato “Costa Corsara”,
limitrofo alle palazzine costruite da ENEA Vincenzo.
In
tale occasione, ENEA Pietro riferì che il padre, benché più volte pressato,
rifiutò sempre di far entrare nella propria ditta BRUNO Francesco come socio occulto.
A
seguito di questo rifiuto e dei contrasti con la BBP, ENEA Vincenzo subì
diversi atti di ritorsione come l'incendio del “Village Bungalow”, il
pestaggio del cane da guardia, il danneggiamento di materiale edile, nonché
l'incendio del magazzino.
E'
a questo punto che ENEA Vincenzo decise di stringere amicizia con i fratelli
D'AGOSTINO di Partanna Mondello ed in particolare con Benedetto, al quale diede
in affitto un bungalow ed al quale propose di cresimare il figlio Riccardo.
Il
D'AGOSTINO, secondo il racconto di Pietro, tentò una mediazione tra ENEA
Vincenzo e la IMMOBILIARE BBP, mediante l'intervento del noto boss RICCOBONO
Rosario.
Ma
detta mediazione non andò a buon fine in quanto il D'AGOSTINO subì dapprima
atti di danneggiamento presso la villa a Sferracavallo ed in seguito venne
ucciso, qualche giorno prima di ENEA Vincenzo.
La
sentenza del GUP presso il Tribunale di Palermo si dilunga diffusamente sul
movente dell'omicidio di ENEA Vincenzo, ricostruendo precisamente sulla base
degli atti prodotti dalla Procura Antimafia di Palermo, i contrasti e gli
interessi opposti insorti sul terreno di proprietà della vittima con
l'IMMOBILIARE BBP di BRUNO Giovanni, BRUNO Pietro e POMIERO Giuseppe, costruttrice
del complesso immobiliare limitrofo denominato “Costa Corsara”.
Dunque,
le affermazioni contenute più volte nei motivi dell'appello del BRUNO secondo
cui sia ENEA Pietro che sua sorella
Maria Teresa avrebbero lasciato l'Italia alla volta degli U.S.A. non per paura
o per timore di subire ritorsioni, ma esclusivamente per una scelta libera e
consapevole, appare incongruente ed
infondata.
Esse
affermazioni non prendono assolutamente in considerazione gli atti processuali
e l'opprimente ambiente in cui vivevano i familiari del defunto ENEA Vincenzo,
dopo la morte dello stesso, ed in generale lo stato di paura determinato dalla
violenza delle cosche che volevano prepotentemente ed arrogantemente entrare
nel campo dell'edilizia, attratte dai maggiori interessi economici che
ruotavano nel settore.
Il
modo in cui é stato ucciso ENEA Vincenzo (da un gruppo di fuoco composto da più
persone che gli hanno esploso diversi colpi di arma da fuoco alle spalle,
attingendolo in zone vitali del corpo e determinandone l'immediato decesso)
dinanzi al suo “Village Bungalow” mentre si recava al lavoro, era un
chiaro messaggio lanciato dalla mafia a tutti coloro che operavano nel settore,
come punizione dell'imprenditore ribelle.
Dunque
– lo si ribadisce - non ha fondamento logico, né é conforme al contenuto del
fascicolo processuale quanto sostenuto nell'appello dove si sostiene che i
familiari di ENEA Vincenzo e, soprattutto, il figlio Pietro non avessero avuto
timore della situazione (pag. 26 appello).
Le
predette dichiarazioni di ENEA Pietro sono state complessivamente confermate in
sede di rogatoria internazionale effettuata a New York l'8.2.2011 alla presenza
del Dott. Antonino INGROIA.
In
sostanza, la sentenza di primo grado ha valorizzato le precise, puntuali, coerenti
e per nulla tardive dichiarazioni rilasciate da ENEA Pietro (lo stesso delitto
di omicidio aggravato non é soggetto a prescrizione), ma anzi giustificate da
una serie di eventi, tra i quali la stessa carcerazione di BRUNO Francesco,
nonché le dichiarazioni degli altri familiari, risultano un coacervo di apporti
conoscitivi proteso unitariamente alla cementificazione della prova contro
l'unico responsabile individuato dell'orrendo crimine.
Di
talché detti apporti, unitamente alla ricostruzione operata dai collaboratori
di giustizia, esaminati e valutati nella sentenza di primo grado alla stregua
degli orientamenti prevalenti e costanti della giurisprudenza del Supremo
Collegio, hanno determinato correttamente la condanna dell'imputato per il
delitto di omicidio aggravato.
2)
Il contributo essenziale dei collaboratori di giustizia, sia in ordine alla
ricostruzione dei fatti che con riferimento all'individuazione certa di BRUNO
Francesco tra gli autori dell'omicidio aggravato di ENEA Vincenzo.
La
sentenza gravata opera, altresì, una valutazione sistematica e scientifica
degli apporti dei vari collaboratori di giustizia circa la ricostruzione del
grave fatto di sangue e l'individuazione di uno dei responsabili, seguendo gli
indirizzi ormai consolidati della giurisprudenza di legittimità e di merito in
materia di valutazione della prova con riguardo alle dichiarazioni rese dai
coimputati del medesimo reato ovvero di reati connessi o collegati, ai sensi
dell'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p..
Dunque,
il materiale raccolto é stato valutato dal giudice alla stregua di tali
principi giurisprudenziali riguardanti: ora il valore di prova delle
dichiarazioni del coimputato nel medesimo reato
(o da persona imputata in un procedimento connesso o collegato od
imputata nei casi di cui all'art. 371, comma II, lett. b c.p.p) aventi valore
di prova ma necessarie per il giudizio di attendibilità sui riscontri esterni
(SS.UU n. 1048 del 119-ric. Scala ed altri); ora di valutazione della
credibilità soggettiva del dichiarante mediante valutazione della sua
personalità, delle sue condizioni socio-economiche e familiari, dei suoi
rapporti con i soggetti accusati, delle ragioni della decisione di confessare
ed accusare altri etc...; ora di valutazione della confessione del chiamante in
correità che in assenza di elementi contrari, rappresenta un certo indizio di
sincerità e di genuinità, specie se correlato al ruolo ricoperto nella
consumazione dell'illecito; ora il disinteresse che va valutato non come
generale assenza di scopi, ma come indifferenza rispetto alla posizione
processuale del soggetto accusato.
Pertanto,
il GUP del Tribunale di Palermo ha verificato puntualmente la presenza di tutti
i sopra citati elementi ai fini della valutazione delle dichiarazione dei
collaboratori di giustizia, giungendo all'affermazione di penale responsabilità
dell'unico imputato.
I
motivi della sentenza hanno anche affrontato il tema dei parametri e dei
criteri di valutazione della reciproca attendibilità, nel caso di coesistenza e
convergenza di fonti propalatorie, dovendosi procedere a valorizzarne la
contestualità, l'autonomia, la reciproca sconoscenza, la convergenza almeno
sostanziale, tanto più cospicua quanto più i racconti siano ricchi di contenuti
descrittivi, ed in genere, di tutti quegli elementi idonei ad escludere
fraudolente concertazioni ed a conferire a ciascuna chiamata i tranquillizzanti
connotati della autonomia, indipendenza ed originalità … arrivando a sostenere
che eventuali discordanze su alcuni punti possono, in casi congrui, addirittura
attestare l'autonomia delle varie propalazioni in quanto “fisiologicamente
assorbibili in quel margine di disarmonia normalmente presente nel raccordo tra
più elementi rappresentativi (cfr. Cass., Sez. I, 30.1.1992 n. 80).
In sostanza, se nei diversi
racconti dello stesso fatto emergono degli elementi secondari dissonanti, restando stabile in
nucleo principale del racconto, questi attestano ancor di più la genuinità e
l'autonomia del singolo apporto conoscitivo del collaboratore di giustizia.
Analogamente, dicasi con
riguardo alle ipotesi di testimonianze de relato dei collaboratori di
giustizia (cioè per episodi appresi non per diretta conoscenza ma dal racconto
di soggetti terzi) che, di per sé valida, esige un più rigoroso controllo
dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca secondo l'orientamento prevalente
del Supremo Collegio (Cass. Sez. IV sent. n. 4727 del 1996, ric. Imparato).
Il Giudice di prime cure,
pertanto, ha provveduto a valutare con i criteri illustrati, ai sensi dell'art.
192, commi 3 e 4 c.p.p., le dichiarazioni di MUTOLO Gaspare,
di ONORATO Francesco e di NAIMO Rosario.
I predetti
collaboratori di giustizia, tutti appartenenti all'organizzazione criminale
denominata “Cosa Nostra” ognuno con ruoli distinti ed autonomi, considerati
attendibili perché ritenuti affidabili anche in altri processi di mafia risolti
con l'individuazione certa dei mandanti e degli esecutori, hanno raccontato
dell'omicidio del povero ENEA Vincenzo, secondo il differente angolo
prospettico dal quale hanno appreso la notizia.
La sentenza ha
argomentato anche circa la contaminazione delle fonti cioè la possibilità di
versioni concordate tra i tre collaboratori di giustizia, escludendola: in
primis visto il differente contesto storico in cui i tre individui hanno
appreso dell'omicidio e, in secondo luogo, perché la stessa difesa
dell'imputato non ha mai avanzato tale sospetto (aggiunge questa difesa,
neppure nell'atto di appello).
MUTOLO Gaspare, la cui
caratura di collaboratore di giustizia e la cui attendibilità sono note a
livello nazionale, riferisce di aver appreso circa le indicazioni dell'omicidio
che sarà perpetrato l'indomani dalla viva voce dei soggetti che hanno
partecipato alla fase ideativa ed esecutiva (RICCOBONO Rosario, MICALIZZI
Salvatore) nella villa del primo.
ONORATO Francesco, anch'egli affiliato a “Cosa
Nostra” alla fine del 1980, restando inserito nel sodalizio fino al 1993, data
del suo arresto, ha contribuito a far raggiungere importantissimi elementi di
conoscenza in ordine a centinaia di omicidi di mafia, compreso l'omicidio di
Salvo LIMA, che hanno trovato conferma in numerosi altri collaboratori di
giustizia.
In tale posizione egli
é stato anche il reggente della famiglia di Partanna Mondello, dopo la
soppressione di RICCOBONO Rosario e MICALIZZI Salvatore.
Per quanto riguarda
l'omicidio di ENEA, il collaboratore
riferisce di confidenze fattegli, successivamente all'omicidio, da
RICCOBONO Rosario, ossia di colui che ha dato l'autorizzazione alla esecuzione.
NAIMO Rosario, ha confessato
di essere stato affiliato a “Cosa Nostra” sin dal 1965 nella famiglia mafiosa
di Tommaso Natale, ricompresa nel mandamento con Isola delle Femmine, Partanna
Mondello e San Lorenzo.
NAIMO ha spiegato che
al medesimo mandamento furono aggregate anche Carini e Capaci e che quel
mandamento , sin dal 1983, era stato comandato da RICCOBONO Rosario, poi eliminato da “Cosa
Nostra” per volontà di RIINA Salvatore.
Chiarisce il suo ruolo
nell'organizzazione come referente dell'ala corleonese con compiti di coordinamento
anche tra famiglie mafiose italiane e americane.
Per quanto concerne
l'omicidio dell'imprenditore ENEA ricorda le confidenze fattegli da RIINA
Salvatore, capo dei corleonesi, in una riunione nel 1985 presso la villa di La
BARBERA Angelo in Passo di Rigano ed in parte da confidenze fattegli da TROJA
Antonino nel 1989.
Circostanze tutte
accertate e ritenute corrispondenti al vero da parte della Procura Nazionale
Antimafia.
I motivi della sentenza
sottolineano l'esistenza di “reti comunicative e modalità di conoscenza dei
fatti tra loro autonome e indipendenti, in quanto strettamente correlati ai
percorsi criminali dei tre soggetti poi divenuti collaboratori di giustizia” aggiungendo
che “sul punto si rammenti che l'ipotesi di versioni concordate o di
altre forme di condizionamento fra i tre collaboratori non é stata neppure
dedotta dalle difese … per altro verso, invece le fonti da cui i tre hanno
appreso dei particolari in ordine all'omicidio in esame coinvolgono soggetti
con ruoli di vertice nell'organizzazione Cosa Nostra, che hanno partecipato
alla fase ideativa e preparatoria dell'azione delittuosa.
Di conseguenza il
valore probatorio delle dichiarazioni sopra illustrate va considerato alla luce
del vaglio pienamente positivo sulla attendibilità intrinseca dei contributi
conoscitivi di MUTOLO, ONORATO e NAIMO (pag.
39 sentenza GUP Palermo).
Pertanto, il materiale
probatorio presente nel fascicolo del PM migrato in quello del giudice a
seguito di ammissione a rito abbreviato, valutato alla stregua dei suddetti
orientamenti giurisprudenziali, anche alla luce delle indagini compiute dai
Carabinieri della Compagnia di Partinìco nei tempi immediatamente successivi al
delitto, unitamente alle dichiarazioni del figlio Pietro ENEA, testimone
oculare del commando omicida e delle fasi immediatamente e successive
all'omicidio, nonché degli altri familiari, vittime anch'essi del reato, si
saldano in modo indissolubile tra di loro determinando l'accertamento della
responsabilità di BRUNO Francesco, al di là di ogni ragionevole dubbio, per il
delitto per cui é processo.
L'appello, oltre ad una
generica critica basata su differenti elementi secondari del racconto (poiché
il nucleo principale é rimasto costante e coerente nelle versioni dei tre
collaboratori di giustizia e si salda perfettamente con il racconto di ENEA
PIETRO), compatibili con quanto sostenuto dalla Cassazione in tema di eventuali discordanze su alcuni punti che
possono, in casi congrui, addirittura attestare l'autonomia delle varie
propalazioni in quanto “fisiologicamente assorbibili in quel margine di
disarmonia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi
(cfr. Cass., Sez. I, 30.1.1992 n. 80), non é riuscito a motivare la
coerenza del racconto dei tre collaboratori di giustizia e di ENEA Pietro sulla
presenza in loco di BRUNO Francesco.
Perché una delle
vittime (ENEA Pietro) che aveva visto sicuramente l'assassino del padre (vedasi
rapporto dei Carabinieri di Partinico pagg. 11 e 12), venuta meno la paura o
meglio le condizioni per temere ancora per la propria vita e quella dei propri
cari, avrebbe dovuto indicare una persona diversa ed estranea ai fatti?
Perché, inoltre, i tre
collaboratori di giustizia ritenuti pienamente attendibili per gli apporti
determinanti che hanno risolto numerosi altri processi di mafia individuandone
esecutori e mandanti e membri attivi dell'organizzazione al momento del fatto,
avrebbero dovuto indicare una persona assolutamente estranea, raccontando il
medesimo evento con coerenza e costanza, anche se da angoli prospettici
differenti?
Ed infine, come mai le
dichiarazioni di questi ultimi, connotate dai caratteri e dai principi vergati
dalla costante giurisprudenza del Supremo Collegio, si sono saldate appieno con
quelle dell'unico testimone oculare ENEA Pietro, se non é stata mai nemmeno
paventata alcuna ipotesi di contaminazione delle fonti o di versioni concordate
tra i predetti?
Tutto ciò é rimasto
irrisolto nei motivi di appello.
3) Sul riconoscimento
alle parti civili costituite del risarcimento del danno e della concessione
della provvisionale immediatamente esecutiva.
Corretta e conforme al
diritto appare la decisione del GUP del Tribunale di Palermo di condannare
l'imputato al risarcimento dei danni patrimoniali ed extra-patrimoniali verso tutti
coloro che abbiano subìto un perturbamento dall'evento sia a cagione del trauma
affettivo patito, con tutte le implicazioni derivatene, spettando il relativo
diritto a chi di ragione iure proprio (cfr. Cass. 1987/6672).
E, dunque, appare
estremamente corretto l'aver condannato il responsabile del misfatto al
risarcimento del danno, rinviando l'accertamento del quantum totale connesso al pregiudizio
economico subìto dalle parti civili ad un successivo procedimento civile.
Appare, altresì,
corretto l'aver emesso condanna al pagamento di una provvisionale
immediatamente esecutiva di € 100.000,00
per ciascuna delle parti civili costituite, ritenendo in questi limiti
già raggiunta la prova del danno inflitto.
Alla luce di quanto
sopra, rispettosamente chiedo all'Ecc.ma Prima Sezione della Corte d'Assise
d'Appello di Palermo, dopo aver letto le conclusioni depositate dal mio
sostituto processuale ex art. 102 c.p.p., il Preg.mo Avv. Giuseppe Marchì, di
confermare in ogni sua parte la sentenza
impugnata con condanna dell'appellante alle ulteriori spese del giudizio
di secondo grado, come da allegata notula.
Con profondo ossequio.
La Spezia-Palermo, 20 ottobre 2014
Avv. Luigi PACE
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