Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

domenica 29 marzo 2015

CORRUZIONE E RIFIUTI, RIPARTE IL PROCESSO TERRA MIA SOLDI E VIAGGI IN CAMBIO DEL VIA ALLE DISCARICHE 1° PARTE

CORRUZIONE E RIFIUTI, RIPARTE IL PROCESSO TERRA MIA
SOLDI E VIAGGI IN CAMBIO DEL VIA ALLE DISCARICHE

CARMEN VALISANO 23 MARZO 2015


CRONACA – Riprende oggi a PALERMO il procedimento nei confronti dell'EX funzionario regionale Gianfranco Cannova e dei proprietari degli impianti nel Catanese, in provincia di Messina e ad Agrigento. In cambio di soggiorni in HOTEL, auto e party con prostitute l'ex dirigente avrebbe agevolato gli imprenditori AMICI
Richieste di favori e CORSIE preferenziali negli iter autorizzativi. In cambio di pagamenti in contanti, viaggi e auto. Tutti episodi legati da un filo rosso: il denaro sarebbe arrivato dai gestori di tre discariche private siciliane. È il quadro delineato dalla procura di Palermo, che - in collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia di Agrigento - lo scorso luglio ha portato all'inchiestaTerra mia. Il processo, celebrato davanti la terza sezione del tribunale palermitano, riparte oggi con un fitto CALENDARIO di udienze. Ma senza la costituzione di parte civile della Regione siciliana.
Sono cinque gli imputati, tutti accusati di corruzione
Gianfranco Cannova, architetto, ex funzionario dell'ufficio dell'assessorato regionale al Territorio e ambiente. Il suo ruolo era il rilascio e il rinnovo delle Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per gli impianti di smaltimento dei rifiuti. Coinvolti insieme a lui Domenico Proto (titolare della Oikos spa, società proprietaria del mega-impianto di contrada Tiritì-Valanghe d'inverno a Motta Sant'Anastasia, nel Catanese), i fratelli Calogero e Nicolò Sodano (responsabili della Soambiente di Agrigento), e Giuseppe Antonioli (amministratore della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, in provincia di Messina). 
L'inchiesta è partita nel 2011 e la procura ha avviato un complesso sistema diintercettazioni ambientali, telefoniche e di sms. Il RUOLO centrale è quello rivestito da Cannova, accusato di fare da mediatore nei rapporti tra la macchina regionale e gli imprenditori legati al SETTORE dei rifiuti. Ma il suo compito si sarebbe esteso a quello di sentinella, avvisando i responsabili degli impianti in OCCASIONE dei controlli delle autorità, e di consigliere per eventuali procedure da seguire o ricorsi da presentare. Una consulenza che sarebbe stata elargita in cambio di mazzette, viaggi, soggiorni in ALBERGHI di lusso, impianti stereo e un'automobile. 
Il legame più stretto sembrerebbe quello stabilito da Cannova con Mimmo Proto, presidente della catanese Oikos. Una confidenza tale da far chiamare rispettivamente i due «Mimmuzzo» e «Amore mio». Secondo la ricostruzione dell'accusa, i favori dell'ex funzionario avrebbero permesso l'allargamento della discarica ormai esaurita di contrada Tirtì nella contigua contrada Valanghe d'inverno. In alcune occasioni, Gianfranco Cannova avrebbe anche consigliato a Domenico Proto come agire, sia in occasione dei controlli dell'Arpa che nella GESTIONE dei cosiddetti fermo impianto. Situazioni nelle quali la procedura prevederebbe l'allerta delle autorità competenti e il blocco dello stoccaggio dei rifiuti, ma che non sarebbe stata messa in atto producendo - nelle due occasioni registrate dai magistrati - utili stimati in OLTRE 700mila euro
In cambio dei suoi servigi, il funzionario avrebbe ricevuto mazzette in contanti. «Se ne fotte lui dei soldi», sbotta Cannova riferendosi al proprietario della Oikos. Molti gli scambi di denaro finiti NELLEintercettazioni: «Gianfranco, dico, ci sono cinquemila euro qua, te li stoammucciando qua dentro», afferma Mimmo Proto ignaro delle cimici. In un'occasione sarebbe stato organizzato un festino con delle prostitute a Roma; inoltre risulterebbe un PAGAMENTO per l'acquisto di un impianto stereo o un televisore da 16mila euro. «Se io lavoro mi dà... mi dà soldi pe... non regala nessuno niente. Se tu li meriti perché sei bravo e lavori, te li danno», spiega Cannova al figlio. E poi ci sarebbero una ventina di soggiorni all'HOTEL BAIA VERDE di Aci Castello, vacanze delle quali molte volte l'architetto avrebbe usufruito con l'intera famiglia. Gli importi - per un ammontare di oltre 31mila euro - sarebbero stati pagati dalla Oikos, ma in due OCCASIONI anche da Salvatore Chicco Sudano - avvocato dei Proto, non indagato -, figlio dell'ex senatore Mimmo Sudano e fratello di Valeriadeputata regionale in quota ad Articolo 4, oggi Partito democratico
La confidenza tra Proto e Cannova sarebbe stata tale da spingere il dipendente regionale a consigliare di aumentare i costi del conferimento in discarica, suggerendo di addurre come causa il COSTO maggiore del carburante. Ma anche ostacolare la potenziale concorrenza, come quella creata da un nuovo impianto nel territorio di Ramacca. Un iter che sarebbe stato stoppato da Cannova in persona con un provvedimento Aia negativo. 
Meno amichevole sembrerebbe il rapporto tra Gianfranco Cannova e i fratelli Nicolò (detto Giovanni) e Calogero Sudano. I due sono rappresentanti dellaSicedil srl e della Soambiente srl, società con interessi nell'ambito DELLOsmaltimento dei rifiuti nell'Agrigentino e non solo. I fratelli, infatti, avrebbero chiesto l'intercessione del funzionario per le autorizzazioni degli impianti diPachino e Noto (in provincia di Siracusa) e di Sciacca e Siculiana, ad Agrigento. Sul fronte di Pachino sarebbero state numerose le pressioni - giunte perfino dall'EX governatore Raffaele Lombardo - per impedire la creazione di un nuovo impianto, facendo registrate i malumori dei due imprenditori. Nonostante tutto, i fratelli avrebbero pagato mazzette per almeno centomila euro e un cesto con PRODOTTI natalizi, oltre alla promessa di una villetta nei dintorni della Scala dei Turchi
Una macchina, un'Audi, acquistata da una concessionaria della provincia di Novara sarebbe stato uno dei doni ricevuti da Cannova da parte di Giuseppe Antonioli. L'imprenditore è amministratore delegato della novarese Osmon spa, società titolare di un impianto per la produzione di biogas all'interno della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea in provincia di Messina. La struttura, gestita dalla Tirreno Ambiente per mezzo di Antonioli, è oggi chiusa dalla magistraturae sull'iter seguito da Cannova pendono due sentenze del Tar che hanno annullato le due Aia rilasciate dall'architetto. Anche in questo caso non sarebbe mancato il passaggio di denaro contante e le promesse: l'ex dipendente regionale avrebbe avanzato l'ipotesi di una PARTECIPAZIONE della Tirreno ambiente ad altre gare per impianti nel resto della regione. 
Il quadro a carico degli imputati, soprattutto nei confronti di Cannova, ha spinto il tribunale a non accettare la RICHIESTA di patteggiamento proposta dai legali dell'ormai ex funzionario a quattro anni di carcere. Secondo fonti giudiziarie, l'intenzione è di concludere il procedimento con la massima velocità, probabilmente entro l'anno. 
Ma nonostante la gravità delle accuse, l'avvocatura dello Stato ha consigliato allaRegione di non costituirsi parte civile, contro la ferma intenzione di procedere espressa dal governatore Rosario Crocetta. Le mazzette «non sono un fattore di particolare allarme sociale» è il parere espresso. In un primo MOMENTOCrocetta aveva provato ad addurre come scusa per la mancata costituzione a un difetto di notifica. A costituirsi, invece, è stata l'amministrazione di Motta, per tutelare «gli interessi e l'immagine del Comune». Il vicino centro di Misterbianco, invece, non è rientrato per problemi nella ricezione delle notifiche e non aver rispettato i tempi stabiliti. 


LE TANGENTI NON SONO ALLARME SOCIALE?  IL PROCURATORE AGUECI: “NON HO PAROLE”
Questo il commento del magistrato alla notizia del parere dell’Avvocatura e alla conseguente mancata costituzione di parte civile della Regione al processo contro un proprio dipendente accusato di corruzione.

“Non ho parole”. Questo il commento del procuratore aggiunto Leonardo Agueci alla notizia della mancata costituzione di parte civile della Regione siciliana al processo contro un proprio dipendente infedele accusato di corruzione. Mancata costituzione dovuta a un parere dell’Avvocatura distrettuale dello Stato. “Non ho proprio parole  – ha detto il magistrato – proprio perché l’Avvocatura dello Stato di Palermo è sempre stata sensibile su questi temi. Ho sperimentato la sensibilità dimostrata in altre occasioni, ecco perché questa notizia mi ha lasciato di stucco. Devo leggere le motivazioni”.
Eppure, in tal caso la sensibilità non si è tradotta in un orientamento conseguente. La vicenda è quella relativa al procedimento penale a carico del funzionario dell’assessorato al Territorio, Gianfranco Cannova, arrestato mesi fa con l’accusa di avere intascato tangenti e usufruito di soggiorni in lussuosi alberghi, per “oliare” una pratica nel settore dello smaltimento dei rifiuti e delle discariche.
Il dipendente regionale è attualmente alla sbarra davanti al tribunale di Palermo ma, male che gli vada, potrà incassare una condanna penale, mentre non vi sarà alcuna provvisionale, alcun risarcimento in favore della Regione, in quanto questa non si è costituita parte civile.
Un dietro-front, dovuto al fatto che l’Avvocatura distrettuale dello Stato, investita della questione, ha spiegato che se il danno provocato all’ente pubblico non è eccessivo, allora non è il caso che questo si costituisca parte civile. Una decisione, motivata con parole che lasciano di stucco, soprattutto nella parte in cui viene definita «inopportuna» l’eventualità della Regione di costituirsi al processo per far valere il proprio ruolo di parte offesa. La stessa Avvocatura aveva motivato il proprio orientamento con «l’esiguità del danno provocato dal singolo caso al patrimonio pubblico» e per il «non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete contestate».
Tanto è bastato per convincere la Regione Siciliana a non costituirsi in giudizio quale parte offesa.

Le mazzette? “Non provocano allarme sociale”  E la Regione siciliana non si costituisce parte civile

Le mazzette “non sono un fattore di particolare allarme sociale” dice l’Avvocatura distrettuale dello Stato in un parere consegnato alla Regione siciliana. E questo è bastato all’amministrazione regionale per decidere di non costituirsi parte civile nel processo per corruzione a un proprio funzionario.

Il processo è cominciato lo scorso 19 gennaio nei confronti di Gianfranco Cannova, dipendente dell’assessorato al Territorio, che ha ammesso di aver preso tangenti (denaro e soggiorni gratis in alberghi di lusso), in cambio di autorizzazioni ad alcuni imprenditori titolari di discariche. La notizia è stata pubblicata da Repubblica. Eppure, dopo l’arresto di Cannova, avvenuto lo scorso luglio, il governatore Rosario Crocetta tuonò contro la nuova tangentopoli.

Ma l’Avvocatura ha giudicato “inopportuna” la costituzione di parte civile, “attesa la esiguità del danno e il non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie concrete contestate”. Secondo l’Avvocatura, la Regione può esimersi dal chiedere un risarcimento “perché è sufficiente l’impulso accusatorio del pubblico ministero”, si legge in una nota del 10 novembre scorso, firmata dall’avvocato distrettuale Massimo Dell’Aira e dall’incaricato Pierfrancesco La Spina.

L’assessore regionale al Territorio, Maurizio Croce, spiega di aver saputo dai giornali della mancata costituzione come parte civile: “È grave la nostra posizione – dice – e vergognosa la motivazione fornita dall’Avvocatura”. E Crocetta aggiunge: “Non so cosa sia successo. Disporrò un’inchiesta interna”.

5 febbraio 2015



CANNOVA GIANFRANCO ASCESA E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti


Un' inchiesta coinvolge la dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi "comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?


Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di ‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola, stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio, esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del Megafono-Pd, Giuseppe Lumia. 

E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della ‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore, Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado  sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante. Proviamo a illustrarla. 

In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui, neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni, potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova, era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato di affari.

E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di proteggere non costituendosi parte civile?

E’ Cannova non sa nulla di questa storia?

Le domande sono più che legittime, perché quello che sta succedendo è veramente strano. 

In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari. La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’ Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale dei Rifiuti.   

Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque, come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno. 

Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una politica che spesso è collusa con la mafia.

Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma, puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro eventuali prestanome. 

Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’ un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile Agenzia controllata dalla politica!

Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di cui non si è saputo più nulla.

Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar, sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità. 

La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare - arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano. Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa amministrazione regionale!

Entrambi in palese conflitto di interessi.

Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti. Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.  

Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione politica - comincia  a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al pagamento di oltre un milione di euro (€ 1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( Sent. n. 401/2014  http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html  )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia - la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello - è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di euro). 
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.

Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente. 

Ma c’è, nella gestione della formazione professionale siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione, sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali. La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di un’irregolarità ai danni di se stessa. 
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il ‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani. Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest, che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’ queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e Licata. 
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare - gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato, gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per il restante 49 per cento a un gruppo di privati. 
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione, cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà. 
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano, scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita. 
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…     
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante, Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari, dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia, dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno disegnando in Sicilia nuovi scenari.          



NICOLÒ MARINO, EX ASSESSORE IN SICILIA: «EX GENERALE DEI CC NOMINATO ALL’ARPA DA CROCETTA PERCHÉ LA MOGLIE ERA UNA BRAVA PERSONA»


Cari amici di blog, da ieri vi sto raccontando alcune parti scioccanti dell’audizione, iniziata alle 17.05  del 23 febbraio, vale a dire poche settimane or sono, dell’ex assessore all’energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana, Nicolò Marino, davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Marino, già magistrato alla Dda di Caltanissetta, ha assunto l’incarico quando è stato autorizzato dal Consiglio superiore della magistratura, il 12 dicembre del 2012 e ha ultimato l’incarico di governo regionale il 14 aprile 2014.
Ieri abbiamo visto, tra le altre cose, la verità di Marino sulla gestione delle discariche private in Sicilia*. Oggi spostiamo l’ottica su un altro aspetto paradossale sollevato da questo magistrato prestato per un breve tempo alla politica.
Marino, ad un certo punto della sua audizione, racconta dell’Arpa (l’Agenzia regionale per l’ambiente) e descrive il fatto che ha anche funzionari di polizia giudiziaria, ma tutti i dirigenti sono appannaggio di chi li nomina (Provincia di Palermo, Commissario della provincia di Palermo).
Ma dopo questa introduzione, ad un certo punto racconta che «viene nominato un ufficiale dei carabinieri, un ex generale, persona perbene che ha avuto due ictus. Presidente, lei si dovrebbe far raccontare, quando scenderà in Sicilia, dal sindaco Orlando, dai sindacati cos’erano le riunioni pubbliche. Questo che doveva esercitare una serie di attività di controllo, noi l’avevamo scomodato per il fallimento Aps a Palermo, 52 comuni serviti da Aps, aveva avuto due ictus, presidente, e la Giunta rideva. Non voglio segretare perché l’ho anche scritto, mi spiace sotto il profilo umano perché è un uomo delle istituzioni e la colpa è dei familiari che gli consentono di accettare un incarico di questo tipo, ma quando lo conobbi chiamai Crocetta e gli dissi allarmato: “Rosario, la Giunta ride”. Mi rispose che la moglie era brava: aveva nominato questa persona perché la moglie era stata revisore dei conti a Gela e quindi dovevamo contattare la moglie per far ragionare questa persona.  Questa è la regione siciliana, Presidente, e questa è una delle tantissime cose che bisognava fronteggiare».
Dunque, ricapitolando e se ho ben capito (chiedo scusa se così non fosse e sono dunque pronto a correggermi), secondo il magistrato ed ex assessore Marino, alle riunioni per la gestione di alcune delicate materie ambientali, si presentava per l’Arpa di Palermo un ex generale dei Carabinieri, colpito da due ictus, di cui la gente rideva (sic!), che non desisteva dal suo incarico e che per farlo ragionare (doppio sic!) doveva essere contattata la moglie, che sarebbe la vera ragione per cui il Governatore Rosario Crocetta lo avrebbe nominato, vale a dire questa donna era una brava persona!
Ora, non so se ho riassunto bene (credo di si) ma se tutto questo è vero per qualcuno (non so chi ma andrebbe cercato) va consigliato il trattamento sanitario obbligatorio e questa verità di Marino (mancano infatti le verità contrapposte dei diretti interessati chiamati in causa e questo blog è a disposizione per raccontare tutti i punti di vista e credo che lo farà anche la Commissione sul ciclo dei rifiuti nella sua nuova missione in Sicilia*) va immediatamente spedita ad un bravo regista perché, da sola, è già mezza sceneggiatura di un film nel quale vedrei bene, come interpreti, Ficarra e Picone (tanto per restare in Sicilia).
Conosco il nome dell’ex generale dei Carabinieri di cui Marino parla ma, per doveroso rispetto, ho deciso di non citarlo.
L’ex magistrato, nel prosieguo dell’audizione proseguirà così: «Voglio dire anche perché l’ho detto più volte che il referente in Sicilia di Renzi è l’onorevole Faraone, a cui nel febbraio 2014, poco prima di andare via, ancora assessore, dissi: “Se gli lasciate ancora nelle mani la Sicilia, finirà per distruggerla”. Oggi finalmente lui sta litigando con Crocetta. Ho depositato alla Corte dei conti tutte le note che avevo scritto a Crocetta su come venivano fatte le Giunte: non c’erano ordini del giorno, erano convocate a minuti, a Palermo, quando tu potevi essere in qualsiasi altra parte del mondo, nessuno studiava le cose, ed è tutto documentato. La Corte dei conti, che ha rinviato a giudizio Crocetta e altri colleghi per la vicenda dell’informatizzazione, trova scritte dichiarazioni mie e di Luca Bianchi. Di che dobbiamo discutere ? Il problema è che bisogna cacciare le persone».
Quando Alessandro Bratti (Pd), presidente della Commissione, gli fa presente che non compete a loro cacciare le persone, Marino ribatte: «questo è il mio punto di vista, come continuo a dire, come avevo anticipato la vicenda Montante… ». Marino, scopriamo, ha anticipato la vicenda Montante (il delegato nazionale di Confindustria e presidente di Confindustria Sicilia, di cui parlerebbero cinque presunti pentiti per presunte vicende poco chiare) ma non è dato sapere con chi e come.
E quando il commissario Pamela Giacoma Giovanna Orrù, Pd, eletta a Trapani, gli chiede se si rendeva conto della gravità di quello che diceva, Marino risponde così: «assolutamente, ma io l’ho già detto. Questa macchina è assolutamente complessa, anche la migliore squadra avrebbe difficoltà…Nel settore dei rifiuti la migliore squadra avrebbe grandi difficoltà a riprendere in mano questa situazione. Nel momento in cui la gestione diventa approssimativa per una serie di circostanze che ho ufficialmente comunicato in tutte le sedi competenti (non è quindi una novità che dico a voi, l’ho già fatto in passato), diventa impossibile recuperare questa situazione».
Pamela Giacoma Giovanna Orrù precisa: «quello che lei ha detto l’abbiamo capito perfettamente. Siccome lei ha fatto un riferimento preciso a una nomina e a come le persone vengono nominate, la mia battuta “lei si rende conto della gravità di quello che dice?” era in questo senso, non rispetto a tutto il resto. Già è grave quello che è stato detto, questo è ancora più grave…. Un commissario che viene nominato perché la moglie era brava è ancora più grave» ma anche Marino precisa punto su punto: «Io sono andato via per questo…È assolutamente così e lo ribadisco, ma l’ho anche dichiarato e contestato. Non ci sono cose che non abbia cercato di fare per rimettere in piedi la situazione».
Bratti, esausto, alle 19.10 chiude: «Va bene (va bene per modo di dire). La ringraziamo per tutta la serie di indicazioni che ci ha dato, adesso inizieremo il nostro approfondimento in Sicilia…».
Auguri vivissimi.
·         Per una ulteriore di conoscenza dei fatti con più campane metto a disposizione questo link della Rai nel quale ciascuno, se crede, potrà approfondire la vicenda

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COMMISSIONE PARLAMENTARE SULLE ATTIVITÀ ILLECITE SUI RIFIUTI/ RIESPLODE LO SCONTRO SULLA GESTIONE DELLE DISCARICHE PRIVATE IN SICILIA


Alle 17.05  del 23 febbraio, vale a dire poche settimane or sono, l’ex assessore all’energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana, Nicolò Marino, si siede davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Marino, già magistrato alla Dda di Caltanissetta, ha assunto l’incarico quando è stato autorizzato dal Consiglio superiore della magistratura, il 12 dicembre del 2012 e ha ultimato l’incarico di governo il 14 aprile 2014.
Dire che la sua relazione stordisce, è dire poco.
Una parte importante è sulla situazione di monopolio nella gestione delle quattro discariche private, che Marino cita espressamente: Catanzaro Costruzioni a Siculiana, Oikos a Catania, Sicula Trasporti a Catania, Mazzarrà Sant’Andrea a Messina. «Si voleva innanzitutto iniziare a bilanciare il monopolio dei privati nella gestione delle discariche – dirà Marino di fronte ai commissari lasciando fuori da questa parte di analisi la provincia di Palermo – perché era una situazione surreale: il gestore privato, dimentico di esercitare un servizio di interesse pubblico (intervenni poi con una circolare in materia), chiudeva la discarica al comune che non corrispondeva il prezzo alle condizioni talvolta dovute a richieste unilaterali di modifica contrattuale da parte del gestore. Avveniva il surreale che Monreale andava ad abbancare a Catania, quindi gli autocompattatori viaggiavano, con buona pace della tutela ambientale, per tutto il territorio siciliano proprio per questa ragione. Qualche sindaco nel messinese (non me ne vorranno se ci sono deputati del messinese) un po’ ci ha marciato a non pagare i prezzi di conferimento, però in gran parte il problema era serio e, come sapete, ha determinato l’indebitamento degli Ato e di tutti i comuni. Viene dichiarata l’emergenza, il 20 dicembre del 2013 riusciamo a pubblicare tre bandi per tre discariche. Sapevamo già la situazione di Mazzarrà Sant’Andrea, perché avevamo un monitoraggio e prescindendo dai lavori della Commissione sapevamo cosa sarebbe accaduto, quindi uno a Messina, Enna abbancava a Catania, quindi Enna, dovevamo creare una concorrenza su Siculiana e quindi ripotenziare Gela, non perché fosse la terra di provenienza del presidente della regione, ma perché logisticamente si imponeva di intervenire lì».
Marino va avanti con la sua relazione e ad un certo punto, dopo avere approfonditamente parlato della necessità avvertita di fare impianti, termovalorizzatori, riciclo dei rifiuti e via di questo passo, ricorda che nel frattempo doveva formalizzare lo stato dell’arte per le quattro discariche private.
Siculiana
Marino costituisce quindi una commissione composta dal suo vice capo gabinetto, tal Buceti, un vicequestore che era alla Dia a Caltanissetta con cui aveva collaborato quando era magistrato, da tal ingegnere Pace e da una dirigente dell’Arpa di Palermo, tal Di Franco. Il Nucleo operativo ecologico (Noe) dei Carabinieri di Palermo aveva già contattato Marino mesi prima (lo afferma lui alla Commissione) e formalizzerà successivamente una richiesta di supporto tecnico, una sorta di consulenza tecnica nelle fasi di preliminari investigazioni (chiaramente erano delegati dalla procura di Palermo, dice ancora Marino) per quanto riguarda la discarica di Siculiana.  «Stavamo parlando della vicenda nota alla Commissione ambiente del vicepresidente di Confindustria – proseguirà il magistrato che se non erro esercita ora le sue funzioni a Roma –. Per quanto riguarda Catanzaro, anni prima, quando io ero in procura a Caltanissetta un collega si occupò di un’altra vicenda, perché il gruppo Catanzaro aveva chiesto di costruire ad Astro, un comune in provincia di Enna, una piattaforma privata. All’epoca era Ministro la Prestigiacomo, il dottor Lupo era direttore generale, ci fu una levata di scudi della popolazione perché era una zona agricola coltivata.
Ci fu un sopralluogo del ministro, del colonnello Di Caprio, vice comandante del Noe, e del dottor Lupo per capire cosa stesse accadendo. Questo sopralluogo fu fatto di venerdì o di sabato, il lunedì successivo (sto parlando di 4-5 anni fa) chiesero gli atti e poi Catanzaro ritirò ogni richiesta. Ci fu però una vicenda giudiziaria che io non conosco bene, ma mi ricordavo di Catanzaro anche sotto questo profilo e lo abbinavo al discorso che il Noe lo attenzionava da tempo anche per questa vicenda che aveva visto la presenza di Di Caprio.

Cosa era accaduto per la creazione di questa benedetta discarica? Lo troverete anche nella relazione della commissione che vi posso mettere a disposizione, ma sicuramente il dottor Lupo ve ne potrà dare ulteriori copie. Erano sorti dei problemi fra l’allora sindaco del comune di Siculiana e il gruppo Catanzaro, perché questa discarica su terreni di proprietà del comune (alcuni in corso di espropriazione) la voleva fare il comune di Siculiana.

Lì nacque una delle tante surreali vicende antimafia siciliane, perché il sindaco venne arrestato insieme al capo dell’ufficio tecnico e del comandante dei vigili urbani perché accusato da Catanzaro di voler costruire e gestire questa discarica per favorire dei mafiosi. Il sindaco verrà poi assolto, quindi l’antimafia nasce con questo passaggio drammatico e surreale. Ebbi poi modo di incontrare il sindaco, che credo sia tutt’oggi molto colpito da quella vicenda giudiziaria.
Vengono assolti e il Noe ci chiede di svolgere degli accertamenti anche sulle particelle perché il giudice è molto duro in questi passaggi. Vi consegno la nota del Noe… Questa parte dovremmo segretarla».
Secretazione dopo secretazione
Marino dunque, per gli aspetti più delicati, che ci piacerebbe tanto conoscere, chiede e ottiene di secretare la seduta. Capiamo però, dalle stesse parole del magistrato quando i microfoni vengono riaperti e le telecamere riaccese, almeno che il Noe fare una disamina completa di tutte le autorizzazioni di cui aveva beneficiato la Catanzaro costruzioni.

Poi Marino riprende a battere il tasto della discarica privata di Catanzaro Costruzioni, sembra quasi un duello personale e i precedenti di anni di querele, denunce e controdenunce tra i due sembrano suggerirlo e dunque c’è da attendersi che lo scontro continuerà quando la Commissione si recherà in Sicilia e non potrà non ascoltareCatanzaro e gli altri proprietari o gestori delle discariche private.
«Ironia della sorte, chi voleva criticare il Governo della Regione siciliana e chiedeva l’emergenza grazie solo all’emergenza aveva avuto la possibilità di costruire e gestire questa discarica – dirà infatti Marino –: tutta la storia della discarica di Siculiana passa per l’emergenza, anche con alcuni atti prefettizi in cui probabilmente ci sono degli errori. Non voglio però dilungarmi sul contenuto tecnico, che potrete valutare autonomamente. Poniamoci sul problema autorizzativo a monte con cui appunto avevo iniziato il mio intervento. Qui ci sono dei casi di scuola di palesi violazioni della normativa, gravissime violazioni di leggi poste in essere dal territorio e ambiente a favore della Catanzaro costruzioni. Farò due passaggi di cui forse uno bisogna segretare. In una delle tante autorizzazioni per ampiamento sia Via che Aia 2006, 2007 e 2008 trovate che a un certo punto l’assessorato al territorio e ambiente correttamente impone per l’ampliamento della vasca V3 gli impone di fare l’impianto di biostabilizzazione, che non verrà mai fatto. A distanza di un anno Catanzaro chiede un altro ampliamento, e lo chiede dove doveva sorgere l’impianto di biostabilizzazione, la Regione siciliana se lo dimentica e gli dà l’ulteriore ampliamento. Arriviamo al 2009. Se il Governo Lombardo fu lungimirante sulla vicenda dei termovalorizzatori, perché la Sicilia sarebbe diventata per la potenzialità di quei termovalorizzatori, così come erano stati impostati, la discarica di Europa, fu responsabile in maniera preponderante di queste violazioni amministrative. Nel 2009 si hanno i più grossi ampliamenti, che noi paghiamo oggi, delle discariche, con particolar riferimento a Siculiana e Oikos, 2,7 milioni di metri cubi per Oikos, 3 milioni di metri cubi per Catanzaro costruzioni. Gli istruttori della pratica correttamente si chiedono perché dare questa volumetria così ampia in quel territorio, perché Trapani debba avvalersi di questo, perché a Siculiana e non a Enna o in qualsiasi altro posto della regione siciliana, in quanto non era motivato, perché questa volumetria spaventosa, perché non ci fosse nulla sull’impianto di biostabilizzazione, che nel 2003 era un obbligo di legge. Purtroppo la storia italiana è fatta anche di deroghe, e di anno in anno si andò avanti con deroghe all’applicabilità della normativa europea sulla biostabilizzazione. Nel 2008 la Comunità europea si arrabbia e dice basta all’Italia, quindi il dottor Lupo come direttore del Ministero dell’ambiente emana una circolare in cui impone che non possa essere rilasciata alcuna autorizzazione senza l’impianto di biostabilizzazione, a meno che non si tratti soltanto di discariche in corso di gestione.

Come interpreta la regione siciliana questa cosa ? Che quello è un ampliamento. Fra l’altro, questa vasca V4 è anche fisicamente distinta dalle altre vasche, da cui è divisa da una strada pubblica, e 3 milioni di metri cubi non possono mai essere un ampliamento di discarica, come neanche i 2,7 milioni di Oikos. Nonostante quanto rilevato, inoltre, ritiene di non imporre l’impianto di biostabilizzazione. Vi consegno la relazione».
Ma sul più bello riparte la secretazione e dunque perdiamo ancora passaggi di una storia che sembra molto interessante, anche se da quello che si capisce Marino denuncia una serie inaudita di, come vogliamo chiamarli…presunti favoritismi e presunte concessioni benevole. Non possiamo chiamarli diversamente perché, da quel che si capisce dalla parole del magistrato, il Noe è sceso in campo ma non ci sarebbero stati esiti giudiziari (a meno che non ci siano ancora indagini o nuove indagini in corso e allora la lasciamo che sia eventualmente la Giustizia a pronunciarsi su quei fatti denunciati da Marino). Ma non possiamo chiamarli diversamente perché abbiamo la versione di Marino e attendiamo quella, si presume rovente, di Catanzaro. Quel che sappiamo per certo è cheMarino si è già espresso in un suo giudizio, parlando di «casi di scuola di palesi violazioni della normativa, gravissime violazioni di leggi poste in essere dal territorio e ambiente a favore della Catanzaro costruzioni».
Ma tanti altri passaggi scottanti, nella relazione di Marino, certo non mancano, soprattutto quando passa a parlare di Oikos. «Almeno Catanzaro gestiva la discarica in maniera corretta nel rispetto della normativa ambientale – proseguirà in audizione Marino –invece Oikos era un disastro, tanto che trasmisi gli atti, perché se ne occupava la procura di Palermo perché le autorizzazioni erano state rilasciate a Palermo, quindi la competenza territoriale era di quella procura, ma per eventuali reati ambientali la competenza è di Catania e infatti sia per Mazzarrà che per Oikos furono trasmessi alla rispettiva autorità giudiziaria anche agli atti della relazione. Credo ci siano dei procedimenti, però non posso aggiungere altro.

Per quanto riguarda Oikos furono revocate tutte le autorizzazioni precedenti, c’è un problema di post mortem, una situazione gravissima anche sotto il profilo della tutela ambientale. La Regione siciliana avrebbe dovuto esercitare (questo vale anche per le vasche esaurite della Catanzaro costruzioni nella discariche Siculiana) le azioni di risarcimento danni. Anche se non ci sono responsabilità penali, non devi valutarle tu, in quanto non sei estraneo a quei princìpi di terzietà e indipendenza, che appartengono non soltanto alla magistratura, ma anche all’alta amministrazione, come cercavamo di far capire ai dirigenti della Regione siciliana e anche ai politici, che pressano troppo sui dirigenti. Alcuni dirigenti hanno avuto purtroppo la debolezza di cedere alle richieste della politica e ne hanno anche pagato le spese.

La regione aveva il dovere di intraprendere azioni di risarcimento danni perché, ad esempio, l’impianto di biostabilizzazione è una condizione essenziale del contratto. Nessuno si è accorto nel 2007 che è stato violato il contratto e manca l’impianto di biostabilizzazione ? Ci sarebbe un problema di autorizzare ampliamenti alle discariche, come sono stati dati nel 2008 e nel 2009 ? No».
Insomma, per essere oxfordiani, la situazione della gestione ambientale vista dall’ex assessore all’energia è un verminaio, con evidenti, come vogliamo chiamarle di nuovo,…stranezze.
Ed infatti Marino poco dopo sarà chiaro e tondo: «Quello che noi viviamo oggi, compreso l’esaurimento delle discariche, è il frutto di una palese gestione illecita dell’amministrazione pubblica e, leggendo tutte le relazioni, potrete verificarlo. I prezzi di conferimento in discarica chiaramente si riversano sulla tariffa, ma nessuno aveva mai accertato e (non ci arriverò neanch’io perché sono costretto ad andar via) nessuno ha mai accertato se l’investimento dell’imprenditore in 100 autisti e 100 autobotti fosse gonfiato. Nessuno l’ha mai verificato, e tutto questo modificava, unitamente ai prezzi di trasporto, i prezzi di conferimento in discarica. Questo è uno dei lavori della Commissione, non so se i miei successori abbiano spinto per questo accertamento, ma è essenziale compierlo e nessuno l’ha mai fatto.

Mi hanno chiesto a volte se potremmo avere in Sicilia problemi come nella Terra dei fuochi, ma non lo sappiamo perché sono mancati in Sicilia (e questa è un’altra grande responsabilità) i veri controlli di Arpa e provincia. Non sono i 3 carabinieri del Noe a Palermo e i 3-4 a Catania, anche perché il processo penale deve essere residuale, ci deve essere la capacità della pubblica amministrazione di ripristinare la legalità, non possiamo delegare sempre al processo penale, alle indagini, perché il processo penale può anche non raggiungere i suoi effetti per ragioni varie, ma c’è una responsabilità morale, amministrativa, politica, penale, e sono concetti assolutamente diversi, come si cercò di dimostrare.

Sono convinto che, se l’ipotesi investigativa che i colleghi di Palermo seguono è quella di un pagamento di tangenti a monte e poi per l’intervento della Corte di giustizia e per la gara deserta nel 2009 non fu possibile per i privati che si aggiudicarono e furono i firmatari delle convenzioni rientrare in un’ipotesi investigativa di quel denaro, anche perché la Catanzaro costruzioni faceva parte di una delle Ati che si aggiudicò, l’ampliamento delle discariche è sospetto.
Mi sono chiesto perché Lombardo facesse due cose contrapposte, ma la verità è che quella dei termovalorizzatori dal mio punto di vista fu una guerra politica vera e propria con il senatore Firrarello che spingeva per il discorso dei termovalorizzatori. La guerra sui termovalorizzatori, più che essere una guerra di giustizia (poi magari i fini di giustizia coincidono casualmente con altri fini, come sempre capita), mi è sembrata una guerra politica, perché non si giustifica assolutamente l’ampliamento a dismisura delle discariche del 2009 proprio sotto la gestione Lombardo».
E così scopriamo, dalla viva voce di Marino e della sua versione dei fatti, che l’antimafia vive di vicende surreali, che i termovalorizzatori erano terreno di una guerra politica personale, nessuno in Regione verificava o controllava nulla, dai tariffari alla necessità di assumere, che i controlli sanitari erano zero (sono ancora zero?), che i Carabinieri erano (sono ancora?) quattro di numero e poco potevano e ad un certo punto volarono tangenti o quantomeno era (o è) questa un’ipotesi investigativa della Procura di Palermo anche se non ho capito bene per cosa siano volate, forse per l’ampliamento delle discariche (tutte, una, alcune? Boh?).
Insomma, come riassumerà al termine dell’audizione il presidente della Commissione parlamentare Alessandro Bratti (Pd) «sono passati cinque anni ma sembra che non sia successo assolutamente nulla, anzi alcune questioni sono peggiorate. Questa come legislatori e uomini delle istituzioni è una triste e amarissima constatazione».
Sarebbe però il caso di mettere un punto fermo almeno in Commissione (si tratta di una Commissione d’inchiesta), anche perché la guerra, pure a colpi di querele milionarie traMarino e Catanzaro e di denunce in varie procure e alle Commissioni parlamentari sui rifiuti e antimafia, prosegue come detto da anni e anche perché non solo Giuseppe Catanzaro è vicepresidente di Confindustria Sicilia ma anche perché la “ggente” vuole capire.
Nell’occasione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale riunitosi a Caltanissetta il 22 ottobre 2013 e dunque in periodo se non sbaglio immediatamente precedente alla contesa sulla gestione dell’ambiente in Sicilia di cui ho scritto, fu proprio la Dia, ad esempio, all’epoca guidata dal colonnello Gaetano Scillia, a citare, ma in ben altro e lusinghiero modo, Giuseppe Catanzaro (il quale, ricordiamo anche, è tra i protagonisti, con le sue accuse formalizzate con coraggiose denunce, di processi contro la mafia agrigentina e quindi, capirete, cari lettori di questo umile e umido blog, la bussola si perde e si confonde).
La Dia consegnò al ministro dell’Interno Angelino Alfano una relazione in cui si legge: «Da un pò di tempo a questa parte, invece, si assiste, sempre di più, ad una crescente reazione delle organizzazioni mafiose e dei suoi poteri collegati (come ad esempio quello dei “colletti bianchi”) contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata, nonché contro l’opera di legalità posta in essere in questi anni dall’associazione confindustriale di Caltanissetta e, in generale, da quella regionale. Appare ormai evidente, infatti, l’incessante azione denigratoria e di intimidazione che viene condotta (con varie modalità e diversificati strumenti) nei confronti della nuova classe dirigente confindustriale siciliana, costituita dal Cav. Lav. Antonello Montante, dal dr. Ivan Lo Bello, da Giuseppe Catanzaro, Marco Venturi e altri dirigenti), frequentemente aggredita anche attraverso il metodo della diffamazione e del discredito mediatico».
Per ora mi fermo ma domani torno con un nuovo e incredibile approfondimento, sempre sulla gestione ambientale in Sicilia.



COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI AUDIZIONE NICOLO’ MARINO

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALESSANDRO BRATTI
  La seduta comincia alle 17.05.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. 
(Così rimane stabilito).  
Audizione dell'ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana, Nicolò Marino.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana, dottor Nicolò Marino, che ringrazio per la sua presenza. L'audizione odierna si colloca nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione siciliana. 
Ricordo inoltre che, secondo quanto stabilito dall'Ufficio di Presidenza e integrato dai rappresentanti dei Gruppi, nelle riunioni del 10 e 17 febbraio scorsi la Commissione prima di recarsi in Sicilia per le due missioni il 9 e 13 marzo, il 23 e 28 marzo, ascolterà in audizione anche la dottoressa Vania Contraffatto, assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana mercoledì 25 febbraio alle ore 14.00, e il dottor Marco Lupo, ex dirigente generale del Dipartimento della regione siciliana delle acque dei rifiuti ed ex commissionario per l'emergenza dei rifiuti da aprile a dicembre 2013, che audiremo mercoledì 4 marzo alle ore 14.00. 
Prima di dare la parola al nostro ospite, poiché alcuni commissari nella scorsa legislatura non erano presenti ricordo che noi avevamo fatto un abbondante approfondimento sulla Sicilia e sulla situazione di emergenza che allora presente, che è stato oggetto di una relazione al Parlamento. Le problematiche erano tante, si parlava ancora di ATO, il presidente Lombardo si era appena insediato, quindi cercammo di verificare alcune situazioni di grande criticità che riguardavano la gestione dei rifiuti.
  
 In particolare, eravamo andati a Palermo e verificammo la situazione di grande emergenza esistente relativamente sia alla discarica di Bellolampo, sia alla società Amia che allora gestiva il ciclo integrato dei rifiuti.
 Visto che ci occupavamo di illeciti collegati al ciclo dei rifiuti, quindi non solo di carattere ambientale amministrativo ma anche su eventuali infiltrazioni della malavita organizzata, rilevammo una situazione molto problematica per quanto riguardava l'indebitamento degli ATO, che rasentava gli 800 milioni di euro, e per la presenza di impianti dove erano state realizzate importanti indagini sull'infiltrazione di malavita organizzata. Alcune discariche sono ancora ancora oggetto di discussione nel messinese e nel catanese.  
 C'erano quindi diverse situazioni veramente critiche, così come erano critiche le gestioni di alcune aziende. Tra l'altro, crediamo che una di queste, la Aimeri del gruppo Biancamano, sia in grande sofferenza, perché già due volte abbiamo provato a interloquire con questi soggetti e non si sono presentati né in Veneto, né in Liguria, per cui presumo che ci siano nelle problematiche importanti che riguardano questa azienda la cui proprietà è siciliana. Ci sono anche altre questioni che vedremo nel corso del tempo. 
C'era inoltre la vicenda della famosa gara dei termovalorizzatori che poi non fu mai eseguita, dove c'erano o si ipotizzavano infiltrazioni della malavita, quindi la situazione legata al ciclo dei rifiuti è complicata.
 Visto che la Sicilia è importante anche per la presenza di siti industriali come Priolo, Siracusa e Gela, avevamo fatto anche una serie di approfondimenti su questi siti di interesse nazionale. Tra l'altro ricordo che la nostra terza visita in Sicilia sarà focalizzata su alcuni di questi siti di interesse nazionale, per verificare lo stato delle bonifiche.
 Poi c’è stato un nuovo Governo a cui lei ha partecipato come protagonista, abbiamo letto sulla stampa diverse dichiarazioni, quindi ci stiamo accingendo a fare un aggiornamento sullo stato di salute della Regione siciliana per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti, argomento che oggi le chiediamo di affrontare. 
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Se lei dovesse dire cose che ritiene di dover secretare perché ci sono indagini in corso o perché ritiene che possano essere oggetto di indagini, ce lo dice e ci mettiamo in segreta alla fine dell'audizione.   
Le cederei subito dopo la parola perché ci faccia il quadro anche rispetto ad alcune dichiarazioni che lei ha pubblicamente rilasciato.
  
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Buona sera, aggiungerei, presidente, anche il servizio idrico integrato per due grossi fallimenti di cui penso sia importante che vi occupiate.
  PRESIDENTE. Come sa, la legge istitutiva della Commissione stabilisce l'ambito nel quale ci dobbiamo muovere. Siamo sicuramente competenti per quanto riguarda la depurazione delle acque. Quindi, se il tema che lei vuole sollevare riguarda questa questione specifica o appalti o illeciti di carattere amministrativo o ambientale che abbiano a che fare con la parte terminale del ciclo di depurazione delle acque, l'utilizzo dei fanghi piuttosto che i sistemi di depurazione di collettamento, siamo una sede competente; mentre se lei tratta altri argomenti, la ascoltiamo volentieri, ma dobbiamo rimanere nell'ambito delle competenze stabilite dalla nostra legge istitutiva.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Ho assunto l'incarico quando sono stato autorizzato dal Consiglio superiore della magistratura il 12 dicembre del 2012 e ho ultimato l'incarico di Governo il 14 aprile 2014. 
Quando Crocetta, che già conoscevo perché avevo svolto le funzioni alla direzione antimafia di Caltanissetta, nel cui territorio di competenza era compresso il comune di Gela, mi chiese di dare una mano, misi in chiaro quale sarebbe stata l'impostazione che avrei dato. Nel periodo in cui il Consiglio superiore prese il suo tempo per rilasciare il nulla osta per andare in aspettativa, mi misi in ferie e cominciai a studiare le problematiche, anche perché da lì alla fine di dicembre, quindi entro pochissimi giorni, si sarebbe posto il problema della estinzione degli ATO e bisognava fare una legge di
proroga, inoltre si poneva un altro problema riguardante il servizio idrico integrato. 
Facemmo una legge ponte, che poi doveva arrivare al disegno di legge cosiddetto «sull'acqua pubblica», che tuttora è approvato in Commissione e bloccato da quando io sono andato via.
Qual era l'impostazione che io avrei dato? Innanzitutto capire nel settore dei rifiuti, di cui mi ero anche occupato come magistrato, alcune problematiche che avevano determinato una situazione di monopolio nella gestione delle quattro discariche private, Catanzaro Costruzioni a Siculiana, Oikos a Catania, Sicula Trasporti a Catania, Mazzarrà Sant'Andrea in quel di Messina.   
Si era arrivati a una situazione di questo tipo perché le discariche pubbliche, sempre e comunque mal gestite, erano pressoché esaurite; quindi vi era un vero e proprio monopolio in tutto il territorio siciliano.
   
Per assumere le decisioni per quanto riguardava i giudizi instaurati per la vicenda dei termovalorizzatori dalle quattro capogruppo delle ATI che avevano firmato le convenzioni, innanzitutto cercai di capire la situazione; la quale era assolutamente chiara: vi era un problema serissimo nei profili autorizzativi in capo all'Assessorato al territorio ambiente, che avevano determinato quello stato di monopolio delle discariche.
 Con la legge n 3 del 2013, in pochi giorni riuscimmo da un lato a prorogare per l'ultima volta gli ATO, perché poi fui io a mettere fine agli ambiti ottimali e a quel tipo di gestione, togliemmo l'AIA all'Assessorato al territorio e ambiente, perché il problema era lì, in quanto avevamo capito che il profilo autorizzativo aveva determinato anche situazioni di illiceità, tanto che i lavori della Commissione costituita vennero fatti propri anche dal G.I.P. di Palermo quando è intervenuto sulsequestro della discarica Oikos di Catania e dall'autorità giudiziaria di Barcellona Pozzo di Gotto che è intervenuta per Mazzarrà. 

Quando intervenne però Barcellona io già ero andato via, ma i lavori erano stati fatti sotto la mia gestione. Non avevamo la sfera magica e vi racconto un particolare. All'inizio neanche l'assessore al ramo si rese conto di quello che stavamo facendo, quando se ne resero conto ci fu una levata di scudi:
molti dipendenti, compreso quel Canova che poi è stato arrestato per corruzione dall'Autorità giudiziaria di Palermo, decisero di trasferirsi al Dipartimento acque e rifiuti,   perché evidentemente pensavano di poter continuare una gestione similare, e chiaramente noi non abbiamo ascoltato. 
Devo dire da subito, perché questa è stata una   querelle durissima, che l'Assessorato al territorio e ambiente, direttore generale Gullo, assessore Lo Bello resistettero per la trasmissione degli atti che riguardavano l'AIA, tanto che dopo quattordici mesi non avevamo ancora avuto gli atti. 
Tutto questo si è tradotto, come il dottor Lupo potrà chiarire ancora meglio perché molte delle sue note sono state trasmesse al Segretario generale per stigmatizzare la grave condotta omissiva di quell'assessorato che, nonostante ci fosse questo passaggio normativo completamente diverso, ritenne che l'ultima parola spettasse comunque all'Assessorato al territorio e ambiente. Il dottor Lupo potrà produrre questi atti.  
  PRESIDENTE. Mi scusi, un chiarimento, magari chi è siciliano conosce la strutturazione delle responsabilità della Giunta. Come vi eravate divisi le deleghe? Questo è importante per capire il contesto.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. AIA e VIA erano chiaramente inglobate nell'Assessorato al territorio e ambiente, io dirigevo l'Assessorato all'energia, di cui faceva parte il Dipartimento acque e rifiuti oltre che il Dipartimento energia. Chiaramente togliendo l'AIA eravamo i gestori del procedimento e anche della programmazione che doveva riguardare le varie discariche. Questa fu per noi la conferma dei grossi problemi che si erano verificati. 
Dal 5 gennaio 2013 l'AIA spettava all'assessorato al territorio e ambiente, ad aprile 2014, forse solo gli ultimi giorni, vennero trasmessi gli atti con una serie di contestazioni durissime per iscritto poste in essere dal dottor Lupo.
 Termovalorizzatori. Sapete che gli assessorati in Sicilia hanno la legittimazione attiva e passiva, quindi, prescindendo dalla costituzione in giudizio perché era stato chiamato in giudizio il Presidente della regione siciliana per la vicenda dei termovalorizzatori, mi costituii autonomamente.   
Faccio una breve parentesi: l'atto che portò alla revoca di tutti gli atti autorizzativi per le convenzioni stipulate (la gara è del 2002, le convenzioni furono stipulate nel 2003, qui ho una relazione che vi posso mettere a disposizione) fu posto in essere nel 2010 dal Governo Lombardo, dall'assessore Pier Carmelo Russo, che revocò tutti gli atti amministrativi.
   
Per tutta risposta il gruppo Falck e gli altri capigruppo delle quattro associazioni temporanee di impresa iniziarono un doppio giudizio: davanti al giudice amministrativo, ritenendo illegittime in violazione di legge le revoche amministrative attuate, davanti al giudice civile di Milano per la causa di risarcimento danni, che ammontavano a 700 milioni di euro.
   
Pier Carmelo Russo era diventato poi il difensore della Regione. Era accaduto che, siccome la gara era stata bandita   Pag. 9con i poteri emergenziali dall'allora presidente della regione Cuffaro nel 2002, l'Avvocatura distrettuale dello Stato difendeva chiaramente chi aveva determinato quella situazione. 
L'Ufficio legislativo e legale della regione siciliana non era in grado (l'aveva anche messo per iscritto) di resistere in giudizio, quindi si poteva far ricorso al difensore privato. Pier Carmelo Russo ha fatto un atto di revoca straordinario sotto il profilo amministrativo, dismise i panni di assessore e assunse i panni di avvocato. Me lo trovai come avvocato alla regione siciliana e mi prospettò immediatamente una situazione gravissima, che troverete poi nella relazione. Lo sintetizzo, ma, se vado per le lunghe, bloccatemi.  
  PRESIDENTE. Vada, abbiamo tempo.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Nel 2002 si bandisce questa gara con la procedura delle concessioni, in violazione della normativa europea che prevedeva invece la gara con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità europea. Nel 2003 vengono stipulate queste convenzioni con quattro ATI, vengono escluse altre tre ATI. Era un bando surreale, perché sostanzialmente su venticinque ATO non dovevano sovrapporsi queste quattro offerte. Troverete uno studio matematico che dimostra come fosse impossibile che non si potessero sovrapporre le offerte. 
Nel 2007 interviene la Corte di giustizia e annulla tutte le convenzioni, dice alla Regione che deve procedere con la gara europea. La regione siciliana fa finta di non capire e con il Dipartimento presso l'Assessorato al territorio e ambiente bandisce la gara, ma con un accordo con le ATI che viene   esternalizzato: chi dovesse aggiudicarsi la gara avrebbe dovuto risarcire del danno emergente, ma anche del lucro cessante. La gara andò deserta. 
Fermiamoci qui perché questo
avviene nel 2009 e, così come è predisposta, la gara è un esempio scolastico di turbativa. Ebbi modo di parlare con il dottor Di Matteo e il dottor Del Bene, i colleghi che seguivano a Palermo le procedure penali, e partivano da un pagamento a monte nel 2002 delle tangenti come ipotesi investigativa. Se ricordate, anche una procura del nord si occupò di questa vicenda e credo anche il dottor Scarpinato, allora procuratore aggiunto a Palermo, venne sentito dalla Commissione antimafia o ecomafia.
 Dissi loro che noi avevamo un problema serio. Nel frattempo avevamo vinto davanti al TAR e al CGA, che parlavano di un cartello in violazione di legge costituito dalle quattro ATI anche nel 2009.   
Il gruppo Falck si fece avanti per un'ipotesi di transazione a costo zero sia per loro che per noi. Le sentenze sia del TAR che del giudice amministrativo purtroppo non fanno fede nel procedimento civile, il procedimento penale ancora era nella fase delle preliminari investigazioni, c'era il rischio di subìre davanti al giudice civile di Milano una condanna alla regione siciliana per 600 o 700 milioni di euro.
 Ritenni quindi opportuno, oltre che trasmettere ai colleghi della procura di Palermo gli atti che non avevano sia del TAR che del CGA, che acclaravano questa situazione di palese illiceità (usa il termine «illegittimità», ma solo formalmente perché di fronte a vera e propria illiceità, descritta in maniera piena dai due giudici amministrativi), dissi che, siccome sulla turbativa nel 2009 non c’è alcun dubbio, ma sussiste il rischio di prescrizione, avrei attivato l'azione riconvenzionale per 800  milioni di euro, interrompendo anche i termini nei confronti delle quattro ATI. Sarebbe stata un'azione straordinaria a tutela delle ragioni della Sicilia. 
Poi ho lasciato e non so quale sia lo stato dell'arte. Con Crocetta ci furono diverse discussioni, perché lui sostenne pubblicamente una cosa destituita di fondamento, cioè che avevo attivato una procedura di transazione. Assolutamente no, e ci sono tutti gli atti di Giunta: avevo interrotto i termini e chiesto una delibera di Giunta per esercitare l'azione riconvenzionale. Tutto questo è documentale e non aggiungo altro. Alcune esternazioni del presidente purtroppo sono state sempre su questa linea e non capisco perché. Mi fermo sulla vicenda termovalorizzatori.   
Posso mettervi a disposizione gli atti. Vi è anche una sintesi con riferimento a una delibera di costituzione in giudizio, dove si possono individuare elementi seri di responsabilità, ma che credo sia inutile leggere.
  
  PRESIDENTE. Ci ha dato il riferimento, poi lo troveremo noi. I documenti che eventualmente ci può lasciare...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. No, vi lascio tutto. Ho anche una cartella che ho tirato fuori dal mio computer prima di andare via, che vi posso fornire. 
Deposito l'atto trasmesso il 13 settembre 2013 alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo all'attenzione del procuratore Messineo e del procuratore aggiunto Agueci che coordinava le investigazioni in quel settore. Troverete riportate anche la sintesi e le valutazioni del giudice amministrativo, non c'era ancora la sentenza del CGA, che vi farò avere (o lo dirò a Marco Lupo) in modo che abbiate il quadro completo.
Vorrei leggere un brevissimo passaggio a pag. 22 della nota. È il giudice amministrativo che scrive: «quello che si ipotizza e su cui sono in corso le indagini è che le violazioni di natura amministrativa riscontrate nella procedura per la stipula delle convenzioni non siano state semplicemente il frutto di un errore di valutazione degli organi amministrativi, ma siano invece uno dei segnali più evidenti di una gara veramente apparente, in cui tutto era già deciso a tavolino». Questo è uno dei passaggi che anche il CGA farà proprio. Posso lasciare questa nota.   
Da un'altra nota che ho trasmesso alla procura di Palermo si evince che la gara del 2009 fu preceduta da un accordo, dal mio punto di vista di magistrato illecito, fra i vertici dell'ARRA e le ATI proprio sul problema del risarcimento danni, cioè i presupposti per determinare che la gara andasse deserta.
 A febbraio si palesò purtroppo la grave situazione di Bellolampo. Vi era stata una gestione emergenziale di tre anni prima, in cui non si era mai fatto nulla, anzi era addirittura servita per pagare circa 100 milioni di euro destinati agli ATO e quindi ai debiti che gli ATO avevano con i gestori delle discariche private.  
 Mi chiamò il procuratore Messineo, che era stato anche mio procuratore a Caltanissetta, e mi disse che la situazione di Bellolampo era gravissima, vi era un importante sversamento di percolato, la quinta vasca all'epoca esistente si sarebbe esaurita ad aprile o maggio e non potevano più tergiversare sul sequestro preventivo che avevano in animo di fare, anche perché la situazione era obiettivamente difficile.
 Quando Bellolampo era stata chiusa nell'estate del 2012 per un incendio, i costi di gestione per trasferire rifiuti al di fuori della Sicilia erano stati immani, quindi a volte dovevi scegliere tra la cosa meno illecita da portare avanti e il danno minore.
 Il dottor Messineo mi disse che avrebbe fatto il sequestro preventivo e mi avrebbe affidato la gestione della discarica con facoltà di subdelega, anche perché ero un organo politico e no  n avevo poteri amministrativi, e nominai il dottor Lupo. 
Fu una corsa contro il tempo. Uno degli aspetti più positivi che riuscimmo a instaurare era questa grande sintonia con tutte le altre istituzioni in settori dove se non ci si dà una mano non ne vieni mai fuori, quindi la procura della Repubblica di Palermo, la Corte dei conti e così via. Riuscimmo a fare l'impossibile, perché prima che si esaurisse la quinta vasca riuscimmo a fare il primo lotto della sesta vasca entro giugno e a bandire la gara per la biostabilizzazione, e anche per il secondo   step della differenziata, anche se la situazione di Palermo sotto questo profilo è drammatica. 
Impedimmo che Palermo rivivesse i giorni tristi della Campania, anche se il problema della sesta vasca era particolare, perché dove doveva sorgere, essendo un po’ in pendenza, solo una gestione perfetta potrebbe in futuro impedire (sotto di noi non avvenne) un possibile sversamento di percolato. Credo che qualche problema oggi ci sia.
  
  PRESIDENTE. L'avevamo visto la scorsa volta. È una vasca su un pendio.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Chiaramente la gestione emergenziale pregressa nulla aveva fatto per Bellolampo e tutto parte sotto la gestione del dottor Lupo e mia. 
Riuscimmo quindi a mettere delle pezze e ad avviare il percorso più corretto che doveva essere seguito anche per la gestione della discarica, tutto chiaramente al costo sopportato dalla regione siciliana.
Il problema serio era Amia, perché poi verrà dichiarata fallita e sapete che c’è un procedimento penale che riguarda anche gli amministratori, ma non ho notizie più precise. Certamente il comune di Palermo costituisce una nuova società, che doveva, dovrebbe o dovrà gestire questa discarica di Bellolampo, ma, come ho detto più volte e ha detto anche il dottor Lupo al sindaco Orlando, purtroppo l'impostazione è quella stessa di Amia, quindi il fallimento è dietro l'angolo sotto questo profilo.   
Peraltro, nei finanziamenti di Amia non era ricompresa la gestione dalla discarica. Se voi andate a vedere la costituzione di Amia e gli obiettivi contrattuali che doveva raggiungere, non è detto nulla su quello che la società doveva disporre per investire sulla discarica, gestire, progredire. Conoscete la composizione di Amia: i raccoglitori sono sempre di meno, tutti sono diventati dirigenti, grosse infiltrazioni anche nel tessuto del personale, come è emerso anche dall'attività dell'autorità giudiziaria di Palermo.
 Fu il dottor Teresi che si occupò della gestione del sequestro preventivo. Con lui interloquii direttamente e gli rappresentai che nello stesso periodo avevamo chiesto all'allora Governo Monti di dichiarare l'emergenza sull'intero ciclo dei rifiuti per quanto riguarda Bellolampo. Stentammo, ma alla fine riuscimmo.  
  PRESIDENTE. Quindi su tutta Palermo.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Su tutta Palermo. Per Palermo sull'intero ciclo dei rifiuti, sul resto del territorio siciliano limitatamente all'impiantistica. Vi dico subito, perché questo fu poi oggetto di molte discussioni con persone di Confindustria, che tutti sapevano e lo sapeva anche l'assessore al ramo, perché nel Governo Crocetta vi è sempre stato sia nel Governo Lombardo e tuttora vi è la signora Vanchieri un assessore che è in quota a Confindustria, che noi avremmo utilizzato...
  PRESIDENTE. Il fatto di Confindustria è strano.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Ma è così.
  PRESIDENTE. Diciamo che «fa parte di», però non può essere in quota a Confindustria.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Solo se facciamo gli struzzi.
  PRESIDENTE. Ho capito, il significato è molto chiaro.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Su tutta Palermo. Lo dico io. Mi risulta personalmente che è in quota a Confindustria. Sapeva quindi perfettamente che avremmo utilizzato l'emergenza rifiuti per potenziare soltanto il settore pubblico, perché mai nella storia della regione siciliana, che è fatta di tante emergenze, furono utilizzati i fondi per favorire il settore pubblico. A Bellolampo raggiungiamo quindi quel risultato. 
Cosa si voleva fare per quanto riguarda il resto del settore della regione siciliana in materia di rifiuti
? Si voleva innanzitutto iniziare a bilanciare il monopolio dei privati nella gestione delle discariche, perché era una situazione surreale: il gestore privato, dimentico di esercitare un servizio di interesse pubblico (intervenni poi con una circolare in materia),   chiudeva la discarica al comune che non corrispondeva il prezzo alle condizioni talvolta dovute a richieste unilaterali di modifica contrattuale da parte del gestore. 
Avveniva il surreale che Monreale andava ad abbancare a Catania, quindi gli autocompattatori viaggiavano, con buona pace della tutela ambientale, per tutto il territorio siciliano proprio per questa ragione. Qualche sindaco nel messinese (non me ne vorranno se ci sono deputati del messinese) un po’ ci ha marciato a non pagare i prezzi di conferimento, però in gran parte il problema era serio e, come sapete, ha determinato l'indebitamento degli ATO e di tutti i comuni.   
Viene dichiarata l'emergenza, il 20 dicembre del 2013 riusciamo a pubblicare tre bandi per tre discariche.
Sapevamo già la situazione di Mazzarrà Sant'Andrea, perché avevamo un monitoraggio e prescindendo dai lavori della Commissione sapevamo cosa sarebbe accaduto, quindi uno a Messina, Enna abbancava a Catania, quindi Enna, dovevamo creare una concorrenza su Siculiana e quindi ripotenziare Gela, non perché fosse la terra di provenienza del presidente della regione, ma perché logisticamente si imponeva di intervenire lì.  
  PRESIDENTE. Scusi: Messina, Enna, e...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. E Gela. Attenzione, facendo piattaforme pubbliche, quindi non solo la vecchia discarica, ma un impianto dotato di quello che dal 2003 era un obbligo di legge, dimenticato in gran parte del territorio nazionale e sicuramente in Sicilia, cioè la biostabilizzazione.
 Se avessimo autorizzato anche una vecchia discarica, anche i privati, con tutte le violazioni ma con l'impianto di biostabilizzazione funzionante, certamente oggi non ci sarebbe il problema di esaurimento delle discariche.
 In sede di conversione veniamo convocati con il dottor Lupo dalla Commissione ambiente congiunta del Senato e della Camera presieduta dal senatore Marinello prima dell'estate del 2013, comunque poco prima della scadenza dei sei mesi.  
  PRESIDENTE. Era già l'ultimo Governo.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. C'era Letta.
  PRESIDENTE. Il senatore Giuseppe Marinello è presidente della Commissione ambiente al Senato in questa in questa legislatura, quindi di che anno si trattava?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Nel 2013. All'improvviso veniamo convocati, l'utilizzo dell'emergenza era stato finora fallimentare, quindi ci fu chiesto se intendessimo continuare come prima, e con il dottor Lupo rispondemmo a tutto. 
Dopo l'audizione apprendemmo che vi era stata una nota a firma congiunta di Legambiente e del vicepresidente di Confindustria Catanzaro, gestore della discarica privata, mai trasmessa all'assessorato. Devo dire che correttezza istituzionale avrebbe voluto che in sede di audizione venissimo informati, perché già disponevano di questa nota, ma nessuno ha ritenuto di informarci. Sostanzialmente cosa si dice in questa nota di Catanzaro
?  Nulla quaestio per Palermo, perché posso valutare positivamente l'intervento di Legambiente, perché ogni violazione...
  PRESIDENTE. Scusi, nota a firma Confindustria-Legambiente? Era firmata da Catanzaro come responsabile...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Si chiama Fontana il Presidente di Legambiente...
  PRESIDENTE. Legambiente Regione Sicilia, non Legambiente nazionale, quindi Confindustria Sicilia e Legambiente Sicilia?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Sì, perfetto. In questa nota si dice che l'emergenza finora è servita, come emerge dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia sempre sulla Sicilia, per le infiltrazioni mafiose, quindi sostanzialmente si metteva in dubbio anche l'operato di un Governo che avrebbe fatto dell'emergenza l'utilizzo che aveva anticipato. Copia una parte di quella relazione, non dice niente sull'emergenza per Palermo, mentre si oppone alla declaratoria dell'emergenza sul resto del territorio siciliano limitatamente all'impiantistica.
 Ogni violazione della normativa ambientale certamente desta sospetti in Legambiente e quindi ritenni corretta quella impostazione, anche se mi sarei aspettato da Legambiente la stessa cosa per Palermo, che aveva vissuto esattamente la stessa situazione. Guarda caso, tutto si concentrò invece sull'impiantistica e mi stupii che un uomo di Confindustria, che magari avrebbe dovuto spingere per le nuove tecnologia, per i lavori di impresa, si opponesse sotto quel profilo.   
Venne comunque concessa, così come era stata disposta dal Governo Monti, l'emergenza in Sicilia che utilizzammo per quanto riguarda l'impiantistica, escludendo Palermo, per fare quei tre impianti. Per Gela succede una cosa particolare.
  
  PRESIDENTE. Scusi, solo per capire: l'emergenza impiantistica assegnando un commissario?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Sì, il presidente Crocetta con subdelega al dottor Lupo.
  PRESIDENTE. Viene dato quindi il commissariamento al presidente della Regione, che a sua volta lo subdelega al commissario straordinario Lupo.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Sì, il direttore generale del Dipartimento acqua e rifiuti. Mentre per Enna e per Messina avevamo già la VIA, non c'era la VIA per Gela. Il dottor Lupo aveva convocato la conferenza di servizi per il 20 dicembre 2013. Riceviamo il 19 dicembre una lettera del dottor Gullo, il direttore generale del Dipartimento territorio ambiente, il quale sostiene che nessuna VIA si poteva rilasciare, atteso che il piano rifiuti era privo di Valutazione ambientale strategica (VAS). 
Preciso che il piano rifiuti che era stato approvato dal ministro nel 2012 con la procedura emergenziale e la VAS in effetti non c'era. Aggiungo che comunque tutta la procedura di VAS era stata attivata immediatamente dal dottor Lupo già dal febbraio-marzo 2013.   
Ci stupimmo, anche perché il dottor Gullo qualche giorno prima aveva rilasciato la VIA per altri impianti privati, quindi non si comprendeva come mai sorgesse il problema, in quanto sembrava che tutti i problemi si addensassero nel momento in cui si volevano fare strutture pubbliche.   
Con il dottor Lupo chiamammo il presidente Crocetta e vi fu una riunione con l'assessore Lo Bello, il dottor Gullo, ildottor Marco Lupo e chi vi parla. Il dottor Lupo contestò quello che era avvenuto, stupendosi anche perché a sorpresa era arrivata quella nota. Con grande candore il dottor Gullo disse che gli avevano predisposto questa lettera (stiamo parlando del direttore generale, la massima autorità ambientale regionale amministrativa) che aveva firmato senza leggerla. 
Quella fu una delle tante occasioni in cui chiesi a Crocetta di rimuovere Gullo. È stato rimosso da poco, ma purtroppo non è stato ancora sostituito, perché il dottor Lupo, a cui era stato chiesto di rientrare in regione perché è un dirigente esterno, ha ritenuto di mantenere l'incarico di presidente di ARPA Lazio.
   Quella situazione venne superata, però capii che vi erano degli ostacoli che andavano palesemente al di là delle scelte strategiche che potevamo fare noi o aveva in animo di fare il presidente Crocetta.  
  PRESIDENTE. Ma queste tre discariche pubbliche erano dentro il piano dei rifiuti?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Certamente. Il 31 dicembre scadeva l'emergenza che non venne prorogata, con il Governo Letta riuscimmo ad avere un emendamento che venne approvato non ricordo se dalla Camera o dal Senato, ma il Governo Letta cadde. Avremmo utilizzato il resto dell'emergenza per fare impianti di compostaggio, dotando ciascun ambito di una struttura autonoma. 
Comunque torniamo indietro. Venimmo tempestati di interrogazioni parlamentari, venne utilizzata questa lettera riservata del dottor Gullo e fra l'altro le interrogazioni parlamentari di Arrigoni...  
  PRESIDENTE. Sì, è membro della nostra Commissione.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Con tutto il rispetto perché ciascuno fa il proprio lavoro di parlamentare come ritiene, però ci stupì che un atto riservato fosse prontamente messo a disposizione di un parlamentare del nord che evidentemente era interessato alla Sicilia. Credo di avere l'interrogazione...
  PRESIDENTE. Vada avanti, l'interrogazione la ripeschiamo.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. La troverò dopo. Andiamo avanti. 
Come stavamo procedendo? Da un lato i termovalorizzatori, dall'altro l'emergenza per bilanciare il monopolio dei privati attraverso impianti pubblici. Avevamo fatto alcune modifiche alla legge n.   3, quella sui rifiuti del gennaio 2013, e avevamo previsto che per quanto riguarda i servizi di raccolta, spazzamento e trasporto la competenza passasse ai comuni. Questo era uno degli obiettivi del Governo Crocetta e chiaramente ci regolammo sotto quel profilo.
Gli ATO sarebbero scaduti secondo l'ultima proroga a settembre 2013. Crocetta aveva in animo di fare liberi consorzi (sicuramente ne avrete letto sui giornali) e fra le competenze dei liberi consorzi vi era anche quella che riguardava la gestione degli ambiti ottimali sia per i rifiuti che per il servizio idrico integrato.
   Mi chiese quindi un'ulteriore proroga, ma rifiutai, anche perché avevo capito che, così come era impostata, quella leggesul riordino delle province e dei liberi consorzi non avrebbe potuto vedere la luce, perché gli errori erano palesi, quindi non volevo ulteriormente sovraccaricare di debiti gli ATO e quindi i comuni e quindi la regione siciliana. 
Qui dobbiamo chiarire un passaggio: la legge che regolamentava il passaggio dagli ATO ai nuovi ambiti che erano le società di regolamentazione è la legge n.9 del 2010 della Regione siciliana, una legge purtroppo nata morta, perché nasce quando neanche il piano rifiuti della Regione siciliana era stato approvato (è datato 2012).
Tutta la tempistica che avrebbe dovuto determinare il passaggio di quel tipo di personale dagli ATO alle SRR (Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti) e i tempi di realizzazione erano già saltati di sana pianta. Quella legge prevedeva di fare i piani d'ambito, poi i singoli piani per ciascuna SRR. Noi cercammo di invertire l'ordine perché era una violazione temporale, ma la legge era già superata, quindi ci veniva più semplice approvare dei piani d'ambito dei comuni che in forma singola o associata avessero deciso di presentarne qualcuno, piuttosto che fare prima il piano d'ambito di una SRR che non poteva ancora funzionare perché poi doveva essere acclarata con il passaggio del personale, degli organi amministrativi.   
Tenete conto che
su 390 comuni per costituire la SRR ne abbiamo commissariati 250 o 270, quindi partivamo con grande ritardo. Compresi che non avremmo avuto la SRR e che sarebbe stato opportuno dare i piani d'ambito e poi la sommatoria dei piani d'ambito di ciascun comune presentato in forma singola o da più comuni in forma associata avrebbe potuto comporre il quadro. Capisco che la procedura anche lì è azzardata, ma ci muovevamo in un mondo surreale e ogni giorno bisognava inventarsi qualcosa da fare.  
Pongo quindi fino agli ATO e determino un passaggio nominando dei commissari a costo zero (quasi tutti intranei alla pubblica amministrazione, al massimo personale di prefettura o delle ASL che ci poteva dare una mano perché poi in certi territori nessuno accettava l'incarico, a Trapani abbiamo avuto grosse difficoltà), si ha uno scontro durissimo con molti sindaci che avevano creato la surreale posizione degli ATO gonfiati con tanto personale (c’è stata una promozione di cui ho trasmesso gli atti a diverse procure, per cui molti raccoglitori sono diventati dirigenti nei 2-3 giorni prima del 30 settembre 2013), c’è una grande resistenza politica perché chi aveva riempito gli ATO doveva rispondere del venir meno di parecchi posti lavoro.  
 Con il dottor Lupo decidemmo di fare un accordo quadro con i sindacati, dicendo che secondo la legge n.   9 del 2010 avrebbe potuto transitare soltanto il personale con determinate caratteristiche e tutto il resto sarebbe stato inserito in un bacino dal quale attingere, perché poi magari i sindaci avrebbero provato ad assumere personale diverso da quello che aveva già lavorato. Questo accordo quadro avrebbe salvaguardato quello che rimaneva di questi lavoratori, che fra l'altro erano un numero consistente.
Non potevamo costruire soltanto impianti pubblici, puntavamo sul riciclo, per cui costituii una commissione presso il mio assessorato composta gratuitamente dal professor Angelini dell'Università di Palermo, dal professor Guarnaccia dell'Università di Catania, dall'Architetto Greco della VIA-VAS nazionale, dirigente della regione siciliana, e dal capo della segreteria tecnica del mio assessorato,   l'ingegnere Pace. Dovevamo puntare sul riciclo e supportare ulteriormente i vari passaggi per arrivare alle SRR, perché Marco Lupo aveva poco personale valido e aveva bisogno del massimo supporto.
Nella fase costruttiva puntiamo quindi sul riciclo. Nel frattempo dovevo formalizzare lo stato dell'arte per le quattro discariche private, quindi costituisco una commissione composta dal mio vice capo gabinetto, il dottor Buceti, un vicequestore che era alla DIA a Caltanissetta con cui avevo collaborato quando ero magistrato, dall'ingegnere Pace e si avvale della presenza di una straordinaria dirigente dell'ARPA Palermo, la dottoressa Di Franco, che sotto il profilo tecnico ha dato un apporto non indifferente ai lavori della commissione.
   Il Nucleo operativo ecologico (NOE) dei Carabinieri di Palermo mi aveva già contattato mesi prima e il 29 ottobre formalizza una richiesta di supporto tecnico, ci chiede una sorta di consulenza tecnica nelle fasi di preliminari investigazioni (chiaramente erano delegati dalla procura di Palermo) per quanto riguarda la discarica di Siculiana.
 Stavamo parlando della vicenda della nota alla Commissione ambiente del vicepresidente di Confindustria. Per quanto riguarda Catanzaro, anni prima, quando io ero in procura a Caltanissetta un collega si occupò di un'altra vicenda, perché il gruppo Catanzaro aveva chiesto di costruire ad Astro, un comune in provincia di Enna, una piattaforma privata. All'epoca era Ministro la Prestigiacomo, il dottor Lupo era direttore generale, ci fu una levata di scudi della popolazione perché era una zona agricola coltivata.
   Ci fu un sopralluogo del ministro, del colonnello Di Caprio, vice comandante del NOE, e del dottor Lupo per capire cosa stesse accadendo. Questo sopralluogo fu fatto di venerdì o di sabato, il lunedì successivo (sto parlando di 4-5 anni fa) chiesero gli atti e poi Catanzaro ritirò ogni richiesta. Ci fu però una vicenda giudiziaria che io non conosco bene, ma mi ricordavo di Catanzaro anche sotto questo profilo e lo    abbinavo al discorso che il NOE lo attenzionava da tempo anche per questa vicenda che aveva visto la presenza di Di Caprio. 
Cosa era accaduto per la creazione di questa benedetta discarica? Lo troverete anche nella relazione della commissione che vi posso mettere a disposizione, ma sicuramente il dottor Lupo ve ne potrà dare ulteriori copie. Erano sorti dei problemi fra l'allora sindaco del comune di Siculiana e il gruppo Catanzaro, perché questa discarica su terreni di proprietà del comune (alcuni in corso di espropriazione) la voleva fare il comune di Siculiana.
   Lì nacque una delle tante surreali vicende antimafia siciliane, perché il sindaco venne arrestato insieme al capo dell'ufficio tecnico e del comandante dei vigili urbani perché accusato da Catanzaro di voler costruire e gestire questa discarica per favorire dei mafiosi. Il sindaco verrà poi assolto, quindi l'antimafia nasce con questo passaggio drammatico e surreale. Ebbi poi modo di incontrare il sindaco, che credo sia tutt'oggi molto colpito da quella vicenda giudiziaria.   
Vengono assolti e il NOE ci chiede di svolgere degli accertamenti anche sulle particelle perché il giudice è molto duro in questi passaggi. Vi consegno la nota del NOE.
  
  PRESIDENTE. Il NOE chiede di fare accertamenti alla procura...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Questa parte dovremmo segretarla.
  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio video.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta indi riprende in seduta pubblica).
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. La Commissione quindi parte sia dalla vicenda della nota che vi ho citato, sia da questa richiesta urgente del NOE per fare una disamina completa di tutte le autorizzazioni di cui aveva beneficiato la Catanzaro costruzioni. 
Ironia della sorte, chi voleva criticare il Governo della Regione siciliana e chiedeva l'emergenza grazie solo all'emergenza aveva avuto la possibilità di costruire e gestire questa discarica: tutta la storia della discarica di Siculiana passa per l'emergenza, anche con alcuni atti prefettizi in cui probabilmente ci sono degli errori. Non voglio però dilungarmi sul contenuto tecnico, che potrete valutare autonomamente. 
Poniamoci sul problema autorizzativo a monte con cui appunto avevo iniziato il mio intervento. Qui ci sono dei casi di scuola di palesi violazioni della normativa, gravissime violazioni di leggi poste in essere dal territorio e ambiente a favore della Catanzaro costruzioni. Farò due passaggi di cui forse uno bisogna segretare.
 In una delle tante autorizzazioni per ampiamento sia VIA che AIA 2006, 2007 e 2008 trovate che a un certo punto l'assessorato al territorio e ambiente correttamente impone per l'ampliamento della vasca V3 gli impone di fare l'impianto di biostabilizzazione, che non verrà mai fatto. A distanza di un anno Catanzaro chiede un altro ampliamento, e lo chiede dove doveva sorgere l'impianto di biostabilizzazione, la Regione siciliana se lo dimentica e gli dà l'ulteriore ampliamento.

 Arriviamo al 2009. Se il Governo Lombardo fu lungimirante sulla vicenda dei termovalorizzatori, perché la Sicilia sarebbe diventata per la potenzialità di quei termovalorizzatori, così come erano stati impostati, la discarica di Europa, fu responsabile in maniera preponderante di queste violazioni amministrative. 

Nel 2009 si hanno i più grossi ampliamenti, che noi paghiamo oggi, delle discariche, con particolar riferimento a Siculiana e Oikos, 2,7 milioni di metri cubi per Oikos, 3 milioni di metri cubi per Catanzaro costruzioni. Gli istruttori della pratica correttamente si chiedono perché dare questa volumetria così ampia in quel territorio, perché Trapani debba avvalersi di questo, perché a Siculiana e non a Enna o in qualsiasi altro posto della regione siciliana, in quanto non era motivato, perché questa volumetria spaventosa, perché non ci fosse nulla sull'impianto di biostabilizzazione, che nel 2003 era un obbligo di legge.
 Purtroppo la storia italiana è fatta anche di deroghe, e di anno in anno si andò avanti con deroghe all'applicabilità della normativa europea sulla biostabilizzazione. Nel 2008 la Comunità europea si arrabbia e dice basta all'Italia, quindi il dottor Lupo come direttore del Ministero dell'ambiente emana una circolare in cui impone che non possa essere rilasciata alcuna autorizzazione senza l'impianto di biostabilizzazione, a meno che non si tratti soltanto di discariche in corso di gestione.
   Come interpreta la regione siciliana questa cosa? Che quello è un ampliamento. Fra l'altro, questa vasca V4 è anche fisicamente distinta dalle altre vasche, da cui è divisa da una strada pubblica, e 3 milioni di metri cubi non possono mai essere un ampliamento di discarica, come neanche i 2,7 milioni di Oikos. Nonostante quanto rilevato, inoltre, ritiene di non imporre l'impianto di biostabilizzazione. Vi consegno la relazione.  
Avvengono due cose, ma forse è meglio segretare questa parte.  
  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio video.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta indi riprende in seduta pubblica).
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Quello che era emerso e che ci aveva imposto il trasferimento dell'AIA dall'assessorato territorio e ambiente al mio assessorato era assolutamente corretto, e collegandomi con la vicenda di Astro è chiaro che loro sapevano che, se non fosse intervenuto il Governo nazionale e il Ministro dell'ambiente, avrebbero avuto l'ennesima autorizzazione, perché tutte le procedure autorizzative, come vedrete anche per le relazioni di Oikos e di Mazzarà, sono assolutamente surreali, dal mio punto di vista non solo responsabilità amministrative, ma anche responsabilità penali, ma questo non competeva a me valutarlo né allora, né oggi, è una mia valutazione extra ordinem. 
Passiamo a Oikos. Almeno Catanzaro gestiva la discarica in maniera corretta nel rispetto della normativa ambientale, invece Oikos era un disastro, tanto che trasmisi gli atti, perché se ne occupava la procura di Palermo perché le autorizzazioni erano state rilasciate a Palermo, quindi la competenza territoriale era di quella procura, ma per eventuali reati ambientali la competenza è di Catania e infatti sia per Mazzarrà che per Oikos furono trasmessi alla rispettiva autorità giudiziaria anche agli atti della relazione. Credo ci siano dei procedimenti, però non posso aggiungere altro.
 Per quanto riguarda Oikos furono revocate tutte le autorizzazioni precedenti, c’è un problema di   post mortem, una  situazione gravissima anche sotto il profilo della tutela ambientale. La Regione siciliana avrebbe dovuto esercitare (questo vale anche per le vasche esaurite della Catanzaro costruzioni nella discariche Siculiana) le azioni di risarcimento danni. Anche se non ci sono responsabilità penali, non devi valutarle tu, in quanto non sei estraneo a quei princìpi di terzietà e indipendenza, che appartengono non soltanto alla magistratura, ma anche all'alta amministrazione, come cercavamo di far capire ai dirigenti della Regione siciliana e anche ai politici, che pressano troppo sui dirigenti. Alcuni dirigenti hanno avuto purtroppo la debolezza di cedere alle richieste della politica e ne hanno anche pagato le spese. 
La regione aveva il dovere di intraprendere azioni di risarcimento danni perché, ad esempio, l'impianto di biostabilizzazione è una condizione essenziale del contratto. Nessuno si è accorto nel 2007
   che è stato violato il contratto e manca l'impianto di biostabilizzazione?
Ci sarebbe un problema di autorizzare ampliamenti alle discariche, come sono stati dati nel 2008 e nel 2009? No. 
Quello che noi viviamo oggi, compreso l'esaurimento delle discariche, è il frutto di una palese gestione illecita dell'amministrazione pubblica e, leggendo tutte le relazioni, potrete verificarlo.   
I prezzi di conferimento in discarica chiaramente si riversano sulla tariffa, ma nessuno aveva mai accertato e (non ci arriverò neanch'io perché sono costretto ad andar via) nessuno ha mai accertato se l'investimento dell'imprenditore in 100 autisti e 100 autobotti fosse gonfiato.   
Nessuno l'ha mai verificato, e tutto questo modificava, unitamente ai prezzi di trasporto, i prezzi di conferimento in
    discarica. Questo è uno dei lavori della Commissione, non so se i miei successori abbiano spinto per questo accertamento, ma è essenziale compierlo e nessuno l'ha mai fatto.
 Mi hanno chiesto a volte se potremmo avere in Sicilia problemi come nella Terra dei fuochi, ma non lo sappiamo perché sono mancati in Sicilia (e questa è un'altra grande responsabilità) i veri controlli di Arpa e provincia. Non sono i 3 carabinieri del NOE a Palermo e i 3-4 a Catania, anche perché il processo penale deve essere residuale, ci deve essere la capacità della pubblica amministrazione di ripristinare la legalità, non possiamo delegare sempre al processo penale, alle indagini, perché il processo penale può anche non raggiungere i suoi effetti per ragioni varie, ma c’è una responsabilità morale, amministrativa, politica, penale, e sono concetti assolutamente diversi, come si cercò di dimostrare.
 Sono convinto che, se l'ipotesi investigativa che i colleghi di Palermo seguono è quella di un pagamento di tangenti a monte e poi per l'intervento della Corte di giustizia e per la gara deserta nel 2009 non fu possibile per i privati che si aggiudicarono e furono i firmatari delle convenzioni rientrare in un'ipotesi investigativa di quel denaro, anche perché la Catanzaro costruzioni faceva parte di una delle ATI che si aggiudicò, l'ampliamento delle discariche è sospetto.   
Mi sono chiesto perché Lombardo facesse due cose contrapposte, ma la verità è che quella dei termovalorizzatori dal mio punto di vista fu una guerra politica vera e propria con il senatore Firrarello che spingeva per il discorso dei termovalorizzatori. La guerra sui termovalorizzatori, più che essere una guerra di giustizia (poi magari i fini di giustizia coincidono casualmente con altri fini, come sempre capita), mi è sembrata
   una guerra politica, perché non si giustifica assolutamente l'ampliamento a dismisura delle discariche del 2009 proprio sotto la gestione Lombardo.
  PRESIDENTE. Quella dei termovalorizzatori, più che una guerra politica, era una guerra di interessi: ballavano tanti soldi...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. C'era anche un'inchiesta a Catania per il problema dei terreni. Era a progetto libero: chi presentava l'offerta...
  PRESIDENTE. Se i colleghi vogliono prendere visione dell'approfondimento sulla Sicilia, nella relazione c'era anche scritto dell'unico notaio che aveva fatto tutta l'operazione, c'era una serie di indizi (più che indizi) che facevano pensare a una situazione che è ancora oggetto di un'indagine giudiziaria importante.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Presidente, vi do gli atti che riguardano il sequestro preventivo di Bellolampo con le nomine. Per ora mi fermerei qui, scusandomi per essere stato prolisso.
  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
  STEFANO VIGNAROLI. Innanzitutto grazie. Vorrei chiederle un approfondimento per quanto riguarda la discussa discarica di Siculiana, che è partita pubblica e poi è diventata privata, per comprendere il passaggio da pubblica a privata. Pag. 32
Vorrei sapere dove siano finiti i 200 milioni dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3887 per quanto riguarda l'impiantistica pubblica e la raccolta differenziata, come siano stati gestiti questi soldi e se sia possibile che funzionario come Canova abbia potuto agire da solo, visto che comunque era un funzionario, e se fossero coinvolti altri dirigenti o altri soggetti, se ritenga che qualcuno sia stato premiato da alcune scelte politiche e amministrative.
  GIUSEPPE COMPAGNONE. Una cosa importante sono gli impianti di compostaggio. Il programma del 2012 approvato dal ministero prevedeva tutta l'impiantistica, perché lei mi insegna che senza quegli impianti non si può fare altro che ampliare le discariche. 
Il ciclo integrato dei rifiuti, così come previsto dal progetto della regione siciliana, metteva al centro la raccolta differenziata per la quale a monte ci devono essere soprattutto degli impianti di compostaggio, altrimenti viene vanificata e si deve ricorrere alle discariche.
   
La domanda è molto semplice e traspare dalle sue considerazioni. In Sicilia erano previsti ben 19 impianti di compostaggio, non ne è stato realizzato alcuno e sono sostanzialmente fermi. Lei ritiene che in ogni passaggio di questi impianti ci siano stati dei ritardi determinati da interessi vari, che hanno fatto sì che non partisse mai il piano di gestione dei rifiuti in Sicilia per continuare ad ampliare le discariche
? Il piano regionale fu infatti approvato dal Ministero nel 2012.   
Dissento però dal suo ultimo appunto perché sono stato sindaco dell'unico posto in cui c’è un impianto di compostaggio pubblico e so quanti bastoni tra le ruote ci sono stati messi, perché si è fatto di tutto per farlo chiudere, ma alla fine ce l'abbiamo fatta
!   Io ho conosciuto la regione siciliana e la capacità dei funzionari di frenare, di alterare, e vorrei ricordare che direttore di ARRA era un certo Crosta che poi denunciò il Presidente Lombardo. Credo che nel tessuto dei funzionari della regione siciliana sia allocato il vero cancro e che la politica non sempre abbia la forza di contrastarlo, anche perché cambia, si muove, e lei ne è un esempio perché alla fine è stato rimosso e non ha completato un percorso.
   I politici passano, i funzionari restano e spesso determinano gli atti, quindi la vedo diversamente sul discorso di Lombardo, le posso garantire che dietro quella battaglia contro i termovalorizzatori ci fu una battaglia di principio, perché si riteneva che quello fosse un grande   business, perché anche dai miei calcoli, su un investimento di circa 5 miliardi di euro, nell'arco dei 25 anni successivi ci sarebbero state entrate per circa 60 miliardi di euro, il che significa che averlo fermato con tanta determinazione non fu una sciocchezza, fu una battaglia di principio. 
Nei vari ampliamenti di discariche c’è invece la «buona volontà» di tanti funzionari che si prestavano a fare queste cose, alcuni probabilmente anche in buona fede perché immaginavano di ampliare per accogliere l'immondizia, qualcun altro in malafede (credo che qualcuno sia stato inquisito per questo motivo).
Mentre quindi è acclarata la malafede di molti funzionari, non lo è quella dei politici. La verità è che spesso si fanno delle valutazioni sbagliate. 
Le chiedo quindi se lei ritenga veramente che il sistema individuato nel piano dei rifiuti sia stato fermato appositamente e cosa intendesse attivare se non si fosse fermato, perché mi risulta che l'impiantistica sia sostanzialmente ferma.
  
  PRESIDENTE. Giustamente lei ha segnalato questa carenza di controlli, che può essere dovuta a tanti motivi come l'insufficienza del personale, perché probabilmente l'Arpa è una struttura molto piccola rispetto a quelle che sono le esigenze e le problematiche in Sicilia. 
Visto che l'Arpa oggi con la regolamentazione vigente è fortemente incardinata dentro le politiche della regione, a chi risponde l'Arpa nella Regione Sicilia o almeno a chi rispondeva durante il suo mandato
? L'Arpa di fatto è un'agenzia regionale e il direttore viene nominato dalla regione. Noi stiamo facendo una battaglia per cercare di dividere la struttura tecnica da quella amministrativa regionale, però a legislazione vigente gli   input vengono dati dalla regione. 
I prezzi del conferimento venivano definiti sostanzialmente dal gestore. Non c’è una regolamentazione a livello regionale che tende a definire, almeno per quanto riguarda i rifiuti urbani, il costo del conferimento
? Questo è quello che dovrebbe succedere.  
  STEFANO VIGNAROLI. Cento euro a tonnellata, se non sbaglio. È tra i più alti d'Italia dopo la Campania.
  PRESIDENTE. No, questo è troppo alto, però sui rifiuti urbani che sono in privativa non c’è una libera contrattazione del gestore che decide che prezzo fare: normalmente nel nostro ordinamento o c’è un'agenzia d'ambito che definisce i prezzi medi di conferimento, tenendo conto degli investimenti delle aziende nelle realtà più evolute, o la regione in qualche modo determina questi prezzi. Se sono obbligato a portarlo perché sono in privativa e il gestore fa il prezzo che vuole, questo si ripercuote sulle tasse o la tariffa dei cittadini, quindi vorrei capire come funzioni. 
Abbiamo parlato molto di questo gestore del gruppo Catanzaro, Sicula Trasporti, però nella scorsa legislatura (ma anche oggi rimangono problemi aperti) è emersa la questione
  di Mazzarrà Sant'Andrea ed i rapporti con la società Tirrenoambiente che dire discussa è poco. Abbiamo Sicula Trasporti, Oikos, Mazzarrà Sant'Andrea, Siculiana. Vorrei conoscere il suo punto di vista su questa di Mazzarrà Sant'Andrea e della Tirrenoambiente.
Non so se ci siano delle indagini in corso, si ipotizzano abnormi ampliamenti delle discariche che, come lei ha segnalato, non sono ampliamenti, ma sono veri e propri nuovi invasi. Sarà cura del nostro lavoro di approfondimento in Sicilia capire se questo fosse un modo per rispondere a una situazione di emergenza o sotto vi fosse anche altro, come mi sembra si ipotizzi anche da alcune sue dichiarazioni. Queste erano le cose che tenevo a sottolineare.  
  STEFANO VIGNAROLI. Faccio solo una precisazione: erano 294 euro non a tonnellata, ma per abitante. È il secondo più alto dopo la Campania: 294 euro ad abitante.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Molte delle risposte alle domande poste le troverete nelle relazioni che sono assolutamente tecniche e molto importanti. 
A proposito della proprietà delle discariche, vi leggo alcuni passaggi per le vasche V1 e V2 di Catanzaro: «Il progetto per la realizzazione delle vasche V1 e V2 in ampliamento della vasca esistente VE è stato approvato dalla Prefettura di Agrigento in data 05/12/2001 in difformità al divieto di autorizzare discariche che non fossero a titolarità e gestione pubblica, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, dell'OPCM n. 2983 del 1999».Questa stessa cosa la troverete anche per altre parti. 
Nel 2005 o 2006 ci fu una modifica di questa norma che impediva di autorizzare e far gestire discariche ai privati, quindi molte delle autorizzazioni furono rilasciate palesemente in violazione dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 
Lei chiedeva che fine abbiano fatto i soldi dell'impiantistica. Le posso dire che quando abbiamo gestito i sei mesi di emergenza, a parte che i fondi erano già stati destinati alla Sicilia, quindi quando fu fatto il decreto-legge sull'emergenza non fu necessario approntare nuovi fondi. I fondi pregressi furono tutti destinati per ripianare i debiti degli ATO, è questa la situazione. Fra l'altro...  
  STELLA BIANCHI. I fondi destinati agli impianti sono andati a ripianare i debiti degli ATO...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Parliamo dell'ultima emergenza prima della nostra, tre anni prima, circa 100 milioni di euro furono utilizzati soltanto per ripianare i debiti degli ATO nei confronti dei gestori di discariche private, quindi l'indebitamento continua. 
Tra l'altro, una delle cose surreali della legge n. 9, che mi sono stupito che il commissario non abbia impugnato, perché l'ideatore della legge è sempre l'avvocato Pier Carmelo Russo, quello dei termovalorizzatori, quindi magari è stata una sua capacità particolare, prevedeva la liquidazione unica. Se per far venir meno gli ATO bisogna arrivare alla liquidazione unica, significa che fallisce la Regione siciliana.Tra l'altro, una delle cose surreali della legge n.  
 Con l'allora collega Bianchi, che era assessore al ramo dell'economia, si decise infatti di valutare con attenzione questo passaggio, perché delle due l'una: o fallisce l'ATO o il Comune, o la regione siciliana, perché quando hai un ATO con 50-60 milioni di debiti come li puoi ripianare mai? Anche Comuni con questi debiti (Messina molto di più) come possono   essere ripianati? C’è il rischio di un fallimento, non puoi più gestire.
Onorevole, mi aveva posto un'altra domanda che ho scritto, ma non riesco a leggere la mia calligrafia, il che è grave.  
  STEFANO VIGNAROLI. Se il funzionario Canova poteva aver agito da solo, se ci fosse il coinvolgimento anche di gente tipo Sansone...
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Canova è una piccola ruota del carro: è tutta la struttura che andrebbe cambiata. Canova è una pedina, ma personalmente non credo neanche alla buonafede di Gullo, perché uno che firma un atto senza neanche leggerlo (potrete verificare anche con il dottor Lupo questa riunione surreale che c’è stata), tu quantomeno lo cacci. Io ho chiesto più volte a Crocetta di cacciarlo. Alla fine chi fa i controlli? 
Sapete cosa ha fatto Gullo? Quando iniziano i procedimenti per Oikos (ancora non avevano fatto gli arresti a Palermo di Oikos) e anche per Catanzaro, nella conferenza di servizi scrive che tutto è a posto, poi ci sono gli arresti e dopo due giorni modifica la linea. Fino al procedimento di secondo livello di Catanzaro ha continuato a sostenere che la biostabilizzazione non andava imposta. Solo Marco Lupo l'ha scritto nella conferenza di servizi, ma io ero già andato via. Questa è la situazione.  
 Stiamo parlando della massima autorità ambientale della regione siciliana, e ci volevano gli arresti per vedere queste cose? Poi il GIP di Palermo utilizzerà anche la relazione Oikos che noi abbiamo scritto.  
 Il fatto contestato a Canova è in un periodo successivo, i fatti della procura di Palermo vanno dal 2010 al 2011 se li vedete come contestazioni, noi arretriamo sul processo autorizzativo al 2009 anche per Oikos, quindi come fai ancora a negare l'evidenza, se non sei incapace di intendere e di volere? Mi sono anche stupido che i colleghi non abbiano attenzionato questi fatti. 
Sugli impianti di compostaggio, la cosa più semplice da fare: se avessimo avuto la proroga dell'emergenza, che poi non abbiamo avuto, li avremmo fatti, e 3 o 4 riuscimmo a farli con la vecchia emergenza.
 Certo che è tutto fermo, perché il nostro passaggio graduale prevedeva: fine degli ATO, concorrenza alle discariche private, impianti di compostaggio e riciclo. Questo era il nostro passaggio, molto semplice, anche perché gli impianti di riciclo li fai subito, anche oggi puoi trasformare la frazione organica in biometano e realizzare impianti in 8-9 mesi. Non è una cosa complicata, la puoi fare. Tra l'altro, prendi gli incentivi del biometano, fai abbancare i rifiuti anziché a 90-100 euro li fai a 50-60. Ci sono mille soluzioni, fra l'altro è tutto il riciclo il meno complicato, ma devi partire dall'impianto di compostaggio.
 Sicula Trasporti. Possiamo secretare.  
  PRESIDENTE  . Dispongo la disattivazione dell'impianto audio video
  (La Commissione prosegue in seduta segreta indi riprende in seduta pubblica).
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. L'Arpa, come vi dicevo, ha anche dei funzionari di polizia giudiziaria, ma tutti i dirigenti sono appannaggio di chi li nomina (provincia di Palermo, Commissario della provincia di Palermo). Viene nominato un ufficiale dei carabinieri, un ex generale, persona perbene che ha avuto due ictus. Presidente, lei si dovrebbe far raccontare, quando scenderà in Sicilia, dal sindaco Orlando, dai sindacati cos'erano le riunioni pubbliche. Questo che doveva esercitare una serie di attività di controllo (noi l'avevamo scomodato per il fallimento APS a Palermo, 52 comuni serviti da APS) aveva avuto due ictus, presidente, e la Giunta rideva. 
Non voglio segretare perché l'ho anche scritto, mi spiace sotto il profilo umano perché è un uomo delle istituzioni e la colpa è dei familiari che gli consentono di accettare un incarico di questo tipo, ma quando lo conobbi chiamai Crocetta e gli dissi allarmato: «Rosario, la Giunta ride». Mi rispose che la moglie era brava: aveva nominato questa persona perché la moglie era stata revisore dei conti a Gela e quindi dovevamo contattare la moglie per far ragionare questa persona.   
Questa è la regione siciliana, Presidente, e questa è una delle tantissime cose che bisognava fronteggiare.
   
Voglio dire anche perché l'ho detto più volte
che il referente in Sicilia di Renzi è l'onorevole Faraone, a cui nel febbraio 2014, poco prima di andare via, ancora assessore, dissi: «Se gli lasciate ancora nelle mani la Sicilia, finirà per distruggerla». Oggi finalmente lui sta litigando con Crocetta.
 Ho depositato alla Corte dei conti tutte le note che avevo scritto a Crocetta su come venivano fatte le Giunte: non c'erano ordini del giorno, erano convocate a minuti, a Palermo, quando tu potevi essere in qualsiasi altra parte del mondo, nessuno studiava le cose, ed è tutto documentato. La Corte dei conti, che ha rinviato a giudizio Crocetta e altri colleghi per  la vicenda dell'informatizzazione, trova scritte dichiarazioni mie e di Luca Bianchi. Di che dobbiamo discutere? Il problema è che bisogna cacciare le persone.
  PRESIDENTE. Non compete ovviamente a noi.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Questo è il mio punto di vista, come continuo a dire, come avevo anticipato la vicenda Montante...
  PAMELA GIACOMA GIOVANNA ORRÙ. Lei si rende conto della gravità di quello che dice?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Assolutamente, ma io l'ho già detto. Questa macchina è assolutamente complessa, anche la migliore squadra avrebbe difficoltà...
  PRESIDENTE. Stiamo ai temi nostri.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Nel settore dei rifiuti la migliore squadra avrebbe grandi difficoltà a riprendere in mano questa situazione. Nel momento in cui la gestione diventa approssimativa per una serie di circostanze che ho ufficialmente comunicato in tutte le sedi competenti (non è quindi una novità che dico a voi, l'ho già fatto in passato), diventa impossibile recuperare questa situazione.
  PAMELA GIACOMA GIOVANNA ORRÙ. Volevo precisare che quello che lei ha detto l'abbiamo capito perfettamente. Siccome lei ha fatto un riferimento preciso a una nomina e a come le persone vengono nominate, la mia battuta «lei si rende conto della gravità di quello che dice?» era in questo senso, non rispetto a tutto il resto. Già è grave quello che è stato detto, questo è ancora più grave....
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Io sono andato via per questo.
  PAMELA GIACOMA GIOVANNA ORRÙ. Un commissario che viene nominato perché la moglie era brava è ancora più grave.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. È assolutamente così e lo ribadisco, ma l'ho anche dichiarato e contestato. Non ci sono cose che non abbia cercato di fare per rimettere in piedi la situazione.
  PRESIDENTE. Va bene (va bene per modo di dire). La ringraziamo per tutta la serie di indicazioni che ci ha dato, adesso inizieremo il nostro approfondimento in Sicilia, riprendendo anche in mano alcune questioni che qui abbiamo toccato relativamente, perché tutta la vicenda della gestione della discarica di Mazzarrà ha tutta una serie di aspetti che non riguardano solo la gestione dei rifiuti. 
C’è anche la questione di Tirrenoambiente, di alcune relazioni che questa società intrattiene e attività in ambito internazionale. Sono cose che comunque approfondiremo con calma.
  STELLA BIANCHI. Mi rimane altrimenti questo dubbio. Lei diceva che come primo atto del suo insediamento aveva chiesto lo spostamento del potere di rilascio dell'AIA al suo assessorato piuttosto che all'assessorato ambiente e territorio, e che questa cosa però, è rimasta sospesa per quattordici mesi, perché non vi sono stati consegnati i documenti. In questi quattordici mesi che cosa è successo: nessuno dava le AIA o le davate voi? E in questi quattordici mesi quali procedimenti erano in corso?
  STEFANO VIGNAROLI. E soprattutto vorrei aggiungere: perché ha scelto questo trasferimento dell'AIA, per quale motivo specifico?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana
L'AIA fu trasferita con la legge n. 3 del 2013 e il motivo fu assolutamente chiaro: con il mio capo gabinetto, il dottor Pirillo, che oggi è direttore generale all'urbanistica, e con il dottor Lupo riscontrammo che la riprogrammazione del settore dei rifiuti non poteva essere lasciata con l'AIA in mano a soggetti che l'avevano mal gestita. Avevamo già capito, anche perché avevamo già monitorato la situazione delle discariche..
 È vero che la Commissione venne costituita dopo, e cominciò poi a relazionare successivamente in maniera molto particolareggiata, come vedrete, però era già chiara la situazione sotto il profilo amministrativo, quindi per controllare quello che avevano fatto o quello che potevano ancora fare ci siamo presi l'AIA. L'assessore al ramo non l'aveva capito ancora, l'ha capito dopo.   
Per quanto riguarda i quattordici mesi, fu fatto un protocollo fra i due dipartimenti (su questo il dottor Lupo potrà essere molto preciso perché era il direttore generale):
le AIA in corso dovevano essere completate dall'assessorato al territorio e ambiente, mentre le nuove richieste di AIA o quelle mai evase sarebbero immediatamente passate all'attenzione del dipartimento rifiuti. Questo non avvenne e noi non controllavamo   niente, non sapevamo nulla, come è stato messo per scritto più volte. 
L'intervento del segretario generale avvenne poco prima che andassi via (ci sono lettere di protocollo del dottor Lupo sotto questo profilo).  
  STELLA BIANCHI. Se posso chiedere ancora una precisazione, in questi quattordici mesi l'assessorato al territorio e ambiente ha rilasciato delle AIA?
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Io ritengo di sì, ma non sapevo nulla, e, più che dirlo a Crocetta per supportare politicamente le richieste scritte di Marco Lupo nei confronti sia di Gullo che del segretario generale, non potevo fare altro. Il nostro dipartimento non sapeva nulla. 
Voglio darvi altri documenti e una delle relazioni per la commissione antimafia dell'ARS, dove è ricompreso il lavoro che riguarda anche Oikos. Questa è un'interrogazione scritta, la risposta ve la potrà dare Marco Lupo, che l'ha predisposta.
   A proposito dei contratti per i prezzi di conferimento, dall'ATO di Agrigento eravamo tempestati da richieste. Una nota del sindaco di Casteltermini, che doveva subire l'ennesima variazione contrattuale per il prezzo di conferimento, chiede un mio intervento, cosa che io feci, ma era il   leitmotiv della provincia di Agrigento. Ho delle direttive in materia di rifiuti, che se volete vi posso lasciare.
  PRESIDENTE. Se avremo bisogno di eventuali documenti o approfondimenti, glieli chiederemo. È chiaro che quando audiremo l'assessore in carica ovviamente chiederemo il quadro della situazione, la percentuale di raccolta differenziata, tutte le domande che si fanno alle regioni in carica.
Sono tante le cose che lasciano perplessi, però che   i costi dei rifiuti urbani siano lasciati alla libera contrattazione del gestore è particolarmente strano.
  NICOLÒ MARINO, ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana. Chiaramente esistevano i vecchi contratti, perché è una storia di gestioni commissariali. Troverete anche nella relazione su Siculiana qualcosa sui prezzi.
  PRESIDENTE. Per chi come me è andato in Sicilia nel 2009 risentire alcune cose che lei dice sul periodo dal 2009 al 2015 porta all'amara constatazione, al di là delle problematiche che sta sollevando, di un sistema che è messo come prima, se non peggio, a sei anni dalla relazione di una Commissione bicamerale che aveva messo in evidenza alcune criticità (questo tema delle discariche, tutte cose note e arcinote, discusse, dove c’è stato da parte della classe politica di allora un impegno per risolvere). 
Sono passati cinque anni ma sembra che non sia successo assolutamente nulla, anzi alcune questioni sono peggiorate. Questa come legislatori e uomini delle istituzioni è una triste e amarissima constatazione.
 Nel ringraziare il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.  
  La seduta termina alle 19.10.
Seduta n. 24 di Lunedì 23 febbraio 2015
Bozza non corretta

INDICE
Sulla pubblicità dei lavori: 
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 

Audizione dell'ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana, Nicolò Marino: 
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 5 
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 5 
Bratti Alessandro , Presidente ... 7 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 8 
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 9 
Bratti Alessandro , Presidente ... 11 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 11 
Bratti Alessandro , Presidente ... 13 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 13 
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 14 
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 15 
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 15 
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 15 
Bratti Alessandro , Presidente ... 16 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 16 
Bratti Alessandro , Presidente ... 17 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 17 
Bratti Alessandro , Presidente ... 17 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 17 
Bratti Alessandro , Presidente ... 18 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 18 
Bratti Alessandro , Presidente ... 18 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 18 
Bratti Alessandro , Presidente ... 19 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 19 
Bratti Alessandro , Presidente ... 19 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 19 
Bratti Alessandro , Presidente ... 20 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 20 
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 21 
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 21 
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 25 
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 26 
Bratti Alessandro , Presidente ... 28 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 28 
Bratti Alessandro , Presidente ... 31 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 31 
Bratti Alessandro , Presidente ... 31 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 31 
Bratti Alessandro , Presidente ... 31 
Compagnone Giuseppe  ... 32 
Bratti Alessandro , Presidente ... 33 
Bratti Alessandro , Presidente ... 34 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 35 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 36 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 37 
Bratti Alessandro , Presidente ... 38 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 38 
Bratti Alessandro , Presidente ... 40 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 40 
Orrù Pamela Giacoma Giovanna  ... 40 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 40 
Bratti Alessandro , Presidente ... 40 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 40 
Orrù Pamela Giacoma Giovanna  ... 40 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 41 
Orrù Pamela Giacoma Giovanna  ... 41 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 41 
Bratti Alessandro , Presidente ... 41 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 42 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 43 
Bratti Alessandro , Presidente ... 43 
Marino Nicolò , ex assessore all'energia e ai servizi di pubblica utilità della regione siciliana ... 44 
Bratti Alessandro , Presidente ... 44


VANIA CONTRAFFATTO, MARCO LUPO, NICOLÒ MARINO. BELLOLAMPO, AMIA, AIMERI, TERMOVALORIZZATORI, CATANZARO COSTRUZIONI, SICULIANA, OIKOS, SICULA TRASPORTI,MAZZARRÀ SANT'ANDREA, AGUECI, CANNOVA. GULLO, MESSINEO, SANSONE, TOLOMEO, TERESI, BANCHIERI, LOMBARDO, CROCETTA, LO BELLO, CUFFARO, CONFINDUSTRIA, MONTANTE,LUMIA, TIRRENOAMBIENTE.


 A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE



IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO

Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA

CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana.

Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio, presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni  -  e in alcuni casi connivenze  -  fra imprese e politica, impresa e stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città.

UNA FINZIONE SOFFOCANTE

In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto.

La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo  -  il 2 maggio del 2012  -  fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro. 

Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi  -  Montante  -  è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.


SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO

La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi".

MARKETING DI IMMAGINE

Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.


Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante  -  sott'inchiesta  -  mantenesse le sue cariche.


L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni  -  1.300 euro al mese  -  che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva.


UN ALTRO PALADINO

Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo  -  secondo il giudizio dei magistrati  -  l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.

L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A Caltanissetta  -  visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati  -  Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia.

In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così.



17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in nero"
Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014  a Catania tra Confindustria e la giunta comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)

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COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
 
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"







MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO

C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa vicenda  -  se c'è solo fumo o anche molto arrosto  -  nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta  -  dove è anche presidente della locale Camera di Commercio  -  ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo.

Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo  -  su proposta del ministero dell'Interno  -  ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita  -  con patenti rilasciate con assai disinvoltura  -  e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi. 


COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.

"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"

MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE

17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet  – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis  – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente e Montante controfirmò,  che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo.





IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO


Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA

CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana.

Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio, presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni  -  e in alcuni casi connivenze  -  fra imprese e politica, impresa e stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città.

UNA FINZIONE SOFFOCANTE

In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto.

La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo  -  il 2 maggio del 2012  -  fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro. 

Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi  -  Montante  -  è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.


SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO

La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi".

MARKETING DI IMMAGINE

Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.


Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante  -  sott'inchiesta  -  mantenesse le sue cariche.


L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni  -  1.300 euro al mese  -  che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva.


UN ALTRO PALADINO

Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo  -  secondo il giudizio dei magistrati  -  l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.

L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A Caltanissetta  -  visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati  -  Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia.

In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così.



17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in nero"
Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014  a Catania tra Confindustria e la giunta comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)

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COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
 
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"







MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO

C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa vicenda  -  se c'è solo fumo o anche molto arrosto  -  nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta  -  dove è anche presidente della locale Camera di Commercio  -  ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo.

Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo  -  su proposta del ministero dell'Interno  -  ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita  -  con patenti rilasciate con assai disinvoltura  -  e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi. 


COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.

"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"



ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI
13 FEBBRAIO 2015

Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti,  ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura.
1)   Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2)   Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3)   Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità, rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì,  da incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere nel 1992.  Chi è senza peccato, scagli il primo testimone.
4)   C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo).  Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.

Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.

Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.

Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia.

L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.

Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.

È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.

Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante).
 5)   Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità. 
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata. 
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria,  il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket».
7)   Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8)   Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno –  si.

Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno rafforzati.





A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE

MONTANTE, CONFINDUSTRIA E LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE

17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo considero il principale pregio di un giornalista. Solo il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani, vengono scaraventate addosso alla nostra categoria.
Le verità della magistratura, la verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese.
Non ho mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le “mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti, non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”. Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare nulla.
E nessuno, dunque, può dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i “prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet  – che in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito.
Un’escalation che non poteva portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini. Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte, che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della delegittimazione.
Volete due-esempi-due dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano. Quella scia non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis mutandis  – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania, scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e dell’edilizia. A Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non lo cito per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente e Montante controfirmò,  che «il territorio della provincia di Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale». Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima.
Ma attenzione: quando la delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma, vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista. Per educare un popolo.


IL GRANDE INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO


Montante, indagato assieme all'ex governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA

CALTANISSETTA - Lo sapevate che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la capitale dell'impostura siciliana.

Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio, presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni  -  e in alcuni casi connivenze  -  fra imprese e politica, impresa e stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città.

UNA FINZIONE SOFFOCANTE

In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto.

La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo  -  il 2 maggio del 2012  -  fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro. 

Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi  -  Montante  -  è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.


SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO

La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi".

MARKETING DI IMMAGINE

Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.


Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante  -  sott'inchiesta  -  mantenesse le sue cariche.


L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni  -  1.300 euro al mese  -  che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva.


UN ALTRO PALADINO

Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo  -  secondo il giudizio dei magistrati  -  l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.

L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A Caltanissetta  -  visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati  -  Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza. Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè una roccaforte dell'antimafia.

In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così.



17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante: "Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in nero"
Le immagini si riferiscono all'incontro del 25 febbraio 2014  a Catania tra Confindustria e la giunta comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato per presunti contatti con i boss - parla a lungo di mafia e burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)

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COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
 
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"







MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO

C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la "legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa vicenda  -  se c'è solo fumo o anche molto arrosto  -  nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta  -  dove è anche presidente della locale Camera di Commercio  -  ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo.

Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo  -  su proposta del ministero dell'Interno  -  ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita  -  con patenti rilasciate con assai disinvoltura  -  e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi. 


COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI

Il delegato per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA

Antonello Montante lascia la carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto. A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle locali "famiglie".

Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.

Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".

Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.

Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge". 

In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.

"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".

Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"



A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE


ANTONELLO MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI
13 FEBBRAIO 2015

Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero tutti,  ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog, un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della magistratura.
1)   Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle) indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali. Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2)   Un risultato immediato, le menti raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma, soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3)   Ricordo che Francesco Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70, firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel 1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio), celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità, rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta. Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli atti sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì,  da incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà poi suicida in carcere nel 1992.  Chi è senza peccato, scagli il primo testimone.
4)   C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1, 5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’ perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale, quando non sono d’accordo).  Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente, riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa, che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi, oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta, Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.

Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.

Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.

Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia.

L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.

Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.

È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.

Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante).
 5)   Il 24 gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni, minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità. 
Si tratta di segnali che sembrano manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità anche mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata. 
In tal senso, da parte degli investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come è corta la memoria,  il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per fronteggiare il rischio di nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie, apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket».
7)   Ma attenzione ora ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena) mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere, collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri messaggi inquietanti».
8)   Dunque eravamo a settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket, a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale, metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora quattro?
Di questo incontro a Chianciano Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno –  si.

Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
Tifo, come sempre, per la Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno. Ne usciranno rafforzati.





A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE

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