Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

domenica 29 marzo 2015

ENEA PIETRO MEMORIA AL PROCESSO IN CORTE ASSISE APPELLO PALERMO 19 FEBBRAIO 2015 MEM.121CPP.CORTE ASSISE PALERMO ENEA

CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI PALERMO

SEZIONE PRIMA
* * * * * * * * * *
MEMORIA EX ART. 121 C.P.P.

Onorevole Presidente, Onorevole Giudice a latere ed Onorevoli Giudici Popolari della Prima Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo,

in qualità di difensore della parte civile ritualmente costituita Sig. Pietro ENEA, nato a Isola delle Femmine (PA) il 2 gennaio 1961 e residente in New Rochelle – New York (USA) 6 Inwood Place, elettivamente domiciliato presso lo studio dello scrivente difensore in La Spezia, Viale Italia n. 94 Torre A, nel procedimento penale n. n. 4484/10 R.G.N.R. (N. 11191/10 R.G. G.I.P.), nei confronti di Francesco BRUNO, nato a Isola delle Femmine (PA) il 27.05.1951 allo stato detenuto per altra causa presso la Casa di Reclusione di Milano “Opera”, imputato:
 “del delitto p. e p. dagli artt. 110, 61 n. 6, 575, 577 n. 3, per avere, in concorso e previo accordo con altri soggetti per i quali non sono stati raggiunti sufficienti elementi di responsabilità, ciascuno consapevole dei contributi rispettivamente apportati dagli altri convergenti verso il medesimo fine, con premeditazione, cagionava la morte di ENEA Vincenzo, all'indirizzo del quale erano esplosi diversi colpi arma da fuoco che lo attingevano in parti vitali del corpo, determinandone l'immediato decesso.
Con l'aggravante di aver commesso il fatto durante il periodo di latitanza in relazione al mandato di cattura n. 2/82 emesso dal Giudice Istruttore.
Con la recidiva specifica,
In Isola delle Femmine il 8.6.1982”
e condannato dal GUP presso il Tribunale di Palermo, a seguito di ammissione a rito abbreviato, con sentenza n. 864/13 Reg. Sent. del 22 maggio 2013, depositata in cancelleria il 14.10.13 alla pena di ANNI TRENTA DI RECLUSIONE oltre al pagamento delle spese processuali, per il delitto di cui al capo imputazione;
la citata sentenza ha condannato il BRUNO alla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, dichiarandolo in stato di interdizione legale;
lo ha condannato, altresì, al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separato giudizio civile, nonché al pagamento delle spese legali nei confronti delle parti civili.
Ai sensi dell'art. 539 c.p.p. ha condannato BRUNO Francesco al pagamento della somma di € 100.000,00 per ciascuna delle parti civili costituite a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva;
-                     letti i motivi d'appello presentati dalla difesa avverso la predetta sentenza, mi pregio significare quanto segue.

L'appello é infondato in fatto e diritto e deve essere rigettato per i seguenti motivi.


1) Il fondamentale contributo  di ENEA Pietro ai primi accertamenti, allo sviluppo delle indagini ed alla individuazione certa di uno dei responsabili dell'omicidio di suo padre, evidenziato nella sentenza di condanna. Gli apporti conoscitivi degli altri familiari indispensabili per il consolidamento dei dati emersi.

Il provvedimento giudiziale del GUP di Palermo, che ha condannato il BRUNO Francesco per il delitto di cui al capo di imputazione, é un  coerente , raffinato ed approfondito compendio logico-argomentativo, perfettamente motivato secondo i princìpi sanciti dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, e ricostruente in modo certo ed indiscutibile la dinamica dell'omicidio del povero Vincenzo Enea, maturato nel più ampio contesto storico-sociale dell'organizzazione criminale denominata “Cosa Nostra”, agli inizi degli anni '80.
Il Giudice di prime cure, a seguito della richiesta dell'imputato di procedere a rito abbreviato ed alla conseguente ammissione del medesimo a tale rito, ha avuto modo di  analizzare sistematicamente tutti i documenti presenti nel fascicolo del PM per addivenire alla sentenza di condanna dell'imputato.
L'iter logico-giuridico seguìto dal giudice di primo grado é consistito nella raccolta degli elementi di responsabilità emersi a carico del condannato e nella valutazione degli stessi nei limiti e con i criteri vergati dalla giurisprudenza della Suprema  Corte in tema  di: dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia; circa la valenza della prova de relato; sugli interessi che potessero avere i collaboratori di giustizia nella fattispecie per cui é processo; sulla persistenza, attendibilità e costanza delle loro propalazioni; sull'attendibilità delle fonti da cui avevano appreso la notizia.
Il GUP, in seguito, ha passato in rassegna le dichiarazioni di ENEA Pietro, figlio della vittima, testimone degli avvenimenti prossimi e successivi alla morte del padre, unitamente a quelle degli altri familiari, anch'essi vittime del gravissimo fatto di sangue, che hanno narrato sulle circostanze inerenti l'omicidio del loro congiunto.
Inoltre, nella motivazioni della sentenza, é stato anche analizzato il contesto storico-sociale e criminale in cui é maturato il delitto: infatti proprio in quegli anni si era verificato un salto di qualità dell'organizzazione denominata “Cosa Nostra” con  il passaggio dalla “mafia tradizionale” alla “nuova mafia”, con l'espansione degli interessi dal mondo agricolo, ormai in decadenza, verso il settore edilizio legato al fenomeno dell'urbanizzazione, in forte crescita.
L'omicidio di Vincenzo ENEA si colloca perfettamente in tale contesto, poiché conseguenza della condotta riottosa del coraggioso imprenditore edile, contrario  alla logica prevaricatrice della IMMOBILIARE BBP (impresa mafiosa confinante, tra i cui soci vi era POMIERO Giuseppe, le cui indagini della DDA hanno confermato appartenere al contesto del crimine organizzato) ed alla circostanza che tale ritrosìa non poteva essere tollerata dal capo-mafia della zona RICCOBONO Rosario, interessato ad imporre la sua supremazia sul territorio.
Già nel rapporto giudiziario del 26 ottobre 1982 (richiamato in sentenza come facente parte dei primi accertamenti sull'omicidio di ENEA Vincenzo) i Carabinieri della Compagnia di Partinìco bollavano il delitto come omicidio di mafia, benché il costruttore Vincenzo ENEA non fosse appartenente ad ambienti mafiosi, poiché le indagini avevano evidenziato un muro di omertà da parte di tutti i testimoni escussi a sommarie informazioni, compreso il figlio della vittima ENEA Pietro, nei cui confronti il giudizio dei militari dell'Arma era di certa conoscenza della verità, ma della scelta del  silenzio per  proteggere i familiari.
Nello stesso rapporto si arrivava a preconizzare che “L'unico che potrebbe dare un valido contributo alle investigazioni é il figlio Pietro, infatti é lui che collabora il padre in tutte le sue attività e con lui passava anche il tempo libero nel comune hobby della pesca. Sicuramente Pietro ha riconosciuto qualcuno a bordo della Fiat 124 bianca, ma ora ha paura di parlare. A caldo, anche se rifiutò di verbalizzare quanto dichiarato, diede una chiara e completa descrizione di uno degli individui che prendevano posto sull'auto in quella tragica mattina di giugno e sicuramente coinvolti nella tragica fine del padre... Poi meditando forse su quanto aveva dichiarato, ritrattava tutto... ENEA Pietro è sicuramente straziato dal dolore per la perdita del padre, ma é sorretto dalla speranza di non nuocere agli altri componenti la sua famiglia, che sa indifesi ed in balìa di chi potrebbe in ogni momento colpirli. Forse questo timore più di ogni altra cosa lo ha fatto chiudere nel suo riserbo, facendogli chinare la testa ed abbandonare la lotta” (fogli 11° e 12° del rapporto citato).
Le considerazioni espresse nel verbale dei Carabinieri di Partinico, a seguito della scelta del rito abbreviato, sono state acquisite al fascicolo  processuale e sono state correttamente utilizzate dal GUP di Palermo per la decisione.
Pietro ENEA, subito dopo la morte del padre, rilasciò agli inquirenti dichiarazioni contrastanti circa l'esatta identificazione degli autori dell'omicidio, giustificate dal timore per sé e per i propri familiari, di essere vittima di ritorsioni e/o vendette.
In sostanza, egli  avrebbe voluto rivelare l'esatta identità di uno degli assassini del padre, da lui perfettamente riconosciuto in quanto facente parte degli occupanti l'autovettura che pochi minuti prima dell'omicidio si trovava nei pressi del “Village Bungalow”, ma poi sviava le indagini per la paura fondata di ritorsioni contro i familiari.
Pietro ENEA, però,  intraprese subito ricerche ed indagini personali per arrivare a scoprire tutti gli autori del misfatto ma, man mano che si avvicinava alla verità, le persone con cui aveva contatti o sparivano (come i fratelli LO CICERO Giovanni e Salvatore, effettivamente vittime di “lupara bianca” e dichiarati scomparsi con denuncia sporta il 3.8.1984) o si sottraevano impauriti alle domande, alimentando quel muro di omertà già descritto dai Carabinieri.
Dopo aver resistito qualche tempo e dopo una telefonata anonima ricevuta dalla sorella Maria Teresa e diretta alla madre CATALDO Giuseppa, contenente una esplicita minaccia di morte (“Pronto c'é la mamma?...signora ci dica a suo figlio Pietro che finisca di scavare altrimenti gli facciamo fare la stessa fine di suo padre”), ENEA Pietro si allontanava da Isola delle Femmine alla volta degli U.S.A., dove tuttora risiede.
Quest'ultimo invero dopo svariati anni, in uno degli sporadici rientri in Italia, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 9 maggio 2000 presso gli Uffici della Polizia di Roma (in una località protetta), affermava  di essersi deciso a raccontare quanto a sua conoscenza circa l'omicidio del padre “in considerazione della buona situazione giudiziaria che c'é oggi in Italia” (intendendo con tale affermazione che gli equilibri mafiosi nel frattempo erano radicalmente mutati ed i capi delle cosche sanguinarie dei primi anni '80 erano stati quasi tutti individuati ed incarcerati, quindi si sentiva più sicuro), e ricostruiva ciò che aveva visto personalmente la mattina dell'omicidio del padre, indicando senza ombra di dubbio come occupante l'autovettura Fiat 124 beige ferma alle 7.30 del mattino dell'8 giugno 1982 davanti al “Village Bungalow,” BRUNO Francesco, perché lo conosceva personalmente in quanto suo vicino di casa e fratello di un suo amico.
Specificava in tale occasione Pietro ENEA di non aver riferito prima ai carabinieri della presenza di BRUNO nel commando omicida per timore di subire ritorsioni in considerazione del fatto che costui era latitante e già ricercato per altri omicidi.
Inoltre, nello stesso verbale delle dichiarazioni reso il 9 maggio 2000, ENEA Pietro si intratteneva a parlare diffusamente del movente dell'omicidio del padre, fondato sui contrasti emersi tra la posizione di imprenditore edile del genitore e la IMMOBILIARE BBP facente capo ad alcuni parenti dell'odierno appellante (BRUNO Giovanni e BRUNO Pietro) ed, inoltre, a POMIERO Giuseppe che aveva costruito un grosso compendio immobiliare denominato “Costa Corsara”, limitrofo alle palazzine costruite da ENEA Vincenzo.
In tale occasione, ENEA Pietro riferì che il padre, benché più volte pressato, rifiutò sempre di far entrare nella propria ditta  BRUNO Francesco come socio occulto.
A seguito di questo rifiuto e dei contrasti con la BBP, ENEA Vincenzo subì diversi atti di ritorsione come l'incendio del “Village Bungalow”, il pestaggio del cane da guardia, il danneggiamento di materiale edile, nonché l'incendio del magazzino.
E' a questo punto che ENEA Vincenzo decise di stringere amicizia con i fratelli D'AGOSTINO di Partanna Mondello ed in particolare con Benedetto, al quale diede in affitto un bungalow ed al quale propose di cresimare il figlio Riccardo.
Il D'AGOSTINO, secondo il racconto di Pietro, tentò una mediazione tra ENEA Vincenzo e la IMMOBILIARE BBP, mediante l'intervento del noto boss RICCOBONO Rosario.
Ma detta mediazione non andò a buon fine in quanto il D'AGOSTINO subì dapprima atti di danneggiamento presso la villa a Sferracavallo ed in seguito venne ucciso, qualche giorno prima di ENEA Vincenzo.
La sentenza del GUP presso il Tribunale di Palermo si dilunga diffusamente sul movente dell'omicidio di ENEA Vincenzo, ricostruendo precisamente sulla base degli atti prodotti dalla Procura Antimafia di Palermo, i contrasti e gli interessi opposti insorti sul terreno di proprietà della vittima con l'IMMOBILIARE BBP di BRUNO Giovanni, BRUNO Pietro e POMIERO Giuseppe, costruttrice del complesso immobiliare limitrofo denominato “Costa Corsara”.
Dunque, le affermazioni contenute più volte nei motivi dell'appello del BRUNO secondo cui sia  ENEA Pietro che sua sorella Maria Teresa avrebbero lasciato l'Italia alla volta degli U.S.A. non per paura o per timore di subire ritorsioni, ma esclusivamente per una scelta libera e consapevole, appare  incongruente ed infondata.
Esse affermazioni non prendono assolutamente in considerazione gli atti processuali e l'opprimente ambiente in cui vivevano i familiari del defunto ENEA Vincenzo, dopo la morte dello stesso, ed in generale lo stato di paura determinato dalla violenza delle cosche che volevano prepotentemente ed arrogantemente entrare nel campo dell'edilizia, attratte dai maggiori interessi economici che ruotavano nel settore.
Il modo in cui é stato ucciso ENEA Vincenzo (da un gruppo di fuoco composto da più persone che gli hanno esploso diversi colpi di arma da fuoco alle spalle, attingendolo in zone vitali del corpo e determinandone l'immediato decesso) dinanzi al suo “Village Bungalow” mentre si recava al lavoro, era un chiaro messaggio lanciato dalla mafia a tutti coloro che operavano nel settore, come  punizione dell'imprenditore  ribelle.
Dunque – lo si ribadisce - non ha fondamento logico, né é conforme al contenuto del fascicolo processuale quanto sostenuto nell'appello dove si sostiene che i familiari di ENEA Vincenzo e, soprattutto, il figlio Pietro non avessero avuto timore della situazione (pag. 26 appello).
Le predette dichiarazioni di ENEA Pietro sono state complessivamente confermate in sede di rogatoria internazionale effettuata a New York l'8.2.2011 alla presenza del Dott. Antonino INGROIA.
In sostanza, la sentenza di primo grado ha valorizzato le precise, puntuali, coerenti e per nulla tardive dichiarazioni rilasciate da ENEA Pietro (lo stesso delitto di omicidio aggravato non é soggetto a prescrizione), ma anzi giustificate da una serie di eventi, tra i quali la stessa carcerazione di BRUNO Francesco, nonché le dichiarazioni degli altri familiari, risultano un coacervo di apporti conoscitivi proteso unitariamente alla cementificazione della prova contro l'unico responsabile individuato dell'orrendo crimine.
Di talché detti apporti, unitamente alla ricostruzione operata dai collaboratori di giustizia, esaminati e valutati nella sentenza di primo grado alla stregua degli orientamenti prevalenti e costanti della giurisprudenza del Supremo Collegio, hanno determinato correttamente la condanna dell'imputato per il delitto di omicidio aggravato.


2) Il contributo essenziale dei collaboratori di giustizia, sia in ordine alla ricostruzione dei fatti che con riferimento all'individuazione certa di BRUNO Francesco tra gli autori dell'omicidio aggravato di ENEA Vincenzo.

La sentenza gravata opera, altresì, una valutazione sistematica e scientifica degli apporti dei vari collaboratori di giustizia circa la ricostruzione del grave fatto di sangue e l'individuazione di uno dei responsabili, seguendo gli indirizzi ormai consolidati della giurisprudenza di legittimità e di merito in materia di valutazione della prova con riguardo alle dichiarazioni rese dai coimputati del medesimo reato ovvero di reati connessi o collegati, ai sensi dell'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p..
Dunque, il materiale raccolto é stato valutato dal giudice alla stregua di tali principi giurisprudenziali riguardanti: ora il valore di prova delle dichiarazioni del coimputato nel medesimo reato  (o da persona imputata in un procedimento connesso o collegato od imputata nei casi di cui all'art. 371, comma II, lett. b c.p.p) aventi valore di prova ma necessarie per il giudizio di attendibilità sui riscontri esterni (SS.UU n. 1048 del 119-ric. Scala ed altri); ora di valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante mediante valutazione della sua personalità, delle sue condizioni socio-economiche e familiari, dei suoi rapporti con i soggetti accusati, delle ragioni della decisione di confessare ed accusare altri etc...; ora di valutazione della confessione del chiamante in correità che in assenza di elementi contrari, rappresenta un certo indizio di sincerità e di genuinità, specie se correlato al ruolo ricoperto nella consumazione dell'illecito; ora il disinteresse che va valutato non come generale assenza di scopi, ma come indifferenza rispetto alla posizione processuale del soggetto accusato.
Pertanto, il GUP del Tribunale di Palermo ha verificato puntualmente la presenza di tutti i sopra citati elementi ai fini della valutazione delle dichiarazione dei collaboratori di giustizia, giungendo all'affermazione di penale responsabilità dell'unico imputato.
I motivi della sentenza hanno anche affrontato il tema dei parametri e dei criteri di valutazione della reciproca attendibilità, nel caso di coesistenza e convergenza di fonti propalatorie, dovendosi procedere a valorizzarne la contestualità, l'autonomia, la reciproca sconoscenza, la convergenza almeno sostanziale, tanto più cospicua quanto più i racconti siano ricchi di contenuti descrittivi, ed in genere, di tutti quegli elementi idonei ad escludere fraudolente concertazioni ed a conferire a ciascuna chiamata i tranquillizzanti connotati della autonomia, indipendenza ed originalità … arrivando a sostenere che eventuali discordanze su alcuni punti possono, in casi congrui, addirittura attestare l'autonomia delle varie propalazioni in quanto “fisiologicamente assorbibili in quel margine di disarmonia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi (cfr. Cass., Sez. I, 30.1.1992 n. 80).
In sostanza, se nei diversi racconti dello stesso fatto emergono degli elementi   secondari dissonanti, restando stabile in nucleo principale del racconto, questi attestano ancor di più la genuinità e l'autonomia del singolo apporto conoscitivo del collaboratore di giustizia.
Analogamente, dicasi con riguardo alle ipotesi di testimonianze de relato dei collaboratori di giustizia (cioè per episodi appresi non per diretta conoscenza ma dal racconto di soggetti terzi) che, di per sé valida, esige un più rigoroso controllo dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca secondo l'orientamento prevalente del Supremo Collegio (Cass. Sez. IV sent. n. 4727 del 1996, ric. Imparato).
Il Giudice di prime cure, pertanto, ha provveduto a valutare con i criteri illustrati, ai sensi dell'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p., le dichiarazioni di MUTOLO  Gaspare,  di ONORATO Francesco e di NAIMO Rosario.
I predetti collaboratori di giustizia, tutti appartenenti all'organizzazione criminale denominata “Cosa Nostra” ognuno con ruoli distinti ed autonomi, considerati attendibili perché ritenuti affidabili anche in altri processi di mafia risolti con l'individuazione certa dei mandanti e degli esecutori, hanno raccontato dell'omicidio del povero ENEA Vincenzo, secondo il differente angolo prospettico dal quale hanno appreso la notizia.
La sentenza ha argomentato anche circa la contaminazione delle fonti cioè la possibilità di versioni concordate tra i tre collaboratori di giustizia, escludendola: in primis visto il differente contesto storico in cui i tre individui hanno appreso dell'omicidio e, in secondo luogo, perché la stessa difesa dell'imputato non ha mai avanzato tale sospetto (aggiunge questa difesa, neppure nell'atto di appello).
MUTOLO Gaspare, la cui caratura di collaboratore di giustizia e la cui attendibilità sono note a livello nazionale, riferisce di aver appreso circa le indicazioni dell'omicidio che sarà perpetrato l'indomani dalla viva voce dei soggetti che hanno partecipato alla fase ideativa ed esecutiva (RICCOBONO Rosario, MICALIZZI Salvatore) nella villa del primo.
ONORATO  Francesco, anch'egli affiliato a “Cosa Nostra” alla fine del 1980, restando inserito nel sodalizio fino al 1993, data del suo arresto, ha contribuito a far raggiungere importantissimi elementi di conoscenza in ordine a centinaia di omicidi di mafia, compreso l'omicidio di Salvo LIMA, che hanno trovato conferma in numerosi altri collaboratori di giustizia.
In tale posizione egli é stato anche il reggente della famiglia di Partanna Mondello, dopo la soppressione di RICCOBONO Rosario e MICALIZZI Salvatore.
Per quanto riguarda l'omicidio di ENEA, il collaboratore  riferisce di confidenze fattegli, successivamente all'omicidio, da RICCOBONO Rosario, ossia di colui che ha dato l'autorizzazione alla esecuzione.
NAIMO Rosario, ha confessato di essere stato affiliato a “Cosa Nostra” sin dal 1965 nella famiglia mafiosa di Tommaso Natale, ricompresa nel mandamento con Isola delle Femmine, Partanna Mondello e San Lorenzo.
NAIMO ha spiegato che al medesimo mandamento furono aggregate anche Carini e Capaci e che quel mandamento , sin dal 1983, era stato comandato da  RICCOBONO Rosario, poi eliminato da “Cosa Nostra” per volontà di RIINA Salvatore.
Chiarisce il suo ruolo nell'organizzazione come referente dell'ala corleonese con compiti di coordinamento anche tra famiglie mafiose italiane e americane.
Per quanto concerne l'omicidio dell'imprenditore ENEA ricorda le confidenze fattegli da RIINA Salvatore, capo dei corleonesi, in una riunione nel 1985 presso la villa di La BARBERA Angelo in Passo di Rigano ed in parte da confidenze fattegli da TROJA Antonino nel 1989.
Circostanze tutte accertate e ritenute corrispondenti al vero da parte della Procura Nazionale Antimafia.
I motivi della sentenza sottolineano l'esistenza di “reti comunicative e modalità di conoscenza dei fatti tra loro autonome e indipendenti, in quanto strettamente correlati ai percorsi criminali dei tre soggetti poi divenuti collaboratori di giustizia” aggiungendo che “sul punto si rammenti che l'ipotesi di versioni concordate o di altre forme di condizionamento fra i tre collaboratori non é stata neppure dedotta dalle difese … per altro verso, invece le fonti da cui i tre hanno appreso dei particolari in ordine all'omicidio in esame coinvolgono soggetti con ruoli di vertice nell'organizzazione Cosa Nostra, che hanno partecipato alla fase ideativa e preparatoria dell'azione delittuosa.
Di conseguenza il valore probatorio delle dichiarazioni sopra illustrate va considerato alla luce del vaglio pienamente positivo sulla attendibilità intrinseca dei contributi conoscitivi di MUTOLO, ONORATO e NAIMO (pag. 39 sentenza GUP Palermo).
Pertanto, il materiale probatorio presente nel fascicolo del PM migrato in quello del giudice a seguito di ammissione a rito abbreviato, valutato alla stregua dei suddetti orientamenti giurisprudenziali, anche alla luce delle indagini compiute dai Carabinieri della Compagnia di Partinìco nei tempi immediatamente successivi al delitto, unitamente alle dichiarazioni del figlio Pietro ENEA, testimone oculare del commando omicida e delle fasi immediatamente e successive all'omicidio, nonché degli altri familiari, vittime anch'essi del reato, si saldano in modo indissolubile tra di loro determinando l'accertamento della responsabilità di BRUNO Francesco, al di là di ogni ragionevole dubbio, per il delitto per cui é processo.
L'appello, oltre ad una generica critica basata su differenti elementi secondari del racconto (poiché il nucleo principale é rimasto costante e coerente nelle versioni dei tre collaboratori di giustizia e si salda perfettamente con il racconto di ENEA PIETRO), compatibili con quanto sostenuto dalla Cassazione in tema di eventuali discordanze su alcuni punti che possono, in casi congrui, addirittura attestare l'autonomia delle varie propalazioni in quanto “fisiologicamente assorbibili in quel margine di disarmonia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi (cfr. Cass., Sez. I, 30.1.1992 n. 80), non é riuscito a motivare la coerenza del racconto dei tre collaboratori di giustizia e di ENEA Pietro sulla presenza in loco di BRUNO Francesco.
Perché una delle vittime (ENEA Pietro) che aveva visto sicuramente l'assassino del padre (vedasi rapporto dei Carabinieri di Partinico pagg. 11 e 12), venuta meno la paura o meglio le condizioni per temere ancora per la propria vita e quella dei propri cari, avrebbe dovuto indicare una persona diversa ed estranea ai fatti?
Perché, inoltre, i tre collaboratori di giustizia ritenuti pienamente attendibili per gli apporti determinanti che hanno risolto numerosi altri processi di mafia individuandone esecutori e mandanti e membri attivi dell'organizzazione al momento del fatto, avrebbero dovuto indicare una persona assolutamente estranea, raccontando il medesimo evento con coerenza e costanza, anche se da angoli prospettici differenti?
Ed infine, come mai le dichiarazioni di questi ultimi, connotate dai caratteri e dai principi vergati dalla costante giurisprudenza del Supremo Collegio, si sono saldate appieno con quelle dell'unico testimone oculare ENEA Pietro, se non é stata mai nemmeno paventata alcuna ipotesi di contaminazione delle fonti o di versioni concordate tra i predetti?
Tutto ciò é rimasto irrisolto nei motivi di appello.


3) Sul riconoscimento alle parti civili costituite del risarcimento del danno e della concessione della provvisionale immediatamente esecutiva.

Corretta e conforme al diritto appare la decisione del GUP del Tribunale di Palermo di condannare l'imputato al risarcimento dei danni patrimoniali ed extra-patrimoniali verso tutti coloro che abbiano subìto un perturbamento dall'evento sia a cagione del trauma affettivo patito, con tutte le implicazioni derivatene, spettando il relativo diritto a chi di ragione iure proprio (cfr. Cass. 1987/6672).
E, dunque, appare estremamente corretto l'aver condannato il responsabile del misfatto al risarcimento del danno, rinviando l'accertamento del quantum  totale connesso al pregiudizio economico subìto dalle parti civili ad un successivo procedimento civile.
Appare, altresì, corretto l'aver emesso condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 100.000,00  per ciascuna delle parti civili costituite, ritenendo in questi limiti già raggiunta la prova del danno inflitto.
Alla luce di quanto sopra, rispettosamente chiedo all'Ecc.ma Prima Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo, dopo aver letto le conclusioni depositate dal mio sostituto processuale ex art. 102 c.p.p., il Preg.mo Avv. Giuseppe Marchì, di confermare in ogni sua parte la sentenza  impugnata con condanna dell'appellante alle ulteriori spese del giudizio di secondo grado, come da allegata notula.
Con profondo ossequio.
La Spezia-Palermo, 20 ottobre 2014
                                                                                  Avv. Luigi PACE

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