Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

domenica 29 marzo 2015

CATALDO LAURA E GIOROLAMA TAR PRESENTATO RICORSO 634 2000 SENTENZA 15032002 ACQUISIZIONE TERRENO VIA FAVAROTTA

CATALDO LAURA E GIOROLAMA TAR PRESENTATO RICORSO  634 2000 SENTENZA 15032002  ACQUISIZIONE TERRENO VIA FAVAROTTA




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REPUBBLICA ITALIANA
N. 1503-02 Reg. Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione Prima, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
N. 634 Reg. Gen.
ANNO 2000


sul ricorso n. 634/2000, proposto da CATALDO Laura e CATALDO Girolama, rappresentate e difese dall’avv.to Prof. Sergio Agrifoglio, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate in Palermo, via Brunetto Latini n. 34;
contro
il Comune di Isola delle Femmine, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio;
per la declaratoria
dell’avvenuta acquisizione da parte del Comune di Isola delle Femmine, per “accessione invertita“, di un terreno di proprietà delle ricorrenti esteso mq 250, mediante la realizzazione su di esso della locale via Favarotta, giusta delibera di G.M. n.62 del 4/02/1989;
e per la condanna
a)del predetto Comune, al risarcimento del danno illecito conseguente alla perdita del suindicato terreno, maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria dalla data di irreversibile trasformazione del fondo fino all’effettivo soddisfo, “oltre gli interessi sugli interessi scaduti, quantomeno a far data dalla presente domanda e fino all’effettivo soddisfo”;
b)dello stesso Comune, in sede cautelare, di una provvisionale pari ad almeno il 50% del danno sofferto;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Designato relatore alla pubblica udienza del 07/05/2002 il Consigliere Cosimo Di Paola:
Udito l’avv.to Marcello Rizzo – delegato dall’avv.to S. Agrifoglio - per le ricorrenti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale notificato il 19/2/2000 e depositato il 9/3/2000, Cataldo Laura e Girolama, espongono che per l’ampliamentoE LA SISTEMAZIONE della via Favarotta, nel Comune di Isola delle Femmine, sarebbe stato occupato ed irreversibilmente trasformato un terreno di loro proprietà, esteso mq 250. La deliberazione di G.M. n.62 del 4/2/1989, di approvazione del relativo progetto, sarebbe “radicalmente nulla” per mancanza di fissazione dei termini ex art. 13 L. n.2359/1865. Né gioverebbe a sanare tale vizio la successiva, integrativa, delibera di G.M. n.44 del 16/2/1990, che sarebbe “a sua volta nulla“. Mentre l’ordinanza sindacale n.31 del 16/5/1986 con cui è stata disposta l’espropriazione definitiva del fondo delle ricorrenti, essendo comunque intervenuta oltre il termine di cinque anni stabilito dalla delibera n.44/90, sarebbe stata adottata in carenza di potere.
In considerazione di tutto ciò, le ricorrenti hanno chiesto la condanna del Comune intimato al risarcimento del danno subito, come in epigrafe indicato.
Il Comune di Isola delle Femmine intimato non si è costituito in giudizio.
Con sentenza della Sezione n.701 del 28/4/2000 il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.
In riforma di tale sentenza il C.G.A. con decisione n.296/2000 ha affermato la sussistenza della giurisdizione di questo Giudice, cui pertanto ha rinviato la controversia.
Con sentenza interlocutoria n.1325 del 26/09/2001 si sono disposti incombenti istruttori.
Alla pubblica udienza del 7 maggio 2002 il procuratore delle ricorrenti ha chiesto che il ricorso venisse posto in decisione.
DIRITTO
1. Le ricorrenti chiedono la condanna del Comune di Isola delle Femmine al risarcimento del danno ingiusto sofferto a causa dell’irreversibile trasformazione del terreno di loro proprietà, fondando la pretesa sul presupposto che gli atti del procedimento di espropriazione (dichiarazione di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del progetto dell’opera pubblica realizzata, e ordinanza sindacale di esproprio – specificati in narrativa -) sarebbero del tutto privi di ogni efficacia giuridica, in quanto, il primo, sarebbe addirittura nullo, ed il secondo, adottato in carenza di potere.
Tale domanda risarcitoria deve, però, dichiararsi inammissibile in quanto postula un autonomo giudizio risarcitorio, prescindendo dall’impugnativa di provvedimenti che pure si assumono illegittimi (recte, nulli).
Ritiene, infatti, il Collegio di non poter condividere siffatta prospettazione, che all’evidenza aderisce all’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui sarebbe possibile addivenire ad una sentenza risarcitoria, effettuando la disapplicazione se non addirittura il mero accertamento di inefficacia degli atti della procedura espropriativa (cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. I, 18 febbraio 2000, n.1814).
E ciò, alla stregua di quanto già statuito dalla Sezione, in fattispecie analoga a quella in esame, con la recente sentenza n.1444/01 dell’11/10/01, le cui argomentazioni qui di seguito si ripropongono.
- Il citato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione muove dal presupposto logico-giuridico dell’inidoneità del provvedimento amministrativo (finalizzato all’espropriazione) – che sia inficiato da vizi di rilevante gravità derivanti da una illegittima dichiarazione di p.u. – ad incidere sul diritto di proprietà del privato, con la conseguente affermazione della sopravvivenza del diritto anche all’eventuale attività di trasformazione del bene da parte dell’Amministrazione ed il riconoscimento in capo al proprietario della facoltà alternativa di richiedere la restituzione del bene o di “abbandonare“ lo stesso e chiedere il risarcimento del danno.
  Se non che, in presenza di un procedimento espropriativo posto in essere secondo le previste fasi (mediante le delibere di G.M. e l’ordinanza sindacale, in narrativa specificati) non appare possibile recepire uno strumento processuale di tutela delle ragioni del privato che, sostanzialmente, prescinda dall’esistenza dei predetti provvedimenti amministrativi, dalla cui natura giuridica discende l’autoritatività (cioè idoneità a produrre effetti unilaterali nella sfera giuridica dei destinatari), la presunzione di legittimità (che assiste l’atto fino alla decisione favorevole in ordine alle eventuali impugnative proposte), la immediata efficacia (fino a quando non sia eventualmente sospeso o annullato) e l’inoppugnabilità (qualora non sia impugnato nel prescritto termine decadenziale).
Invero, secondo i principi cui si è tradizionalmente ispirata la giurisprudenza amministrativa, deve ritenersi che la sussistenza di un iter procedimentale espropriativo completo, determini l’effetto ablativo del diritto di proprietà del privato, il quale può trovare piena tutela attraverso i rimedi previsti nell'ambito dell’ordinamento della giurisdizione amministrativa di legittimità. Con la conseguenza che ove questi rimedi non siano stati utilmente, o completamente, esperiti (con la rimozione dei provvedimenti lesivi) il privato non possa essere riconosciuto titolare di alcuna posizione risarcibile.
In particolare, non si ritiene di poter condividere l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui la procedura espropriativa sarebbe da ritenere come esperita in carenza di potere – con conseguente inidoneità dei relativi atti ad incidere sul diritto di proprietà del privato – non solo nelle ipotesi di assenza o di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, ma anche tutte le volte che la dichiarazione di p.u. esista ma sia viziata dalla mancata determinazione dei termini ex art. 13 L. n.2359/1865 (come pure si assume nella fattispecie).
Vero è ,infatti, che la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 gennaio 2000 n. 248) non ha mancato di evidenziare che il principio della fissazione dei termini per il completamento della procedura espropriativa e per l’esecuzione dei lavori, desumibile dall’art.13 L. n.2359/1865 (in prima battuta contenuti nella dichiarazione di pubblica utilità) risponde all’esigenza di rilievo costituzionale (art. 42 comma 3 Cost.) di limitare il potere discrezionale della Pubblica amministrazione di mantenere in stato di soggezione i beni espropriabili a tempo indeterminato, nonché di tutelare l’interesse pubblico a che l’opera venga eseguita in un arco temporale valutato congruo per l’interesse generale e per evidenti ragioni di serietà dell’azione amministrativa; ed ha coerentemente statuito (v. Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2000, n. 4158) l’impossibilità di una sanatoria con efficacia ex tunc, mediante convalida, né ex nunc, mediante integrazione postuma dell’atto incompleto, in ordine all’omessa indicazione dei termini iniziale e finale del procedimento espropriativo nel primo atto del medesimo. Ma deve pure evidenziarsi che la stessa giurisprudenza amministrativa ha escluso che il verificarsi della c.d. accessione invertita comporti la carenza di interesse alla pronuncia sulla legittimità degli atti di espropriazione ad opera del giudice amministrativo (v. Con. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2000, n.2940; C.G.A., 8 agosto 1998, n.457) atteso che il diritto del soggetto interessato può consistere in quello relativo al risarcimento del danno o al valore venale del bene, una volta definita in via giudiziale l’illegittimità della procedura espropriativa posta in essere dall’Amministrazione.
In definitiva, la giurisprudenza amministrativa ha sempre ritenuto pregiudiziale alla proposizione dell’azione risarcitoria la rimozione degli atti illegittimi della procedura espropriativa.
Ulteriori argomenti a sostegno della suesposta tesi possono evincersi dalle norme che hanno condotto all’ampliamento della giurisdizione del giudice amministrativo ed alla tutela risarcitoria – a partire dall’art.11, co.4, lett. g) della L. 15/03/1997 n.59, agli artt. 7, co.3, della L. n.1034/1971, nel testo introdotto dal “nuovo“ art. 35, co.4, D.Lgs. n.80/1998, e 35, co.5, del D.Lgs. n.80/1998, nel testo introdotto dall’art. 7 L. n. 205/2000 – che tutte sembrano confermare la tradizionale opinione secondo la quale la tematica del risarcimento del danno ingiusto è compresa nel novero dei diritti patrimoniali conseguenziali, ai quali tradizionalmente si attribuisce la caratteristica di discendere, quale conseguenza ulteriore, dall’illegittimità dell’atto, accertata dal giudice amministrativo.
Ed invero, sia il citato art.11, co. 4, lett. g) della L. 15/03/1997 n.59 che il nuovo testo dell’art.7, co.3, della L. n. 1034/1971 includono espressamente il risarcimento del danno tra gli altri diritti patrimoniali conseguenziali all’annullamento degli atti amministrativi, mentre l’art.35, co.1, del D.Lgs. n.80/1998 – che, con esplicito riferimento alle materie di giurisdizione esclusiva, utilizza una espressione avulsa dalla tematica dei diritti patrimoniali conseguenziali ed apparentemente idonea a radicare una ipotesi di tutela risarcitoria autonoma – trova la sua giustificazione nella possibilità dell’introduzione di autonome controversie risarcitorie per violazione di diritti soggettivi e/o a fronte di meri comportamenti della P.A. (cfr. art.34 D.Lgs. n.80/1998).
Si deve ancora aggiungere che, in senso conforme alla tesi qui sostenuta (della necessità cioè della preventiva impugnazione degli atti amministrativi incidenti sulla posizione giuridica soggettiva della quale si chiede il risarcimento del danno), il Consiglio di Stato (Se. IV, n.1684 del 22 marzo 2001) ha recentemente affermato l’inammissibilità della pretesa al risarcimento del danno allorchè l’interessato non abbia esercitato i mezzi di tutela, offerti dall’ordinamento, che gli avrebbero consentito di ottenere la reintegrazione in forma specifica.
Detta affermazione, peraltro, trova riscontro nella disciplina della responsabilità civile per fatto illecito, alla quale risulta applicabile – in virtù del rinvio operato dall’art. 2056 cod. civ. all’art. 1227 cod.civ. – anche il principio secondo il quale “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza“, non potendosi dubitare che rientri nella nozione di utilizzazione dell’ordinaria diligenza anche l’esperimento dei rimedi giuridici offerti dall’ordinamento a tutela delle proprie ragioni.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia,Sezione prima, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.--------------------------------------------------------------------
Spese compensate.------------------------------------------------
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.------------------------------------------------------------
Così deciso in Palermo il 7 maggio 2002, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei signori magistrati:--------------------
- Giorgio Giallombardo, Presidente;
- Salvatore Veneziano, Consigliere;
- Cosimo Di Paola, Consigliere estensore;
Laura Malerba, Segretario.
Depositata in Segreteria il 10.06.2002
Il Segretario
Laura Malerba
I.B.



A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE



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