L’INTERVENTO NEL
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
(ART. 9 L. n. 241.90
e s.m.i.)
Gli
articoli 9 e 10 della L. n. 241/90 non sono stati modificati dalle recenti
novelle apportate alla stessa legge con la L. n. 15/2005 e con la L. n. 80/2005
di conversione del DL n. 35/2005 e contengono la disciplina, oserei dire,
fondamentale del procedimento amministrativo quale la possibilità di intervento
nel procedimento ed i diritti dei soggetti partecipanti al procedimento.
Nell’art.
9 della legge n. 241/90 si disciplina una sorta di intervento volontario nel
procedimento da parte di soggetti a cui possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento ed interessati al procedimento quali portatori di interessi
pubblici o privati.
La
disposizione citata impone alla pubblica amministrazione di prendere in esame
tutti gli interessi pubblici coinvolti attribuendo grande portata alla regola
del contraddittorio prima di giungere all’emanazione di un provvedimento finale
che produce effetti diversi nei confronti di vari soggetti. Si vuole quindi
passare dal concetto di amministrazione – autorità a quello di amministrazione
– servizio, da amministrazione – burocratica ad amministrazione – partecipata
al fine di creare un’amministrazione che si basa sulla collaborazione e sul
consenso anziché solo sul principio di legalità[1].
La
normativa sulla partecipazione al procedimento amministrativo in Italia è
giunta piuttosto in ritardo rispetto ad altri ordinamenti quali quello
americano, tedesco e comunitario in genere; i ritardi sono dipesi
principalmente da due elementi: la difficoltà tecnica ad elaborare un sistema
normativo generale di disciplina del procedimento amministrativo e la
riluttanza della classe politica a formulare norme volte a consentire la
partecipazione dei cittadini nei procedimenti amministrativi decisionali,
intervento che comprime il potere discrezionale della pubblica amministrazione[2].
In
merito al problema tecnico si evidenzia che era necessario identificare il
procedimento come parte dell’attività amministrativa di cura degli interessi
pubblici e che non era rilevante solo l’emanazione dell’atto finale. Sino alla
L. n. 241/90 vi era una molteplicità di procedimenti ciascuno legato ai singoli
atti o provvedimenti autorizzatori senza che ci fosse un’unica normativa che
disciplinasse il procedimento amministrativo in quanto tale e le poche regole
del procedimento erano state create dalla dottrina o dalla giurisprudenza[3]. Si
giungeva a tale situazione in quanto nel nostro paese la pubblica
amministrazione era da sempre considerata superiore in ogni settore e pertanto
il cittadino non poteva interferire nella formazione dell’atto amministrativo
ed in generale nella formazione della volontà della pubblica amministrazione.
Circa
le difficoltà politiche che portarono all’emanazione della legge si evidenzia
che praticamente nessuno (dai politici agli apparati burocratici) voleva tale
disposizione ad eccezione dei “cittadini allo stato brado e da qualche
studioso”[4].
La
disciplina del procedimento amministrativo non è un’operazione meramente
tecnica ma riveste il modo di pensare e di essere dell’amministrazione;
rappresenta quindi l’utilizzo di uno strumento che rivela valenze
politico-sociologiche impensabili nei decenni precedenti, comportando profonde
modificazioni nelle dimensioni, nelle funzioni, nelle strutture e nei
comportamenti delle pubbliche amministrazioni[5].
Le
norme contenute nella L. n. 241/90 in tema di partecipazione al procedimento
amministrativo costituiscono una svolta nel ruolo con cui si considera il procedimento
dando la possibilità ai cittadini di partecipare all’azione amministrativa sin
dalla fase della sua impostazione e dalla scelta degli obiettivi. Tali norme
hanno praticamente contribuito a far venir meno il cd. “principio inquisitorio”
sul quale si basava, in passato, l’istruttoria del procedimento amministrativo[6].
Sostanzialmente
la garanzia di partecipazione al procedimento amministrativo pare diretta a
specifici fini:
1)
perfezionare il processo di democratizzazione
dell’attività amministrativa;
2)
consentire alla pubblica amministrazione,
nell’emanazione dei provvedimenti, di tener conto di importanti elementi che
altrimenti avrebbe ignorato;
3)
attenuare il contenzioso giurisdizionale, attraverso il
sistema collaborativo;
4)
apportare un alto grado di trasparenza nell’attività
amministrativa;
5)
dotare il cittadino di efficaci mezzi di tutela
preventiva dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi, garantendolo
mediante l’assicurazione della possibilità formale di introdurre nel
procedimento la conoscenza dei propri interessi;
6)
attribuire al procedimento la funzione di mediazione
fra concentrazione e pluralismo, tra struttura burocratica ed
autoamministrazione sociale, tra principio autoritativo e principio
democratico, tra realizzazione dell’imparzialità (fine di garanzia) e
realizzazione dell’efficacia (fine di buona amministrazione).
Mentre prima
della L. n. 241/90 la tendenza dell’amministrazione era quella di limitare o
addirittura annullare lo spazio del cittadino, con la legge sul procedimento amministrativo
si è invece voluto trasformare l’azione amministrativa da autoritaria in azione
partecipata con il pregio, da un lato, di avere caratteristiche di
democraticità e, dall’altro, di avvicinare ed interessare gli estranei
all’azione amministrativa.
Nell’ordinamento
italiano vigevano sino all’emanazione della L. n. 241/90 delle particolari
forme di partecipazione quali il diritto di audizione in materia disciplinare,
il diritto di partecipazione al procedimento attraverso osservazioni ed opposizioni
in materia urbanistica, nel contesto dell’espropriazione ecc.; dopo la legge la
partecipazione ha assunto carattere generale e si estende ad ogni procedimento,
salvo quanto disposto dall’art. 13 della stessa, per rendere trasparente
l’attività amministrativa.
Alla
luce del procedimento come partecipazione e cioè del procedimento partecipato
sta la concezione di un’amministrazione rilevante non solo e non tanto per la
funzione esecutiva rispetto alle leggi ed operante in margini ristretti di
discrezionalità, bensì un’amministrazione sufficientemente libera rispetto alla
volontà legislativa, svincolata da obiettivi politici immediati, informata al
rispetto di precise regole di comportamento, in grado di congegnare con libertà
le operazioni, le misure ed i provvedimenti in funzione sociale e capace di
individuare e selezionare interessi.
La
partecipazione del privato al procedimento mira ad attivare una vera e propria
collaborazione dello stesso all’attività amministrativa esplicando un ruolo
collaborativo assegnato al privato all’interno di una struttura amministrativa
caratterizzata da un potere esecutivo ed autoritario[7].
L’intervento
del privato è previsto non solo a tutela dello stesso, ma anche per consentire
alla pubblica amministrazione una migliore soddisfazione dell’interesse
pubblico attraverso una gestione più razionale e più democratica del potere[8].
Secondo
parte della dottrina[9] non
integrerebbe un vero e proprio contraddittorio, perché la partecipazione, a
differenza del contraddittorio, prescinde da ogni idea di conflitto tra
interessi e corrispondenti posizioni soggettive ed inoltre non definisce una
tutela o una garanzia, ma una modalità dell’azione apprezzabile secondo una
valutazione in primo luogo politica.
Per
altri autori[10] la partecipazione
procedimentale è solo quella in contraddittorio, altrimenti non si dovrebbe
parlare di partecipazione, ma di semplice consultazione; la partecipazione
comunque esprime un concetto più generico e comprende anche quello di
contraddittorio.
Negli
istituti partecipativi delineati dalla L. n. 241/90 pare più consona la seconda
tesi suddetta anche se il titolo del Capo III è “partecipazione…” e non
“contraddittorio ..”.
Partecipazione
al procedimento non significa comunque “cogestione” ma è semplicemente un
apporto conoscitivo dei soggetti, direttamente e indirettamente interessati al
provvedimento finale, per una più giusta ed equa decisione la cui titolarità
rimane sempre alla pubblica amministrazione, la cui “imperatività” risulta
abbastanza ridotta. Questa forma di partecipazione è diretta alla realizzazione
del principio del “giusto procedimento” che assicura da un lato lo strumento
con il quale la pubblica amministrazione può ponderare equamente gli interessi
coinvolti, dall’altro lo strumento che consente un trasparente confronto tra
gli interessi coinvolti[11].
In
tema di partecipazione al procedimento amministrativo nell’attività dell’ente
locale si pone un problema di rapporto tra il D.Lvo n. 267/2000 (prima L. n.
142/90) e la L. n. 241/90.
Infatti
mentre il D.Lvo n. 267/2000 afferma la tradizionale distinzione tra
partecipazione “contraddittorio” e partecipazione uti civis[12],
ossia fra quella dei destinatari dell’atto finale e quella dei cittadini[13],
nella legge sul procedimento amministrativo la distinzione tende a stemperarsi
nella previsione di un’ampia cerchia di soggetti legittimati a concorrere al
procedimento come parti o interventori.
Mentre
il diritto di accesso e di informazione disciplinato nell’art. 10 del D.Lvo n.
267/2000 è, si potrebbe dire, di tipo politico nel senso che è legato allo status di appartenenza del cittadino ad
una determinata comunità e non alla titolarità di diritti od interessi incisi
dal futuro provvedimento, la partecipazione della L. n. 241/90 è di tipo “individualistico”
o “in contraddittorio”[14].
Inoltre, mentre l’art. 10 del D.Lvo n. 267/2000 disciplina forme di accesso dei
cittadini, l’art. 22 della L. n. 241/90 riconosce il diritto di accesso a
chiunque vi abbia interesse.
La
possibile interferenza tra le due normative statali di carattere generale
dovrebbe essere esclusa dall’art. 1, c. 4 del D.Lvo n. 267/2000 in forza del
quale le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico
se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni. I principi
enunciati dalla L. n. 241/90 in tema di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso non si pongono in contrasto e non costituiscono deroghe a
quelli di cui al D.Lvo n. 267/2000 ma si pongono in armonia con gli stessi,
integrandoli e sviluppandoli in una nuova disciplina organica della materia[15].
L’eventuale
problema del rapporto tra D.Lvo n. 267/2000 e L. n. 241/90 pare potersi
risolvere non nell’abrogazione della norma precedente ad opera di quella
successiva, ma nella prevalenza della norma speciale su quella generale.
Pertanto si deve ritenere che le disposizioni del Capo III della legge sul
procedimento amministrativo hanno una portata generale e di garanzia minima e
si applicano anche quando il procedimento amministrativo sia posto in essere da
un ente locale[16], non potendosi sostenere
che la mancata emanazione di norme statutarie apposite possa impedire
l’applicazione delle disposizioni di cui al citato Capo III.
Nell’ambito
del procedimento amministrativo non vengono coinvolti i cittadini in quanto
tali ma vengono coinvolti nel procedimento amministrativo soggetti portatori di
determinati interessi e tali soggetti sono:
a)
i soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è
destinato (art. 7);
b)
i soggetti che per legge devono intervenire (art. 7,
intervenienti necessari);
c)
i soggetti individuati o facilmente individuabili
(diversi dai diretti destinatari) che possono trarre un pregiudizio dal
provvedimento (art. 7, intervenienti per chiamata);
d)
i soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio (art.
9: intervenienti volontari) e che siano portatori di interessi pubblici o
privati o portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.
L’amministrazione
deve comunicare l’avvio del procedimento ai soli soggetti sub a), b), c) e non
anche a quelli sub d); la diversità di trattamento è facilmente comprensibile
dal raffronto dei soggetti sub c) e sub d): i primi sono “individuati o
facilmente individuabili”, i secondi no ma pur in assenza di comunicazione
possono intervenire nel procedimento.
In
considerazione del fatto che la legge non prevede, in favore dei soggetti di
cui all’art. 9 della L. n. 241/90, forme di pubblicità come annunci sulla
stampa locale, su notiziari, ecc. risulta particolarmente difficile per tali
soggetti partecipare effettivamente e concretamente al procedimento in quanto
devono autonomamente venire a conoscenza dell’esistenza del procedimento.
Comunque
sia tutti i soggetti sopraccitati, indipendentemente dalle forme con cui
vengono a conoscenza del procedimento, hanno gli stessi diritti e facoltà di
intervenirvi come si desume dall’art. 10 della L. n. 241/90.
Nella
parte iniziale dell’art. 9 della L. n. 241/90 si dispone che può intervenire
nel procedimento qualunque soggetto che sia portatore di interessi pubblici o
privati ed il riconoscimento di tale facoltà di intervento prescinde dal fatto
che l’interesse sia di natura pubblica o privata; inoltre la possibilità di
intervento prescinde da ogni distinzione circa il tipo di procedimento o la
natura dell’interesse.
Il
fatto che la norma disponga che può intervenire “qualunque soggetto” portatore
di interessi pubblici o privati dimostra la maggiore incisività della stessa
rispetto all’art. 8, c. 2 del D.Lvo n. 267/2000 ove si dispone che nel
procedimento amministrativo devono essere previste forme di partecipazione
degli interessati.
Può
intervenire al procedimento amministrativo qualsiasi persona fisica, anche
straniera e poiché deve essere portatore di interessi pubblici o privati dovrà
essere capace di intendere e di volere mentre risulta quindi preclusa la
partecipazione agli interdetti, inabilitati e incapaci ecc. ma non certo ai
loro tutori e curatori.
Dato
che il riferimento è a “qualunque soggetto” nulla vieta che possano intervenire
nel procedimento amministrativo anche persone giuridiche, associazioni,
fondazioni, enti pubblici, partiti politici ecc..
Il
termine “interesse” in senso giuridico è considerato come causa, motivo, fine,
funzione e la sua funzione varia a seconda di chi esercita l’apprezzamento. Gli
interessi indicati nell’art. 9 della L. n. 241/90 devono comunque essere
rilevanti e quindi non devono essere fantasiosi o impossibili da realizzare:
possono essere anche interessi morali[17] e
comunque deve trattarsi di un interesse concreto.
E’
opportuno ora soffermarsi su alcuni concetti enunciati nell’art. 9 della L. n.
241/90 quale quello di “interessi pubblici”.
La
dottrina ha fornito diverse definizioni di interesse pubblico; sono interessi
di una pluralità di soggetti, considerata come unità che trascende i singoli
componenti[18]; sono interessi
riferibili ad un corpo sociale nel suo complesso o a sue componenti
particolari, ma sempre di gruppo, e quindi interessi generali o settoriali che
possono essere affidati alla cura di un organismo esponenziale del corpo o del
gruppo[19];
quindi l’interesse pubblico può costituire la sommatoria di tanti interessi
individuali nella stessa materia e nello stesso segno: in tal caso si parla di
interessi sociali, o collettivi, o superindividuali ai quali l’ordinamento
attribuisce rilevanza giuridica[20].
Gli
interessi pubblici vengono affidati alle persone giuridiche pubbliche le quali
non sono libere di disporre ma sono tenute per obbligo di legge alla loro cura
e protezione. Interessi pubblici sono quelli della massima collettività,
tipicamente gli interessi propri dello Stato, ma anche quelli di raggruppamenti
della collettività come le regioni, le province ed i comuni che sono portatori
di interessi della comunità.
Nella
categoria degli interessi pubblici si distinguono quelli generali (ad es. istruzione pubblica, sicurezza esterna ecc.), settoriali (ad es. amministrazione
dell’industria, del commercio ecc.), globali
che riguardano l’interesse preso in tutta la sua consistenza materiale, in
tutta la sua interezza (ad es. igiene pubblica) o puntuali che investono singole parti di un interesse.
Circa
l’interesse privato è un interesse riconosciuto dall’ordinamento giuridico come
esclusivamente proprio del suo titolare ed è un interesse individuale[21]. Il
portatore dell’interesse privato ne è il dominus
che può a suo piacimento, provvedere o meno alla sua soddisfazione o alla sua
tutela.
La
differenza tra interesse protetto nel diritto privato e interesse protetto nel
diritto amministrativo è individuabile nelle diverse strutture per cui la
protezione dell’interesse protetto nel diritto privato è tale da non esserne
concepibile neanche la violazione, mentre la protezione dell’interesse protetto
nel diritto amministrativo non ha il fine di rendere giuridicamente impossibile
la lesione della posizione fatta all’interessato.
Ad
esempio, dei portatori di interessi privati ai sensi dell’art. 9 della L. n.
241/90 potrebbero essere quei destinatari previsti dall’art. 7 della stessa
legge, ai quali, per difficoltà legate alla loro identificazione, non sia
pervenuta la comunicazione di avvio del procedimento.
L’art.
9 della L. n. 241/90 dopo aver previsto la possibilità di intervenire nel
procedimento amministrativo da parte dei soggetti portatori di interessi
pubblici o privati, prevede che possano intervenire nel procedimento i
portatori di interessi diffusi che siano costituiti in associazioni o comitati.
La
giurisprudenza[22] ha ritenuto che la
nozione di interesse diffuso presuppone il collegamento a beni individuali o
collettivi della cui tutela si fanno promotori formazioni sociali munite di
struttura organizzativa e caratterizzate da idoneo grado di rappresentatività,
ma non può essere dilatata fino a comprendere le situazioni di mero interesse
semplice alla legalità, economicità e buon andamento dell’azione
amministrativa.
Gli
interessi diffusi individuano quelli di cui è titolare una buona parte della
collettività, senza però che tali interessi possano essere imputati a soggetti
ben individuati.
Gli
interessi diffusi si differenziano da quelli pubblici (a questi ultimi
accomunati dal loro oggetto costituito da beni di rilevanza generale) per la
diversità dei soggetti ai quali sono imputabili le situazioni giuridiche che li
riguardano. La tutela degli interessi pubblici è affidata istituzionalmente a
soggetti preposti alla loro gestione. Gli interessi diffusi fanno capo a
soggetti che fruiscono i beni collettivi e “somigliano” agli interessi
legittimi, potendo entrambi essere rispettati spontaneamente, oppure
calpestati, dall’attività autoritaria della pubblica amministrazione[23].
La
dottrina in modo controverso ha anche sostenuto che gli interessi diffusi si
differenziano dagli interessi collettivi perché questi ultimi costituiscono una
categoria più ristretta di interesse diffuso[24].
Gli
interessi diffusi, come quelli collettivi, sono superindividuali ma mentre
quelli collettivi sono imputabili ad un determinato ente, gli interessi diffusi
restano allo stato fluido e richiedono un processo di aggregazione mediante
l’opera di associazioni di tutela[25]. Si
considerano pertanto interessi diffusi gli interessi di uguale contenuto,
comuni a più soggetti, distinti dalle tradizionali situazioni giuridiche
soggettive, che vengono condivise da una pluralità di soggetti, perché
manifestazioni di un nuovo modo di intendere il rapporto soggetto – bene.
Affinché
i portatori di interessi diffusi possano partecipare al procedimento
amministrativo è necessario che siano costituiti in associazioni o in comitati
in quanto il legislatore ha voluto l’esistenza di una organizzazione stabile
volta ad assicurare la serietà dell’intervento nel procedimento e quindi non
avere il solo fine di creare blocchi all’attività amministrativa[26].
Pertanto fino a quando non ci sia la costituzione di enti esponenziali che
perseguono interessi diffusi, non si può riconoscere né al gruppo né ai singoli
appartenenti la potestà di intervenire nel procedimento per la tutela dei
predetti interessi.
E’
quindi necessario ricordare che per “associazione” si intende l’organizzazione
stabile di più soggetti per la gestione di un interesse comune e per il
raggiungimento di uno scopo che, a differenza di quanto accade per le società
civilistiche e della comunione ereditaria, non si propone né un conferimento
iniziale, né guadagni o beni da ripartire tra i soci[27].
Nell’associazione infatti la collettività organizzata prende vita da un atto di
autonomia contrattuale assunto dai componenti.
Ai
fini dell’applicazione della L. n. 241/90 non rileva il fatto che
l’associazione sia riconosciuta o non riconosciuta in quanto l’art. 9 fa
riferimento solo ad associazioni; risulta pertanto irrilevante la distinzione
tra associazioni facoltative, obbligatorie e coattive oppure tra associazioni
perpetue e temporanee, oppure tra associazioni nazionali o locali.
Perché
si possa parlare di associazione riconosciuta è necessario che la stessa, ai
sensi dell’art. 14 e seguenti del codice civile, abbia i seguenti elementi
fondamentali atto costitutivo, statuto, scopo, patrimonio, sede e denominazione
e sia rispettosa di quanto previsto nel DPR n. 361/2000; per l’associazione non
riconosciuta, disciplinata negli artt. 36 e seguenti del codice civile, non è
richiesta una forma determinata per la costituzione.
Nel
procedimento amministrativo possono intervenire solamente quelle associazioni o
comitati qualificate dalla liceità degli interessi perseguiti, dall’adeguata
rappresentatività degli interessi oggetto della loro finalità, dallo
svolgimento effettivo dell’attività indicata nello statuto ecc..
In
merito al “comitato” si ricorda che consiste in un gruppo ristretto di persone
che cura determinati interessi ed è disciplinato principalmente dagli artt. 39
e seguenti del codice civile. La sua durata è normalmente transitoria[28] e
persegue finalità assistenziali o promozionali avvalendosi di mezzi finanziari
ricevuti da terzi. Il suo primo atto ufficiale consiste nell’annuncio del suo
programma effettuato al fine di sollecitare il pubblico a compiere le oblazioni
occorrenti per finanziare l’iniziativa programmata; dal programma e dallo scopo
del comitato si può desumere se possa esprimere o meno interessi diffusi.
La
definizione delle associazioni o comitati dei singoli settori che abbiano
carattere rappresentativo di interessi partecipativi è di competenza delle
singole amministrazioni che devono provvedere mediante atti amministrativi di
carattere generale.
Nell’art.
9 della L. n. 241/90 altro punto da sviluppare è la disposizione “… cui possa
derivare un pregiudizio dal provvedimento ….”. Nella disposizione non si fa
alcun riferimento alla “lesione di interessi” ma ad un concetto più ampio tale
da ricomprendere anche il più lieve disturbo all’esercizio o al godimento di
determinate facoltà.
Il
pregiudizio si può definire come un danno materiale o morale, non
necessariamente economico (es. alla salute, ai cosiddetti diritti della
personalità ecc.), provocato da un dato evento che colpisce o minaccia un
singolo o una collettività. E’ pertanto da intendersi come un ostacolo al
conseguimento di determinati vantaggi, uno svantaggio, un ostacolo[29].
Dato che la norma non distingue alcuna categoria di interesse da difendere ma
accorda la partecipazione ed il contraddittorio a qualsiasi procedimento, il
pregiudizio non consiste solo in una situazione soggettiva attuale che può
essere diminuita dall’azione pubblica, ma anche nel venir meno di una
aspettativa. Danno, svantaggio o ostacolo che sono potenziali in quanto si
potrebbero verificare solo nel caso in cui venisse in essere quel determinato
provvedimento amministrativo.
Non
si tratta di un danno ingiusto o di un danno antigiuridico ex art. 2043 del
cod. civ. che dà luogo ad un risarcimento, in quanto il provvedimento finale
non può essere un atto contra legem;
il pregiudizio consiste quindi in un danno da atto legittimo e non
antigiuridico, in una diminuzione dell’interesse altrui in quanto contrastante
con altri interessi, causando un conflitto di interessi secondo le esigenze
della giustizia che potrebbero essere composti nel procedimento amministrativo.
Pertanto non è consequenziale che dall’eventuale pregiudizio debba derivare
necessariamente un indennizzo a favore di coloro che, con il provvedimento,
vedono menomati alcuni propri interessi.
Il
pregiudizio non deve riguardare, per le associazioni ed i comitati, le
posizioni di cui è titolare il soggetto giuridico, bensì il bene collettivo per
la cui tutela sono state costituite.
Affinché
ci possa essere pregiudizio è necessario che lo stesso derivi da un provvedimento
finale del procedimento e non da un atto intermedio; il provvedimento
amministrativo è una categoria di atto amministrativo tipico e nominato ed è un
atto amministrativo autoritativo ossia un atto nel quale la pubblica
amministrazione esprime il momento dell’autorità. Si tratta pertanto di un atto
volto alla realizzazione di interessi specifici della pubblica amministrazione
e consistente in disposizioni destinate a produrre modificazioni di situazioni
giuridiche, oppure a negare le modifiche richieste dagli interessati.
Sulla
scorta di quanto sopra non è ammessa la partecipazione in procedimenti che non
si concludono con un provvedimento ma con un atto amministrativo che assolve
funzioni strumentali o accessorie o in atti non dotati di carattere
autoritativo.
Infine
si deve evidenziare che nei casi di provvedimenti discrezionali la pubblica
amministrazione deve valutare la consistenza dell’interesse primario in
relazione a tutti gli interessi secondari che possono presentarsi.
Nonostante
il silenzio della norma al riguardo si ritiene che per la partecipazione al
procedimento si necessaria un’istanza scritta, anche se nulla vieterebbe, a
seguito di preventiva disposizione organizzativa che la stessa, sia svolta in
forma orale o trascritta da un funzionario. La richiesta, da presentarsi nel
corso della fase istruttoria del procedimento e comunque sia formulata, deve
contenere gli estremi del procedimento, le generalità del soggetto che vuole
intervenire, le motivazioni dell’intervento al fine di consentire alla pubblica
amministrazione di valutare l’interesse di intervenire ed i contenuti
dell’intervento in rapporto al provvedimento finale.
La
domanda di partecipazione al procedimento non dovrebbe essere notificata alle
parti del procedimento in quanto non si è in un ambito processuale ma è come se
si trattasse dell’esercizio del diritto di accesso.
La
competenza a valutare la possibilità di intervenire nel procedimento
amministrativo spetta al responsabile del procedimento che, ai sensi dell’art.
6, c. 1, lett. a) della L. n. 241/90 “valuta, ai fini istruttori, le condizioni
di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano
rilevanti per l'emanazione di provvedimento”[30]. Il
responsabile, per decidere se ammettere o non ammettere l’istante al
procedimento, dovrà praticamente svolgere le seguenti verifiche:
a)
se l’istante sia portatore delle tipologie di interessi
disciplinate nell’art. 9 della L. n. 241/90 (ossia interessi pubblici, privati
o diffusi);
b)
se l’istante dall’emanazione del provvedimento possa
subire un pregiudizio;
c)
se il procedimento non rientri tra quelli di cui
all’art. 13 della L. n. 241/90 per i quali è esclusa qualsiasi forma di
partecipazione.
Si deve
altresì ritenere che il potenziale soggetto che vuole intervenire nel
procedimento amministrativo possa impugnare davanti al giudice amministrativo
l’atto della propria esclusione.
Altro
problema che può porsi è quello relativo alla validità dell’atto emanato dalla
pubblica amministrazione nel caso in cui la stessa abbia adottato ed accolto
esplicitamente soluzioni conformi alle proposte di soggetti non legittimati: in
questo caso si può sostenere l’invalidità formale del provvedimento. Il
provvedimento sarebbe invece annullabile quando l’amministrazione non dimostri
in giudizio che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da
quello concretamente adottato.
Dott.
Alberto Ponti
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA
PULITA DII ISOLA DELLE FEMMINE
[1]
Nigro, Il procedimento amministrativo fra
inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un
recente disegno di legge), in Rivista
processuale amministrativa, 1989, p. 13.
[2]
Allegretti, Intervento alla discussione, in
Atti del XXXII convegno del Centro Studi
Amministrativi della Provincia di Como, Varenna 18-20 settembre 1986,
Milano, 1989, p. 268.
[3]
Tedeschini, voce Procedimento
amministrativo, in Enciclopedia del
diritto, Milano, 1986.
[4]
Nigro, Il procedimento amministrativo fra
inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un
recente disegno di legge), in Rivista
processuale amministrativa, 1989.
[5] A.
Zucchetti, Commento all’art. 9, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, p. 277.
[6] Cfr
Virga, Diritto amministrativo, Atti e
ricorsi, II, Milano, 1987, p. 70.
[7]
Berti, La struttura procedimentale
dell’amministrazione pubblica, in Diritto
e Società, 1980.
[8]
Cimellaro, Le garanzie del procedimento
amministrativo nella L. n. 241/90, Padova, 1997.
[9]
Berti, Procedimento, procedura,
partecipazione, in Scritti Guicciardi,
1975. p. 801 ss.
[10]
Bettini, Nuovi appunti e motivi d’urgenza
per una legge generale sul procedimento amministrativo, in Rivista trimestrale scienze amministrative, 1976.
[11]
Pastori, La disciplina generale del
procedimento amministrativo. Considerazioni introduttive, in Atti del XXXII Convegno di studi e scienza
dell’amministrazione, Varenna, 18-20 settembre 1986, Milano, 1989.
[12]
Berti, Diritto e Stato: riflessioni sul
cambiamento, Padova, 1986.
[13] L’art.
8, c. 2 D.Lvo n. 267/2000 (ex art. 6,
L . n. 142/90) dispone che “nel procedimento relativo
all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono
essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità
stabilite dallo Statuto, nell’osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7.8.1990,
n. 241” e
allo stesso modo l’art. 6, c. 2 del D.Lvo n. 267/2000 attribuisce allo statuto
di stabilire “… le forme …. dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai
procedimenti amministrativi …”.
[14] Cfr
G. Virga, La partecipazione al procedimento
amministrativo, Milano, 1998; G. Pericu, in AA.VV., Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 1993.
[15] V.
Italia, Procedimento e accesso agli atti
e documenti amministrativi negli statuti e nei regolamenti comunali e
provinciali, in I rapporti fra cittadini
e istituzioni nelle recenti leggi di riforma delle autonomie locali e del
procedimento amministrativo, Milano, 1992, p. 39, ove l’Autore sostiene
che, pur essendoci differenze tra le due norme, tali differenze non sono di
portata tale da comportare contraddittorietà ed incompatibilità tra di esse.
[16] Cfr
Consiglio di Stato, sez. V, 2.2.1996, n. 132.
[17] Cfr
Consiglio di Stato, Sez. VI, 10.7.1989, n. 846: in forza di tale decisione il
solo interesse morale è sufficiente a legittimare la tutela giurisdizionale
contro atti che si sostiene erano stati adottati contra legem.
[18]
Pugliatti, voce Diritto pubblico e
privato, in Enciclopedia del diritto,p.
740; si vedano anche gli art. 82 Costituzione e gli artt. 868 e 384 cod. civ..
[19]
Caianello, Diritto processuale amministrativo,
Torino, 1988, p. 159; Federici, Gli
interessi diffusi, Padova, 1984, p. 99.
[20]
Quarantulli, Mezzi e modi di composizione
degli interessi pubblici, in Amministrazione
e politica, 1985.
[21] Pugliatti, voce Diritto pubblico e privato, in Enciclopedia del diritto,p. 730.
[22] Cfr
TAR Lazio, Sez. II, 10.7.1996, n. 1394.
[23]
Federici, Gli interessi diffusi, Padova,
1984.
[24] Cfr
Bricola, Partecipazione e giustizia
penale, le azioni a tutela di interessi collettivi, in Questione criminale, 1976.
[25] Cfr
Gabrielli, Appunti su diritti soggettivi,
interessi legittimi, interessi collettivi, in Rivista trimestrale processuale civile, 1984, p. 969.
[26]
Caranta-Ferraris, La partecipazione al
procedimento amministrativo, Milano, 2000.
[27] Si
veda al riguardo De Giorni, Le persone
giuridiche in generale. Le associazioni e le fondazioni, in Trattato Rescigno, 2, Torino, 1982; G.
Rossi, voce Associazioni di diritto
pubblico, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, Torino, 1987.
[28]
Rescigno, Manuale del diritto privato
italiano, Napoli, 1986, p. 222.
[29] A.
Zucchetti, Commento all’art. 9, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, p. 343.
[30]
Piccozza, Finalmente la legge sul
procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti
amministrativi, in Il corriere giuridico,
1990, n. 10, p. 1048.
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