Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

sabato 28 marzo 2015

ACCESSO AGLI ATTI PARTECIPAZIONE INTERESSI DIFFUSI

L’INTERVENTO NEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
(ART. 9 L. n. 241.90 e s.m.i.)

            Gli articoli 9 e 10 della L. n. 241/90 non sono stati modificati dalle recenti novelle apportate alla stessa legge con la L. n. 15/2005 e con la L. n. 80/2005 di conversione del DL n. 35/2005 e contengono la disciplina, oserei dire, fondamentale del procedimento amministrativo quale la possibilità di intervento nel procedimento ed i diritti dei soggetti partecipanti al procedimento.

            Nell’art. 9 della legge n. 241/90 si disciplina una sorta di intervento volontario nel procedimento da parte di soggetti a cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento ed interessati al procedimento quali portatori di interessi pubblici o privati.

            La disposizione citata impone alla pubblica amministrazione di prendere in esame tutti gli interessi pubblici coinvolti attribuendo grande portata alla regola del contraddittorio prima di giungere all’emanazione di un provvedimento finale che produce effetti diversi nei confronti di vari soggetti. Si vuole quindi passare dal concetto di amministrazione – autorità a quello di amministrazione – servizio, da amministrazione – burocratica ad amministrazione – partecipata al fine di creare un’amministrazione che si basa sulla collaborazione e sul consenso anziché solo sul principio di legalità[1].

            La normativa sulla partecipazione al procedimento amministrativo in Italia è giunta piuttosto in ritardo rispetto ad altri ordinamenti quali quello americano, tedesco e comunitario in genere; i ritardi sono dipesi principalmente da due elementi: la difficoltà tecnica ad elaborare un sistema normativo generale di disciplina del procedimento amministrativo e la riluttanza della classe politica a formulare norme volte a consentire la partecipazione dei cittadini nei procedimenti amministrativi decisionali, intervento che comprime il potere discrezionale della pubblica amministrazione[2].

            In merito al problema tecnico si evidenzia che era necessario identificare il procedimento come parte dell’attività amministrativa di cura degli interessi pubblici e che non era rilevante solo l’emanazione dell’atto finale. Sino alla L. n. 241/90 vi era una molteplicità di procedimenti ciascuno legato ai singoli atti o provvedimenti autorizzatori senza che ci fosse un’unica normativa che disciplinasse il procedimento amministrativo in quanto tale e le poche regole del procedimento erano state create dalla dottrina o dalla giurisprudenza[3]. Si giungeva a tale situazione in quanto nel nostro paese la pubblica amministrazione era da sempre considerata superiore in ogni settore e pertanto il cittadino non poteva interferire nella formazione dell’atto amministrativo ed in generale nella formazione della volontà della pubblica amministrazione.

            Circa le difficoltà politiche che portarono all’emanazione della legge si evidenzia che praticamente nessuno (dai politici agli apparati burocratici) voleva tale disposizione ad eccezione dei “cittadini allo stato brado e da qualche studioso”[4].

            La disciplina del procedimento amministrativo non è un’operazione meramente tecnica ma riveste il modo di pensare e di essere dell’amministrazione; rappresenta quindi l’utilizzo di uno strumento che rivela valenze politico-sociologiche impensabili nei decenni precedenti, comportando profonde modificazioni nelle dimensioni, nelle funzioni, nelle strutture e nei comportamenti delle pubbliche amministrazioni[5].

            Le norme contenute nella L. n. 241/90 in tema di partecipazione al procedimento amministrativo costituiscono una svolta nel ruolo con cui si considera il procedimento dando la possibilità ai cittadini di partecipare all’azione amministrativa sin dalla fase della sua impostazione e dalla scelta degli obiettivi. Tali norme hanno praticamente contribuito a far venir meno il cd. “principio inquisitorio” sul quale si basava, in passato, l’istruttoria del procedimento amministrativo[6].

            Sostanzialmente la garanzia di partecipazione al procedimento amministrativo pare diretta a specifici fini:
1)      perfezionare il processo di democratizzazione dell’attività amministrativa;
2)      consentire alla pubblica amministrazione, nell’emanazione dei provvedimenti, di tener conto di importanti elementi che altrimenti avrebbe ignorato;
3)      attenuare il contenzioso giurisdizionale, attraverso il sistema collaborativo;
4)      apportare un alto grado di trasparenza nell’attività amministrativa;
5)      dotare il cittadino di efficaci mezzi di tutela preventiva dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi, garantendolo mediante l’assicurazione della possibilità formale di introdurre nel procedimento la conoscenza dei propri interessi;
6)      attribuire al procedimento la funzione di mediazione fra concentrazione e pluralismo, tra struttura burocratica ed autoamministrazione sociale, tra principio autoritativo e principio democratico, tra realizzazione dell’imparzialità (fine di garanzia) e realizzazione dell’efficacia (fine di buona amministrazione).

Mentre prima della L. n. 241/90 la tendenza dell’amministrazione era quella di limitare o addirittura annullare lo spazio del cittadino, con la legge sul procedimento amministrativo si è invece voluto trasformare l’azione amministrativa da autoritaria in azione partecipata con il pregio, da un lato, di avere caratteristiche di democraticità e, dall’altro, di avvicinare ed interessare gli estranei all’azione amministrativa.

            Nell’ordinamento italiano vigevano sino all’emanazione della L. n. 241/90 delle particolari forme di partecipazione quali il diritto di audizione in materia disciplinare, il diritto di partecipazione al procedimento attraverso osservazioni ed opposizioni in materia urbanistica, nel contesto dell’espropriazione ecc.; dopo la legge la partecipazione ha assunto carattere generale e si estende ad ogni procedimento, salvo quanto disposto dall’art. 13 della stessa, per rendere trasparente l’attività amministrativa.

            Alla luce del procedimento come partecipazione e cioè del procedimento partecipato sta la concezione di un’amministrazione rilevante non solo e non tanto per la funzione esecutiva rispetto alle leggi ed operante in margini ristretti di discrezionalità, bensì un’amministrazione sufficientemente libera rispetto alla volontà legislativa, svincolata da obiettivi politici immediati, informata al rispetto di precise regole di comportamento, in grado di congegnare con libertà le operazioni, le misure ed i provvedimenti in funzione sociale e capace di individuare e selezionare interessi.

            La partecipazione del privato al procedimento mira ad attivare una vera e propria collaborazione dello stesso all’attività amministrativa esplicando un ruolo collaborativo assegnato al privato all’interno di una struttura amministrativa caratterizzata da un potere esecutivo ed autoritario[7].

            L’intervento del privato è previsto non solo a tutela dello stesso, ma anche per consentire alla pubblica amministrazione una migliore soddisfazione dell’interesse pubblico attraverso una gestione più razionale e più democratica del potere[8].

            Secondo parte della dottrina[9] non integrerebbe un vero e proprio contraddittorio, perché la partecipazione, a differenza del contraddittorio, prescinde da ogni idea di conflitto tra interessi e corrispondenti posizioni soggettive ed inoltre non definisce una tutela o una garanzia, ma una modalità dell’azione apprezzabile secondo una valutazione in primo luogo politica.

            Per altri autori[10] la partecipazione procedimentale è solo quella in contraddittorio, altrimenti non si dovrebbe parlare di partecipazione, ma di semplice consultazione; la partecipazione comunque esprime un concetto più generico e comprende anche quello di contraddittorio.

            Negli istituti partecipativi delineati dalla L. n. 241/90 pare più consona la seconda tesi suddetta anche se il titolo del Capo III è “partecipazione…” e non “contraddittorio ..”.

            Partecipazione al procedimento non significa comunque “cogestione” ma è semplicemente un apporto conoscitivo dei soggetti, direttamente e indirettamente interessati al provvedimento finale, per una più giusta ed equa decisione la cui titolarità rimane sempre alla pubblica amministrazione, la cui “imperatività” risulta abbastanza ridotta. Questa forma di partecipazione è diretta alla realizzazione del principio del “giusto procedimento” che assicura da un lato lo strumento con il quale la pubblica amministrazione può ponderare equamente gli interessi coinvolti, dall’altro lo strumento che consente un trasparente confronto tra gli interessi coinvolti[11].

            In tema di partecipazione al procedimento amministrativo nell’attività dell’ente locale si pone un problema di rapporto tra il D.Lvo n. 267/2000 (prima L. n. 142/90) e la L. n. 241/90.

            Infatti mentre il D.Lvo n. 267/2000 afferma la tradizionale distinzione tra partecipazione “contraddittorio” e partecipazione uti civis[12], ossia fra quella dei destinatari dell’atto finale e quella dei cittadini[13], nella legge sul procedimento amministrativo la distinzione tende a stemperarsi nella previsione di un’ampia cerchia di soggetti legittimati a concorrere al procedimento come parti o interventori.

            Mentre il diritto di accesso e di informazione disciplinato nell’art. 10 del D.Lvo n. 267/2000 è, si potrebbe dire, di tipo politico nel senso che è legato allo status di appartenenza del cittadino ad una determinata comunità e non alla titolarità di diritti od interessi incisi dal futuro provvedimento, la partecipazione della L. n. 241/90 è di tipo “individualistico” o “in contraddittorio”[14]. Inoltre, mentre l’art. 10 del D.Lvo n. 267/2000 disciplina forme di accesso dei cittadini, l’art. 22 della L. n. 241/90 riconosce il diritto di accesso a chiunque vi abbia interesse.

            La possibile interferenza tra le due normative statali di carattere generale dovrebbe essere esclusa dall’art. 1, c. 4 del D.Lvo n. 267/2000 in forza del quale le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni. I principi enunciati dalla L. n. 241/90 in tema di procedimento amministrativo e di diritto di accesso non si pongono in contrasto e non costituiscono deroghe a quelli di cui al D.Lvo n. 267/2000 ma si pongono in armonia con gli stessi, integrandoli e sviluppandoli in una nuova disciplina organica della materia[15].

            L’eventuale problema del rapporto tra D.Lvo n. 267/2000 e L. n. 241/90 pare potersi risolvere non nell’abrogazione della norma precedente ad opera di quella successiva, ma nella prevalenza della norma speciale su quella generale. Pertanto si deve ritenere che le disposizioni del Capo III della legge sul procedimento amministrativo hanno una portata generale e di garanzia minima e si applicano anche quando il procedimento amministrativo sia posto in essere da un ente locale[16], non potendosi sostenere che la mancata emanazione di norme statutarie apposite possa impedire l’applicazione delle disposizioni di cui al citato Capo III.

            Nell’ambito del procedimento amministrativo non vengono coinvolti i cittadini in quanto tali ma vengono coinvolti nel procedimento amministrativo soggetti portatori di determinati interessi e tali soggetti sono:
a)      i soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato (art. 7);
b)      i soggetti che per legge devono intervenire (art. 7, intervenienti necessari);
c)      i soggetti individuati o facilmente individuabili (diversi dai diretti destinatari) che possono trarre un pregiudizio dal provvedimento (art. 7, intervenienti per chiamata);
d)     i soggetti ai quali possa derivare un pregiudizio (art. 9: intervenienti volontari) e che siano portatori di interessi pubblici o privati o portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.

L’amministrazione deve comunicare l’avvio del procedimento ai soli soggetti sub a), b), c) e non anche a quelli sub d); la diversità di trattamento è facilmente comprensibile dal raffronto dei soggetti sub c) e sub d): i primi sono “individuati o facilmente individuabili”, i secondi no ma pur in assenza di comunicazione possono intervenire nel procedimento.

            In considerazione del fatto che la legge non prevede, in favore dei soggetti di cui all’art. 9 della L. n. 241/90, forme di pubblicità come annunci sulla stampa locale, su notiziari, ecc. risulta particolarmente difficile per tali soggetti partecipare effettivamente e concretamente al procedimento in quanto devono autonomamente venire a conoscenza dell’esistenza del procedimento.

            Comunque sia tutti i soggetti sopraccitati, indipendentemente dalle forme con cui vengono a conoscenza del procedimento, hanno gli stessi diritti e facoltà di intervenirvi come si desume dall’art. 10 della L. n. 241/90.

            Nella parte iniziale dell’art. 9 della L. n. 241/90 si dispone che può intervenire nel procedimento qualunque soggetto che sia portatore di interessi pubblici o privati ed il riconoscimento di tale facoltà di intervento prescinde dal fatto che l’interesse sia di natura pubblica o privata; inoltre la possibilità di intervento prescinde da ogni distinzione circa il tipo di procedimento o la natura dell’interesse.

            Il fatto che la norma disponga che può intervenire “qualunque soggetto” portatore di interessi pubblici o privati dimostra la maggiore incisività della stessa rispetto all’art. 8, c. 2 del D.Lvo n. 267/2000 ove si dispone che nel procedimento amministrativo devono essere previste forme di partecipazione degli interessati.

            Può intervenire al procedimento amministrativo qualsiasi persona fisica, anche straniera e poiché deve essere portatore di interessi pubblici o privati dovrà essere capace di intendere e di volere mentre risulta quindi preclusa la partecipazione agli interdetti, inabilitati e incapaci ecc. ma non certo ai loro tutori e curatori.

            Dato che il riferimento è a “qualunque soggetto” nulla vieta che possano intervenire nel procedimento amministrativo anche persone giuridiche, associazioni, fondazioni, enti pubblici, partiti politici ecc..

            Il termine “interesse” in senso giuridico è considerato come causa, motivo, fine, funzione e la sua funzione varia a seconda di chi esercita l’apprezzamento. Gli interessi indicati nell’art. 9 della L. n. 241/90 devono comunque essere rilevanti e quindi non devono essere fantasiosi o impossibili da realizzare: possono essere anche interessi morali[17] e comunque deve trattarsi di un interesse concreto.

            E’ opportuno ora soffermarsi su alcuni concetti enunciati nell’art. 9 della L. n. 241/90 quale quello di “interessi pubblici”.

            La dottrina ha fornito diverse definizioni di interesse pubblico; sono interessi di una pluralità di soggetti, considerata come unità che trascende i singoli componenti[18]; sono interessi riferibili ad un corpo sociale nel suo complesso o a sue componenti particolari, ma sempre di gruppo, e quindi interessi generali o settoriali che possono essere affidati alla cura di un organismo esponenziale del corpo o del gruppo[19]; quindi l’interesse pubblico può costituire la sommatoria di tanti interessi individuali nella stessa materia e nello stesso segno: in tal caso si parla di interessi sociali, o collettivi, o superindividuali ai quali l’ordinamento attribuisce rilevanza giuridica[20].

            Gli interessi pubblici vengono affidati alle persone giuridiche pubbliche le quali non sono libere di disporre ma sono tenute per obbligo di legge alla loro cura e protezione. Interessi pubblici sono quelli della massima collettività, tipicamente gli interessi propri dello Stato, ma anche quelli di raggruppamenti della collettività come le regioni, le province ed i comuni che sono portatori di interessi della comunità.

            Nella categoria degli interessi pubblici si distinguono quelli generali (ad es. istruzione pubblica, sicurezza esterna ecc.), settoriali (ad es. amministrazione dell’industria, del commercio ecc.), globali che riguardano l’interesse preso in tutta la sua consistenza materiale, in tutta la sua interezza (ad es. igiene pubblica) o puntuali che investono singole parti di un interesse.

            Circa l’interesse privato è un interesse riconosciuto dall’ordinamento giuridico come esclusivamente proprio del suo titolare ed è un interesse individuale[21]. Il portatore dell’interesse privato ne è il dominus che può a suo piacimento, provvedere o meno alla sua soddisfazione o alla sua tutela.

            La differenza tra interesse protetto nel diritto privato e interesse protetto nel diritto amministrativo è individuabile nelle diverse strutture per cui la protezione dell’interesse protetto nel diritto privato è tale da non esserne concepibile neanche la violazione, mentre la protezione dell’interesse protetto nel diritto amministrativo non ha il fine di rendere giuridicamente impossibile la lesione della posizione fatta all’interessato.

            Ad esempio, dei portatori di interessi privati ai sensi dell’art. 9 della L. n. 241/90 potrebbero essere quei destinatari previsti dall’art. 7 della stessa legge, ai quali, per difficoltà legate alla loro identificazione, non sia pervenuta la comunicazione di avvio del procedimento.

            L’art. 9 della L. n. 241/90 dopo aver previsto la possibilità di intervenire nel procedimento amministrativo da parte dei soggetti portatori di interessi pubblici o privati, prevede che possano intervenire nel procedimento i portatori di interessi diffusi che siano costituiti in associazioni o comitati.

            La giurisprudenza[22] ha ritenuto che la nozione di interesse diffuso presuppone il collegamento a beni individuali o collettivi della cui tutela si fanno promotori formazioni sociali munite di struttura organizzativa e caratterizzate da idoneo grado di rappresentatività, ma non può essere dilatata fino a comprendere le situazioni di mero interesse semplice alla legalità, economicità e buon andamento dell’azione amministrativa.

            Gli interessi diffusi individuano quelli di cui è titolare una buona parte della collettività, senza però che tali interessi possano essere imputati a soggetti ben individuati.

            Gli interessi diffusi si differenziano da quelli pubblici (a questi ultimi accomunati dal loro oggetto costituito da beni di rilevanza generale) per la diversità dei soggetti ai quali sono imputabili le situazioni giuridiche che li riguardano. La tutela degli interessi pubblici è affidata istituzionalmente a soggetti preposti alla loro gestione. Gli interessi diffusi fanno capo a soggetti che fruiscono i beni collettivi e “somigliano” agli interessi legittimi, potendo entrambi essere rispettati spontaneamente, oppure calpestati, dall’attività autoritaria della pubblica amministrazione[23].

            La dottrina in modo controverso ha anche sostenuto che gli interessi diffusi si differenziano dagli interessi collettivi perché questi ultimi costituiscono una categoria più ristretta di interesse diffuso[24].

            Gli interessi diffusi, come quelli collettivi, sono superindividuali ma mentre quelli collettivi sono imputabili ad un determinato ente, gli interessi diffusi restano allo stato fluido e richiedono un processo di aggregazione mediante l’opera di associazioni di tutela[25]. Si considerano pertanto interessi diffusi gli interessi di uguale contenuto, comuni a più soggetti, distinti dalle tradizionali situazioni giuridiche soggettive, che vengono condivise da una pluralità di soggetti, perché manifestazioni di un nuovo modo di intendere il rapporto soggetto – bene.

            Affinché i portatori di interessi diffusi possano partecipare al procedimento amministrativo è necessario che siano costituiti in associazioni o in comitati in quanto il legislatore ha voluto l’esistenza di una organizzazione stabile volta ad assicurare la serietà dell’intervento nel procedimento e quindi non avere il solo fine di creare blocchi all’attività amministrativa[26]. Pertanto fino a quando non ci sia la costituzione di enti esponenziali che perseguono interessi diffusi, non si può riconoscere né al gruppo né ai singoli appartenenti la potestà di intervenire nel procedimento per la tutela dei predetti interessi.

            E’ quindi necessario ricordare che per “associazione” si intende l’organizzazione stabile di più soggetti per la gestione di un interesse comune e per il raggiungimento di uno scopo che, a differenza di quanto accade per le società civilistiche e della comunione ereditaria, non si propone né un conferimento iniziale, né guadagni o beni da ripartire tra i soci[27]. Nell’associazione infatti la collettività organizzata prende vita da un atto di autonomia contrattuale assunto dai componenti.

            Ai fini dell’applicazione della L. n. 241/90 non rileva il fatto che l’associazione sia riconosciuta o non riconosciuta in quanto l’art. 9 fa riferimento solo ad associazioni; risulta pertanto irrilevante la distinzione tra associazioni facoltative, obbligatorie e coattive oppure tra associazioni perpetue e temporanee, oppure tra associazioni nazionali o locali.

            Perché si possa parlare di associazione riconosciuta è necessario che la stessa, ai sensi dell’art. 14 e seguenti del codice civile, abbia i seguenti elementi fondamentali atto costitutivo, statuto, scopo, patrimonio, sede e denominazione e sia rispettosa di quanto previsto nel DPR n. 361/2000; per l’associazione non riconosciuta, disciplinata negli artt. 36 e seguenti del codice civile, non è richiesta una forma determinata per la costituzione.

            Nel procedimento amministrativo possono intervenire solamente quelle associazioni o comitati qualificate dalla liceità degli interessi perseguiti, dall’adeguata rappresentatività degli interessi oggetto della loro finalità, dallo svolgimento effettivo dell’attività indicata nello statuto ecc..

            In merito al “comitato” si ricorda che consiste in un gruppo ristretto di persone che cura determinati interessi ed è disciplinato principalmente dagli artt. 39 e seguenti del codice civile. La sua durata è normalmente transitoria[28] e persegue finalità assistenziali o promozionali avvalendosi di mezzi finanziari ricevuti da terzi. Il suo primo atto ufficiale consiste nell’annuncio del suo programma effettuato al fine di sollecitare il pubblico a compiere le oblazioni occorrenti per finanziare l’iniziativa programmata; dal programma e dallo scopo del comitato si può desumere se possa esprimere o meno interessi diffusi.

            La definizione delle associazioni o comitati dei singoli settori che abbiano carattere rappresentativo di interessi partecipativi è di competenza delle singole amministrazioni che devono provvedere mediante atti amministrativi di carattere generale.

            Nell’art. 9 della L. n. 241/90 altro punto da sviluppare è la disposizione “… cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento ….”. Nella disposizione non si fa alcun riferimento alla “lesione di interessi” ma ad un concetto più ampio tale da ricomprendere anche il più lieve disturbo all’esercizio o al godimento di determinate facoltà.

            Il pregiudizio si può definire come un danno materiale o morale, non necessariamente economico (es. alla salute, ai cosiddetti diritti della personalità ecc.), provocato da un dato evento che colpisce o minaccia un singolo o una collettività. E’ pertanto da intendersi come un ostacolo al conseguimento di determinati vantaggi, uno svantaggio, un ostacolo[29]. Dato che la norma non distingue alcuna categoria di interesse da difendere ma accorda la partecipazione ed il contraddittorio a qualsiasi procedimento, il pregiudizio non consiste solo in una situazione soggettiva attuale che può essere diminuita dall’azione pubblica, ma anche nel venir meno di una aspettativa. Danno, svantaggio o ostacolo che sono potenziali in quanto si potrebbero verificare solo nel caso in cui venisse in essere quel determinato provvedimento amministrativo.

            Non si tratta di un danno ingiusto o di un danno antigiuridico ex art. 2043 del cod. civ. che dà luogo ad un risarcimento, in quanto il provvedimento finale non può essere un atto contra legem; il pregiudizio consiste quindi in un danno da atto legittimo e non antigiuridico, in una diminuzione dell’interesse altrui in quanto contrastante con altri interessi, causando un conflitto di interessi secondo le esigenze della giustizia che potrebbero essere composti nel procedimento amministrativo. Pertanto non è consequenziale che dall’eventuale pregiudizio debba derivare necessariamente un indennizzo a favore di coloro che, con il provvedimento, vedono menomati alcuni propri interessi.

            Il pregiudizio non deve riguardare, per le associazioni ed i comitati, le posizioni di cui è titolare il soggetto giuridico, bensì il bene collettivo per la cui tutela sono state costituite.

            Affinché ci possa essere pregiudizio è necessario che lo stesso derivi da un provvedimento finale del procedimento e non da un atto intermedio; il provvedimento amministrativo è una categoria di atto amministrativo tipico e nominato ed è un atto amministrativo autoritativo ossia un atto nel quale la pubblica amministrazione esprime il momento dell’autorità. Si tratta pertanto di un atto volto alla realizzazione di interessi specifici della pubblica amministrazione e consistente in disposizioni destinate a produrre modificazioni di situazioni giuridiche, oppure a negare le modifiche richieste dagli interessati.

            Sulla scorta di quanto sopra non è ammessa la partecipazione in procedimenti che non si concludono con un provvedimento ma con un atto amministrativo che assolve funzioni strumentali o accessorie o in atti non dotati di carattere autoritativo.

            Infine si deve evidenziare che nei casi di provvedimenti discrezionali la pubblica amministrazione deve valutare la consistenza dell’interesse primario in relazione a tutti gli interessi secondari che possono presentarsi.

            Nonostante il silenzio della norma al riguardo si ritiene che per la partecipazione al procedimento si necessaria un’istanza scritta, anche se nulla vieterebbe, a seguito di preventiva disposizione organizzativa che la stessa, sia svolta in forma orale o trascritta da un funzionario. La richiesta, da presentarsi nel corso della fase istruttoria del procedimento e comunque sia formulata, deve contenere gli estremi del procedimento, le generalità del soggetto che vuole intervenire, le motivazioni dell’intervento al fine di consentire alla pubblica amministrazione di valutare l’interesse di intervenire ed i contenuti dell’intervento in rapporto al provvedimento finale.

            La domanda di partecipazione al procedimento non dovrebbe essere notificata alle parti del procedimento in quanto non si è in un ambito processuale ma è come se si trattasse dell’esercizio del diritto di accesso.

            La competenza a valutare la possibilità di intervenire nel procedimento amministrativo spetta al responsabile del procedimento che, ai sensi dell’art. 6, c. 1, lett. a) della L. n. 241/90 “valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”[30]. Il responsabile, per decidere se ammettere o non ammettere l’istante al procedimento, dovrà praticamente svolgere le seguenti verifiche:
a)      se l’istante sia portatore delle tipologie di interessi disciplinate nell’art. 9 della L. n. 241/90 (ossia interessi pubblici, privati o diffusi);
b)      se l’istante dall’emanazione del provvedimento possa subire un pregiudizio;
c)      se il procedimento non rientri tra quelli di cui all’art. 13 della L. n. 241/90 per i quali è esclusa qualsiasi forma di partecipazione.

Si deve altresì ritenere che il potenziale soggetto che vuole intervenire nel procedimento amministrativo possa impugnare davanti al giudice amministrativo l’atto della propria esclusione.

            Altro problema che può porsi è quello relativo alla validità dell’atto emanato dalla pubblica amministrazione nel caso in cui la stessa abbia adottato ed accolto esplicitamente soluzioni conformi alle proposte di soggetti non legittimati: in questo caso si può sostenere l’invalidità formale del provvedimento. Il provvedimento sarebbe invece annullabile quando l’amministrazione non dimostri in giudizio che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.


                                                                                  Dott. Alberto Ponti

A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DII ISOLA DELLE FEMMINE



[1] Nigro, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Rivista processuale amministrativa, 1989, p. 13.
[2] Allegretti, Intervento alla discussione, in Atti del XXXII convegno del Centro Studi Amministrativi della Provincia di Como, Varenna 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, p. 268.
[3] Tedeschini, voce Procedimento amministrativo, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1986.
[4] Nigro, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Rivista processuale amministrativa, 1989.
[5] A. Zucchetti, Commento all’art. 9, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, p. 277.
[6] Cfr Virga, Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, II, Milano, 1987, p. 70.
[7] Berti, La struttura procedimentale dell’amministrazione pubblica, in Diritto e Società, 1980.
[8] Cimellaro, Le garanzie del procedimento amministrativo nella L. n. 241/90, Padova, 1997.
[9] Berti, Procedimento, procedura, partecipazione, in Scritti Guicciardi, 1975. p. 801 ss.
[10] Bettini, Nuovi appunti e motivi d’urgenza per una legge generale sul procedimento amministrativo, in Rivista trimestrale scienze amministrative, 1976.
[11] Pastori, La disciplina generale del procedimento amministrativo. Considerazioni introduttive, in Atti del XXXII Convegno di studi e scienza dell’amministrazione, Varenna, 18-20 settembre 1986, Milano, 1989.
[12] Berti, Diritto e Stato: riflessioni sul cambiamento, Padova, 1986.
[13] L’art. 8, c. 2 D.Lvo n. 267/2000 (ex art. 6, L. n. 142/90) dispone che “nel procedimento relativo all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo Statuto, nell’osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7.8.1990, n. 241” e allo stesso modo l’art. 6, c. 2 del D.Lvo n. 267/2000 attribuisce allo statuto di stabilire “… le forme …. dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi …”.
[14] Cfr G. Virga, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998; G. Pericu, in AA.VV., Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 1993.
[15] V. Italia, Procedimento e accesso agli atti e documenti amministrativi negli statuti e nei regolamenti comunali e provinciali, in I rapporti fra cittadini e istituzioni nelle recenti leggi di riforma delle autonomie locali e del procedimento amministrativo, Milano, 1992, p. 39, ove l’Autore sostiene che, pur essendoci differenze tra le due norme, tali differenze non sono di portata tale da comportare contraddittorietà ed incompatibilità tra di esse.
[16] Cfr Consiglio di Stato, sez. V, 2.2.1996, n. 132.
[17] Cfr Consiglio di Stato, Sez. VI, 10.7.1989, n. 846: in forza di tale decisione il solo interesse morale è sufficiente a legittimare la tutela giurisdizionale contro atti che si sostiene erano stati adottati contra legem.
[18] Pugliatti, voce Diritto pubblico e privato, in Enciclopedia del diritto,p. 740; si vedano anche gli art. 82 Costituzione e gli artt. 868 e 384 cod. civ..
[19] Caianello, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, p. 159; Federici, Gli interessi diffusi, Padova, 1984, p. 99.
[20] Quarantulli, Mezzi e modi di composizione degli interessi pubblici, in Amministrazione e politica, 1985.
[21] Pugliatti, voce Diritto pubblico e privato, in Enciclopedia del diritto,p. 730.
[22] Cfr TAR Lazio, Sez. II, 10.7.1996, n. 1394.
[23] Federici, Gli interessi diffusi, Padova, 1984.
[24] Cfr Bricola, Partecipazione e giustizia penale, le azioni a tutela di interessi collettivi, in Questione criminale, 1976.
[25] Cfr Gabrielli, Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi, in Rivista trimestrale processuale civile, 1984, p. 969.
[26] Caranta-Ferraris, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2000.
[27] Si veda al riguardo De Giorni, Le persone giuridiche in generale. Le associazioni e le fondazioni, in Trattato Rescigno, 2, Torino, 1982; G. Rossi, voce Associazioni di diritto pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1987.
[28] Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1986, p. 222.
[29] A. Zucchetti, Commento all’art. 9, in AA.VV., L’azione amministrativa, Milano, 2005, p. 343.
[30] Piccozza, Finalmente la legge sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Il corriere giuridico, 1990, n. 10, p. 1048.

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